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Autore: Akemi_Kaires    06/10/2013    9 recensioni
{Ikarishipping; Paul/Lucinda}
«Rispondi sinceramente: volevi davvero vincere questa gara?» la incalzò, proseguendo imperterrito per quella strada. Sembrava non avere alcuna pietà nei suoi confronti, quasi volesse costringerla a confessare la verità mal celata dietro al suo atteggiamento. Non si curava neppure dei sentimenti di chi gli stava davanti.
La giovane digrignò i denti, evitando quello sguardo indagatore che minacciava di mettere a nudo tutte le sue debolezze. Non avrebbe permesso a nessuno, tanto meno a lui, di vanificare tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto fino a quel momento. «Certo! Certo che lo volevo. Per chi mi hai presa?!» replicò in modo intimidatorio, mentre mentalmente pregava che la terra si aprisse sotto i suoi piedi e la portasse via da quel luogo maledetto.
«Lo voleva Lucinda o la figlia di Olga?» insistette ancora Paul, afferrando il mento di Lucinda, per costringerla a voltarsi e guardarlo negli occhi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucinda, Paul
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Image and video hosting by TinyPic Non so dire se l'idea di postare questa storia sia buona o meno

Non so dire se l'idea di postare questa storia sia buona o meno. Per quanto sia soddisfatta del risultato, me ne vergogno un po'. Anzitutto, dovrebbe essere qualcosa di introspettivo sull'Ikari – dico dovrebbe, perché non sono affatto sicura di ciò che è ho scritto o, per meglio dire, non so quale sia il suo genere. Sicuramente è sentimentale (Capitan Ovvio mi protegge sempre) e riguarda la coppia Paul/Lucinda. Fin qui è tutto chiaro, almeno.

Ammetto di non scrivere molto su questi personaggi – anche se la carissima Rozen Kokoro lo vorrebbe -, sebbene sia un'Ikarishipper convinta. Chi avrebbe mai detto che avrei composto qualcosa di così dannatamente lungo? A proposito di quanto ho scritto, le parti in italic (corsivo) riguardano flashback (o, in alcuni casi, pensieri), ossia frammenti di un passato ipotetico che ho creato per le varie situazioni. Ripeto, ipotetico. Insomma, non prendete ciò che ho scritto per vero, perché sono cose che nell'Anime (purtroppo) non accadono seriamente – chiamiamola Licenza Poetica, vah. La stessa cosa vale per Paul, che so benissimo che non è mai arrivato in Finale e non ha mai vinto – peccato. Abbiate pietà, quando scrivo mi prendo un sacco di libertà.

La dedico a Rozen Kokoro, alla mia Cognatuzza, perché se lo merita, perché 186 e perché sì. Detto questo, vi auguro buona lettura e, già che ci sono, vi invito a intasare il mio Ask ( http://ask.fm/Akemi_Kaires ) di domande (le pubblicità fatte bene)! Spero che questa storia sia di vostro gradimento!

 

Dietro la Maschera

 

 

Tutto era ormai pronto per il tanto atteso evento. Finalmente, dopo tante tribolazioni e altrettanti sacrifici, Lucinda si trovava a un passo dal realizzare il suo più grande sogno. Per quanto consapevole di quanto stava per accadere, ancora stentava a credere di essersi qualificata per le finali del Gran Festival.

Sin da quando aveva memoria, aveva dedicato gran parte della sua vita alle Gare, seguendo le orme della sua stimata madre e cercando quasi disperatamente di emularla. Aveva perso il conto di quanto tempo avesse impiegato per giungere fino a quel punto, aveva scordato quanto si fosse sforzata per riuscire a plasmare la sua meravigliosa carriera.

Posò una mano tremante sul suo cuore, che batteva convulsamente nel suo petto. Nel silenzio generale di quel momento carico di tensione, poteva udire alla perfezione i suoi battiti forti e potenti. La Coordinatrice curvò le labbra in un sorriso nervoso, pregando mentalmente che la tensione abbandonasse il suo corpo e di restare lucida per quell'evento a dir poco importante; non poteva permettersi alcuna distrazione, perché non c'era in gioco solo la sua reputazione, ma anche il suo futuro e la sua dignità.

«E così ce l'hai fatta, eh?» una voce conosciuta la richiamò immediatamente all'attenzione, destandola dai suoi oscuri pensieri. «Dopotutto, buon sangue non mente. L'ho sempre detto che sei dotata di grande talento!».

Gli occhi della ragazza presero a luccicare per l'emozione, non appena incrociò lo sguardo del suo amico d'infanzia. Kenny le sorrise con fare affettuoso, per poi poggiare una mano sulla sua piccola spalla. Sin da quando erano bambini, lui era rimasto sempre al suo fianco, specialmente nei momenti in cui lei aveva bisogno di conforto e sostegno morale. Sembrava quasi che avesse l'innata capacità di comparire nei momenti opportuni, quasi rispondesse a un suo richiamo silenzioso.

«Speriamo in bene» rispose la giovane, mentre si mordicchiava il labbro inferiore con evidente nervosismo. Si soffermò a osservare il mega schermo poco distante da loro, dove si stagliava l'immagine della sua prossima rivale. «Si tratta pur sempre di Zoey, che di certo non sarà un'avversaria facile. Si è allenata così tanto, in previsione di questa occasione!».

«Certo, ma tu sei pur sempre la figlia della grande Olga» fu la replica immediata dell'altro. Lucinda voltò leggermente il capo, quel poco che bastava per poter guardare il volto dell'amico e notare come fosse illuminato da un'espressione sicura e gioiosa. «Ormai l'esito di questo Festival è scontato! Devi solamente scendere in campo e fare come hai sempre fatto. Il resto verrà da sé!».

Per quanto le parole del Coordinatore fossero eccessivamente lusinghiere, la ragazza volle crederci. Curvò le labbra in un sorriso entusiasta, per poi rivolgersi ai suoi compagni di squadra, fino ad ora rimasti sempre accanto a lei in attesa delle sue parole di incoraggiamento. Avevano un Festival da vincere, una Coppa da portare a casa e un pubblico da soddisfare: poco importava chi fosse il suo avversario, perché lo avrebbe sconfitto in ogni caso – nulla glielo avrebbe impedito, perché la sua volontà era praticamente invincibile.

Dopotutto, quello era il suo destino e nessuno poteva permettersi di sfatare il mito della figlia di Olga.

«Abbiamo una finale da vincere, ragazzi miei. Mettiamocela tutta!» spronò i suoi Pokémon, per poi avanzare fiera verso il campo di battaglia non appena chiamarono all'appello il suo nome.

Tutta Sinnoh si trovava lì, sugli spalti, in attesa della sua vittoria.

Tutta Sinnoh attendeva l'ascesa di una nuova Coordinatrice.

Tutta Sinnoh voleva vedere Lucinda vincente, esattamente come lo fu Olga anni addietro.

Tutta Sinnoh pretendeva che il miracolo si compisse ancora.

 

Doveva trattarsi di un orribile scherzo del destino, non vi era altra spiegazione – non poteva essere definito altrimenti quel finale dall'esito così inaspettato, ingiusto, sbagliato.

Lucinda si portò le mani tremanti al volto, scoprendolo umido e rigato da lacrime calde, che scorrevano sulla sua pelle candida bollenti e graffianti. Soffocò singhiozzi disperati mordendosi il labbro inferiore con forza, tanto da tagliare la carne sottile e assaporare il sapore metallico del sangue nella sua bocca.

Ancora stentava a credere che quell'incubo fosse vero. Era tutto accaduto improvvisamente, in modo troppo rapido per realizzare che cosa effettivamente fosse successo. Se chiudeva gli occhi e si concentrava, poteva rievocare nella sua mente le immagini nitide di quella battaglia, nonché della brutale fine dei suoi sogni.

Riusciva ancora a scorgere i suoi Pokémon, sconfitti dalla sua spavalderia e della forza di Zoey. Era in grado perfino di ricordare le espressioni smarrite del pubblico, cariche di sorpresa e al contempo di indignazione. E come dimenticare la delusione dipinta negli occhi dei suoi amici e la sofferenza in quelli della sua amata madre? In tutto quel tumulto di pensieri, riecheggiava una sola affermazione, come una nenia ammaliante capace di condurla lentamente alla follia: Che delusione.

Rannicchiata in un angolo del suo camerino privato, la Coordinatrice riprese a piangere sommessamente. Le risultava impossibile mettere a tacere il dolore lancinante che albergava nel suo cuore e sopire quell'agonia che la stava consumando dall'interno, fino ad ucciderla con strazio. Aveva allontanato tutti, perfino Olga, pur di rimanere da sola nella sua profonda umiliazione.

Eppure – poteva giurarci – in quel momento percepiva la presenza di qualcuno alle sue spalle. Nonostante ciò, non si voltò neppure per degnarlo di una sola occhiata: quel visitatore irrispettoso non si meritava neppure di essere guardato, non dopo che lei aveva espresso a chiare lettere il desiderio di non essere disturbata da nessuno.

«Chiunque tu sia, vattene immediatamente» mormorò soltanto, per poi additare la porta d'uscita con l'indice, ordinando allo sconosciuto di obbedirle. «Devi lasciarmi in pace, come stanno facendo tutti gli altri».

«È inutile che tu faccia così, ragazzina patetica».

Sebbene desiderasse stare da sola, sapeva che qualcuno prima o poi avrebbe ignorato la sua richiesta, irrompendo nella stanza per parlare con lei di quanto era accaduto. Tuttavia, tra tutte le persone che avrebbero potuto compiere un gesto simile, mai avrebbe pensato che Paul Shinji si sarebbe interessato a lei – la sua sola presenza al Gran Festival era già di per sé qualcosa di miracoloso, per non parlare di questa inaspettata entrata in scena.

«Non è piangendo che cambierai l'esito della gara» proseguì l'Allenatore, ancor prima che la ragazza potesse protestare per quell'intrusione poco gradita. Si limitò a ignorare la sua espressione furibonda, le sue lacrime e il suo volto rosso di rabbia, per poi scoccarle un'occhiata di puro rimprovero. «Ormai hai perso. Non c'è più nulla che tu possa fare».

Con quale coraggio lui si era presentato al suo cospetto? Ma soprattutto, come osava dirle quelle cose? Non si conoscevano abbastanza per potersi prendere il diritto di muoverle una critica così profonda; ancor meno, non poteva pretendere che lei sottostasse ai suoi ordini, dandogli retta e appoggiando la sua affermazione.

«Ti ringrazio per il pensiero, Paul, ma avrei gradito di più qualcosa come “Pazienza, hai dato il massimo” oppure “Meritavi tu la vittoria, Lucinda”» fu difatti la risposta contrariata della Coordinatrice, visibilmente stizzita da quella mancanza di rispetto nei suoi confronti.

L'aspirante Campione curvò le labbra in un sorrisetto beffardo, inarcando un sopracciglio con visibile stupore. La squadrò da capo a piedi con relativa sufficienza, come se di fronte a sé avesse un vero e proprio fenomeno da baraccone, un essere patetico indegno della sua attenzione. Lo faceva ridere, Lucinda, con la sua ingenuità e quel suo improvviso moto di arroganza e orgoglio.

«Cambierebbe qualcosa, se te lo dicessi? Ti renderebbe più potente, ti farebbe diventare la vincitrice del Gran Festival?» domandò con scherno, prendendosi chiaramente gioco dei suoi sentimenti.

«Si vede che non hai proprio un briciolo di tatto» commentò in modo altrettanto pungente la giovane, decisa a prendersi una rivincita morale. Nessuno poteva rivolgersi a lei così, tanto meno un ragazzotto borioso come lui. «Pensi che, se tu fossi al posto mio, ti direi queste cose?».

A pensarci bene, Lucinda non sapeva proprio dire che cosa avrebbe fatto in una simile situazione. Forse si sarebbe limitata a un rispettoso silenzio, chinando il capo e abbandonano un luogo così carico di tensione e delusione; o forse, data la sua indole, lo avrebbe rassicurato anche con la sola presenza – ignorando le possibili proteste di Paul e i suoi tentativo di scacciarla.

Eppure, in quel momento, non riusciva a riflettere lucidamente su quella questione. La necessità di dimostrarsi superiore a quell'insolente era grande, così come quella di dare di nuovo lustro e valore alla sua persona. Non doveva lasciarsi abbattere dalle parole di quell'insensibile, nossignore: ne andava della sua dignità.

«Se ci fossi io, al tuo posto, di certo non piangerei come un bambino viziato» replicò lui con aria da superiore, criticando il comportamento a detta sua infantile della Coordinatrice.

«Giusto, non lo faresti» sibilò inaspettatamente la ragazza, cogliendo alla sprovvista l'Allenatore, che non poté fare a meno di mostrarsi sconcertato di fronte a quella reazione. «Scapperesti con la coda tra le gambe. A differenza mia, tu non vuoi affatto mostrarti per quello che sei veramente, ossia una persona sensibile alle delusioni».

Non appena finì di pronunciare quella frase, Lucinda si pentì immediatamente di quanto detto. Sicuramente l'aspirante Campione non sarebbe rimasto indifferente di fronte a quelle parole – e ne avrebbe anche avuto ragione, dato il tono offensivo e brutale con cui erano state pronunciate. Presa com'era dagli oscuri pensieri dovuti alla delusione, non aveva pensato minimamente ai sentimenti e all'orgoglio del giovane.

Tuttavia, si mostrò sinceramente stupita, non appena lo vide curvare le labbra in un sorrisetto sornione. Per quale motivo, a dispetto delle sue aspettative, non era rimasto minimamente toccato da quel giudizio pungente? Perché la stava guardando come se avesse pietà di lei?

«Ma guarda da che pulpito viene la predica...» mormorò poi, riassumendo compostezza e scoccandole uno sguardo tagliente. «Tu credi davvero di mostrarti per quella che sei veramente?».

Punta nel vivo, la Coordinatrice esibì un'espressione di pura rabbia. Chi era per lui per muoverle una simile critica? Non la conosceva neppure così tanto bene come diceva invece di fare. Si erano parlati sì e no un paio di volte: come osava accusarla di una cosa simile?

«Che cosa diavolo stai insinuando, ora?!».

In genere tale supposizione non l'avrebbe toccata in alcun modo. Dopotutto, pareva trattarsi di un rimprovero infondato, di una valutazione fatta senza uno straccio di prove che la argomentassero a dovere. Nonostante ciò, nel profondo del suo cuore, la ragazza era consapevole che colui che aveva di fronte a sé aveva colto nel segno.

Per quanto detestasse ammetterlo, era riuscito a notare quella piccola crepa che rovinava la perfezione della maschera che indossava. Aveva scorto quell'imperfezione, senza rimanere ammaliato dalla cura con la quale lei aveva plasmato quella sua facciata armoniosa e apparentemente pura. A differenza di tutti gli altri, lui aveva udito il suo appello silenzioso e disperato – cosa che non era riuscita a fare neppure sua madre, tanto conosciuta per la sua innata sensibilità.

Tra tutte le persone, proprio lui. Faticò quasi ad accettarlo.

«Rispondi sinceramente: volevi davvero vincere questa gara?» la incalzò, proseguendo imperterrito per quella strada. Sembrava non avere alcuna pietà nei suoi confronti, quasi volesse costringerla a confessare la verità mal celata dietro al suo atteggiamento. Non si curava neppure dei sentimenti di chi gli stava davanti.

La giovane digrignò i denti, evitando quello sguardo indagatore che minacciava di mettere a nudo tutte le sue debolezze. Non avrebbe permesso a nessuno, tanto meno a lui, di vanificare tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto fino a quel momento. «Certo! Certo che lo volevo. Per chi mi hai presa?!» replicò in modo intimidatorio, mentre mentalmente pregava che la terra si aprisse sotto i suoi piedi e la portasse via da quel luogo maledetto.

«Lo voleva Lucinda o la figlia di Olga?» insistette ancora Paul, afferrando il mento di Lucinda, per costringerla a voltarsi e guardarlo negli occhi.

In quell'istante critico, il suo istinto le consigliava caldamente di ribellarsi a quella presa e di fuggire a gambe levate. Doveva assolutamente scappare prima che fosse troppo tardi, trovare un luogo dove potesse stare da sola con se stessa e riparare al più presto quella maschera che minacciava di sbriciolarsi da un momento all'altro.

Per anni non aveva fatto altro che mostrarsi alla gente come una ragazza spensierata e gentile, dall'animo buono e nobile. Assecondando i voleri altrui, si era fatta conoscere come Lucinda, la grande figlia di Olga, colei che avrebbe nuovamente dato lustro al nome della sua famiglia. Tutti avevano creduto seriamente che lei gareggiasse per passione personale, che mettesse il cuore in ciò che faceva; forse era per via di questa visione sbagliata delle cose che consideravano particolari le sue esibizioni.

Se solo avessero prestato più attenzione al suo atteggiamento, alle sue parole e alle sue movenze, avrebbero compreso che cosa davvero animasse la Coordinatrice, che cosa la spingesse a vincere tutti quei Fiocchi e a trovare un modo per stupire quel pubblico capriccioso – o forse nessuno lo avrebbe volutamente notato, perché in realtà ciò che volevano è che Lucinda fosse come sua madre, quella donna che aveva stupito tutta Sinnoh con la sua bravura.

Soddisfare quelle aspettative e adempire a questo ruolo era l'unico modo per sopravvivere a una simile pressione da parte di quel popolo ingordo.

«Ti sei mai chiesta che impressione dai alle persone, quando gareggi?» domandò l'Allenatore, i suoi occhi viola puntati nei suoi. «Ti sei mai chiesta che cosa vedono loro, dagli spalti?».

«Sì che me lo sono chiesto. E so perfettamente che loro amano vedermi all'opera, che loro pensano che abbia davvero talento!» mentì a se stessa, nel disperato tentativo di proteggere ancora ciò che era rimasto della sua dignità – se poteva dire di averne mai posseduta una. «Per questo che si aspettavano una vittoria da parte mia. E io li ho delusi. Ash, Brock, Kenny, mia madre... tutti! Dal primo all'ultimo!».

La crepa si sta allargando. Devo ripararla immediatamente!

«Le tue esibizioni non comunicano nulla di nulla, perché non sono propriamente tue. Sai perché tutti le amano?» proseguì imperterrito, ignorando l'evidente agitazione della persona con cui stava parlando. «Perché ricordano quelle di Olga, la grande coordinatrice che aveva conquistato il cuore dell'intera regione di Sinnoh».

Se Lucinda era ricordata da tutta la Regione come figlia di Olga, un motivo c'era. Lei per prima era consapevole di quanto le sue esibizioni fossero ricordo di quelle della sua genitrice e mentore, di come fossero ispirate alle sue e di come ne fossero l'emulazione. Sotto un certo aspetto, la Coordinatrice pretendeva proprio che fossero così simili alle sue, come per mantener fede all'immagine che tutti si erano fatti di lei.

Eppure, per quanto fossero corrette e identiche a quelle della madre, non sortivano lo stesso effetto. Paul per primo aveva scorto questa sottile ma vitale differenza, che distingueva la giovane dalla donna – differenza che lei aveva cercato più volte di nascondere, servendosi della sua maschera di entusiasmo e di gioia.

Che cosa sarebbe accaduto, ora che qualcuno si era finalmente accorto di quanto fossero vuoti tutti i suoi spettacoli?

«Sai perché tutti si aspettavano che tu vincessi? Perché Olga lo ha fatto. Tutti si aspettavano uno spettacolo meraviglioso, capace di lasciarli a bocca aperta» sibilò l'aspirante Campione, con parole che parevano lame taglienti, che non facevano altro che ferire mortalmente l'animo provato della sua vittima. «Eppure tu non ce l'hai fatta, non hai soddisfatto le loro aspettative. E sai perché, ragazzina patetica?».

Perché io non sono lei.

«Perché tu non sei Olga e tu per prima ne sei consapevole» esalò infine lui, esprimendo ad alta voce ciò che la ragazza stessa aveva pensato.

La mia maschera sta cadendo a pezzi.

Aveva ragione, per quanto non volesse ammetterlo. Nonostante fosse la copia perfetta della grande Olga, non sarebbe mai stata come lei. Lucinda era come uno specchio per allodole per il pubblico, per quelle persone che valutavano le Gare solo per ciò che potevano guardare con i propri occhi, non per il lavoro svolto dal Coordinatore; ma non avrebbe mai ingannato chi, come Paul, preferiva puntare il proprio sguardo sull'autore delle meraviglie, su chi combatteva per ottenere Fiocchi e Coppe.

Sebbene fosse in grado di riprodurre fedelmente le mosse della sua mentore, non sarebbe mai stata come lei: in quei gesti e nelle sue movenze mancava la passione che il suo mito impiegava in ciò che faceva – la stessa passione che ammaliava gli spettatori, stupendoli ogni volta come se fosse la prima, che la giovane non poteva copiare in alcun modo.

«Se hai perso, è stato solamente per colpa tua, perché hai dimenticato qual è il vero spirito delle gare. Non è cercando di soddisfare le aspettative altrui, indossando una maschera finta, che renderai la strada di fronte a te pianeggiante» mormorò infine, per poi lasciare il mento di Lucinda, senza però interrompere il loro contatto visivo. «Anzi, il più delle volte è tutta in salita. Se hai perso, è perché qualcuno ha dimostrato davanti a tutti che la Lucinda che tutti conoscono è diversa dall'idea di Lucinda che loro hanno. Zoey lo ha fatto. Zoey ha scoperto il tuo punto debole e ti ha ferita profondamente».

E tu hai strappato dal mio volto la maschera che indossavo.

La giovane non seppe come replicare. Si limitò semplicemente a sostenere lo sguardo del suo interlocutore, quasi incantata dalle sue parole e dal tono con cui le stava pronunciando. C'era una certa sensibilità in quelle affermazioni, quasi come se lui stesso avesse vissuto sulla sua pelle quanto stava raccontando – come se potesse comprendere alla perfezione la situazione di chi gli stava di fronte, sebbene la conoscesse poco o niente.

Come diavolo aveva fatto a mettere a nudo le sue debolezze? Come era riuscito a scoprire la verità celata dietro la sua maschera? Per quanto cercasse di dare risposta alle sue domande, la ragazza non vi riuscì.

«Non è vivendo nell'ombra di qualcuno che si ottiene il successo» disse poi, iniziando ad avviarsi lentamente verso l'uscita della stanza. Le sue labbra si curvarono un sorriso beffardo ma – la Coordinatrice poteva giurare che fosse così – al contempo triste. «Anzi, il più delle volte finiamo col scordarci chi siamo realmente o col non accettarci».

«Parli come se ne sapessi qualcosa» esclamò Lucinda, trovando finalmente la forza di dar voce ai suoi pensieri. Non si trattava solamente di una sua sensazione: lui era perfettamente consapevole di quanto stava dicendo, come se avesse fatto esperienza di quanto lei stava provando in quel momento di disperazione.

L'aspirante Campione indugiò un attimo, prima di poggiare un mano sulla maniglia della porta. Voltò leggermente il capo verso di lei, quel poco che gli bastava per poter scorgere la sua figura fragile con la coda dell'occhio. «Le persone che agiscono così sono davvero patetiche. Sono deboli, non sanno reggersi sulle proprie gambe, hanno paura di loro stessi» sibilò tra i denti, soffocando una particolare rabbia repressa, per poi scuotere il capo e tornare a fissare un punto morto di fronte a sé. «Ma che te lo dico a fare, ragazzina? Tanto non lo puoi capire. È troppo tardi».

Non le concesse neppure il tempo di replicare a quell'ultima, vacillante, provocazione. Paul si congedò, silenzioso e misterioso com'era venuto, lasciando nuovamente la giovane sola con i suoi pensieri e i suoi sensi di colpa.

Eppure, per quanto la priorità del momento fosse riparare la maschera che l'altro aveva brutalmente distrutto, non poté fare a meno di riflettere sulle sue ultime parole.

Chi stai rimproverando ora, Paul? Stai dicendo che è troppo tardi per me...

...O per te?

 

«Perché non provi a essere un po' più gentile, Paul? Se continui a comportarti così, non vincerai mai alla Lega di Sinnoh».

Paul si voltò di scatto, incrociando così lo sguardo ammonitore di Camilla. Per quanto cercasse di restare composto di fronte a una simile affermazione, non poté fare a meno di esibire un'espressione stupita e sconcertata. Una dei suoi modelli, che aveva sempre stimato per le sue capacità combattive, gli aveva appena mosso una pesante critica.

«Non sto criticando la tua forza. Si vede che sei molto portato per i duelli e le battaglie» aggiunse poi la veterana, curvando le labbra in un mesto sorriso. Sembrava quasi che avesse pietà nei confronti di quel ragazzo, in quel momento decisamente punto nel vivo da tali parole. «Però non sei affatto come tuo fratello, per quanto sia abile come lui con i Pokémon. Insomma, ti manca qualcosa, quel qualcosa che ti impedisce di diventare un vero Campione».

 

Più volte Paul si era soffermato a pensare a cosa effettivamente lo differenziasse da suo fratello. Da quando Camilla aveva criticato il suo modo di agire e pensare, più volte aveva dubitato delle sue capacità e aveva altrettanto immaginato il suo futuro di Campione come lontano e irraggiungibile.

Prima di quel momento, aveva ricevuto tante altri giudizi di quel genere. Eppure, non vi aveva mai dato così tanto peso – forse perché considerava patetiche tutte quelle persone, a detta sua invidiose, che avevano osato rivolgersi a lui in quel modo.

Inconsciamente, aveva perfino cercato di emulare Reggie – anche se non l'avrebbe mai ammesso -, ovviamente senza riuscirvi. Nonostante si sforzasse di comprendere che cosa avesse in più di lui, non era in grado di cambiare l'opinione che la gente aveva di lui.

Detestava essere riconosciuto non tanto per le sue doti di Allenatore, quanto per il legame di parentela con quello che era uno stimato allevatore di Pokémon; perché non c'era niente di più seccante di essere paragonato a lui, sempre e costantemente comparato a quella figura invincibile e tanto stimata.

Forse era per questo che era completamente diverso da lui. Magari era proprio perché non voleva essere confrontato all'altro, che aveva assunto un atteggiamento freddo e scontroso. Doveva essere per forza così.

Tuttavia, proprio grazie a questo comportamento detestabile e presuntuoso, a dispetto delle opinioni altrui, si trovava a un passo dal suo traguardo. A breve le finali del Torneo avrebbero avuto inizio e solo uno dei due sfidanti ne sarebbe uscito vincitore, ottenendo così il titolo di Campione.

Per quanto fosse sicuro di sé e delle sue capacità, non riuscì a sopire il suo nervosismo. Osservò le sue mani tremare, in quel momento vittime della tensione, e si maledì mentalmente per quell'improvvisa perdita di compostezza. Doveva ritrovare assolutamente lucidità, altrimenti non avrebbe coronato il suo più grande sogno – e non si sarebbe preso una rivincita contro chi aveva avuto da ridire sul suo modo di allenare i Pokémon, sulla sua persona e sulle sue abilità.

«E così è arrivato il grande giorno anche per te!».

Paul si voltò di scatto, non appena quella voce squillante e allegra lo richiamò all'attenzione. Chi mai aveva deciso di disturbarlo in quel momento importante, di interrompere la sua meditazione? Chi aveva avuto il coraggio di mettere piede nella stanza riservata a lui, proprio prima di quello scontro decisivo?

Il ragazzo non poté fare a meno di esibire un'espressione stupita e al contempo seccata, non appena l'immagine di Lucinda popolò il suo campo visivo. Tra tutte le persone che avrebbero potuto fargli visita, perché proprio quella Coordinatrice infantile? Proprio non sapeva spiegarselo.

«Ah, sei tu, ragazzina patetica. Chi ti ha dato il permesso di venire qui?» esclamò infatti, mostrandosi seccato per la sua inaspettata intrusione.

«Pensavo che ti avrebbe fatto piacere vedere una faccia amica, prima di questo incontro» si giustificò la giovane, per poi curvare le labbra in un sorriso radioso. Sembrava quasi felice di trovarsi in quel posto e di poter parlare con lui, inspiegabilmente.

«In realtà, mi stai solo disturbando. Starei cercando di concentrarmi».

La giovane non ribatté in alcun modo, come se avesse deciso di rispettare il suo volere. Un silenzio imbarazzante calò sovrano su di loro, che non fece altro che irritare ulteriormente l'Allenatore. Tuttavia, decise di non commentare in alcun modo, fingendo di ignorare la presenza dell'altra poco distante da lui.

Chiuse gli occhi e tornò a concentrarsi, cercando pace e serenità nelle tenebre amiche, mentre la sua mente elaborava strategie per battere il suo nemico. Non doveva coglierlo impreparato, non poteva assolutamente perdere contro quel patetico ragazzino. Doveva mostrarsi invincibile e pronto e tutto, quasi come se capace di leggere la sua mente e di precedere ogni sua mossa.

«Sono sicura che riuscirai a vincere, Paul. Per quanto sia amica di Ash, penso che tu saresti molto più adatto al ruolo di Campione» mormorò improvvisamente Lucinda, spezzando quella quiete sacra con la sua confessione sincera. Le sue guance si imporporarono leggermente di rosso, non appena terminò di pronunciare quelle frasi, e chinò il capo imbarazzata.

«Finalmente hai capito che sono migliore rispetto a quel tuo amico» ribatté lui, incrociando le braccia al petto e sfoderando un ghigno beffardo. Eppure, per quanto si mostrasse sicuro di sé e fin troppo spavaldo, dovette ammettere che non gli dispiaceva affatto sentirsi dire quelle cose da lei – anche se non l'avrebbe mai detto ad alta voce, perché ne andava della sua immagine e della sua dignità.

La Coordinatrice alzò lo sguardo al cielo e finse di non aver udito quell'affermazione arrogante. L'aspirante Campione non sarebbe mai cambiato, neppure in un simile momento pregno di tensione e di agitazione. «Non è una questione di bravura o meno. È una questione di volere. E tu desideri davvero vincere, no?» domandò successivamente, senza smettere di sorridere.

«È ovvio. Altrimenti non avrei neppure iniziato questo viaggio».

A differenza di quanto facevano gli altri ragazzi della sua età, ossia partire per intraprendere un'avventura per puro divertimento, sin dall'inizio Paul sapeva quale fosse il traguardo del suo viaggio. Aveva iniziato la sua carriera di Allenatore per concluderla in bellezza, diventando il Campione di Sinnoh. Il suo destino era vincere e nessuno lo avrebbe ostacolato nel suo cammino, di questo ne era particolarmente convinto.

Non aveva deciso di percorrere quella strada animato dall'amore per i Pokémon, non lo aveva fatto perché desideroso di vivere un'esperienza entusiasmante. No, lui lo aveva fatto solo per riscatto personale, per necessità.

Nulla avrebbe interrotto il suo cammino glorioso.

«Non è solo per quello. Tu vuoi vincere anche per riscatto personale» esclamò la giovane, cogliendo l'altro alla sprovvista e costringendolo ad esibire un'espressione incredula. Quasi non poteva udire a ciò che le sue orecchie udivano. «Vuoi dimostrare di essere bravo, pur non essendo come Reggie, no?».

Stentava a credere alle parole di quella patetica ragazza. Come diavolo aveva fatto a scoprirlo, a capire quale fosse davvero lo scopo di tutta questa sua farsa? Che cosa mai poteva capire una come lei di quali sentimenti alimentavano la sua sete di vittoria?

Non poteva davvero aver intuito quale fosse il suo intento. Tuttavia, si stava pur sempre parlando di Lucinda, colei che non aveva fatto altro che fingere di essere un'altra persona per numerosi anni. Che anche lei fosse in grado di comprendere il suo segreto?

Impossibile.

«Sai, ho capito molto dal nostro ultimo incontro e, per quanto non mi piaccia dirlo, ti voglio ringraziare» proseguì poi lei, per poi ridacchiare con voce armoniosa e cristallina. «So che hai la stoffa del Campione. Per quanto tu sia scorbutico, maleducato e scontroso...».

«Come ti permetti?!» la interruppe Paul, alzandosi di scatto dalla sedia e scoccandole un'occhiata intimidatoria.

«Sai che cosa significa allenare i Pokémon ed essere un vero Allenatore. E forse lo sai perfino meglio di tuo fratello» concluse Lucinda, ignorando volutamente la brusca reazione dell'altro. Un'espressione affettuosa si dipinse sul suo viso, in quel momento privo di ogni maschera. Per la prima volta, l'aspirante Campione poté godere del suo genuino entusiasmo, quasi contagioso. «Per questo devi vincere, Paul. Per te stesso, per questa Sinnoh che ha bisogno di un Campione come te».

Non mentiva affatto, glielo leggeva negli occhi. Non lo stava affatto lusingando, né lo stava raggirando con frasi fatte. Per qualche inspiegabile motivo, aveva compreso ciò che gli altri non avevano neppure notato – o peggio, che avevano frainteso -, riuscendo perfino a togliere dal volto del giovane quella sua maschera di forzata austerità e di spavalderia.

A differenza di tutte le altre persone che lo conoscevano, lei aveva apprezzato ogni parte di lui, riuscendo a trovare una giustificazione al suo atteggiamento. Non era rimasta scioccata di fronte alla sua sete di riscatto, né lo aveva considerato folle.

Forse perché lei, meglio di chiunque altro, sapeva benissimo che cosa significasse vivere nell'ombra di qualcuno.

«Che c'è, stai cercando di conquistarmi con queste belle frasi fatte?» la schernì l'Allenatore, smorzando quell'aura misteriosa che era calata improvvisamente tra loro. Sfoderò un ghigno beffardo, non appena vide il volto della Coordinatrice diventare paonazzo per la rabbia.

« Tutto tempo sprecato, con te! E dire che cercavo di essere gentile» sbottò la ragazza, alzando le braccia al cielo e voltandosi di scatto, per poi avviarsi con passo deciso verso l'uscita della stanza.

Se solo fosse rimasta a osservare il volto del giovane un secondo di più, avrebbe visto un sorriso di gratitudine dipingervisi sopra. Paul non riuscì a trattenersi dal ridere sottovoce, di fronte a una simile reazione da parte della sua interlocutrice. «Ehi, Lucinda» la richiamò poi, prima che questa potesse varcare la soglia della porta e andarsene.

«Che c'è, ora?» rispose la Coordinatrice in questione, mostrandosi stupita e alterata al contempo. Gli teneva ancora il broncio, espressiva e emotiva come sempre.

Grazie, avrebbe voluto dirle in quel momento. Eppure, ciò che uscì dalle sue labbra fu: «Preparati ad assistere alla più bella lotta di sempre».

Il viso di Lucinda si rasserenò, non appena incrociò lo sguardo calmo e pacifico del futuro Campione. «Ci conto» mormorò, facendogli l'occhiolino.

Privi di ogni maschera, si scambiarono un sorriso d'intesa, contenti di essersi finalmente ritrovati dopo tanto tempo.

  
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