Anime & Manga > Alice nel paese di Heartland
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Autore: Lady Cheshire    04/10/2013    5 recensioni
Seira è strana, glielo hanno sempre detto.
Veste in modo strano, si comporta in modo strano, il suo cuore fa un rumore strano.
E' vissuta con i racconti di sua madre, morta quando era piccola, che le narrava di un posto meraviglioso e di amici fantastici.
E' vissuta con un unico, grande tabù: L'identità di suo padre
Ama molto sua madre, e scoprire che le ha mentito sul suo nome le fa male, ma un coniglio col panciotto la porterà in un luogo dove tutti sono dediti a renderla felice.
Perché sua madre era Alice Liddell, e ora tocca a sua figlia avventurarsi nello strano, bellissimo, mondo di Hearland.
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Ruckia_chan,
    Senza di lei non avrei mai pubblicato questa storia
Il Bianconiglio
 
Una ragazza normale. Ecco cosa pensava di essere Seira Liddell prima di quella sera in cui tutto era cambiato. Era stata una giornata tremendamente pesante, sia a casa sia fuori. Era il giorno dell’anniversario della morte di sua madre e quindi aveva fatto visita alla sua tomba, dove aveva incontrato una donna. Una bellissima donna, con un abito tutto merlettato e una mantellina, lunghi boccoli castani lasciati sciolti sulle spalle.
  «Sei tu Seira Liddell?» aveva domandato con voce gentile, dopo aver posato dei fiori sulla tomba di sua madre.
«Si, sono io, desidera qualcosa?» aveva domandato cortese.
  «Solo curiosità. Volevo conoscerti e porti qualche domanda… Anche se in realtà ci siamo già viste, ti ricordi?» le aveva chiesto, avvicinandosi a lei.
«Veramente no» aveva risposto sincera, mentre si chinava a ripulire la lapide, lucidando la foto sorridente della donna nella foto. Somigliava molto a sua mamma, gli stessi occhi color cielo. Le orecchie piene di orecchini strani, con catenelle e brillantini. I capelli corvini tenuti corti fino alle spalle, con un taglio asimmetrico e decorati da ciocche rosa acceso insieme al naso affilato e dritto e le labbra sottili però dovevano essere la somiglianza col padre che non aveva mai conosciuto, visto che lei, decisamente, non somigliava a quello che, legalmente, era suo padre. Infatti portava il cognome della madre.
  «Ma si, ci siamo incontrate al funerale di tua madre» ora che ci pensava, ricordava quel viso, incorniciato da una cuffia nera, triste e cupo, con gli occhi celesti velati di lacrime.
«Ah, già. Eravate amiche?» aveva chiesto Seira innocentemente, mentre riportava bene in vista il nome di sua madre. Elizabeth Liddell
  «Amiche? Oh, no, eravamo sorelle» aveva detto semplicemente, scioccando la ragazza
«Come sorelle? Mamma non me lo aveva mai detto! Tu sei mia zia?» aveva chiesto, rialzandosi di scatto, gli occhi sbarrati dallo stupore
   «Ci sono tante cose che tua madre non ti ha detto, come ad esempio chi fosse tuo padre, o della mia esistenza, o anche solo il suo vero nome» aveva detto la donna, posandole le mani sulle spalle «Il suo vero nome era… Alice. Alice Liddell»
«Alice… Ma perché? Perché mentirmi? Su mio padre, su di te, sul suo nome, su tutto!» era sconvolta, urlava in preda al nervoso, mentre la donna la guardava addolorata.
  «Questo non so dirtelo mia cara, posso solo dirti che nemmeno io conosco l’identità di tuo padre. So solamente che un giorno tua madre venne da me e mi disse di essere incinta, non appena gli chiesi chi fosse il padre mi rispose di non parlare assolutamente di lui, diceva: “lo amo moltissimo, ma devo andare avanti, non posso restare con lui, ho bisogno di una vita reale, non posso dirti altro” e io non le ho mai chiesto di più. Mi spiace piccola, ma sapevo che ti avrei trovata qui, e ora sei abbastanza grande per sapere la verità» aveva concluso la donna, abbassando lo sguardo.
«Scusa zia, ma ho bisogno di stare sola» aveva detto la ragazza, assaggiando quella parola nuova e sconosciuta, mentre si voltava per uscire dal cimitero, gli occhi persi nel vuoto. Ma una mano gentile le aveva bloccato il polso
  «Seira, so che sei sconvolta, lo capisco. Perciò ti prego, non fare nulla di avventato, o di stupido, te ne prego. Se vuoi, puoi venire a vivere con me e mio marito, non ci sarebbe nessun problema» aveva azzardato, mentre la giovane si divincolava dalla presa
«Non sarebbe il mio posto, non riuscirei a vivere con te dopo queste rivelazioni, ma prometto di pensarci, se ti fa stare tranquilla» aveva risposto atona, mentre continuava a camminare a testa bassa. Aveva iniziato a camminare senza meta, a testa bassa. Aveva realizzato in pochi secondi che la sua vita era basata su bugie, ma questo la portava a porsi molte domande. Chi era veramente sua madre? E suo padre? Dov’era stata prima di tornare dalla sorella incinta di lei? Era causa di suo padre se lei era strana, diversa? Se ha sempre preferito imparare a sparare con le pistole anziché imparare a suonare il piano? Se era sempre guardata male perché le piaceva vestirsi in modo strano, se si sentiva sempre fuori luogo? Aveva iniziato a piovere, e lei non se ne era nemmeno accorta, fortunatamente era a due passi dal portico di casa. Come al solito ne suo padre, ne sua sorella erano a casa, c’era solo lei, con la sua chitarra a strimpellare note soprappensiero continuando ad arrovellarsi il cervello, cercando di mettere in ordine le idee. Poi la voce di sua sorella l’aveva distratta, ma non era sola.
Kate era la sua migliore amica, l’unica che avesse mai avuto, e quando sua madre e il padre di Kate si erano innamorati, era stata ben felice di questo. Ma la voce che era con lei la conosceva, e bene anche.
-Non è possibile…- eppure era proprio così, Kate stava sotto il portico assieme a lui, il suo insegnante di chitarra, il primo ragazzo che le fosse mai piaciuto sul serio era ora sotto al portico di casa loro, mentre copriva Kate con la sua giacca e le baciava la fronte. E lei gli si era dichiarata solo due giorni prima. Aveva potuto chiaramente sentire il suo cuore incrinarsi e rompersi nell’esatto istante in cui le labbra di Kate avevano toccato quelle di lui, in quel mentre Seira, ancora con la chitarra sulle spalle, aveva spalancato la porta, cogliendoli di sorpresa.
   «Seira…» aveva detto solo Kate, mentre lui la guardava in colpa
«Mi hai tradito… Tu lo sapevi» aveva esclamato Seira
   «Non ti ho tradito, è successo e basta» aveva azzardato lei
«Eri l’unica che fosse rimasta dalla mia parte. Tuo padre non mi ha mai accettato, mia madre è morta, mio padre non so dove sia… E ora mi avete lasciato pure voi due… Vi auguro ogni bene» aveva esclamato acida, mentre correva via sotto la pioggia, a testa bassa, incurante di dove stesse andando o se andasse a colpire altre persone. Si era ritrovata in un prato, probabilmente un giardino privato, e si era rifugiata sotto un albero, a piangere. Poi si era addormentata, stanca e bagnata.
Tick Tock…. Tick Tock…
Il ticchettio di un orologio l’aveva svegliata. Sentiva ancora il rumore della pioggia battente, e a quell’insolito rumore Seira aveva aperto lentamente gli occhi, trovandosi davanti un coniglio bianco, che guardava concentrato un orologio da taschino, appuntato ad un gilet scozzese, e con un paio di occhiali buffi e rotondi sul naso.
 «Cavolo, ci mancava la pioggia! Devo assolutamente trovarla prima dell’incontro con sua Maestà, o farò tardi» aveva detto il coniglio, con tono seccato
«Scusa, cerchi qualcuno?» aveva domandato al coniglio -Sto decisamente sognando! Sto parlando ad un coniglio con panciotto- aveva pensato Seira, stropicciandosi gli occhi. L’animaletto si era, infine, voltato verso di lei, e il musetto gli si era illuminato.
 «Ti ho trovato, finalmente ti ho trovato!» aveva esultato contento, mentre le saltava in grembo, abbracciandola con le zampette pelose.
«Cercavi me? O ma che lo chiedo a fare? Come può un coniglio a parlare? Che c’è ti sei perso?» aveva domandato, osservando la bestiola che continuava ad abbracciarla.
 «Si, e non vedevo l’ora di trovarti!» aveva risposto lui energico
«Certo, wow un coniglio parlante mi cercava, che mera…» non aveva fatto in tempo a finire che era stata investita da una luce abbacinante e aveva sentito il coniglio farsi più pesante sulle sue ginocchia. Al suo posto la stava abbracciando un ragazzo, con la giacca in tartan, i capelli bianco latte e lunghe orecchie da coniglio sulla testa.
«Ma cosa? E tu chi sei?» aveva gridato Seira, cercando di divincolarsi dal ragazzo che ancora le cingeva la vita con le braccia, e la guardava dal basso, mostrando due occhi rosso sangue dietro agli occhiali tondi.
 «Non fare domande irrilevanti come queste… Ora tu devi venire con me» aveva decretato, alzandosi in piedi e porgendole la mano.
«Certo, e magari ti aspetti pure che ti segua. Sei un coniglio! E per altro frutto della mia fantasia, perché mai dovrei seguirti?» aveva chiesto, alzandosi a sua volta.
 «Sai, parli esattamente come una persona che conoscevo tanti anni fa, anche lei credeva che fosse tutto un sogno… Che cosa sciocca, non trovi?» aveva chiesto sorridendo, mentre le si faceva più vicino e le posava le mani sui fianchi.
«Ehi, che cosa stai facendo?!» aveva chiesto, mentre lui se la caricava in spalla e iniziava a correre, lei intanto continuava ad agitarsi
 «Stai ferma, insomma, non devi essere così recalcitrante, ti porto in un bel posto»
«Ma io non voglio andare da nessuna parte! Lasciami!» continuava ad urlare lei, mentre il ragazzo saltava dentro ad un buco. Al che la ragazza aveva strizzato gli occhi e si era domandata se la chitarra avrebbe attutito la caduta. Ma si era semplicemente trovata seduta su un pavimento a scacchi e il ragazzo con le orecchie da coniglio in piedi davanti a lei che, nuovamente, le tendeva la mano. Giselle aveva afferrato la mano guantata e si era sollevata.
«Si può sapere che diamine ti è preso?! Dove sono? Volevi forse uccidermi?!» aveva domandato isterica
 «Non potrei mai cercare di ucciderti Seira» aveva risposto allegro
«Come fai a sapere come mi chiamo?»
 «Semplicemente perché ti amo, so tutto di te» aveva detto lui, come se fosse una cosa normalissima, mentre la ragazza rischiava di nuovo di cadere. Lui l’aveva prontamente sorretta avvolgendole la vita con le braccia «Ah comunque mi chiamo Peter. Peter White» aveva detto sorridente, mentre prendeva una boccetta di cristallo dalla tasca «E stavolta non ti lascerò andare via così facilmente» aveva detto prima di farle bere il contenuto della boccetta, versandoglielo tra le labbra e baciandola, per impedire che la sputasse. Dopo poco aveva perduto i sensi, mentre delle parole le ronzavano in testa:
Ogni gioco ha le sue regole, lo sapevi?
 
Minori: Salve a tutti, sono Minori. Questa è la prima volta che scrivo su questo fandom, quindi spero di non aver fatto qualche disastro. questo è il primo capitolo della mia storia, grazie alla mia amica ho trovato il coraggio di pubblicarlo, infatti le dedico la storia, in tutto e per tutto. Però sono insicura, quindi se il mio capitolo riceverà almeno due recensioni, pubblicherò il seguito. Grazie per l'attenzione.
  
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