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Autore: Satomi    25/09/2013    1 recensioni
[Ciclo dei Corsari delle Antille]
“Entro la prossima spedizione conto di trovarti affratellato; che vi sia qualcun altro a tenerti a bada.”
Prima della vendetta - o quasi - e delle battaglie. Una storia senza eroi o carnefici.
Solo uomini del mare.
[messo rating arancione per sicurezza]
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Hombres del mar

 

 

La calura tropicale sembrava non voler concedere tregua alcuna; si insidiava sotto le porte e le finestre e non risparmiava nessuno. Lì in taverna rendeva il lezzo di sudore, dovuto alla gran quantità di corpi occupati in effusioni tutt’altro che tenere, ancora più insopportabile.
“Satanasso!” sbottò uno degli inservienti occupato a sventagliare con forza il fuoco, ove un grosso pezzo di cinghiale cuoceva su uno spiedo; finendo poi per usare il ventaglio su se stesso. “Qualcuno venga a darmi il cambio, sto crepando!”
“Smetti di lamentarti, Jean-Luc, siamo tutti occupati e puoi vederlo da te” lo rimbeccò un collega che aveva appena posato una caraffa di rosso su un tavolo, riempito per metà da una negra seminuda coi seni grossi e pendenti. Un omaccione la prendeva da dietro, mentre il compagno alle sue spalle attendeva il turno.
Jean-Luc spinse gli occhi porcini quasi fuori dalle orbite. “Occupati, certo, a guardare le cosce delle puttane! Sozzi fannulloni!” gridò.
“Piantala, marsigliese, questo posto è un inferno senza che ti ci metta anche tu” intervenne uno degli uomini a un tavolo, l’unico senza compagnia femminile; probabilmente aveva già speso tutti i suoi soldi in vino e al gioco, o forse il caldo lo aveva reso fiacco.
Da uno degli angoli in penombra sbucò un’altra persona che gli si avvicinò. “Parole sagge, fratello” commentò mentre si sistemava i calzoni.
“Ohe, Hugh!” lo chiamò l’uomo al tavolo, lasciando perdere il vino ormai caldo che aveva nel bicchiere. “Com’è andata questa volta?”
“Bah! Floriane perde colpi, ultimamente.”
“Non sarai tu ad essere invecchiato?”
“Ho quarantadue anni, Charles, non sono ancora decrepito come te” replicò Hugh. “E ora perché mi guardi così?” chiese poi con fare innocente, sorridendo sotto i baffi castani. “Il vino ti è andato di traverso?”
Charles si limitò ad alzare le spalle e passarsi una mano tra i capelli grigi, preferendo non raccogliere la provocazione. “Piglia i tuoi averi e sparisci” borbottò al compagno, indicando una sedia ove erano stati posati alcuni oggetti. “È l’ultima volta che ci bado. Per la miseria, mi hai preso per un guardarobiere?”
“Quando sono con una donna non mi piace aver impicci intorno” fu la risposta di Hugh, che a dispetto del caldo indossò la giacca e si calcò il cappello in testa, non prima di aver raccolto i capelli in una bandana rossa. “E sono pronto a ricambiare il favore quando vuoi.”
“Fammi un piacere, amico: levati dai piedi.”
“Rispetto, Charles. Sono un nostromo, adesso.”
“E io un luogotenente. Fa’ i tuoi conti.” Hugh avrebbe voluto dirgli che il suo capitano valeva meno di una piastra e che prima o poi sarebbe finito sgozzato dai suoi stessi sottoposti, ma si trattenne: aveva altro a cui badare. Si affrettò a uscire mentre Floriane, una donna sulla quarantina dalla pelle ambrata ma avvizzita, lo salutava agitando una mano; se Hugh aveva espresso qualche dubbio sulle sue prestazioni lei aveva ben poco di cui lamentarsi.

 

“Ordini dal comandante, signor de Puniet?”
“No, nostromo, puoi andartene a casa se l’hai, o in qualche alloggio allestito per gli ufficiali” rispose il luogotenente, accompagnando le parole con un gesto stanco della mano: probabilmente aveva voglia di congedare in fretta il suo sottoposto per andare a spendere i pochi soldi guadagnati dall’ultima, magra spedizione. E Jules de Puniet, bretone di trent’anni e di poche parole, non andava certo famoso per la sua parsimonia. Chi era parsimonioso poi, a Cayona? Spendere tutto e subito, questa era la regola. Non si era mai certi di riveder l’indomani.
Hugh s’irrigidì appena nel saluto militare in uso in quei mari prima di dirigersi verso casa, evitando con cura i vari escrementi di buoi e altri animali dispersi per la strada. In verità definire casa il suo alloggio era una parola grossa: si trattava di una semplice capanna col tetto di foglie di palma, né più grande né più comoda di tante altre abitazioni del paese. Le case in muratura erano per i ricchi circondati da nugoli di servi; quanto a lui, non aveva mai raggranellato una somma bastevole per comprarsi anche un vecchio mulatto. Che se ne faceva, poi, non avendo lavori o piantagioni cui badare quando era per mare?
“Hugh!” salutarono alcuni marinai, tutti provvisti di rhum o aguardiente. “Dove vai così di corsa?”
“Diavolo, ne hai di fiato da vendere! Bevi qualcosa assieme a noi!” Il marinaio fu lesto a rifiutare l’offerta: aveva già ingollato fin troppo liquore, quel giorno, e voleva restar lucido per accertarsi di persona delle condizioni del suo ospite.

 

*

 

“Morte e… dannazione… Dove ho messo quel maledetto tabacco!” Hugh frugò con una certa impazienza nel solo ricambio di vestiti che avesse, certo di aver lasciato lì le ultime dosi; si affrettò a prenderne una in mano e a servirsene per caricarci la pipa. Si lasciò andare sul pavimento della capanna, soddisfatto, mentre con la bocca lanciava in aria anelli di fumo.
Davanti a lui, in un angolo, un uomo era steso a pancia in giù su una stuoia malandata; sebbene fosse immerso nella penombra, Hugh era certissimo che fosse sveglio e che lo fissava. Non si preoccupava minimamente di una sua eventuale reazione: aveva tolto dalla sua portata tutti gli oggetti contundenti e dubitava che fosse abbastanza in forze da poterlo accoppare con una ciotola dell’acqua. Sempre che ne fosse davvero capace.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome” borbottò il marinaio, la voce precocemente arrochita dal generoso uso di tabacco. “Mi sembra il momento giusto per farlo.”
Non ottenne risposta né un qualunque segno di vita da parte dell’ospite. Eppure era certo d’esser stato udito.
“Che hai, figliolo? Forse hai perduta la lingua?”
Uno sbuffo seccato aleggiò nell’aria. Hugh scosse la testa, togliendosi la pipa di bocca, e si alzò fino per raggiungere la persona sdraiata ai suoi piedi, che non si curò di girare la faccia dall’altra parte; anzi lo fissò con un certo astio. Il marinaio rise sotto i baffi. “Strano” disse abbassandosi fino al suo livello. “Mi pareva ce l’avessi, la lingua, quando urlavi sotto i colpi degli spagnoli.”
La reazione non fu inaspettata, ma a stupire Hugh fu altro: sembrava che l’uomo avesse calcolato ogni mossa con lucidità. Lo vide mettersi seduto di scatto dopo aver lanciato un grido rauco di belva ferita, afferrarlo con una mano per la collottola, risoluto a sbilanciarlo, e usare l’altra per prendere la ciotola.
“Diavolo! Vuole davvero accopparmi con quell’arnese!” pensò Hugh, ma prima che l’oggetto giungesse sulla sua nuca intercettò il polso dell’uomo per poi rovesciarlo sulla schiena fasciata. L’impatto col pavimento fece urlare di dolore il malcapitato, tuttavia ancora deciso a reagire. Il marinaio, per precauzione, gli posò con forza il ginocchio sul petto, puntandogli il coltello alla gola. “Troppo lento, ragazzo” decretò, ma in cuor suo sapeva che l’avversario, se fosse stato in perfetta forma, avrebbe potuto sopraffarlo: era svelto e robusto, e con almeno quindici anni meno di lui. Lo vide acquietarsi, poco propenso a finire con la gola segata; aveva gli occhi lucidi e spiritati di chi è in preda alla febbre, ma sembrava abbastanza padrone di sé.
“Stolto! Che credevi di fare nelle tue condizioni?” sbottò Hugh allontanando il coltello dal suo collo. “Bella riconoscenza verso chi ti ha salvato la pelle.” Il ferito, libero dalla minaccia dell’arma, pareva risoluto a tentar di nuovo qualcosa ma il marinaio, seccato, lo rovesciò ancora, questa volta a pancia in giù, e gli premette la faccia sulla stuoia sporca di sangue e sudore.
“Un altro scherzetto e ti taglio la testa per poi darla in pasto ai porci. Non tentarmi” minacciò Hugh tenendolo con forza per i capelli. Solo quando finalmente lo vide smettere di agitarsi riprese a parlare. “Allora, me lo dici o no come ti chiami?”
Silenzio ostinato.
“La tua ritrosia sta diventando seccante, ragazzo. E la gente come me ha molti modi per convincere i riluttanti della tua risma a parlare.” Tanto per far qualcosa premette il ginocchio contro la schiena, che in alcuni punti aveva ripreso a sanguinare; stirò la bocca in un ghigno soddisfatto quando udì l’altro gridare ancora.
“Sto aspettando.” Udì solo qualche parola biascicata a malapena, incomprensibile. “Parla chiaro” lo esortò, avvicinando il volto a quello dell’uomo più giovane.
Ricevette uno sputo in piena faccia. “Figlio d’un cane!” urlò Hugh colpendolo con un manrovescio in pieno volto, forte ma non abbastanza da rompergli qualcosa come avrebbe voluto. Indietreggiò di colpo, asciugandosi il viso con la manica prima di alzare ancora una volta il coltello. “Ti infilzo come un porco allo spiedo, maledetto bastardo!”
“Taci!”
Il marinaio sobbalzò a quella parola del tutto inaspettata. “Che cosa hai detto?” sibilò, stringendo l’arma in pugno. Il ferito indietreggiò strisciando sul pavimento, per mettersi fuori tiro per quanto poteva. “Non un’altra parola” disse. “Udir la mia lingua storpiata da una bestia quale sei tu mi dà la nausea.” Al contrario del marinaio, infatti, parlava senza la minima inflessione.
“Un francese!” esclamò Hugh scoppiando in una sonora risata. “Quale orgoglio, figliolo! A giudicare dalla tua indole direi che sei un degno rampollo della Guascogna.”
“Non insultarmi.”
“Oh! Non sei guascone! Tanto meglio, brutta gente quella, anche se ottima schermitrice.” Il francese arricciò le labbra, chiaramente disgustato: Hugh parlava con un pesante accento. “Taci” ripeté, secco.
“Non ti piace come parlo, ragazzo? E come dovrei farmi capire da te?”
“Non occorre. Non voglio udirti né parlarti.”
“Ma lo stai già facendo.” Hugh si udì spedire contro una serie di insulti pronunciati in un dialetto stretto, dato che non ne afferrò neppur uno. “Le parole non tagliano né bucano. Grida pure quanto vuoi” borbottò, alzando le spalle per ricaricare nuovamente la pipa, caduta e spentasi durante la colluttazione.
Il francese sembrò prenderlo in parola: urlò frasi che solo lui stesso poteva capire, urlò fino a farsi andar via la voce e le poche forze che gli restavano. Il marinaio lo fece sfogare liberamente, fino a che lo vide lasciarsi andare sulla stuoia; non lo soccorse né gli si avvicinò. “Stolto. Ha forzato troppo e adesso ne paga le conseguenze” si disse mentre soffiava fuori dalle labbra un filo di fumo.

 

*

 

Hugh si rialzò dal proprio giaciglio a fatica: quel dannato francese aveva delirato tutta la notte, riempiendogli gli orecchi con le sue parole prive di senso. Forse avrebbe dovuto chiamare il medico, ma poi si disse che scomodare il chirurgo della sua nave per un prigioniero senza valore era inutile.
“Che crepi. Quello che potevo fare l’ho fatto” pensò il marinaio; anzi aveva fatto fin troppo, sottraendolo alle mani degli spagnoli ben risoluti a ucciderlo a suon di frustate, come fosse stato un negro o un indiano. Se non avesse saputo che quel francese era un Fratello della Costa come lui l’avrebbe lasciato morire senza troppi dispiaceri. Ma i compagni in difficoltà andavano soccorsi, era la regola.
Hugh si avvide che l’ospite, dopo quella notte d’inferno, aveva finalmente preso sonno e giaceva su un fianco respirando pesantemente. Il solo vederlo riposare, mentre lui non aveva chiuso occhio, fece indispettire il marinaio che scosse l’altro con una certa malagrazia. Gli rispose uno sguardo rancoroso.
“Basta occhiatacce, ragazzo. Ti ho portato il rancio, hai bisogno di mangiare.” Gli pose davanti una ciotola piena di riso bollito e legumi, più una d’acqua. Si aspettava, quasi sperava, che rifiutasse, orgoglioso com’era, invece lo vide avventarsi sul cibo con la voracità di chi è digiuno da giorni, portandosi alle labbra bocconi sempre più grossi. “Vuoi dirmi come ti chiami, per la miseria? A cosa occorre nasconderlo?” borbottò Hugh senza capire. “Non sarai una spia?” domandò poi, dubbioso, ma in realtà nemmeno lui ne era convinto.
Il francese alzò appena gli occhi dalla scodella. Il suo volto segnato dalla malattia e la stanchezza aveva forma rotonda; i lineamenti erano marcati ma non brutti, le sopracciglia folte, i capelli neri e arruffati; la pelle era sì scurita dal sole, ma bruna di natura. Gettò un’occhiata di sbieco alla ciotola d’acqua. “Non avresti qualcosa di più forte?” chiese.
“Mi hai preso per un taverniere? Non ho intenzione alcuna di sprecare la mia scorta per darla a te.”
“Peuh, che pessima pronuncia!”
Quello spirito irritò non poco il marinaio. “Hai ripreso le forze, vedo” commentò scorbutico, passando allo spagnolo che conosceva meglio. “E non vedo perché dovrei parlar bene una lingua che non è la mia. Sono inglese.”
“Un miscredente. Andiamo bene” commentò l’altro nella medesima lingua.
Hugh trattenne a stento un manrovescio. “Tra i Fratelli della Costa non si è mai fatta una questione di religione” rispose secco. “Quindi non fare il cattolico perbenista con me.”
“Io non sono come te. E dico quello che mi pare” replicò il francese asciugandosi la bocca col dorso della mano; l’acqua che aveva bevuto aveva un pessimo retrogusto, ma la sete andava quietata. Il marinaio lo guardò male: lo preferiva muto, mentre ora pareva molto disposto a parlare. Doveva essere un chiacchierone di natura a giudicare dal tono disinvolto.
“Strano. A me sembrava che i tuoi carcerieri ti dessero dello sporco filibustiere.”
“Non lo sono” ribatté risoluto l’uomo più giovane.
“Allora sarei ben felice di udire qualcosa della tua storia. Corsaro o meno, ragazzo, ti ho salvato la pelle uccidendo quei tre spagnoli; mi devi qualcosa, e visto che sei così propenso alle chiacchiere, illuminami; ho ben poco da fare in questi giorni.” Detto questo Hugh si sedette su un’altra stuoia, di fronte al suo ospite, che non si ribellò né tentò di scostarsi; pareva che la presenza del marinaio inglese non gli desse più fastidio di quella degli scarafaggi che zampettavano pigramente sulle pareti, croce e flagello di tutte le abitazioni, lì a Cayona, anche quelle dei ricchi.
“Alcuni giorni prima dell’arrivo della tua nave, il veliero ove ero imbarcato fu attaccato dagli spagnoli.”
“A bordo del Campeador?”
Oui.
“Posso sapere come si chiamava il tuo legno?”
“Il Baptista.”
“Diavolo!” esclamò Hugh battendosi il palmo sulla fronte. “Uno dei velieri più veloci e letali della Tortue! Il suo capitano non aveva paura nemmeno di Belzebù in persona!” Si carezzò la barba incolta con fare pensoso. “Mi hai mentito, ragazzo: dicevi di non essere un filibustiere quando invece servivi agli ordini di un temuto corsaro come Francis Plein; e scommetto che, piuttosto che essere stato lui a subire l’attacco, fu il suo Baptista a lanciarsi per primo contro il Campeador.”
Il francese annuì. “Ma fece male i suoi conti. Un brigantino già reduce da un combattimento contro un galeone formidabilmente armato.”
“Noi non abbiamo mai tenuto conto del numero dei nemici.”
“Nessuno mette in dubbio la vostra pazzia.” Hugh fissò dubbioso il suo interlocutore: era un filibustiere, eppure continuava a parlare come se non si sentisse tale. “Qual era il tuo ruolo sul Baptista?” domandò.
“Gabbiere.”
“Da quanto tempo lo eri?”
“Un anno, mio malgrado.” Il nostromo cominciò finalmente a capirci qualcosa in quella dannata storia. “Arruolato a forza, scommetto” commentò mentre caricava la pipa appena cacciata di tasca.
“Difatti. Si usa così da queste parti.”
“I veterani, nonché i marinai qualificati, sono rari e ricercati. Bisogna pure rimpinguare le nostre forze; i luterani e gli ugonotti in fuga dall’Europa non sempre sono sufficienti.” Hugh quasi si aspettava un commento disgustato, ma con sua sorpresa vide le labbra del francese schiudersi in un ghigno. “Marinaio qualificato, mh?” fece con gli occhi che ridevano; era tornato alla sua lingua natale, lo spagnolo gli era conosciuto ma aveva qualche difficoltà a parlarlo.
“Dubito che si sarebbero interessati in qualche modo a te, altrimenti.”
“E se ti dicessi che ero un semplice civile?”
Poco mancò che il nostromo si soffocò col fumo che avrebbe dovuto cacciar fuori. Tossì con forza, gli occhi che lacrimavano. “Avresti messo nel sacco un capitano del calibro di Francis Plein?” esclamò quando ebbe ripreso fiato. “Avrebbe dovuto accorgersi subito dell’inganno!”
“In realtà ho nozioni di marina, nonché una certa esperienza nel campo. Avevo un amico marinaio che mi aveva insegnati molti trucchi del mestiere; d’altronde Plein non aveva bisogno di un gabbiere consumato, quanto piuttosto una buona vedetta; la sua si era schiantata sulla tolda durante un abbordaggio.”
“Ancora non capisco. Perché ti saresti arruolato, allora?” domandò Hugh, dubbioso. Al contrario dell’interlocutore parlava spagnolo, che gli era più familiare, ma capendo perfettamente il francese poteva discorrere con l’altro senza problemi.
“Adagio, signor protestante. Parlare stanca, e ho la gola secca.”
Il nostromo inglese mostrò un’evidente irritazione per quelle parole, ma la curiosità prevalse sul dispetto e riempì d’acqua la ciotola del suo ospite; lo vide muoversi ancora con una certa fatica, le ferite non si erano del tutto rimarginate e la febbre minacciava di sopraggiungere da un istante all’altro.
“Dunque?” lo incalzò, impaziente. “Non sei stato arruolato a forza, hai scelto da te il tuo destino.”
“Credi tu che abbia accettato con piacere di mettermi al servizio di uomini quali siete voi?” replicò il francese con un certo astio. “L’ho fatto per salvarmi la pelle! Quel Plein era furioso per la resistenza dimostrata dalla mia nave e avrebbe ucciso tutti quegli che gli erano d’impaccio; quando chiese di un gabbiere con buoni occhi, alzai la mano. I marinai della mia nave non intervennero per smentirmi; ebbero pietà di me, essendo tutti miei connazionali.”
“Satanasso!” esclamò Hugh, incredulo “Francis Plein aveva abbordato una nave francese?”
“Credevi che fossi su un legno spagnolo, per caso?”
“Ma perché un Fratello della Costa avrebbe dovuto attaccare una nave montata da alleati?”
“Per avidità e necessità, soprattutto. Il Baptista era sguarnito di viveri e ricambi di vele; l’arrivo del Le Toreau, la nave ove ero imbarcato, dovette sembrargli molto propizio.”
“Non è possibile” borbottò il nostromo inglese tirandosi la barba. “Una simile notizia non è mai giunta qui a Cayona, e parliamo di un avvenimento di un anno fa! Avrebbero dovuto esserci delle ripercussioni più o meno gravi. A meno che il Le Toreau non fosse una nave di infima importanza.”
“Per quello che potei capire era montata da disertori. Lo era anche il comandante.”
“Ah! Molte cose si spiegano, dunque.” Hugh si accomodò meglio sulla propria stuoia, tirando l’ennesima boccata. “E che ci facevi tu su una nave piena di disertori?” domandò senza nascondere la curiosità. L’uomo più giovane sembrò aver perso la voglia di parlare, giacché abbassò gli occhi di scatto.
“Allora? Credevo che quella tua lingua ti si fosse sciolta abbastanza.”
“Perché dovrei raccontare i fatti miei a te?”
“Forse perché ti ho salvato la pellaccia che tanto ti preme, a tal punto che ti sei unito a uomini che disprezzi pur di metterla al sicuro” rispose pronto il nostromo, mostrandosi d’un tratto seccato. “Continua, o dovrò cavarti le parole di bocca con qualche altro metodo.”
“Mi minacci, adesso?” scattò il francese che non pareva affatto intimorito.
“Attento, ragazzo. Potrei farti più male di quanto credi.”
“Come? Riservandomi quel trattamento che i pari tuo hanno verso i mozzi?” Era risaputo come i mozzi dei legni corsari, soprattutto i più giovani e piacenti, fossero oggetto di continue attenzioni da parte degli uomini dell’equipaggio: la necessità di sfogare la propria libidine, nonché la mancanza talvolta di schiave negre a bordo, erano i motivi principali delle molestie a danno dei marinai di più basso grado.
Hugh si limitò ad alzare le spalle. “Ho altri gusti, io, e non sei abbastanza bello da tentarmi.”
“Porco!”
Quell’insolente stava tirando troppo la corda, e il nostromo non era noto per la sua pazienza. Si affrettò a rovesciarlo, colpendolo fino a quando non lo vide a terra boccheggiante e coi brividi che gli scuotevano il corpo. “Non fai più il gradasso; la cosa mi fa piacere” commentò massaggiandosi le nocche arrossate. Il francese, ansimante per i colpi ricevuti ma senza danni permanenti, tentò invano di alzarsi facendo leva sulle braccia; ricadde sulla stuoia, stremato.
“Apri quei tuoi orecchi duri, ragazzo. Se sei ancora vivo e con tutte le membra a posto è perché la tua storia mi interessa parecchio; ma non occorrerà molto affinché la mia curiosità sfumi. Ti conviene tenerla alta quanto più puoi, perché non appena cesserai di essermi utile non esiterò a sbarazzarmi della tua scomoda presenza.”
Il ferito non lo udì, o non prestò la minima attenzione a quelle parole.
“Molto bene.” Hugh trascinò la stuoia con sopra l’uomo sul retro, poi la lasciò andare. “Non voglio che casa mia sia lordata più del dovuto” decretò spiccio. Il francese, con la faccia a ridosso di una pozza di fanghiglia, non ribatté.
Ma per la prima volta a farsi spazio sul suo volto non fu il disgusto o la rabbia, bensì la paura. Hugh, con sommo piacere, gliela lesse negli occhi, castani e spalancati, fissi sulla lama che lui stesso stringeva. “Temi che ti sgozzi come un maiale?” rise, giocherellando con l’arma tra le mani. “L’idea mi alletta parecchio.” Quasi si rammaricò di non avere un pubblico cui far godere lo spettacolo: le risa sguaiate dei camerati sarebbero state un eccellente sottofondo.
Il ferito, per suo conto, tentò di strisciare fuori dalla portata dell’altro, scatenando l’ilarità del suo aguzzino. “Non puoi scappare, ma sguazza nel fango quanto vuoi; mi diverti” disse Hugh avanzando lento verso di lui.
Ma le risate gli morirono in gola quando lo vide cacciarsi una mano nei calzoni, sfilandovi da un risvolto qualcosa che il nostromo non aveva trovato durante la perquisizione: uno stilo di metallo, appuntito come una freccia, lungo quanto il palmo di un uomo. Una mano robusta non si sarebbe imbarazzata a conficcarlo in un punto vitale nel nemico.
Hugh non sapeva se ridere o preoccuparsi, vedendolo tentare di alzarsi a dispetto del fango scivoloso, sempre con in mano quella bizzarra arma. No, non poteva più ridere: quel francese era un piantagrane ma non un vigliacco. Alla curiosità che già provava nei suoi confronti si unì una sottile forma di rispetto.
“Stai giù, ragazzo. Barcolli come un ubriaco” replicò senza però riporre il proprio coltello. Azzardò un passo, ottenendo dall’altro un brusco scarto. Che gli fu fatale, giacché contribuì a fargli perdere l’equilibrio una volta per tutte; il nostromo lo vide cadere a faccia in giù, con la nuca a un soffio da una pietra sulla strada.
“È morto?” si chiese dubbioso, non vedendolo più muoversi. “Non mi pare abbia battuto il capo troppo forte.” Gli si avvicinò con cautela per evitare di esser sorpreso: quel cocciuto aveva già dimostrato una notevole furbizia, facendola in barba a un capitano della filibusta e anche a lui stesso nascondendogli una potenziale arma. Se la mise in tasca, per poi chinarsi, recuperare il ferito e trascinarlo di nuovo dentro, chiedendosi al tempo stesso perché diavolo lo stesse facendo.
E appuntandosi mentalmente di buttar giù dal letto il chirurgo.

 

*

 

Roques, vestito interamente di nero e con un ampio colletto di pizzo a circondargli il collo, si ripulì le mani in una bacinella. “Gli umori di questo giovane stanno tornando in equilibrio” garantì.
“Vorrei vedere, dopo il sangue che gli avete sottratto. Mi chiedo come non vi sia morto tra le braccia” borbottò Hugh.
“Vedo che il paziente vi preme parecchio.”
“Pensavo di venderlo al mercato, una volta guarito” mentì il nostromo. Lui solo sapeva che quell’uomo era un Fratello della Costa: la maggior parte del suo equipaggio credeva fosse uno spagnolo sottoposto a fustigazione, pena comunissima tra gli equipaggi della corona, anche per futili motivi.
Gli schiavi parte di un bottino erano concessi a chi aveva subito mutilazioni gravi, come la perdita di un braccio o di un occhio; ma il capitano conquistatore del Campeador non aveva fatto storie, dato che si trattava di un prigioniero in fin di vita e senza valore alcuno. Nemmeno il resto dell’equipaggio aveva protestato.
Fissando il francese scosso dalla febbre, quantunque meno violenta di quella del giorno prima, Hugh si chiese perché avesse taciuto coi propri camerati circa la sua vera identità. Nei quattro giorni successivi all’abbordaggio del Campeador, e precedenti all’arrivo a Cayona, lo aveva tenuto chiuso nella sua cabina - essendo un nostromo aveva diritto a un buco tutto per sé -, giustificando il fatto al comandante dicendo che forse il prigioniero aveva informazioni utili circa le rotte di altri galeoni. Forse era stata ancora una volta la curiosità a spingerlo; curiosità circa la presenza di un filibustiere su una nave spagnola, sottoposto a una pena strana per un uomo di tale condizione.
Anche perché, quando erano giunti sul Campeador, a nessun corsaro erano sfuggiti i corpi dei cinque fratelli che penzolavano dai pennoni. Perché solo il francese era stato risparmiato dall’appiccagione che sembrava essergli destinata?
Hugh fu strappato dai suoi pensieri da una domanda stranita del chirurgo. “Un bianco al mercato? Privo di valore e incapace di generare un riscatto? Non ci ricavereste nulla.”
“Ammetto di non aver voglia di sporcarmi le mani col suo sangue.”
“Potreste cederlo ai vostri camerati. Sarebbero ben contenti di mettere fine alla vita di chi ha contribuito alla morte di cinque Fratelli della Costa.” Gli occhi di Roques brillarono. “Oppure darlo a me; ne ho bisogno per i miei studi. Posso pagarvelo.”
“Risparmiate le vostre piastre, dottore. Ha resistito finora e ha una fibra robusta. Credo sopravvivrà.”
“A meno che non intervenga qualcuno a facilitargli il trapasso.” Il bisturi di Roques sembrò brillare sinistro alla luce del lume che rischiarava l’ambiente. Hugh ammirava la perizia del chirurgo, nonché la sua abilità a recidere arti con polso fermo, ma non aveva mai avuto la sua simpatia. “Vi ringrazio per la disponibilità, dottore. Ora, se non vi dispiace…” disse, risoluto a toglierselo dai piedi.
“Mi congedate di già? Credevo fossimo amici.”
“Amici è una parola che non uso con tutti, signore. Diciamo che siamo buoni conoscenti.” Roques alzò le spalle e si infilò il mantello. “Il capitano ha bisogno di riaversi dalle sue ferite; non credo che riprenderemo il mare prima di un mese ” disse. Poi salutò, non prima di aver gettato un’ultima occhiata al ferito che giaceva sulla stuoia; Hugh cacciò un sospiro, una volta solo col suo ospite. “Mi devi un favore, ragazzo” mormorò girandoci attorno. E trasalendo, quando vide la sua destra muoversi e afferrarlo per un polso. “Diavolo!” esclamò, preso alla sprovvista. L’altro si girò appena, senza aprire gli occhi. “Uccidimi pure, ma fammi sparire” mormorò.
Il nostromo lo fissò senza capire.
“Non voglio finire nelle mani di quel pazzo…”
“Toh! Eri sveglio allora! Il furbo!”
“Si fa quel che si può.”
“E io che credevo che fossi in preda a uno dei tuoi deliri. Sei in gamba, ragazzo.” Non avendo nulla da fare Hugh si sedette nei pressi del ferito: era oltremodo curioso di sapere altro circa la sua storia. Il francese si decise finalmente ad aprire gli occhi lucidi di febbre, non abbastanza alta da impedirgli di essere cosciente di ciò che aveva intorno.
“Cosa vuoi da me?” domandò finalmente; era stanco di quelle attenzioni non richieste.
“Te l’ho detto, figliolo. Mi incuriosisci.”
“Cosa sono, il tuo riparo dalla noia? Pregherò dunque che tu vada per mare al più presto. E che finisca in bocca a qualche squalo, magari.”
Hugh borbottò irritato. “Vedo che sei avvezzo a lavorare di lingua” commentò.
“E tu di pressione. Mi starai indosso fino a che non avrò vuotato il sacco?”
“Non mi ero ingannato. Hai una testa ammirevole.”
“Grazie.”
“Dunque? Ti decidi a parlare?”
“Uh, che furia! Cosa vuoi sapere?”
“Perché eri nella stiva a farti frustare, per esempio, piuttosto che a far compagnia ai tuoi camerati sui pennoni.” Il francese scosse il capo, tremando appena sulla stuoia. “Un caso. Gli spagnoli cercavano qualcuno con cui prendersela, e la scelta è ricaduta su di me. Sapevano che la fustigazione è considerata dai filibustieri un castigo penoso; volevano umiliarmi, prima di accopparmi.”
“Sei di certo nato sotto una buona stella, ragazzo. Sfuggito al combattimento, alle spade e alle cannonate nemiche, e per finire al laccio.”
“Vuoi che ti ringrazi?”
“Non sprecar parole, non sono più avvezzo alle cortesie.” Stettero entrambi in silenzio per qualche minuto, silenzio interrotto solo dal sibilare del vento che quella sera soffiava forte sulle case di Cayona. Hugh ne approfittò per riflettere sulle parole che aveva appena udito, come se volesse meglio assorbirle; quanto al suo ospite, riprese fiato e bevve ancora dalla sua ciotola.
Fu l’inglese a riprendere. “Basta giochi, ragazzo. Non occorre che menti con me” disse ottenendo uno sguardo perplesso, o falsamente perplesso. “Non capisco” si udì rispondere come previsto.
“Perché gli spagnoli avrebbero dovuto risparmiare proprio te?”
“Te l’ho detto, è stato un caso.”
“Baie. Gli spagnoli non fanno di questi giochetti, ci odiano a sufficienza da giustiziarci sul posto quando capita loro l’occasione. Che cos’hai fatto per
meritarti una simile fortuna?”
“Nulla.”
“Ti ho detto che non voglio menzogne. Quietati, ragazzo, non voglio denunciarti o spiattellare i tuoi segreti a qualche mio camerata; tutto ciò che dirai resterà tra queste pareti.” Il francese non pareva molto tranquillo, ed era ancora riluttante a parlare; era evidente che avesse qualcosa da nascondere.
“Ti aiuto io: hai contribuito in qualche modo alla disfatta del Baptista.”
Ancora silenzio.
“Francis Plein non è mai stato sconfitto, nemmeno da legni molto meglio armati ed equipaggiati del suo. Che cos’hai fatto tu? Fatto saltare qualche barile a bordo, colpito alle spalle alcuni dei tuoi camerati? O magari proprio il tuo stesso comandante, mandando in subbuglio il resto dell’equipaggio?”
“Mi ritieni capace di tanto?”
“Hai meno scrupoli di quanto dai a vedere, ragazzo; la permanenza coi Fratelli della Costa ha smussato la tua morale. Odiavi a tal punto quegli uomini da tradirli?”
Il francese scoppiò a ridere. “Perché no? Mi avevano costretto loro a intraprendere la vita da corsaro, non avevo alcun motivo per considerarli miei alleati. Quanto al capitano, era un bastardo e un porco, valente sì ma talvolta sleale. Prima o poi i suoi stessi marinai gli si sarebbero rivoltati contro.”
“Allora ho indovinato” disse Hugh. “Fosti tu a ucciderlo.”
“Sbagli. Feci di meglio.”
“Ossia?”
“Spezzai i legami di alcuni cannoni.” L’inglese sussultò, sorpreso: semplice e ingegnoso, non v’era dubbio; quei mostri di bronzo, liberi di muoversi a piacere, avevano finito per sfondare le fiancate del Baptista, impedendogli di manovrare; e facendolo colare a picco.
“Riuscisti a scendere sotto coperta senza che alcuno se ne accorgesse?”
“Sì, poco prima che raggiungessimo il Campeador. Gli spagnoli non potevano credere che un legno corsaro prossimo alla vittoria stesse affondando sotto i loro stessi occhi; gran parte dei filibustieri venne passata a fil di spada, escluso un pugno di uomini che il capitano spagnolo volle far appiccare e esporre come trofeo sulla sua nave. Io ero tra essi, e non perdetti l’occasione di rivelare a uno dei graduati ciò che avevo fatto, portando in prova uno dei paranchi dei cannoni. Il premio per questo fu la vita.”
Hugh non poté non ammirare la furbizia di quel giovane, nonché la sua abilità a trarsi d’impaccio anche dalle situazioni più critiche; in qualche modo aveva contribuito alla scomparsa di uno dei capitani corsari più feroci e temuti presso le coste di Hispaniola. “Cos’avrebbero fatto di te gli spagnoli, una volta giunti a destinazione?” domandò, dubbioso sul fatto che un filibustiere, quantunque graziato, potesse essere lasciato andare con facilità.
Lo sguardo che intercettò evidenziava odio puro. “Mi avrebbero costretto a lavorare in una qualche piantagione, come un negro o un indiano. Non potevo permettere a quei figli di cane di trattarmi alla stregua di uno schiavo.”
“E cosa facesti?”
“Quando avvistarono la tua nave, due giorni dopo l’appiccagione dei miei vecchi camerati, tentai la fuga. Stavo per slegare una scialuppa quando tre marinai mi scoprirono e mi trascinarono sottocoperta, risoluti a farmela pagare a suon di frustate.”
“E ti avrebbero accoppato, se non fossi intervenuto” replicò l’inglese, ricordando di come aveva passato a fil di spada i tre spagnoli, rei di aver inflitto la più umiliante delle punizioni a un Fratello della Costa; il francese quasi non si era accorto di ciò che era accaduto, steso com’era a terra con la schiena lucida di sangue che sgorgava dai segni freschi delle frustate.
Il francese si lasciò andare sulla stuoia; aveva la gola secca e il respiro affannoso, ma pareva ancora lucido. “Sono stato sciocco a sufficienza da narrarti della mia storia” mormorò. “Ora…”
“No, non mi hai ancora detto tutto” lo interruppe Hugh. “Vorrei sapere cosa facevi sul Le Toreau, prima di essere arruolato a forza.” Il ferito strinse gli occhi, sussultando. “È proprio necessario?” domandò con voce così fioca da essere a malapena udito.
L’inglese decise all’istante che no, non lo era, e scosse il capo: i motivi che avevano spinto quell’uomo a lasciare la sua patria non lo riguardavano. Poteva essere un assassino, un disertore o un semplice desideroso di avventure, la cosa non lo toccava.
“Che ne farai di me?” si udì chiedere.
“Cosa?” domandò a sua volta Hugh, preso alla sprovvista.
“Non dirmi che mi hai preso in casa tua per curiosità o pietà. Non ti crederei.”
“No, infatti. Sei furbo e robusto, nonché abbastanza coraggioso. Sotto un buon capitano saresti un ottimo marinaio.”
“Diavolo!” scattò il francese. “Dovrei arruolarmi sotto un altro di voi?”
“Hai altra scelta, forse? Ho motivo di credere che non sarebbe saggio per te tornare a casa.” Hugh vide gli occhi dell’interlocutore appannarsi d’un tratto. “Hai imparato a odiare gli spagnoli e sei un Fratello della Costa come me, che tu lo voglia o no.”
“Di’ pure che non mi lasceresti scappare, canaglia.”
“Anche questo” ammise l’inglese con un mezzo sorriso. “Hai buoni occhi, n’è vero?”
“Erano i migliori, sul Baptista.”
“Ottimo. Confidenza con le armi?”
“So bucare il petto d’un uomo con una palla, se necessario, ma mi è quasi del tutto ignota la scherma.”
“Rimedieremo.” Il francese lo guardò di sbieco. “Hai già deciso che accetterò?” domandò.
“L’ho detto, non hai scelta. E hai bisogno di me.”
“Dovrei fidarmi?”
“Devi, sì, visto che sono l’unico che in qualche modo può offrirti sostegno. Sia chiaro, ragazzo, prova a giocarmi qualche brutto tiro e potrebbero, mio malgrado, sfuggirmi delle parole circa le tue… precedenti prodezze.” L’altro non parve molto impensierito dalla minaccia; sembrava che i suoi occhi scuri, ormai stanchi e prossimi a chiudersi, ridessero.

 

*

 

Dieci anni dopo

“Avete udito della prodezza di quei signori? Sono nuovi, perbacco, ma si fanno valere!”
“Ieri i loro velieri appena ancorati pesavano come lamantini. Per essere il loro primo viaggio il bottino non è stato affatto male!”
“I marinai sotto di loro sembrano soddisfatti. Potremo provarvi anche noi, che ne dite, fratelli?”
“Io ci sto!”
“Anch’io!”
“Ohe, Hugh!” chiamò uno degli avventori della taverna, alzando il boccale verso un tavolo al quale erano seduti due soli uomini, intenti a consumare dell’Alicante. “Tu sei pilota su uno di quei legni! Perché non ci dici qualcosa?” Fu il più attempato dei due ad alzare il capo: mostrava una cinquantina d’anni o poco più, a giudicare dai capelli e della barba brizzolati. E non sembrava felice d’esser stato interpellato.
“Allora?” lo incalzò un altro. “Che ne pensi del tuo comandante?”
“Che sa il fatto suo, a dispetto dell’età” si decise finalmente a rispondere Hugh, quantunque seccato.
“È molto giovane?”
“Ha circa la metà dei miei anni, ma non è meno valoroso dei veterani. Io e i miei camerati abbiamo imparato a rispettarlo, quantunque non abbia una grande esperienza, in fatto di mare; ma chi l’ha tra i capitani?” Era vero: i veri depositari dell’arte della marina erano i nostromi, in genere i più anziani della ciurma. Quello della nave di Hugh era ormai prossimo ai sessant’anni, ma aveva perduta una gamba nell’ultimo combattimento ed era stato sostituito; allo stesso inglese era stato proposto di prenderne il posto, essendo già stato nostromo in precedenza, ma aveva rifiutato: preferiva di gran lunga restare alla barra del timone.
Un altro dei nuovi capitani, invece, talvolta guidava personalmente la sua nave, e l’aveva fatto anche durante una tempesta: i marinai sotto di lui, a vederlo stringere il timone affrontando senza timore alcuno le onde gigantesche, ne erano rimasti molto colpiti. Hugh ne aveva sentito parlare da un amico, che serviva come cannoniere su quel legno e non era tipo da raccontar frottole.
Certo le schiere dei Fratelli della Costa ci avevano guadagnato e non poco, con questi nuovi personaggi.
“Andiamo” disse l’inglese al compagno, lasciando sul tavolo i soldi della consumazione; le chiacchiere principiavano a irritarlo, e al porto potevano aver bisogno di lui.

 

“Perché non passi sulla mia nave?” domandò Hugh all’uomo che lo seguiva dappresso. Era diverso da lui nell’aspetto come nel carattere: decisamente più giovane, alto e slanciato, pareva che la vita da corsaro non avesse intaccato affatto i suoi modi da galantuomo che avevano un che di elegante e naturale.
Il compagno sorrise, lisciandosi i baffetti. “Non prendertela, ma sto bene dove sono. E sai che i nostri capitani solcano il mare insieme, avremo più
d’un occasione per scambiare qualche parola.”
“Credevo non ti stesse così a genio il comandante.”
“Oh, no. È solo molto giovane e un po’ inesperto ma, come il tuo, ha imparato a farsi rispettare; e poi è un gran signore. Era un nobile, al suo paese.”
“Come te.”
“No, mio buon amico, non posso vantare alcun titolo, al contrario di lui. Che importa, poi, che io sia conte, marchese o duca, o nessuno di essi? A Cayona e in tutta l’isola non è un titolo a fare la differenza, ma il comportamento in battaglia.”
Hugh annuì, allungando il passo: conosceva il suo amico da cinque anni, ormai, da quando avevano combattuto insieme sotto l’Olonese, uno dei più temuti corsari del momento. Spinti da curiosità più che da altro erano entrati a far parte delle ciurme di due dei tre nuovi capitani giunti pochi mesi prima al porto di Cayona, pronti a mettersi al servizio dei Fratelli della Costa. Al momento né Hugh né l’amico erano rimasti insoddisfatti.
Al porto vi erano parecchie navi allineate le une alle altre, e sulla coperta di alcune erano ben visibili dei marinai occupati in varie faccende: ripulire i cannoni, trasportare barili di polvere, sistemare le vele sugli alberi. Invece il legno ove serviva Hugh era praticamente deserto, se si escludeva un marinaio appollaiato sul bompresso e intento a fumare placidamente.
“Eccolo là. Strano” borbottò l’inglese riconoscendolo. “Credevo fosse a terra a scolarsi un paio di bottiglie.”
“Pensi sempre così male di lui?” domandò l’amico con un sorriso.
“Non ho detto che bere sia un male. Semplicemente credo si trovi molto più a suo agio in taverna che su una nave.”
“Eppure so che è un buon marinaio, dalla vista lunga e le braccia robuste.”
“Lo credo bene, visto che ho perduto dieci anni della mia esistenza a cercare di insegnargli qualcosa.”
Una voce lo interruppe dall’alto. “Ohe!” esclamò il marinaio seduto fino a poco prima sul bompresso; sorrideva. “Brontoli come al tuo solito, vecchio mio?” A sentirsi apostrofare in quel modo Hugh imprecò sonoramente.
“Che ti venga un colpo, disgraziato! Sempre a burlarti di me! Avrei dovuto farti marcire, quando ti ho trovato mezzo accoppato!” gridò poi. “E dire che eri riluttante a parlare con me, una volta. Adesso non stai zitto un attimo.”
“La cosa ti dispiace?”
“Molto.”
“A me per nulla. E non gridar troppo, o il capitano si guasterebbe la buona opinione che ha di te.”
“Ma sentitelo!” fece Hugh scuotendo la testa; l’amico accanto a lui si limitò a sorridere. “Se puoi camminare sulla tolda di questa goletta, caro mio, è grazie a me che ho messo una buona parola per te col comandante.”
“Uh! È vero! Non ti ho ancora ringraziato a dovere!” Quelle parole cariche di ironia fecero andare ancora più in bestia il marinaio inglese, che minacciava col pugno quello che per tutti era il suo protetto. Si bloccò solo quando una voce, proveniente dalla medesima nave, si rivolse a lui.
“Timoniere! Nulla in contrario che tu discorra con un marinaio, ma sarebbe preferibile che salissi sulla tolda anziché gridare da laggiù. Già non sei una cornacchia, o sbaglio?”
L’interpellato arrossì, imbarazzato, segnandosi mentalmente di accorciare, e non di poco, la lingua di quel disgraziato di francese, quando gli si fosse presentata l’occasione propizia.

 

Il capitano della goletta poteva avere sui ventott’anni. Alto, dai modi signorili degni di un gentiluomo della sua classe sociale, capelli castani e occhi azzurri, la pelle appena abbronzata. Lasciò che Hugh gli rivolgesse il saluto militare, poi avanzò fino al marinaio che era tornato ad abbracciare il bompresso, il sigaro stretto tra le labbra. “Vedo che hai una particolare predilezione per la mia polena” commentò.
“Eh, capitano! Se fosse una donna in carne e ossa non esiterei un secondo a sposarla!”
“Non è certo la bellezza la principale virtù di una signora.”
“Ma l’occhio vuole la sua parte, comandante.” Quest’ultimo annuì con un sorriso, ma non occorse molto per farlo tornar serio: sul ponte di comando
della nave ancorata presso la sua, un uomo che conosceva bene lo fissava intensamente, come a volergli ricordare la conversazione che avevano avuto solo un’ora prima.
“Si parte tra quattro giorni esatti, signori” esordì. Hugh tirò un sospiro di sollievo, non ne poteva più di restare a terra. “Soli, comandante?” domandò.
“No, le navi dei miei fratelli saranno con noi. La faccenda che più mi preme è da risolversi insieme a loro, lo sai bene.”
“Ancora lui?”
“Lui, mio bravo” confermò il comandante. “Mio fratello maggiore mi ha appena comunicato ciò che ha saputo da alcuni nostri informatori: il governatore di Maracaibo lascerà la sua città per recarsi in un piccolo borgo del Venezuela.”
“Quale, capitano?” domandò il francese, che aveva lasciato cadere il mozzicone di sigaro in mare e non si era perso una sola parola della conversazione.
“Nueva Esperanza. Lo conosci tu?”
“Mai sentito nominare, capitano.”
“Lo credo. È un paese di ben pochi abitanti, abbandonato dagli spagnoli molti anni orsono e ripopolato da coloni di altra nazionalità; è in una situazione delicata, tanto da non essere neppur dotato di una guarnigione.”
“Sarà uno scherzo allora, per noi, invadere la piazza.”
“Non ci recheremo lì per saccheggiare la borgata” replicò il comandante; Hugh sospirò appena, senza far trasparire la delusione che provava. “Guadagneremmo ben poco, d’altronde. Il nostro compito sarà quello di stanare il governatore, impedendogli di fuggire a Gibraltar o a Maracaibo. E se Dio ci assiste, finalmente io e i miei fratelli avremo la nostra vendetta.” L’ultima frase fu appena sussurrata, tanto che nessuno dei due marinai riuscì ad afferrarne le parole. Sebbene potessero facilmente intuirle.
Il capitano si riscosse, fissando i suoi sottoposti. “Andate in città e radunate il resto dell’equipaggio” ordinò. “Prima del tramonto debbono esser qui; voglio discutere i particolari della spedizione con tutti loro.” Fu prontamente obbedito.

 

Non fu difficile per Hugh e il suo pupillo ritrovare alla svelta i propri camerati: entrambi conoscevano bene i nomi delle taverne che abitualmente frequentavano. Da una di esse videro uscire il maestro d’ascia e un artigliere della loro goletta, il primo barcollante e sostenuto dall’altro. “Toh! Chi si vede!” biascicò, smettendo per un attimo di tenersi al compagno. “La chioccia e il suo pulcino!”
Hugh si sentì ribollire dentro tutto il sangue che aveva, ma il francese la prese con più disinvoltura. “Sappi che non sono un pulcino che pigola, Groupier, ma becca; dritto negli occhi dei seccatori” replicò. L’artigliere, alto e magro come un chiodo, coi capelli unti che gli ricadevano sugli occhi, preferì andare al sodo. “Che vuoi?” chiese.
“Il capitano vuole tutto l’equipaggio in coperta prima del tramonto. Ha cose importanti da dirci.”
“Sta bene, vi andremo.”
“Ti conviene dare una sistemata al tuo compare, Sorel” replicò Hugh, secco. “Al capitano non vanno a genio gli ubriachi al suo cospetto.”
“Ti preoccupi per noi?”
“No di certo, ma si salpa tra pochi giorni e non vi è il tempo di cercare un nuovo maestro d’ascia. Sbrigatevi” ordinò l’inglese; gli occhi di Sorel scintillarono malevoli, ma l’artigliere si affrettò a trascinarsi dietro il compagno. Ci avrebbe pensato lui, con le buone o le cattive, a fargli passare la sbronza.

 

Nell’attesa che la tolda della Goletta Rossa fosse affollata dall’intero equipaggio, Hugh e il suo compagno si appollaiarono su un pennone fumando le rispettive pipe. L’inglese pareva riflettere con cura su qualcosa, il suo pupillo lo capiva dalla frequenza di sbuffi di fumo che gli uscivano dalla bocca. “Che hai?” biascicò per via del cannello di legno che aveva tra le labbra.
“Nulla. Pensavo alle parole di Groupier.”
“Un balordo, costui. Non credevo gli badassi.”
“No, ma pur nei suoi deliri di ubriaco vi è un fondo di verità. In effetti dovrei smettere di farti da… chioccia.”
“Questa, poi!” esclamò il francese con una risata che si perse nel vento di Cayona. “Sei sempre tu a venirmi dietro, io farei volentieri anche a meno della tua protezione.”
“Peuh! Ingrato!” borbottò Hugh, tentando con poco successo di colpir l’altro alla nuca. “Se sei qui…”
“Lo so, vecchio mio, che ti devo la vita, come quello che ho imparato in questi anni. Sono una buona lama, nonché il vogatore migliore del paese.”
“Spaccone!”
“È la verità. Devo solo trovare un compagno alla mia altezza. Tu, ormai, sei troppo vecchio per…” Stavolta il colpo, meglio mirato, lo prese tra capo e collo e lo fece traballare. “Ohe, che ti piglia?” borbottò il francese, massaggiandosi la nuca dopo aver ripreso l’equilibrio. “Vuoi farmi capitombolare sulle teste dei camerati?”
“Allora smetti di fare l’insolente. Se ti ho insegnato a lavorare di spada e di remo, certo devo essermi dimenticato le buone maniere.”
“No, mio caro, non avresti nulla da farmi imparare ancora. Non le conosci nemmeno tu, d’altronde.”
“Mi correggo, bieco impertinente. La cosa con cui lavori meglio è la lingua.”
“Lo so.” Gli occhi scuri del francese brillavano di malizia. “Come lo sanno tutte le signore con cui ho avuto a che fare. E in quel campo hai avuto ben poco da insegnarmi.”
“Ma sentitelo! Non so se compiacermi o vergognarmi” borbottò Hugh con un mezzo sorriso.
“Ti vergognerai ben poco quando mi deciderò a metter su famiglia. Vedrai che bei bambini sarò in grado di fare; e sappi che ne voglio tanti.”
“Prima di sfornare marmocchi linguacciuti come te faresti meglio a trovarti un compare, come il sottoscritto.”
Il francese scoppiò di nuovo a ridere, gettando in aria uno sbuffo di fumo. “A chi ti riferisci? A Le Grand o a quel gran chiacchierone di Mendoza?” domandò.
“La predica non viene proprio dal giusto pulpito; quel basco non parla più di te. Ma sai bene che mi considero affratellato con Etienne. Lo conosco da più tempo ed è una lama eccellente.”
“Dì pure che è l’unico, oltre a me, a sopportare i tuoi borbottii. Oh, e l’unico capace di insegnarti un po’ di educazione.”
“Vuoi che ti faccia schiantare sulla tolda? Offriresti un bellissimo spettacolo a tutta la ciurma.”
“Risparmiamo il sollazzo ai camerati, vecchio inglese. Voglio portare la pelle e le ossa tutte intere in quel buco di paese ove siamo diretti. Spero solo di trovarvi qualche cantina ben fornita.”
“Diavolo! Creperai abbracciato a una botte, ci scommetto!”
“Che bella morte, vecchio mio!”
Un grido da sotto di loro interruppe bruscamente la chiacchierata.
“Ohe, voi due! Guardate come tubano, i colombi! Scendete da soli o devo salire a prendervi per gli orecchi?”
La battuta del luogotenente di bordo, il signor Antoine Lussac, fece scoppiare tutti i marinai in una grassa risata. Il capitano, seppur divertito, si limitò a scuotere la testa.
Hugh ripose la pipa spenta in tasca. “Andiamo, il comandante ci attende” disse, abbracciando il maestro e accingendosi a scivolare giù. “E ricorda quanto ti ho detto.”
“Riguardo alla mia morte?”
“No, testa di legno di un francese, riguardo al compagno da cercarti!”
“Uh, che furia! Hai così fretta di liberarti di me?”
“Non voglio essere l’unico ad avere il privilegio di finir intronato dalle tue chiacchiere.”
“Stendal! Mi offendi!” Pur parlottando i due amici erano scesi; il capitano li attendeva impaziente, stretto nel costume rosso che l’aveva reso famoso alla Tortue, e non solo.
L’inglese scosse il capo. “Ti ho avvertito, Fabien Carmaux” disse poi al suo protetto. “Entro la prossima spedizione conto di trovarti affratellato; che vi sia qualcun altro a tenerti a bada.”

 

 

Note dell’autrice: scrissi questa storia eoni fa come prequel ad una long, in revisione da una vita e che probabilmente non ripubblicherò mai per motivi vari. Questo stesso racconto venne pubblicato su EFP un paio di annetti fa prima di essere cancellato. Ho deciso di postarlo per due motivi: per un essendo un prequel può essere letto in modo indipendente; infine, ragione più importante, “Hombres del mar” è un esperimento, giacché i toni e l’ambientazione usati sono decisamente più crudi e realistici rispetto ai romanzi salgariani. Tuttavia non è inserito l’avvertimento OOC perché a mio parere l’unico canon qui presente, ovvero Carmaux - il Corsaro Rosso è considerato headcanon, giacché nei romanzi compare solo come nome e come cadavere, letteralmente - resta in linea con l’originale salgariano, soprattutto nell’ultima parte del racconto, e non viene snaturato.
Per me, ovviamente. A voi l’ardua sentenza.
Satomi

   
 
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