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Autore: Chemical Lady    28/09/2013    0 recensioni
Crossover delle tre serie CSI: Las Vegas, Miami e New York.
La stanza era silenziosa, totalmente scura se fatta eccezione per una lamina di luce che sembrava provenire da sotto ad una porta.
Le faceva male la testa, ogni osso del suo corpo come se si fosse improvvisamente presa una brutta influenza.
Era confusa, spaventata, ma non sola.
Sentiva qualcuno muoversi accanto a lei di tanto in tanto e, a quei fruscii, seguiva un mugugno acuto, femminile e sofferente. Non poteva scoprire chi ci fosse lì, con lei, poiché i polsi e le caviglie legati le impedivano di spostarsi, ma quella persona non doveva passasela meglio di lei.
In un certo senso, il pensiero di avere qualcuno accanto la rinfrancò. Almeno non era sola, aveva una speranza di scappare. Solo, come?
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Greg Sanders, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting: Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
 
Buona lettura.





 
 
 
 
 
 
Quindici  anni prima
Contea di Miami Dade, Florida.
Mojito Bar.
Past.
 
 
Miami sa essere molto calda sin dalla placidità di una mattinata di fine maggio.
Questo è il primo pensiero che ebbe Speed, quando scese dal suo Hummer  d’ordinanza, accuratamente parcheggiato in sosta vietata.
Dovevano solo provarci a trainare via uno dei quei mostri, targati polizia scientifica su entrambi i lati.
Controllò l’orario sul suo orologio da polso, pronto già a millemila scuse da rifilare a Delko, col quale avrebbe dovuto far colazione quella mattina. Peccato che del compagno di squadra portoricano non ci fosse nemmeno l’ombra.
Un sbuffò, poi un altro.
Sicuramente aveva fatto tardi la sera precedente, dopo che lo aveva lasciato al Flamingo a rimorchiare quella rossa doveva aver fatto davvero tardi se era così tanto in ritardo.
Tentò di chiamarlo.
Per tre volte rispose la segreteria, irritandolo….
-Qui Erick Delko della polizia scientifica, al momento non posso rispondere…. –
Bla, bla, bla….
Non aveva tempo da perdere in cazzate visto che da lì a un’ora sarebbe dovuto montare di turno, così decise di far colazione da solo, maledicendo Delko in tutte le lingue che conosceva (americano e quello spagnolo striminzito che aveva imparato in polizia).
Il Mojito Caffè, che di notte si animava con tutti i peggiori fenomeni da baraccone di Miami, la mattina sembrava un graziosissimo bar con una bellissima vista sul porto della città. Speed chiese un tavolo all’esterno, valevano sempre la pena quel paio di dollari in più per poter fare colazione con il cadenzato rumore delle onde in sottofondo.
La tazza ricolma di fumante caffè nero non ci mise poi molto ad arrivare, insieme a un paio di biscotti regalati dalla cameriera dal sorriso luminoso, che per farsi buona gli agenti di polizia non si faceva problemi a dispensare dolciumi.
Proprio mentre stava addentando il secondo, gli occhi scuri di Speedle si fermarono su una figura, seduta al tavolino accanto al suo. Da lì non si spostarono più.
Una  bella ragazza, dai lunghi capelli ramati che arrivavano fino alla cintura di una luminosità naturale. Era molto pallida, tanto che il colore della pelle non si scostava poi molto da quello del vestito lungo e bianco, da spiaggia, definito con una cintura di pelle e perline marroncine. Sul capo aveva una cappello piuttosto largo, di paglia, che le nascondeva gran parte del viso.
Speed si chiese di che colore fossero i suoi occhi, anche se li immagino verdi come due smeraldi.
Guardò la mano sottile dalle mani eleganti mescolare il cappuccino con eleganza, prima di condurre il cucchiaino alle labbra e leccare via la schiuma sopra.
Si era concentrato così bene sulle labbra rosee della ragazza che non si accorse che questa, probabilmente disturbata dal tanto fissare, si era voltata verso di lui stranita e ora ricambiava lo sguardo.
Oh, wow, non aveva mai visto degli occhi così blu. Un colore elettrico e vivo, evanescente che però, a pensarci bene gli ricordava qualcosa.
Anzi, qualcuno.
Però non gli sovvenne nessuno in particolare, in quel momento.
Si scambiarono qualche sguardo e poi, come manna dal cielo, la rossa sorrise timidamente, riabbassando gli occhi sul libro che aveva davanti.
Tim lo prese come un segnale.
Abbandonò l’ultimo biscotto, alzandosi insieme alla tazza e avvicinandosi al tavolo della ragazza e chiedendo gentilmente di sedersi con lei. Quando ebbe un cenno di assenso, si sedette alla sua destra prendendo un sorso di caffè.
Aveva passato tutto il venerdì sera a provare a rimorchiare una ragazza sperando così di dimenticare Pam, ma aveva fallito miseramente. Forse era la sua giornata fortunata.
Si permise di guardarle finalmente il viso, ora ben visibile e dalle gote arrossate, constatando che doveva avere si e no diciotto anni.
Quando poi abbassò gli occhi sul libro e ne lesse l’intestazione, capì che anche se sembrava molto giovane, la ragazza doveva andare all’università e averne almeno 20 di anni, per studiare certe cose.
“Sei una studentessa di Criminologia?” domandò gentile.
Lei accarezzò la pagina del libro, prima di sorridere un po’ di più e rispondere “Diciamo di sì…. Spero di fare questo lavoro un giorno.”
La voce di quella ragazza era pura musica. Squillante ma affatto irritante.
“Io sono Tim” Le disse, porgendole la mano e vergognandosi quasi di averle così ruvide quando lei la strinse con la sua morbida e vellutata.
“Io sono Melrose”
Un nome bellissimo, perfetto per lei.
“Sei una turista?” domandò lui, e lei scosse il capo.
“No, sono nata a New York ma vivo a Miami da…. Da sempre. Mio padre si è trasferito qui per lavoro.”
“Io sono nato a Syracuse!” disse sorpreso Speed “Sarà a… Un’oretta e mezzo da New York!”
Lei lo guardò un po’ sorpresa “Il mondo è piccolo e pieno di coincidenze”
“Sai, a proposito di coincidenze” disse Speedle appoggiando un dito sul libro “Io faccio parte della polizia scientifica della Contea di Dade, se ti serve qualche delucidazione”
Quel che accadde dopo stupì moltissimo Speed, lasciandolo stranito.
Melrose perse del tutto il sorriso, sbiancando leggermente. Chiuse il libro con un tonfo e lo ripose in borsa, controllando l’orologio sul cellulare “I-io devo scappare, scusami…”
Comportamento sospetto, forse troppo sospetto…
“Hey, scusa…” Quando Speed notò che la ragazza sembrava parecchio nervosa la costrinse a voltarsi verso di lui prendendole il polso “Si più sapere che ti prende?!”
“Sei nel turno di giorno?” rilanciò lei, deglutendo piano.
Lui annuì lentamente, chiedendosi cosa stesse nascondendo.
Non fece in tempo a chiedere che uno sparo lo fece trasalire “Sotto al tavolo!” le disse mentre schizzava in piedi, estraendo la pistola.
Un altro sparo e poi un altro.
Un uomo a terra a pochi metri da lui.
Afferrò il cellulare, chiamando dalla selezione rapida la Centrale di Polizia “Qui agente Speedle, CSI, c’è appena stata una  sparatoria all’angolo tra Kent Street e Ocean  Drive, richiedo interventi immediati e un’ambulanza, uomo a terra, ripeto, uomo a terra!”
Attese la conferma veloce prima di avanzare con la pistola in mano verso l’uomo.
Un colpo in mezzo agli occhi. Un solo colpo che aveva steso un manzo d’uomo.
Rinfoderò l’arma, voltandosi verso la ragazza che era appena uscita da sotto al tavolo e guardava la scena…. Preoccupata?
Che diavolo nascondeva?!
Una cosa era certa, non poteva lasciarla andare….
 
 
Tim aveva capito che qualcosa non andava quando aveva visto Horatio arrivare a passo di marcia verso di lui, ma non si era fermato a parlargli. Aveva proseguito, fino alla rossa, appoggiandole le mani sulle spalle.
“Melly, come ti senti?” la piega lievemente preoccupata della voce del collega lo mise in allarme, ma nemmeno molto dopotutto.
Solo… Melly?? La conosceva??
“Sì, papà, sto bene…. Quell’agente mi ha protetta…”
Speed scontrò lo sguardo con quello di Horatio e capì dove aveva già visto gli occhi di Melrose. Doveva essere un idiota per non aver notato la somiglianza, sembrava la carta carbone di suo padre.
Horatio lo aveva ringraziato, prima di portare via con se Melly che gli aveva sorriso un’ultima volta con aria colpevole. Non aveva paura di essere scoperta per qualcosa di criminale, quando aveva saputo che Speed era nella polizia scientifica.
Aveva paura che suo padre sapesse che aveva saltato scuola.
Perché andava ancora al liceo.
Ed era la figlia diciassettenne di Caine.
Ottimo.
Aveva abbordato la figlia minorenne di un collega. E non uno a caso, di Horatio Caine.
Molto minorenne, come il capo Donner aveva gentilmente sottolineato milioni di volte mentre facevano i rilievi attorno al cadavere, facendo ridere Delko. Tim rise molto meno, passando allo stadio contemplativo.
Non aveva incontrato solo la figlia del futuro capo, quella mattina, ma molto di più….
Se lo sentiva, anche se non lo sapeva.
 
 
 
July, 10 2013.
Contea di Miami Dade
Ore 20.12 pm.
 




La radio diffondeva una melodia per tutta la casa, arrivando anche sulla veranda esterna dove una donna leggeva rapita un libro di Irvine Wesh.
In realtà fingeva di interessarsi così tanto alla lettura per non pensare ad altro…
Come ogni anno il dieci di luglio, suo padre prendeva Tim e lo portava allo zoo, in mattinata, poi a mangiare qualcosa e infine in ufficio con lui fino a sera. Lo teneva anche a dormire, promettendogli di non dire a sua madre che aveva fatto un po’ troppo tardi per un bambino di dieci anni.
Il motivo era chiaro: in quel particolare giorno, Melrose Caine Speedle necessitava di tempo per se stessa, perché quello era un anniversario importante per lei.
Non era l’anniversario della morte del marito, no, quella aveva tentato di tutti i modi di rimuoverla dalla sua testa….
Era qualcosa che da ricordare era molto più doloroso.
Quel giorno sarebbero dovuti essere dieci anni di matrimonio.
E invece non ne era passato nemmeno uno solo.
Si appoggiò il libro in grembo mentre tentava di trattenere le lacrime, che parevano pronte a cadere a causa di quel pensiero. Per lei era molto peggio ricordare il giorno delle sue nozze rispetto a quello del funerale di Speed, perché un singolo giorno triste aveva spazzato via anche tutti quelli felici, quelli che davvero le mancavano.
Non ci provava, però, ad esorcizzare quel dolore cercando distrazioni. Non voleva smettere di star male, perché fermamente convinta che se avesse smesso di provare dolore allora Speed sarebbe morto per davvero.
Sapeva che non sarebbe mai tornato a casa, che non avrebbe più varcato la soglia dell’ingresso lamentandosi del caldo, del traffico, di come Calleigh gli stava addosso perché stesse attento a come teneva quella maledetta pistola, per l’umidità che gli faceva venir male alla cervicale…
A quando le sorrideva, avvicinandosi rapidamente per lasciarle un bacio a fior di labbra prima di proporre di andare a cena da qualche parte.
Anche se lei sapeva che non l’avrebbe mai più incontrato, in lei verteva sempre quella tenacia tipica dei Caine che, nonostante la consapevolezza, la teneva ancorata al suo passato e a Speed.
Non  solamente perché, ogni volta che guardava il suo bambino, non poteva fare a meno che sorridere malinconicamente pensando a quanto fosse uguale al suo papà, ma anche perché nonostante fossero ormai passati quasi nove  anni, per lei era ancora troppo presto dimenticare. Faticava persino a lasciarsi andare per superarlo, nonostante ci avesse provato diverse volte e avesse accettato un altro uomo nella sua vita.
Le sembrava irrispettoso verso il suo primo, vero, grande amore. Non poteva farci nulla.

Nessuno era d’accordo su questo punto, soprattutto suo padre e Delko.
“Guarda come hai ridotto Ryan” le aveva detto sarcastico Erick, ridacchiando “Quanto avrà messo su? Venti chili da quando gli hai spezzato il cuore?”
Quello era un tasto particolarmente dolente per Melly, ed Erick lo sapeva fin troppo bene. Per questo ci marciava.
Per anni, Melrose e Ryan erano andati avanti a tira e molla continui, uscendo per poi lasciarsi. Prima lui aveva tradito la fiducia della rossa, poi lo aveva fatto lei, poi erano arrivati al punto che non potevano stare insieme per quieto vivere, ma faceva male.
Alla fine, tornavano sempre insieme.
Stavano insieme anche in quel momento e, seppur le cose sembrassero appianate, ogni tanto la paura di un litigio o di una incomprensione li spaventava.
“Wolfe ci sta male sul serio” ritornava sempre all’attacco il cubano, facendola sentire uno schifo da una parte e facendola imbufalire dall’altra “Insomma…. Lui è davvero preso di te, lo sai. Lo è da quando è stato trasferito qui”
“Vuoi dire a quando passava ancora dalla porta?” Madison non poteva rimanere seria, sarebbe esplosa a piangere se no “Qualcuno gli dica che infilare quel culone nei pantaloni bianchi è un’idea pessima!”
Erick rise a sua volta, beccandosi un paio di occhiatacce poco gentili da uno dei tecnici del laboratorio tracce “Si è anche rimesso in forma, per evitare le prese in giro.”
“Nessuno si dimenticherà mai della stazza da piccolo cetaceo che aveva assunto un paio di anni fa. Deve arrendersi a questa verità.”
L’amico l’aveva guardata pronto a ribattere, ma poi aveva dovuto trattenere sulla lingua una battuta facile a causa dell’arrivo del loro oggetto di discussione.
Erick era stato il migliore amico di Speed per anni e anni, fino alla sua morte. Aveva sofferto moltissimo, forse quanto lei, per la dipartita prematura dell’uomo e sapeva perfettamente che Ryan non avrebbe potuto prendere il suo posto nel cuore di Melly. Poteva però scavarsi una nicchia tutta sua.
Infondo,  Delko lo poteva anche ancora sopportare. Quando sproloquiava troppo, soprattutto dopo un paio di Martini, poteva metterla in seria difficoltà, ma poteva sopportarlo.
Il vero problema era suo padre.
Chiunque conosca  Horatio Caine sa che quell’uomo sa esattamente quali corde andare a toccare per smuovere una persona,  per quanto banale potesse essere un discorso lui lo caricava sempre di sentimento e significato.
Facendo davvero male, alle volte, ma quel dolore era spesso utile ad aprire gli occhi.
“Lui non tornerà, Mel, tu ora devi andare avanti. Lo sai  anche tu che se potesse te lo direbbe anche lui. Speed non avrebbe mai voluto vederti passare la vita sola a piangerti addosso per la sua perdita. Poi continuare ad amarlo e ad onorare il suo ricordo anche se accetti qualcuno al tuo fianco. Andare avanti non significa dimenticare, ma farsi una ragione degli accadimenti della vita.”
Una sola volta glielo aveva detto, una sola, ma ogni sguardo che le aveva lanciato dopo voleva sempre ribadire quel concetto. E lei stava male non solo per se stessa, ma anche per coloro che le stavano attorno.
Lo squillo del suo cellulare la riportò alla realtà bruscamente, così si portò una mano agli occhi di asciugarli prima di rispondere con voce sicura “Speedle”
-Come siamo autoritari stasera!- la voce dall’altro capo la fece sbuffare, ma al tempo stesso sorridere appena –Senti Rose, ho ordinato un tavolo per due in un ristorante sulla costa. Essendo un luogo abbastanza costoso e di lusso, ho dovuto supplicare per quel posto, ergo non puoi dirmi di no!-
La donna scosse il capo, incupendosi. Lui era l’unica persona a chiamarla Rose, era qualcosa di unico e speciale che avevano tra loro, non poteva usarlo così come se fosse un’arma di ricatto “No, Ryan. Lo sai che oggi non sono in vena. Quando torni a casa possiamo mangiare una pizza davanti ad un  film ma-”
-…Non ti permetterò di vivere oltre nel passato.- rispose lui, gelandola –Stiamo insieme da troppo tempo e non me la sento di continuare a vederti in questo stato. Voglio fare qualcosa per aiutarti a superare questo tuo blocco. -
“Non sei tu a doverlo fare.”
-Invece sì. È una cosa che dovevi mettere in conto quando mi hai detto di sì quel giorno, sul molo.-
La rossa decise di non arrabbiarsi, con Wolfe era praticamente fiato sprecato. Era così testardo da batterla, la maggior parte del tempo. “Non puoi chiedermi di uscire, Ryan…. Io ho i miei tempi.”
-Hai avuto dieci anni, Rose- quella risposta le fece abbassare gli occhi –Io voglio che tu decida di lasciarti alle spalle questa giornata ora. Perché sei bellissima e dolcissima. E io ti amo.- fece una pausa aspettando obiezioni che non arrivarono –Sono da te tra mezz’ora esatta, mettiti qualcosa di carino. Ok?-
“Ok …. Hai vinto. Ma voglio tornare subito a casa, dopo cena.”
-Affare fatto, a dopo Rose.- non le diede il tempo di rispondere, ma la ragazza aveva percepito la voce di Tripp in sottofondo. Doveva essere ancora in Centrale, magari a smaltire un po’ di scartoffie. Si alzò contro voglia  dal divanetto della veranda, scostando la zanzariera per poter entrare in casa. Mezzora per prepararsi era un po’ poco effettivamente, ma doveva  non avvertire suo padre visto che Tim era già da lui.
Eppure, istintivamente, decise di chiamarlo ugualmente.
Compose sull’Iphone il numero del tenente, camminando verso la camera da letto “Papà ciao. Scusami se ti disturbo ma dovrei chiederti un parere.”
-Non mi disturbi affatto tesoro.-
“Dove siete?” prese tempo la Mel, entrando nella stanza senza guardare la parete sopra al letto ne il comò. Si diresse in bagno.
-Siamo in ufficio a disegnare case e cani. Timmy è decisamente più bravo di me.-
Melrose sorrise intenerita poi sospirando disse “Papà, stasera vado a cena fuori.”
Lo aveva detto con un tono strano, quasi come se in realtà fosse una sedicenne che chiede al padre il permesso di uscire, con una punta di incertezza.
Dall’altra parte silenzio. Era riuscita a zittire Horatio Caine.
Pochi ci riuscivano.
“Papà…?”
-Esci?- chiese con voce meravigliata –Mi prendi in giro?-
“Sul serio…. Beh, Ryan…. Lui mi ha chiesto di cenare insieme, aveva già prenotato così io ho accettato.” Non sembrava per nulla convincente.
Horatio però parve quasi contento della cosa –Il signor Wolfe guadagnerà molti punti con questa mossa…-
La rossa sbuffò “Papà, non dirmi che tieni il punteggio dei miei ragazzi come quando io e Madison andavano al liceo.”
-Affatto, ma credo che il nostro signor Wolfe sia speciale, tesoro-
Non era certa di quello che stava facendo, non credeva fosse giusto. E decise di dirlo al padre “Papà, secondo te sto commettendo un errore?”
-Perché dovresti commettere un errore?-
“Per Tim,” e il tenente sapeva che non alludeva di certo al bambino che stava colorando davanti a lui “Lui…. Io mi sento incolpa ad uscire stasera.” tornò nella stanza, guardando quella grande bandiera americana appesa sul letto e ricordando quando essa ricopriva la bara del marito “Però mi sento come se…. Dovessi uscire.”
-Era da tanto che aspettavo di sentirti dire queste cose, sono felice che Ryan aiutata.-
Lei fece una piccola pausa, prima di acconsentire con un sospiro“Lo so, papà.”
Lo sapeva sul serio.
-Ora preparati, non vorrai deludere il signor Wolfe. Ci vediamo domani mattina in ufficio, porto a scuola io Tim così non devi passare da casa.- lei lo salutò e fece per riattaccare, ma Horatio la fermò –Non sentirti in colpa per aver voglia di vivere. È giusto così-
Melrose non era mai stata brava a inglobare le emozioni, era solita commuoversi, piangere. Come in quel momento, “Ti voglio bene papà”
-Anche io. Divertiti, ve lo meritate entrambi.-
Appoggiò il cellulare sul comò, prendendo in mano una cornice che ritraeva Tim Speedle e lei dopo poche settimane dall’inizio della loro storia. Lei pareva una ragazzina accanto ad un uomo fatto come lui, ma non le importava. Era certa che fosse quello giusto.
Aveva un sorriso bellissimo, un modo di fare tutto suo ma che le metteva davvero allegria.
Lo amava ancora, ne era certa, ma suo padre aveva ragione. Doveva vivere.
Ryan  faceva di tutto per farla felice, per starle accanto e anche se non era mai riuscita a dirglielo, provava qualcosa di forte per lui.
Non poteva negarlo e di certo non intendeva farlo.
Sentì dei rumori al piano di sotto e alzò gli occhi per il largo anticipo del suo accompagnatore, così appoggiando la cornice scese rapidamente le scale “Ryan! Ma avevi detto mezz’ora o sbaglio?”
Nessuna risposta, non sembrava esserci nessuno così convinta di aver sentito male fece per tornare al piano di sopra. Poi un rumore sinistro in cucina e per un attimo il cuore le si fermò. Chi poteva essere, quindi? Con cauta attenzione aprì il mobiletto dell’ingresso prendendo la pistola e avviandosi verso la cucina che però pareva deserta.
Rilassò le braccia, scuotendo il capo e sentendosi una stupida quando qualcuno la afferrò da dietro chiudendole una mano sulla bocca. Per lo spavento le scappò di mano la pistola che cadde a terra e la giovane decise che avrebbe venduto cara la pelle. Iniziò ad opporsi lottando, spingendo l’uomo e ricevendo a sua volta una spinta che la mandò a rovesciare il tavolino del salotto e alcuni libri della libreria. La lotta continuò per alcuni minuti nei quali la giovane morse e graffiò l’aggressore alcune volte, creando una confusione incredibile in casa, prima di soccombere.
Una siringa le affondò nel collo, iniettandole  un liquido che bruciava come lava e che non ci mise che una manciata di secondi ad addormentarla.
 
 
Continua.




Nda.
Sto cercando di postare rapidamente le introduzioni dei personaggi inventati, così che possiate farvi un’idea della storia ^^
Melrose Caine, vedova Speed, col pg della bellissima Susan Coffey!
Avremo modo di conoscere anche lei più a fondo andando avanti!
Intanto ringrazio le 43 persone che hanno letto il primo capitolo e Echelon90 che ha messo la storia nei preferiti^^
Grazie infinite.
A presto con l’introduzione sul nostro personaggio di New York!
Un abbraccione
Jessy 
  
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