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Autore: Nimrwen    05/10/2013    0 recensioni
Quando un sogno è sintomo di timori, è in grado di manifestarsi alla mente come sostanza oltre che mera essenza, e riaprire le iridi non sempre giova a ritrovare la pace.
Per questo, dopo l'incubo, cercare gli amati può essere una buona idea.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nimrwen dorme.

D'un racconto agitato si muovon le linee del suo volto, d'attrito sussurrato si colmano le sue labbra. La coscienza d'una casa, d'un riparo, è inghiottita dal vortice di Sonno vorace. E' sola.

Anzi... no.

Il piccolo è con lei, già nato. Già cresciuto. Prima non c'era, era in lei, nel ventre che l'aveva maturata, come la pasta del pane lasciata riposare perché possa impregnarsi dell'aria che la circonda, restituendo a sua volta la fragranza d'un aroma che sa di casa e di famiglia, di serenità. Di benvenuto e di accoglienza. Chi le aveva reciso il cordone vitale che legava madre e figlio? Dove erano stati i dolori delle doglie, i pianti dell'impazienza, l'aiuto dei cari? Perché non ricorda nulla? E, nel momento stesso in cui la mente si posa su tale pensiero, un grido straziante le violenta i timpani. Si volta. E' sempre lei, distesa su un lettino saturo del suo sudore e del suo sangue, cui s'aggrappa come se ne andasse della sua stessa vita, mentre spinge e grida, spinge e urla, perché le sue carni cessino di venir dilaniate ed i liquidi di scivolare in terra come lava del Vulcano. Eppure è suo solo a metà quel dolore, per lei che è sempre una e duplice, che vive e si guarda, protagonista e spettatrice, accanto al figlio già nato e cresciuto; una è sofferente e l'altra è vergine senza dolore. Due donne identichee dai capelli fatti di terra increspata son quelle che abitano i suoi sogni, l'una calma, l'altra sofferente. Ed il figlio, quello ancora nascosto? Eccolo, nasce: con l'ultima spinta la madre lo caccia dal proprio corpo, come si toglie uno scarafaggio dal buon cibo.
"Via, devi andare via! Non ti amo, non ti voglio! Hai insozzato il mio corpo, maledetto! Ora che sei nato, devi morire!", grida, ansimando, "Cosa aspetti a sparire? Per nove mesi mi hai costretto a sopportarti!", sputa la dannata, la sudata, riversando sangue dalla conchiglia, ldala generatrice di vita, vomitando veleno dalla bocca. Non è il vagito che apre i polmoni del pargolo, ma la consapevolezza strillata di non essere amato, d'essere un ingombro sporco del sangue di chi l'ha appena creato, una pozza mortale che gli fa da giaciglio. Move le mani fragili ancor lorde a strappar il cordone, sradicandolo dalla sua fonte di vita. Sì, lui, piccolo che ha appena veduto la luce, tinta di odio e di malevolenza.
"Vado, madre! Non mi rivedrete mai più! Vado lontano da voi che mi odiate, a trovare amore altrove, non tra le vostre braccia!", piange la risposta, identica alla domanda, mentre sui piedi di neonato si leva, indirizzandosi a quella donna, delle tue, che tutto mira, senza poter nulla compiere, se non piangere a sua volta, sconvolta da tanto odio. Gli occhi di smeraldo del bimbo, i suoi stessi occhi, sgranati, la incontrano. Estasiati, or colmi d'amore per quella figura che, rimasta in piedi, mostra pietà "Mamma...", avanza sgambettando incerto, il cammino di uno storpio, con le braccia tese, prima di notare quel guizzo, quello sguardo della madre sull'altro figlio, sempre lo stesso eppure cresciuto non si sa come né quando, e rapido si tramuta il sentimento, a rinnovato odio.
"Anche tu! Mi hai tradito...con lui! Nemmeno il tempo di abbandonare il tuo corpo mi hai concesso, che già mi hai dimenticato!", le grida in volto, mirandola dal basso verso l'alto, "Non è forse vero che non ricordi il tuo parto, il dolore e le grida?!", chiede crudele, mentre la madre vergine, colpita dalla verità, non riesce che a scuoter il capo, implorando silente il perdono. E ancora si muovono le gambe del piccolo, dirigendosi lontano, verso due figure. Due punti neri che si avvicinano, dalla nebbia del ricordo, che a loro volta incontrano il passo del bimbo. Un uomo e una donna, l'uno portatore di tenebre, l'altra detentrice di ombre. Tra i due, il piccolo si frena, afferrando le mani di chi considera genitori: suo padre e la sorella d'anima della madre.
"No, no, NO!!!", urla la spettatrice, straziandosi il viso a unghiate, strappandosi i nodi ondosi dei capelli, portando nuove grida e nuovo sangue a quel luogo di sofferenza. Ed i due, una sola voce, una sola espressione certa e beffarda, "Come potrai prenderti cura di lui, se non sei riuscita a prenderti cura di noi?!", chiedono senza pietà alla martoriata, che crolla in ginocchio, schiantandosi col capo sul terreno umido, respirandolo, le unghie a raschiare la polvere di quel posto senza confini. "Io...non potevo fare nulla...Kaede...Axel... NO no no... NO!"

Si ritrova sul letto, i battiti del cuore a riempire il silenzio, ansante, le dita avvinghiate al lenzuolo, avvolta dal buio.

Si guarda attorno.

Ancora buio.

Non ci sono punti di riferimento. Non all'inizio.

Ma poi le iridi mettono a fuoco le luci fioche delle gocce di pioggia che riflettono gli scarsi lumi delle case vicine. Col fiato ancor mozzato, si rende conto d'aver avuto un incubo. Ma perché? Rapida, la destra si muove al ventre, ancor gonfio di gestazione, e ne trae un sospiro di sollievo, socchiudendo gli occhi, calando stancamente le palpebre. Tutto un parto -ironici giochi di parole!- della mente.

Tutto il reale è...normale. Come deve essere.

L'immagine di Kaede, e di Axel, unita a lei in quel rito di crudeltà, la ridestano completamente. Si alza, e come fiume placido move i passi sul pavimento, attraversando la casa, afferrando il mantello. Esce. Accelera il passo.

Non li lascerà soli.

Nessuno di loro.

Mai.
  
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