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Autore: CitazioniLarry    27/09/2013    2 recensioni
"Restiamo amici." Per me, saremmo potuti essere quello che ti pareva, ma la verità, è che noi non eravamo fatti per essere amici, Lucas.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Valerie. 
  “Restiamo amici.” mi dissi quella sera, sfoggiando uno dei tuoi soliti ghigni che io odiavo, ma sottosotto mi sognavo la notte. 
Ti dirò! Per me, saremmo potuti essere quello che ti pareva, ma la verità, è che noi non eravamo fatti per essere amici, Lucas.
“Ti voglio bene, Valerie” quante volte ho dovuto sopportare questa frase. Non c’è cosa più brutta che sentirsi dire ‘ti voglio bene’ dalla persona che si ama. 
A me piacevi, questo lo sai, mi sei sempre piaciuto.
“Lascialo stare quello, è un ragazzaccio di strada, un ribelle, un drogato” mi sentivo dire da chi ti conosceva. Molti mi consigliarono con il cuore in mano di lasciarti stare, di non frequentarti. Io lo sapevo che ti drogavi a causa della tua situazione familiare. Eri messo male. 
Avevi quella brutta fama, già da adolescente, che solo il tuo gruppetto di amici ti stava accanto. Ma io, io non so perché tutte le mattine alle 10, quando iniziava la ricreazione, mi sedevo sul muretto di scuola e ti osservavo. Ti osservavo semplicemente e mi piaceva. Osservavo come amavi mostrare con noncuranza la tua giacchetta nera in pelle e i tuoi stivali neri. Osservavo le tue occhiatine alle ragazze dell’ultimo anno che, eh si, andavano matte per te. Proprio come me. 
Il fatto è che di te si capiva tutto e niente.
Non si capiva perché un giorno portavi i capelli giù, mentre un altro li spalmavi di brillantina perché il tuo ciuffo era decisamente troppo lungo per poter fare educazione fisica. Un giorno te ne stavi con i tuoi tre inseparabili amici, ed un giorno te ne stavi beato a fumare quella sigaretta che portavi sempre sull’orecchio e che ogni tanto toccavi, per assicurare che non ti fosse caduta. 
Loxton era una piccola città, si sapeva, e c’era solo quella biblioteca accanto al municipio, dove passavo le mie giornate a studiare.
Alzasti la testa al suono della maniglia che cigolò e potei ben intravedere il tuo piercing al sopracciglio riflettere al sole.
Ero abituata ad osservarti in silenzio. E forse anche tu te ne eri accorto. 
Mi andai a sedere al mio stesso tavolino, non distante dal piccolo bar interno, posai la borsa e me ne andai alla ricerca di ‘Romeo e Giulietta’. Tu mi seguisti, me ne accorsi, ma non gli detti tanto peso.
“Sai mica dove posso trovare Amleto?” te ne uscisti fuori, toccandoti nervosamente quella dannata cicca in equilibrio sopra l’orecchio. Mi girai al suono della tua voce profonda, che non avevo mai sentito così vicina. 
Ti presi solamente il libro e te lo porsi e poi tu “grazie”, dissi alzando le sopracciglia e tornando a sedere.
Quella fu la prima volta che mi parlasti, poi sparisti per due mesi.
La notte di Halloween il tuo amico Michael dava una festa. Io, per curiosità, ci venni. 
Non ti eri mascherato, sempre con la stessa giacchetta nera, stessi stivaletti, stesso vizio, stessa pettinatura, stessi occhi furbi. 
Non ero tipo da feste, sai anche questo. Uscii fuori a prendere un po’ d’aria e mi appoggiai alla tua moto, inconsapevolmente. 
Tu uscisti, per fumarti una sigaretta e mi vidi. Dovevi essere sbronzo. L’immagine non era delle più soavi, ma ogni tuo movimento mi catturava e mi affascinava sempre di più.
Ti avvicinasti  e io tenni lo sguardo basso. Mi girasti intorno due o tre volte, per poi fermarti davanti a me e buttare la cicca a terra. 
“Mi mancano 5 dollari per fare il pieno, hai qualcosa?” mi chiesi, indicando la moto.
Non so per quanto tempo rimasi lì imbambolata a fissarti a bocca aperta, ma sicuramente molto, dato che ad un certo punto inarcasti le sopracciglia “Sei viva?” sussurrasti con la tua voce profonda. Ti dissi che non avevo nulla con me, era la verità, allora mi salutasti con un cenno del capo, invitandomi a scendere dalla moto. A costo di sembrare ancora più stupida, ignorai quello che mi dissi e, non so con quale coraggio, rimasi li. “Ah, che intendi fare?” mi dissi. Non lo ripetei due volte, e ti raccontai quello che sapevo su di te. Rimasi parecchio sbalordito, ricordo. Però sorrisi e poco dopo “Senti, sono un puttaniere drogato, ragazzina, lasciami stare non voglio assecondare la tua cotta adolescenziale, quanti anni hai? 11 per caso?” Sapevo di sembrare più piccola, così, con un sorriso idiota mormorai “ho 16 anni.” Non alzasti lo sguardo. Presi solo l’ultima sigaretta dal pacchetto di Marlboro rosse, e sfilandone una per accenderla subito dopo dissi: “Non ho problemi a vivere un’avventura con te, non sei la prima, sono anche io minorenne e se scegli di finire con me all’inferno, beh, la cosa non mi tocca.”
Mai così tanto in vita mia, desiderai finirci in quel maledetto inferno. 
Sapevo che dietro quella maschera d’indifferenza poteva celarsi un ragazzo dal cuore d’oro. Non scesi dalla moto, rimasi li a fissarti nonostante si fosse fatto tardi.  Ormai non sapevo quello che stavo facendo, ma quella notte decisi di seguirti. 
In una sola notte vissi tutte le esperienze che solitamente si fanno in qualche anno. Primi baci, prime toccate, primo vero sesso. Pentita? Mai, Luke.
Non so se quella era casa tua, un posto squallido, davvero. Un letto dall’aria troppo usata, l’idea di quella stanza a grandi linee fu quella di un garage. 
Sul fatto che eri esperto di donne, non c’era dubbio. Anche se per te fu solo godimento e nient’altro, io mi sentivo al settimo cielo, non mi rendevo neanche conto del dolore. L’odore di tabacco che era rimasto nei capelli, si mischiava a quello dello shampoo, e mi inebriava. Ero consapevole di non essere l’unica della tua vita, ma per ben 3 anni facemmo l’amore quasi ogni giorno; da vecchi garage a macchine scassate, a buchi puzzolenti. 
Dopo parlavamo a lungo, tu con la tua solita sigaretta, e io con la testa sul tuo petto. Mi donasti molto, Luke, ma anche io feci la mia parte. 
Non so come riuscii a farti cambiare. 
Io diventai un po’ più ribelle, mentre tu un po’ più civile.  
Niente più droga e neanche fumo, insomma, un bravo ragazzo. Trovasti anche un lavoro ad un fast food. 
Non cambiasti molto però. Quando il tuo amico Calum morì di overdose andasti su tutte le furie e uscisti di casa, con solo dei pantaloni addosso e picchiasti a sangue lo spacciatore. Andasti in carcere e dopo 5 anni, non so come ti ricordasti di me e dove vivevo. 
Un giorno venni da me, facemmo l’amore e parlammo. Ti scusasti, anche. 
“Ti voglio bene, Valerie.” Non ero sicura che tu mi amassi. Non in quel modo, capiscimi. 
Mi riconoscevi più come un’amica con cui confidavi tutto, con cui ti sentivi a tuo agio, ma era come se tu avessi bisogno di me.
Mentre io ero sicura di amarti, con tutto il cuore. 
Poi, dopo quei 5 mesi fuori, decisi di entrare nell’esercito.
Mi scrivevi spesso, io amavo sapere che stavi bene, amavo la tua calligrafia e mi piaceva come scherzavi raccontando le tue avventure, non prendendola troppo sul serio. 
Sei sempre stato così, un ragazzo freddo ma infondo al cuore c’era lava. 
Mi ricordo ancora quando mi spedisti un mazzo di rose e non sapevo come fare, nessuno me le aveva mai regalate. 
Poi mi scrissi che ti eri trovato una donna e finalmente avevi messo su famiglia, e avevi finito quell’ultimo mese di battaglie continue.
Quella fu l’ultima lettera che ricevetti. 
Adesso vado a casa tua per badare a Isabelle, tua figlia. Mi da i brividi sapere che non ci sei più qui. Amavi tanto il nome Isabelle, me lo ripetevi sempre. 
Al funerale parlai con Michael e Ashton, dei bravi ragazzi dopo tutto. 
“Ecco che abbiamo perso un’altra stella” disse Ashton. 
Già, vorrei ogni volta poterti ripetere quanto mi manchi e a volte, esco in giardino e mi distendo e guardo le stelle. Quindi parlo al cielo e so che mi senti. Questo mi fa stare bene, mi fa tornare 15enne, come quando ti incontrai, ed ero solo una ragazzina ingenua che amava degli occhi blu cielo. 
   
 
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