It’s not that we’re scared,
it’s just that it’s delicate.
(Delicate – Damien Rice)
Now it's time to go from your sad stare.
(Smile – David Gilmour)
Mile after mile, stone after stone.
Turn to speak but you're alone.
Million mile from home you're on your own.
(Wot’s … uh the deal?
– Pink Floyd)
She don’t lie.
Agosto
1979
Non
ho mai amato le distanze per un
motivo. Prima o poi ti ritrovi a dover correre.
Correre
per. Fuggire da. E in questo
momento, mentre l’umidità di Los Angeles
è solo una squallida imitazione del
calore del sole che brucia all’orizzonte, devo
correre. A dispetto della stanchezza, della noia e di un ago che punge
la bocca
dello stomaco cucendogli l’ansia addosso, corro. Le strade
sono affollate di
volti vuoti, di impegni presi o lasciati, di clacson assordanti che
fanno
vibrare l’aria divenuta irrespirabile.
Vai a recuperare quello stronzo!,
ha detto Roger.
Sentivo
la sua rabbia attraversare
chilometri e chilometri di fibra ottica fino a ferirmi
l’orecchio sul quale
tenevo la cornetta, l’esasperazione che mi accartocciava il
cuore e lo
cestinava sul fondo dello stomaco, mentre nella mente una semplice
domanda
prese a far ruotare ogni singolo pensiero intorno a sé.
Perché?
Perché
sempre io? Perché non Nick?
Perché Rick ci sta facendo questo? Perché Roger
non riesce a capire? Perché
scaglia su di noi la frustrazione di un fantasma che lo insegue quando
è stato
lui stesso a crearlo?
Ho
solo una certezza; sapere di essere
l’ago della bilancia tra la pazzia di Roger e il rifiuto di
Richard, sempre
alla ricerca costante di un equilibrio che non raggiungeremo mai, di
una parità
andata perduta da quando Roger ha iniziato a credere di poter avere
tutto sotto
controllo.
L’aveva
fatto con Syd, lo sta
ripetendo con Rick.
Rick
che fugge e io che devo correre
da Dublino per riprenderlo.
Rick
che si nasconde.
Rick
che non parla.
Rick
che non suona più.
Se non si da una svegliata lo faccio tornare in
Inghilterra a
calci in culo.
L’ultimatum
di Roger è stato chiaro,
senza mezze misure, o bianco o nero. Una volta era proprio lui quel
prisma che
riusciva a scomporre la realtà trovandone le sfumature, ma
ora è troppo tardi
per capire che la luce che era riuscito a catturare era quella riflessa
da Syd.
Solo lui riusciva a brillare, Roger no.
Mi
porto una mano tra i capelli
aspettandomi di doverne sciogliere i nodi, un gesto istintivo che non
riuscirò
a correggere per molto tempo; invece, correndo, non ho più
quella sensazione di
sentirli dappertutto , di doverli scostare nervosamente e quando mi
ritrovo di
fronte al vetro dello studio di registrazione, stranamente la mia
immagine è
impeccabile. Inizio a bussare nervosamente, ma non ottengo nessuna
risposta, e
quando provo ad abbassare la maniglia, scopro che la porta è
chiusa a chiave.
-
Rick, sono io, Dave!
Silenzio.
E se questo vale come
risposta, non è delle migliori.
-
Rick, so che sei lì, apri! – dico
alzando la voce e continuando a bussare frenetico.
Subito
dopo, uno scatto lieve e
morbido rompe la quiete, mentre un rumore di passi si perde
dall’altra parte
della porta. La apro e quando sono dentro, la stanza è
immersa nella penombra.
L’unica luce è quella di una piccola lampadina
posta sopra al pianoforte, mentre
Richard è di spalle, vicino alla finestra, le tapparelle
socchiuse che lasciano
filtrare quel che resta del tramonto californiano.
-
Se sei venuto a farmi la predica … –
sussurra, per poi prendere un respiro profondo, accompagnato da una
specie di
fischio sinistro – …
puoi andartene,
Dave.
Non
mi piace.
No,
non le sue parole, ma quel
fischio. Quel suono acuto così delicato ma perfettamente
percettibile, come
quando esci di casa e hai la sensazione di aver dimenticato qualcosa
che ti
serviva, che subito prende a scuotermi l’anima fino a farla
cozzare
dolorosamente contro le costole. O forse è il mio cuore che
sta battendo troppo
forte, preso dalla paura di trovarsi di fronte a qualcosa che non
riuscirà ad
alleviare tanto facilmente.
-
Come stai, Rick?
Non
si volta, mi taglia via dai suoi
occhi, il suo pianoforte che, per la prima volta, ci divide. E non so
perché
gli faccio questa domanda. Rick sta bene, è sempre stato
impeccabile,
sorridente, con quella presenza di vita che gli illumina gli occhi.
Quegli
occhi mi ricorderanno per sempre la primavera appena passata, quando ci
fermavamo a scrutare la superficie del mare greco che splendeva sotto i
raggi
del sole per dimenticare per un attimo di esser stati cacciati di casa,
di
avere Roger alle calcagna e per tentare di fuggire, almeno per un
po’, da quel
sogno chiamato Pink Floyd e che ormai si è trasformato in un
incubo.
-
E come dovrei stare?
-
Non è una risposta, Rick. – dico,
già esasperato, prima di superare il pianoforte, mentre
quella sensazione di paura
si sta velocemente trasformando, chissà perché,
in rabbia – E guardami in
faccia quando ti parlo! – esclamo, imprigionando il suo mento
sottile tra le
mie dita troppo lunghe, troppo rozze per tanta delicatezza, e quando ho
finalmente il suo volto di fronte al mio, scopro che la
verità è più
agghiacciante di come sembrava.
Rick
non c’è. Al posto suo trovo un
volto pallido, cadaverico, umido di sudore. I suoi occhi sembrano
spariti dietro
delle occhiaie scure come ombre di pioppi sulle lapidi di un cimitero e
le sue
labbra sembrano viola come un drappo funebre, mentre un piccolo rivolo
vermiglio spunta come una piccola sorgente da una delle sue narici.
Sotto le
mie dita, la sua pelle è fredda, sotto i miei occhi i suoi
sono spenti.
-
No! – sussurro, mentre lui abbassa
le palpebre dirigendo lo sguardo al pavimento – NO!
– questa volta urlo, le mie
mani che si spostano sulle sue spalle, spingendolo contro il muro
vicino alla
finestra, le lacrime che subito si impossessano dei miei occhi
– Che cazzo fai?
-
Non è niente, Dave, posso gestire la
cosa. – la sua voce è un soffio.
-
È lei a gestire te, lo capisci? –
gli urlo strattonandolo, la mia voce strozzata dal pianto –
Quella troia ti
fotte il cervello e prima o poi si prenderà anche
qualcos’altro, lo sai?
Non
risponde, anche lui ha preso a
piangere silenzioso.
-
Perché ti fai questo, Rick? Perché
punirti in questo modo?
Niente.
Non reagisce.
Rick non c’è.
-
RISPONDI, CAZZO!
-
Lasciami stare Dave, mi fai male. – risponde,
cercando di liberarsi dalla presa delle mie mani che lo stringono forte.
-
Sei tu che ti stai facendo del male
e ne fai anche a me. – gli sputo in faccia la
verità, noncurante delle sue
lacrime che rigano le guance, una mia mano che risale per raggiungere i
suoi
capelli, stringendoli piano. Quei capelli che ho sempre accarezzato con
devozione, ricambiando quella che lui riservava per me, e che ora
ritrovo
ispidi, attraversati da qualche filo d’argento.
-
Vattene, Dave! – sussurra,
appoggiando il capo contro la mia mano, fallendo nel suo tentativo di
cacciarmi
da questa stanza, in una silenziosa e disperata richiesta di stargli
vicino, di
non interrompere quel contatto, di tenere ferma quella testa che
potrebbe
esplodere da un momento all’altro.
-
No, Rick. Io non me ne vado. –
sussurro.
Mi
fa pena, mentre si piega in avanti
come uno stelo appassito, troppo stanco per lottare, controbattere,
troppo
debole per salvarsi. Appoggia il capo sulla mia spalla, le sue braccia
che si
fanno strada attorno alla mia vita. Mi sta chiedendo di aiutarlo e io,
per la
prima volta, non so se ne sono capace. Posso rimanere qui, stretto a
lui, fino
a quando lo vorrà, ma non basto io per scacciare il veleno
che gli sporca le
vene. Posso ricambiare l’abbraccio, ma non basterà
nemmeno quello.
-
Non ti merito, Dave. – sussurra,
guardandomi finalmente negli occhi, i suoi che sono diventati abissi di
dolore,
freddi e vuoti come una conchiglia dove il mare ha smesso di cantare
– Lasciami
solo. Fanculo l’album. Fanculo quella testa di cazzo.
Non
ha mai parlato così e il fatto che
non sia esattamente lui a pronunciare quelle parole non so se mi renda
un po’
più tranquillo o meno. È lei che sta parlando,
Rick non c’è più. Quello che ho
tra le mani è solo l’involucro che conservava
quell’anima sublime,
quell’essenza poetica che ora è andata a finire
chissà dove. Eppure, anche ora
è fragile, celeste, così delicato che fa paura.
-
Torna in te Rick! – lo prego, le
lacrime che tornano a spingere negli occhi, una mia mano che gli
accarezza una
guancia – Torna da me, ti
prego.
Non
risponde, gli occhi fissi sembrano
voler cercare nei miei una nota d’incertezza, di ripensamento
che però non
arriva. Perché è vero. Io non lo lascio. Io lo
voglio con me, come è sempre
stato deve continuare ad essere.
-
Siamo la stessa voce, te lo ricordi
Rick?
Annuisce
e sembra quasi che il suo
collo voglia spezzarsi: - Ogni giorno Dave.
-
E allora smettila con quella roba e
riprenditi il tuo splendore.
-
Non sono un diamante, Dave, quello
era Syd e Roger sta cercando di ripetere con me quello che ha fatto a
lui. Ma
io non sono Syd. Io non sono Syd!
–
ripete, portandosi le mani sulla testa come se un’emicrania
gliela stia
lacerando. E forse è così.
-
No. Non sei Syd. Nessuno di noi lo
sarà mai per quanto Roger si ostini a provarci. –
dico serio, per poi
appoggiare le labbra sulla sua fronte fredda e devo mettermi quasi in
punta di
piedi per poterlo fare – Tu sei Rick. – un bacio
sulla guancia – Il mio Rick.
Non posso permetterti di
distruggerti, mi trascineresti con te. Non posso permetterti che tu
sparisca
perché io non saprei dove andare senza di te, capisci?
Cristo,
voglio smettere di piangere,
ma non posso farne a meno se lui mi guarda come un randagio
abbandonato. Perché
quando dico che lo vorrei splendente come un tempo, non mento. Anche
lui è un
diamante, lavorato d’Arte e Musica e, senza la sua, la mia
luce non basta a
illuminare la nostra strada.
-
Dave, non piangere. – supplica, le
sue mani callose e affusolate che si poggiano sulle guance, i suoi
pollici che
raccolgono le lacrime – Sorridi, Dave. Se sorridi mi sento a
casa. – poi mi
passa una mano tra i capelli, ormai corti, la stempiatura che inizia a
farsi
notare - Erano
belli un tempo.
Non
riesco a rispondere, mi lascia
inerme con poco.
Come
faccio a dirgli che tutto era più
bello un tempo senza fargli del male? Come posso impedire a me stesso
di
avvicinare il mio viso al suo, trasmettendogli tutto il calore di cui
sono
capace con un bacio? Con che coraggio dovrei fermarlo mentre mi si
aggrappa
addosso disperato e cadiamo a terra?
E,
forse, è meglio così.
A
volte è meglio cadere insieme che
continuare a combattere uno contro l’altro. Prima o poi ci si
stringe, ci si
sostiene e insieme ci si rialza. Quando si combatte si è
soli e lui da solo non
può starci; e io sono troppo stanco di oscillare.
Così
mi abbandono e l’ago della
bilancia cade tra le braccia di Rick.
Il mio Rick.
26 Agosto 2006
-
Guarda, Rick! Guarda quanta gente!
Gli
occhi di Dave brillano più del
cielo di Danzica. Ha lo sguardo fiero di chi non vede l’ora
di salire sul
palco, anche se i suoi gesti freddi e moderati non lo danno a vedere.
Si passa
una mano sulla testa, ormai diventata argentata, senza però
incontrare la folta
chioma setosa di un tempo. Che ci volete fare? È solo
un’abitudine.
-
Sì. È meraviglioso.
Si
volta a guardarmi, col suo
bellissimo sorriso che va da una guancia all’altra.
-
“Meraviglioso” è averti qui. Lo sai,
vero?
Annuisco
imbarazzato. A differenza
sua, sorrido sotto le labbra, come se avessi paura di farlo, mentre una
sua
mano mi lascia una carezza tra le fila candide dei miei capelli. Siamo
così
cambiati eppure siamo gli stessi. Sempre insieme, fino alla fine.
Non
ho mai dimenticato quell’Agosto del
’79 e da allora io e Dave non abbiamo mai smesso di camminare
sulla stessa
strada, quando abbiamo capito che perdersi sarebbe stato più
facile che
sorreggersi. E a noi le cose facili non sono mai piaciute.
Adesso
ho il suo braccio attorno le
spalle. Non ha mai smesso di proteggermi.
-
Pronto? – chiede.
-
Se lo sei tu, lo sono anche io. –
dico, sollevando un sopracciglio – Siamo ancora la stessa
voce, vero?
Non
risponde, la sua fronte si
aggrotta per via di un pomeriggio di Agosto ancora vivo nella memoria;
si
limita a poggiarmi le labbra sulla fronte, proprio come ventisette anni
fa.
Saliamo sul palco e in un battito di ciglia le canzoni passano sotto le
nostre
dita, ogni nota un battito del cuore, ogni parola un ricordo.
Sono
vivo grazie a Dave e non gli sarò
mai abbastanza riconoscente.
Eppure,
a lui sembra bastare la mia
presenza. Gli basta voltarsi alla sua sinistra e sapere che ci sono,
esattamente dietro di lui, a rispondere alle domande della sua chitarra
col mio
pianoforte. Lo capisco mentre su Wot’s
…
Uh The Deal mi rivolge gli occhi e un sorriso e sono
così preso alla
sprovvista che rispondo solo con uno sguardo sorpreso.
Ma
so cosa volesse dirmi, lo so da
sempre.
Siamo la stessa voce, te lo ricordi Rick?
Angolo della pazza:
Rieccomi! :D
Ecco, questo è il mio problema. Una volta che mi metto a scrivere slash nessuno mi ferma.
Questa è una Wrightmour che tenevo incastrata tra cuore e gola da troppo tempo e mi sono detta che se avessi aspettato ancora, non l'avrei scritta più.
Mi sono buttata e così eccola qui.
E' una cosetta piccola piccola, non prendetela sul serio.
Alla prossima,
Franny