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Autore: Sys    27/09/2013    1 recensioni
Il primo gioco si chiama: "Chi ben comincia è a metà dell'opera".
Non mi dice niente di buono.
Altrimenti detto: mettiamo in ordine la stanza.
Te l'ho detto che non c'era da fidarsi.
(Mary Poppins.)
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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THE NANNY.

 

Il primo gioco si chiama: "Chi ben comincia è a metà dell'opera".
Non mi dice niente di buono.
Altrimenti detto: mettiamo in ordine la stanza.
Te l'ho detto che non c'era da fidarsi.

23 Novembre 2013, Londra. 
 
 «June, devi trovarti un lavoro.» affermò sicura la donna che tranquillamente camminava per Central Park, in New York, mentre reggeva ben stretto il telefono così da parlare con la figlia.
  «Lo so, mamma.» replicò la figlia. «Solo, ti prego, dammi almeno un po’ di tempo per ambientarmi. » si lamentò la ragazza dall’altra parte del telefono. «Sono arrivata a Londra meno di una settimana fa, non sono ancora riuscita a trovare un posto fisso dove stare e tu già mi parli di lavoro?» chiese, incredula.
  «June, l’accordo era che tu saresti potuta partire per Londra a patto che io e tuo padre non ti dovessimo aiutare troppo dal punto di vista economico, e, tesoro, ancora non li hanno inventati gli alberi sui quali crescono i soldi!» la canzonò.
  «Inizierò a mandare qualche curriculum qua e là.» dichiarò la giovane mentre studiava attentamente la mappa delle linee metropolitane di Londra. «Contenta, ora?»
  «Oserei dire sollevata, piuttosto.» rispose la donna. «Allora com’è Londra in questo periodo dell’anno?».
  «Mamma, è inverno. Come vuoi che sia Londra? Si gela.».
  «Copriti bene, tesoro.»
  «Ovviamente.» ribatté la ragazza. Non aveva voglia che la telefonata si prolungasse più del dovuto. Ogni volta sentire sua madre era uno strazio, era un tale maniaca del controllo, tutto il contrario della figlia a cui non poche volte era stato affibiato il soprannome di “terremoto”. Era la cosiddetta “pecora nera” in famiglia. I suoi fratelli più grandi erano riusciti a fare successo. Uno aveva seguito le orme del padre diventando così un importante uomo di New York. Stanco della solita aria, decise di trasferirsi. Ora aveva sede stabile a Miami, dove conviveva con la sua frizzantissima e simpaticissima fidanzata Chloe. Il secondogenito invece aveva pensato di aprire un negozio di parrucchieri, giusto per passione. In pochi mesi, anche grazie agli aiuti dei genitori, aveva scalato le classifiche dei parrucchieri newyorkesi ed era tra quelli più famosi della grande mela.
Lei, invece, finito il liceo non sapendo cosa fare aveva preferito viaggiare. Aveva visitato la Cina e l’India, il sud dell’America e poi Parigi. Quindi Londra, Berlino, Madrid e Barcellona, senza dimenticarsi di fare una capatina a Roma e Milano. Tra tutte aveva scelto la capitale inglese come possibile futura dimore e ora come ora si stava avventurando proprio tra le strade tanto trafficate quanto famose di quella grandiosa città.
Non era da molto arrivata in città, e per ora si era occupata solo di andarla a riesplorare. Alla casa, al lavoro, al conto in banca, a qualunque cosa avrebbe pensato più tardi. A quanto pare, però, sua madre non era d’accordo.
Uscì dalla metro ritrovandosi in un fantastico giardino. C’era verde ovunque e gente da ogni parte. C’era anche un gruppo di persone che facevano la lotta coi cuscini. June pensò a come le sarebbe piaciuto partecipare. Se fosse stato un qualunque altro membro della sua famiglia probabilmente l’avrebbe trovato un gesto infantile, probabilmente anche volgare. Per lei, invece, era tutt’altro che da bambini, era un modo per evadere dalla realtà e lei ogni giorno cercava sempre un nuovo modo per farlo. Un giorno era la pittura, se così si potevano chiamare quelle macchie colorate su una tela, un altro era lo sport, un altro ancora la musica. Insomma ogni giorno per June era una nuova esperienza. Forse era una delle uniche persone che non vedeva l’ora di svegliarsi la mattina, e quando lo faceva aveva già il sorriso stampato in faccia. Incredibile. A volte anche lei si chiedeva da sola come facesse.
A destra c’era una banda di musicisti. Si girò a guardarli e rimase quel poco ad ascoltarli. Si avvicinò e lasciò qualche monetina, nel momento stesso in cui si chinò, uno dei giovani alzò il cappello leggermente verso di lei per ringraziarla, non potendo interrompere la canzone per farlo.
Continuò quindi a camminare, e notò molte famigliole sedute su una di quelle tovaglie con la fantasia scozzese tipiche dei film e un sorrise le si dipinse istintivamente in faccia. Ancora non sapeva cosa fare della sua vita ma ciò di cui andava sicura, era il fatto di non aver sbagliato a cercare un po’ di spazio dai suoi genitori. Stava così bene in quel momento.
Continuò la sua camminata e fermandosi ad osservare gli alberi notò anche dei piccoli e dolci scoiattoli che, come ormai molte altre cose, le fecero spuntare il sorriso.
Era felice come non lo era mai stata.
Avrebbe voluto sdraiarsi sull’erba e iniziare a rotolare, e creare angeli inesistenti e bere della cioccolata calda su una di quelle coperte come gli altri.
Ma in quel momento non poteva. Doveva pensare al lavoro, alla casa, a tutte quelle cose noiose di cui suo fratello andava pazzo.
Si strinse nel suo cappotto nero e, dopo essersi sistemata il capello, anch’esso nero, riprese la sua strada. Guardò il cielo e pensò bene di andare in un luogo al chiuso dal momento che i nuvoloni in lontananza non facevano presagire nulla di buono. Tuttavia neppure quella visione le fece cambiare umore. Era felice.
A svegliarla da quei pensieri ci pensò un piccolo folletto blu, o almeno questa fu la prima impressione di June dopo essere caduta al suolo, e aver picchiato la testa. Certo, questo non era proprio quello che si aspettava dalle sue fantasie di poco prima.
Si mise a sedere, con le gambe ancora lunghe sull’erba verde, e si massaggiò la testa, leggermente indolenzita. A pochi centimetri da lei c’era un piccolo ometto, di al massimo sei anni disteso a terra, con un espressione non troppo felice sul volto. La ragazza recuperò il suo capello, quindi si avvicinò al giovanotto.
  «Tutto bene, piccolo?»
  «Mi scusi, signora.» disse lui, timidamente. «Sto ancora imparando ad andare in skate.» spiegò.
  «Sono sicura che migliorerai e che un giorno diventerai un campione di skate.» lo rassicurò lei, mettendosi in piedi. Si chinò verso il bimbo e i loro occhi si incontrarono per un attimo. la giovane non poté fare a meno di pensare a quanto fossero belli e profondi gli occhi del bambino. Nonostante il colore non fosse dei migliori, ma solo un nocciola, neanche troppo azzeccato, quegli occhi avevano qualcosa che aveva attirata June a guardarli. Lui, dal canto suo, non spostò lo sguardo, a quanto pare interessato anch’egli ad ispezionare quello strano color azzurro un po’ più freddo dei soliti che si trovano in giro, camminando per Londra.
  «Se lo dice lei…» rispose il bimbo. June gli porse le mani, fasciate strettamente da guanti, che il bambino prontamente rifiutò, con la scusa che poteva benissimo farcela anche da solo.
  «Io sono June, piccolo. E tu sei?» domandò lei, porgendogli la mano.
  «Alexander.» rispose, ignorando la mano della ragazza per occuparsi di togliere la sporcizia dai suoi pantaloni.
  «Sei qui da solo, piccolo?»
  «Primo: non sono piccolo, ho tre anni e tre quarti. Secondo: io-» inziò il bambino, quando una voce squillante lo interruppe.
  «ALEXANDER JOSEPH PAYNE.» strillò la voce. Quella che prima poteva essere definito la calma in terra ora non lo era più. «Dove ti sei cacciato?!»
  «Abbie, sono qui.» rispose lui, con non troppo entusiasmo. Anzi, l’entusiasmo era praticamente assente.
  «Oh, eccoti!» esclamò lei, a metà tra l’essere sorpresa e sollevata. «Quante volte ti ho detto di non allontanarti troppo quando usciamo!?» chiese, lei, retorica. «Oh, ma quando tuo padre tornerà, non sarò di certo io a sentirle su.»
  «Papà non mi dice mai nulla.» si vantò lui, mostrando poi una boccaccia.
  «E se la situazione cambiasse perché ad una persona a caso scappassero, casualmente, degli episodi poco carini che fanno emergere la tua natura da bambino monello?» lo provocò la donna.
Era bionda, o per lo meno lo era stata, poco meno alta di June. Indossava degli occhiali da sole neri, e una giacca dello stesso colore che andava a coprire la camicetta bianca che vi si trovava al di sotto.
  «Forza signorino, ora dritto a casa.» ordinò lei, mentre con una mano lo indugiava ad avanzare con lei. Vedendo che il bambino opponeva resistenza iniziò a lamentarsi. «Oh, vedrai quando tuo padre tornerà e ti troverà una tata.» esclamò lei, ridendo. «Se ne vedranno delle belle.» continuò.
  «Cercate un tata?» domandò, June che nel frattempo si era chinata a raccogliere lo skate intuendo che fosse quello che il bambino voleva.
  «Sì, signorina.» rispose la donna. «Non vorrei offenderla non ricordandomi di lei, ma ci conosciamo?»
  «Oh, no, signora.» ribatté. «Alexander mi è solo venuto addosso, quindi abbiamo scambiato due chiacchiere e non ho potuto fare a meno di ascoltare le vostre parole.»
  «Cerca un lavoro, signorina…»
  «Sfortunatamente.»
  «Come si chiama?»domandò la donna.
  «June Anne Evans.»
  «Quanti anni ha?»
  «Quasi venti.»
  «Referenze?»
  «Oh, bè, ho fatto la babysitter qualche volta ai figli dei miei vicini quando ero a casa dai miei e-» rispose lei, anche se non ebbe l’opportunità di finire dal momento che la donna la interruppe parlandole sopra.
  «ASSUNTA!»
  «Mi scusi?»
  «Mi ha sentito bene: assunta.» rispose lei, fiera. «Compili il modulo,» disse estraendo dalla borsa un figlio di carta che le porse. «è solo una formalità, sa.» spiegò. «Su quel documento è presente l’indirizzo a cui domani dovrà presentarsi. Porti tutto l’occorrente e farò in modo che la sua stanza sia pronta entrò domani mattina al massimo.» continuò. «Ora mi scusi, ma dobbiamo proprio andare.» e con un cenno della mano la salutò, prendendo il bambino con sé e dirigendosi verso la metropolitana da cui poco prima lei era sbucata.
 
 

Ma quanto non è bella la mia June? (Danielle Campbell.)
 
E' da un po' di tempo che volevo postare questa fan fiction, e ancora pià tempo è passato da quando l'ho scritta.
L'idea mi è venuta guardando un film, era forse fine luglio, inizio agosto. Iniziai a scrivere poi, per svariati problemi, lasciai il tutto in sospeso.
In questo periodo mi è capitata sottocchio la storia, e visto che ci avevo lavorato ho deciso di terminarla e quindi metterla su EFP.
Mi farebbe felice, sempre che voi siate arrivati qua, di sapere cosa ne pensate se vi va.
Sys, ♥.
  
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