≈
Il fiocco difettoso ≈
Amanda
Le mie
dita incespicano ancora una volta tra le corde e il cuore mi
balza in gola.
Le mie colleghe ed io indossiamo tutte gli auricolari e il pubblico
è così
rumoroso questa sera, perciò credo
che nessuno se ne sia accorto. Con discrezione, sollevo comunque gli
occhi
dallo spartito e cerco sui visi delle persone che mi circondano qualche
segno
di rimprovero: nulla. Una parte di me è sollevata,
l’altra continua a ripetermi
che sto suonando come una studentessa – non molto dotata
– del primo anno di
conservatorio. Proprio questa sera, ad un concerto così
importante!
Okay, questo è l’ultimo. Non posso permettermi altri errori.
Il cuore non pulsa in armonia con il violino, piuttosto insegue la batteria a qualche metro dalla mia postazione. E capita anche che faccia prestazioni ben più rocambolesche, quando il mio sguardo cade accidentalmente su Dan, sempre seguito dai riflettori e col filo del microfono che gli si arrotola intorno alle caviglie.
Prima o poi cadrà, è inevitabile.
Dan
con i suoi capelli all’insù, con la faccia di
David Lynch stampata
sulla maglietta, con le sue Converse.
Dan con la sua tastiera, con i suoi tamburi, con le note più
alte che
canta alzandosi in punta di piedi.
Dan che da qualche mese a questa parte è la mia distrazione
principale
durante tutte le esibizioni live, ciò che non posso
permettermi, ancora di più
degli errori. Agli
errori si può
rimediare, nella maggior parte dei casi; ad una cotta colossale per
Dan… no.
Pizzicare le corde del violino non mi è mai piaciuto tanto
– è come
troncare a metà la vita di una nota lunghissima –
eppure è ciò che mi ci vuole
in questo momento per schiarirmi un po’ le idee e
concentrarmi sul resto della
canzone. Peccato che accade il contrario: i miei pensieri vagano ancora
di più,
accarezzando il giorno in cui l'ho visto per la prima volta e poi
quando me
l'hanno presentato.
Charlotte, Martha, Lidia ed io siamo sempre state il loro quartetto
d’archi e per questo passiamo molto tempo insieme, ma il
nostro è sempre stato
esclusivamente un rapporto di lavoro: arriviamo prima di loro in ogni
location,
suoniamo, andiamo via separatamente. Le occasioni per fare due
chiacchiere non
sono mai molte, anzi, sono più che rare. E va bene
così, insomma… mi piace
suonare con loro, sono dei ragazzi davvero talentuosi e gentili, non
chiederei
mai nulla di più. Se solo Dan – sì,
proprio Dan! – non ci avesse invitate a
bere qualcosa con loro, quella sera! Tutto questo non sarebbe mai
successo. O almeno
credo.
Col ritornello torno a far scivolare l’archetto sulle corde e
cerco di
restare il più concentrata possibile sugli spartiti, ma Dan
che salta di qua e
di là è più che una semplice
distrazione e questa volta non riesco a nascondere
l’errore a Martha, la mia migliore amica. Mi lancia
un’occhiata che mette fuori
discussione l’opzione di lasciar correre: oltre che
rimproverarmi mi sottoporrà
ad un interrogatorio senza fine, questa notte in albergo.
Ma cosa potrei dirle? Che mi sono innamorata del cantante dei
Bastille? È una follia! Semplicemente devo smetterla di fare
la bambina,
togliermi Dan dalla testa e tornare a suonare nel migliore dei modi.
“Things we lost in the
fire”
si conclude con Dan che canta gli ultimi due versi accompagnato solo
dai nostri
violini. È una specie di assolo, tutto nostro. Non mi sono
mai sentita tanto
coinvolta emotivamente in una canzone prima d'ora, è quasi
un qualcosa di
intimo, tra me e Dan… Le
mie note
sono un tutt’uno con la sua voce calda, ruvida e un
po’ sofferente, come se
quelle fiamme, le fiamme hanno bruciato tutto quello che adorava,
stessero
ancora ardendo dentro di lui, in questo preciso istante.
La mano che regge l’archetto trema vistosamente e i miei
occhi sono
pieni di lacrime. Ciononostante, riesco a portare a termine le ultime
note
della canzone: un errore adesso, nel silenzio assoluto, sarebbe
catastrofico.
Sospiro di sollievo e mi appoggio il violino in grembo, quando sento
le urla e gli applausi del pubblico. E il mio cuore sobbalza ancora,
quando Dan
ringrazia in quel modo sempre un po’ impacciato, quasi
incredulo di fronte alle
persone che apprezzano il suo lavoro e quello dei suoi compagni.
Evidentemente non ha ancora idea dell’effetto che fa la sua voce. O forse… no. No, no, no, no! È normale adorare la voce di un cantante e provare delle emozioni forti udendola – è ciò che ci spinge a comprare i CD, i biglietti dei concerti, eccetera. Le emozioni che provo io sono un po’ troppo forti! Cioè, guardatemi, non riesco nemmeno a suonare come si deve!
Stringo
forte le ginocchia e sollevo il capo verso Dan, il quale si
sta sistemando il microfono di fronte alla bocca mentre con una mano ha
iniziato a suonare la tastiera. Lui immerso in un cono di luce, tutto
il resto
nascosto nell’ombra. Inutile specificare cosa sembra ai miei
occhi.
In “Overjoyed”
non c’è
bisogno dei violini e decido di concentrarmi sul mio respiro per
regolarizzare
i battiti del cuore, ma mi è impossibile: Martha mi pizzica
il braccio e quando
mi volto incrocio i suoi occhi neri che mi scrutano fin dentro
l’anima.
«Hai la nausea?», mi chiede piano, così
piano che devo concentrarmi
sul labiale per capire.
«No, sto bene».
«A me non sembra proprio».
«Beh, fidati. È tutto okay».
«Ti farò sputare il rospo, puoi
scommetterci».
Mi giro di scatto e deglutisco rumorosamente, anche se la voce di Dan
sovrasta tutto.
Durante il tragitto in auto dall’arena all’albergo devo per forza inventarmi qualcosa. Forse posso rivalutare l’opzione nausea.
Per un attimo, un brevissimo attimo, Dan incrocia il mio sguardo e un minuscolo sorriso gli solleva gli angoli della bocca. Non so perché lo sta facendo, non so perché mi sento morire dentro; so solo che mi taglierò i polpastrelli, se continuo a stringere così forte le dita intorno ai capotasti. Ma la cosa più preoccupante è che, ne sono sicura, non me ne accorgerei nemmeno.
***
Dan
«Ehi,
amico! Che è quella faccia?! È stato
spettacolare, là fuori!
Noi, loro… tutto spettacolare!».
Sollevo gli occhi e mi sforzo di rivolgere un sorriso a Kyle, euforico
ed esuberante come sempre dopo un live, con la sua bottiglia di birra
in mano.
Lo imiterei sicuramente anch'io, se solo riuscissi a togliermi dalla
testa
l’espressione che ho visto sul volto di Amanda quando i
nostri sguardi si sono
incrociati durante
“Overjoyed”.
Sembrava… disperata, come se si fosse appena resa conto che
qualcosa di tragico
ed irreparabile era accaduto.
Mi sposto dalla traiettoria del mio amico, il quale ha già
iniziato a
stringermi un braccio intorno alle spalle, e, distrattamente, correndo
verso
porta, mormoro: «Scusatemi un momento». Kyle, Woody
e Will si scambiano
un’occhiata confusa, ma mi lasciano fare. Anche se provassero
a fermarmi, comunque,
non ci riuscirebbero: solo io sarei in grado di rendermi conto della
mia
idiozia. Perché sì, andare da una ragazza che
conosco appena, con cui non ho un
briciolo di confidenza nonostante suoni con me da mesi, per chiederle
se le è
successo qualcosa è un’idiozia, ma è
anche perfettamente normale. È
semplicemente più forte di me.
Arrivo di fronte alla porta del piccolo camerino che è stato
allestito
per il nostro quartetto d’archi
ed è
quasi uno shock trovarlo vuoto: se ne sono già andate. Ma
questo non mi fa
desistere, tutt’al più mi stimola. Mi metto a
correre lungo i corridoi
sotterranei dell’arena, dimenticandomi persino di essere un
tantino
claustrofobico, e quando scorgo la custodia di un violino sono quasi
arrivato
all’uscita posteriore.
«Sul serio, Martha, sto bene».
«Sul serio, Amanda, non sai mentire. Almeno, non a
me».
Le due ragazze sentono qualcuno correre alle loro spalle e si voltano,
incuriosite. Ancora una volta sul viso di Amanda compare
un’espressione
sconcertata, anche un po’ spaventata, che io non riesco
proprio a spiegarmi.
«Ehi, da quando ti dai al jogging dopo i
concerti?», scherza Martha,
trattenendo a stento una risata.
Piegato sulle ginocchia, le sorrido; poi mi rivolgo ad Amanda,
chiedendole: «Non volendo, ho ascoltato ciò che vi
stavate dicendo. Non stai
bene, Amanda?».
La ragazza sgrana gli occhi e con un gesto totalmente istintivo si
stringe il proprio violino al petto. «No, io…
s-sto bene», balbetta ed
arrossisce parecchio, prima di sibilare: «E non capisco
perché nessuno mi lasci
in pace, questa sera!».
«Oh, scusaci se siamo preoccupati per te!», urla
Martha, roteando gli
occhi al cielo. Quindi mi fissa, portando le mani avanti:
«Scusami, non volevo
dire che tu sei preoccupato per lei. Io lo sono, non so se anche
tu…».
Annuisco, senza pensarci. «Va bene così.
L’ho vista un po’ distratta e
mi chiedevo se fosse tutto okay».
«Sei proprio gentile. Hai sentito, Amanda? Lui
è gentile! Noi siamo
gentili! E tu ci tratti in questo modo!».
Amanda diventa ancora più rossa e senza replicare,
stringendo le
labbra, si gira di scatto. Si dirige a passo spedito verso
l’uscita e lungo il
tragitto, con un gesto brusco, si scioglie lo chignon sulla nuca: una
cascata
di capelli dorati le ricade sulla schiena e per un attimo rimango
affascinato
dai loro riflessi, nonostante siano provocati dalla luce al neon.
Chissà
come risplendono, sotto la luce del sole!
Amanda
fa anche per togliersi il fermaglio con il fiocco nero che ha
pinzato sul lato destro del capo, ma ha qualche difficoltà e
quando ci riesce
tenta di lanciarlo nel cestino lì vicino, con scarsi
risultati.
«Scusala, non so che cosa le sia preso. Di solito non si
comporta
così», dice Martha, distraendomi dai miei stessi
pensieri.
«Certo, capisco. Una brutta giornata, suppongo».
«Già…». Martha sorride e mi
porge la mano. «Buona notte, Dan Smith».
Le stringo la mano, sorridendo imbarazzato. «Non
c’è bisogno che usi
anche il cognome».
«Lo so, ma vedi, anche il mio fidanzato si chiama Dan e mi
mette un
po’ in imbarazzo…».
«Uh, okay, come preferisci allora. Buonanotte,
Martha».
La violinista si allontana a passo svelto per raggiungere le sue
compagne ed io rimango fermo lì, indeciso sul da farsi, per
una manciata di
secondi. Alla fine, costringendomi a non pensare affatto al significato
di quel
gesto, corro verso il cestino e mi chino per raccogliere il fermaglio
col
fiocco che Amanda ha gettato via. Facendo attenzione perché
nessuno mi noti, me
lo infilo nella tasca posteriore dei jeans neri e torno dai miei amici.
***
Dan
Mi
sveglio lentamente, con un lieve mal di testa che mi fa mugugnare.
Ieri avevamo la serata libera e
abbiamo
fatto un po' di baldoria, ma non è stata una bella idea bere
così tanto, dato
che questo pomeriggio abbiamo un'apparizione TV in cui dobbiamo anche
suonare
due pezzi live... Dovrò fare molti esercizi, prima che la
mia voce sia
quantomeno accettabile.
Mi alzo e dopo essermi concesso una lunga doccia per svegliarmi,
scendo nella hall dell'albergo, dove mi indirizzano verso la sala
colazione.
Lì, come supponevo, trovo i miei compagni di band che ridono
e scherzano
indicando Woody. Mi avvicino sorridendo, pronto a ridere anche io, ma
la mia
espressione cambia in un baleno quando mi accorgo che il batterista ha
un
fiocco nero attaccato al ciuffo di capelli biondi che solitamente gli
casca
sulla fronte.
«Devo ammettere che sei proprio carino, Woody!»,
dice Kyle
atteggiandosi come una ragazza.
E Will aggiunge: «Dovresti comprarti un po' di accessori
femminili, ti
donano».
Il mio volto è in fiamme e ancor prima di parlare mi getto
addosso
alla testa di Woody, cercando di strappargli il fermaglio dalla testa.
«Dove
l'avete preso?! Ditemelo!».
«Ehi Dan, calmati!», urla Kyle, balzando in piedi
per aiutare Woody, a
cui sto evidentemente strappando i capelli dalla foga di riavere quel
fermaglio
tra le mani.
«L'abbiamo trovato ieri in auto, sotto ai sedili»,
risponde
pacatamente Will. «È tuo?».
«Sì! Cioè... no!».
«Allora di chi è?».
Finalmente Kyle riesce a togliere il fiocco dai capelli di Woody e fa
per consegnarmelo, ma all'ultimo ritrae la mano e se lo appoggia sulla
guancia,
meditabondo. «Sapete chi ne aveva uno così?
Amanda!».
«Amanda? La nostra
Amanda,
la violinista?», chiede Woody, con gli occhi sgranati.
Kyle annuisce e io provo a prendergli il fermaglio dalla mano, ma lui
è ancora una volta più veloce. «Ora
spiegaci, Dan, che cosa ci fai tu con un
fiocco di Amanda».
«Niente!», borbotto, ma Kyle insiste, appoggiato
dagli altri. Sono costretto
ad inventarmi una scusa: «L'ha dimenticato in camerino
all'ultimo concerto e
volevo restituirglielo!».
Peccato che io faccia pena a dire le bugie e Will non perde tempo a
smontarmi: «E cosa ci facevi tu nel loro camerino?».
Abbasso il capo e resto in silenzio per una manciata di secondi, fino
a quando non sospiro e dico a voce bassa: «Posso riaverlo e
basta?».
Kyle me lo consegna senza aprire bocca e da quel momento in poi
nessuno osa toccare l'argomento.
***
Amanda
Nello
studio c'è un bel po' di pubblico, ma è molto
più gestibile
della folla che si trova di solito ai concerti. D'altra parte,
però, essendo
tutto molto più silenzioso, non ci si può
permettere nemmeno il più piccolo
errore.
In questi giorni ho pensato molto alla mia ultima esibizione e sono
ben decisa a non farmi distrarre più da nulla, Dan compreso.
Ho capito che è
del tutto inutile penarsi per lui, perché potrebbe avere
qualsiasi tipo di
ragazza ed io sono solo un'amica per lui, se non addirittura una
semplice
collega. Mi sono messa l'anima in pace, ecco, e spero che questa mia
specie di
rassegnazione calmi il mio cuore e renda lucida la mia mente.
Io e le mie amiche sbuchiamo da dietro le quinte durante lo stacco
pubblicitario e ci sistemiamo in un angolino, dietro le tastiere di
Kyle. I
Bastille sono ancora seduti vicini all'intervistatrice, la quale gli
sta
anticipando le prossime domande mentre due ragazze dello staff gli
svolazzano
attorno per dare qualche ritocco veloce al trucco di cui, è
chiaro come la luce
del sole, non hanno bisogno.
Cerco di non soffermarmi troppo sulla figura di Dan, di non notare
ciò
che indossa o la particolare piega che hanno oggi i suoi capelli: non
è ciò che
farebbero le amiche/colleghe. I suoi occhi però sono troppo
belli per essere
ignorati ed è ancora troppo presto – o la mia
determinazione non è così forte
come credo – perché il mio cuore non prema contro
la gabbia toracica quando si
posano su di me. Ho quasi la sensazione che il suo viso si illumini
vedendomi,
come se fosse davvero felice che io sia qui, e mi do' ripetutamente
della
stupida: è evidente che non è così,
che la mia mente sta solo assecondando i
miei sciocchi sentimenti. Dan sta sorridendo perché
è gentile e sorride sempre
a tutti, nient'altro.
Martha lo saluta con un cenno della mano ed io vorrei sotterrarmi,
così mi concentro sugli spartiti che devo sistemare sul
leggio e
sull'accordatura del mio violino: l'ho già controllato tre
volte, ma ho bisogno
di tenermi occupata.
Prima che me ne accorga siamo di nuovo in onda, e dopo un paio di
domande l'intervistatrice li invita a prendere posto per il loro live.
Nonostante mi sudino le mani, non sbaglio mai. La soddisfazione
è
tanta e alla fine del secondo brano sorrido a Martha, la quale ricambia
con
gentilezza, senza comprendere del tutto le motivazioni del mio
benessere. Solo
quando mi accorgo dell'espressione stupita e allo stesso tempo delusa
sul volto
di Dan, il mio sorriso entusiasta si spegne lentamente. E capisco che
ormai è
troppo tardi per tornare indietro, per far finta che la mia cotta per
lui non
sia reale, e che darei qualsiasi cosa
per vederlo sorridere di nuovo.
***
Dan
Ho
stonato due volte e Amanda sorrideva felice. Davvero non la
capisco.
Sono
l'ultimo ad uscire dal camerino, dopo aver sistemato tutta la mia
roba nel piccolo zainetto che porto in spalla, e sobbalzo quando trovo
proprio
Amanda accanto alla porta, col suo violino stretto al petto e un ciuffo
di
capelli biondi che le accarezza la guancia.
«Scusami, non volevo spaventarti», dice subito,
arrossendo quasi
quanto me.
«Che ci fai qui?», le domando, guardandomi intorno
nel corridoio
deserto.
«Io, ecco... mi sento così stupida»,
mormora e scuote la testa, quindi
si volta di scatto e si allontana di qualche passo. Sarebbe sparita in
un
lampo, se solo non le avessi afferrato il polso. Non so
perché l'ho fatto, non
me ne sono nemmeno reso conto fino a quando non ho incrociato i suoi
occhi
verdi con i miei. Non ho mai notato quanto siano belli: lo sono
davvero, di un
verde molto tenue, sembrano quasi trasparenti, ma sono luminosi come
gemme.
«Amanda...».
«Sì...?».
«Perché sei rimasta?».
«I-Io... L'ultima volta mi hai chiesto se stavo bene, dato
che mi
avevi vista un po' distratta. Questa volta sono io a chiedertelo,
perché non
sorridevi. Tu sorridi sempre e cavolo, hai un sorriso che... Insomma,
volevo
sapere se era tutto okay».
Amanda prende fiato, dopo il fiume di parole che le è
sgorgato dalle
labbra. Questa è forse la conversazione più lunga
che abbiamo mai avuto.
«Sto bene», mormoro, un po' confuso.
«È solo che ho stonato e... non è
bello, quando accade».
«Non me ne sono nemmeno accorta», esclama, questa
volta con voce
ferma.
«Beh... meglio così!».
I nostri sorrisi si trasformano presto in una risata e la sua
l’adoro:
è così dolce, come una melodia! Non mi stancherei
mai di ascoltarla, ma ho
qualcosa di suo nella tasca della felpa ed è ora che glielo
restituisca.
«Ehm, Amanda...».
«Chiamami Amy».
«Okay, Amy... Forse è un po' strano, ma
io...», tiro fuori il suo
fermaglio e glielo mostro, facendo particolare attenzione alla sua
espressione.
Il risultato però è inconcludente: non riesco a
trarne alcuna informazione
utile. «L'hai buttato via, l'ultima volta che ci siamo
visti... Ma non era
rotto. Forse un po' difettoso, ma...».
«A volte devi fare delle scelte», mi interrompe
senza guardarmi negli
occhi. «Provare a tenere qualcosa di difettoso per goderne
fino a quando non si
romperà del tutto, oppure disfartene subito, prima ancora di
vederlo a pezzi».
«E tu hai scelto la seconda?», mormoro, continuando
a pensare a quelle
parole: ci deve essere qualcosa di più sotto, come una
metafora, ma non riesco
ad arrivarci, anche se ho la sensazione di avere la risposta proprio di
fronte
agli occhi.
«Perché rischiare di affezionarsi, se
c'è un'elevata probabilità che
non funzionerà?».
«Ma non puoi sapere quando smetterà di funzionare.
Potrebbe anche
durare in eterno, nonostante il difetto».
«E se non durasse? Se si rompesse?».
«Si potrebbe provare ad aggiustarlo».
Amanda solleva gli occhi nei miei e per un attimo rimango senza fiato,
perché sono lucidi di lacrime. E non capisco più
di che cosa abbiamo parlato,
se di un fermaglio a forma di fiocco o di qualcos'altro. Le sue labbra
si
incurvano all'insù in un piccolo sorriso e anche quella
domanda viene spazzata
via, nella mia mente ora c'è il vuoto.
«Visto che l'hai recuperato, tanto vale provarci,
no?».
Le dita delle nostre mani si sfiorano, quando prende il fermaglio per
tirare indietro quel ciuffo che le accarezza la guancia. Io sorrido,
felice di
vederglielo di nuovo addosso. E decido di non dirle che l'ha provato
anche
Woody. Meglio di no.
«Grazie, Dan».
Annuisco e ci guardiamo imbarazzati per qualche secondo; poi Amy si
avvicina un po', ma non faccio in tempo a capire le sue intenzioni
perché
Martha strilla il suo nome ed entrambi sobbalziamo.
Amanda è rossa come un peperone e mi saluta con un semplice
cenno di
mano, prima di correre verso l'amica. Io le guardo sparire dietro
l'angolo e
per un istante mi sento infinitamente solo. Per fortuna in mio soccorso
arriva
Kyle, il quale però sbuca alle mie spalle e mi spaventa
tanto da farmi
trasalire.
«Com'è che sei sempre l'ultimo? Andiamo,
dai!».
«Sì, andiamo».
Ci incamminiamo verso l'uscita, raggiungendo Will e Woody.
«Quand'è il nostro prossimo live?»,
chiedo.
«Domenica».
Immediatamente penso che non vedo l'ora che sia domenica e non so bene
perché.
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Buonasera,
ma buonasera! :)
È tipo un sacco di tempo che non pubblicavo qualcosa e spero
che
questa piccola one-shot non sia un totale fiasco! Io devo dire che ne
sono
abbastanza soddisfatta e chissà… forse non
rimarrà una OS tanto a lungo! Ma
questo direi che dipende da voi xD Se avete due minuti di tempo da
sprecare,
sarò ben felice di leggere le vostre recensioni per sapere
se vi è piaciuta o
meno e per vedere fino a dove si spinge la vostra fantasia in materia
di insulti:
il titolo fa veramente pena, me ne rendo conto! xD
Detto questo, ringrazio in anticipo chi leggerà e chi mi
scriverà due
righe ;)
Un abbraccio! Vostra,
_Pulse_
P.S. È la mia prima fan fiction sui Bastille, che adoro, e spero di averli ben ‘descritti’. Ovviamente non sono di mia proprietà e tutto ciò è frutto della mia fervida immaginazione, non a scopo di lucro!
P.P.S. E vorrei dire grazie, veramente grazie, alle violiniste che ogni tanto si vedono dietro i nostri ragazzi e che fanno un lavoro magnifico tutte le volte. Se lo meritano!