Non so dire se l'idea di postare
questa storia sia buona o meno. Per quanto sia soddisfatta del risultato, me ne
vergogno un
po'. Anzitutto, dovrebbe essere qualcosa di introspettivo sull'Ikari – dico dovrebbe,
perché non sono affatto sicura di ciò che è ho scritto o,
per meglio dire, non so quale sia il suo genere. Sicuramente è sentimentale (Capitan Ovvio mi protegge sempre)
e riguarda la coppia Paul/Lucinda. Fin qui è tutto chiaro, almeno.
Ammetto di non scrivere molto su
questi personaggi – anche se la carissima Rozen Kokoro lo vorrebbe -, sebbene sia
un'Ikarishipper convinta. Chi avrebbe mai detto che avrei composto qualcosa di
così dannatamente lungo? A proposito di quanto ho scritto, le parti in italic (corsivo) riguardano flashback (o, in alcuni casi, pensieri),
ossia frammenti di un passato ipotetico che ho creato per le varie situazioni.
Ripeto, ipotetico. Insomma, non prendete ciò che ho scritto per
vero, perché sono cose che nell'Anime (purtroppo) non accadono seriamente –
chiamiamola Licenza Poetica, vah. La stessa cosa vale per Paul, che so benissimo che
non è mai arrivato in Finale e non ha mai vinto – peccato. Abbiate pietà, quando
scrivo mi prendo un sacco di libertà.
La dedico a Rozen Kokoro, alla mia Cognatuzza,
perché se lo merita, perché 186 e perché sì. Detto
questo, vi auguro buona lettura e, già che ci sono, vi invito a intasare
il mio Ask ( http://ask.fm/Akemi_Kaires ) di domande (le pubblicità fatte bene)! Spero che questa
storia sia di vostro gradimento!
Dietro la Maschera
Tutto era
ormai pronto per il tanto atteso evento. Finalmente, dopo tante tribolazioni e
altrettanti sacrifici, Lucinda si trovava a un passo dal realizzare il suo
più grande sogno. Per quanto consapevole di quanto stava per accadere,
ancora stentava a credere di essersi qualificata per le finali del Gran
Festival.
Sin da quando aveva memoria,
aveva dedicato gran parte della sua vita alle Gare, seguendo le orme della sua
stimata madre e cercando quasi disperatamente di emularla. Aveva perso il conto
di quanto tempo avesse impiegato per giungere fino a quel punto, aveva scordato
quanto si fosse sforzata per riuscire a plasmare la sua meravigliosa carriera.
Posò
una mano tremante sul suo cuore, che batteva convulsamente nel suo petto. Nel
silenzio generale di quel momento carico di tensione, poteva udire alla
perfezione i suoi battiti forti e potenti. La Coordinatrice curvò le
labbra in un sorriso nervoso, pregando mentalmente che la tensione abbandonasse
il suo corpo e di restare lucida per quell'evento a dir poco importante; non
poteva permettersi alcuna distrazione, perché non c'era in gioco solo la
sua reputazione, ma anche il suo futuro e la sua dignità.
«E
così ce l'hai fatta, eh?» una voce conosciuta la richiamò
immediatamente all'attenzione, destandola dai suoi oscuri pensieri.
«Dopotutto, buon sangue non mente. L'ho sempre detto che sei dotata di
grande talento!».
Gli occhi
della ragazza presero a luccicare per l'emozione, non appena incrociò lo
sguardo del suo amico d'infanzia. Kenny le sorrise con fare affettuoso, per poi
poggiare una mano sulla sua piccola spalla. Sin da quando erano bambini, lui
era rimasto sempre al suo fianco, specialmente nei momenti in cui lei aveva
bisogno di conforto e sostegno morale. Sembrava quasi che avesse l'innata
capacità di comparire nei momenti opportuni, quasi rispondesse a un suo
richiamo silenzioso.
«Speriamo
in bene» rispose la giovane, mentre si mordicchiava il labbro inferiore
con evidente nervosismo. Si soffermò a osservare il mega schermo poco
distante da loro, dove si stagliava l'immagine della sua prossima rivale.
«Si tratta pur sempre di Zoey, che di certo non sarà un'avversaria
facile. Si è allenata così tanto, in previsione di questa
occasione!».
«Certo,
ma tu sei pur sempre la figlia della grande Olga» fu la replica immediata
dell'altro. Lucinda voltò leggermente il capo, quel poco che bastava per
poter guardare il volto dell'amico e notare come fosse illuminato da
un'espressione sicura e gioiosa. «Ormai l'esito di questo Festival
è scontato! Devi solamente scendere in campo e fare come hai sempre
fatto. Il resto verrà da sé!».
Per quanto le
parole del Coordinatore fossero eccessivamente lusinghiere, la ragazza volle
crederci. Curvò le labbra in un sorriso entusiasta, per poi rivolgersi
ai suoi compagni di squadra, fino ad ora rimasti sempre accanto a lei in attesa
delle sue parole di incoraggiamento. Avevano un Festival da vincere, una Coppa
da portare a casa e un pubblico da soddisfare: poco importava chi fosse il suo
avversario, perché lo avrebbe sconfitto in ogni caso – nulla
glielo avrebbe impedito, perché la sua volontà era praticamente
invincibile.
Dopotutto,
quello era il suo destino e nessuno poteva permettersi di sfatare il mito della
figlia di Olga.
«Abbiamo
una finale da vincere, ragazzi miei. Mettiamocela tutta!» spronò i
suoi Pokémon, per poi avanzare fiera verso il campo di battaglia non
appena chiamarono all'appello il suo nome.
Tutta Sinnoh
si trovava lì, sugli spalti, in attesa della sua vittoria.
Tutta Sinnoh
attendeva l'ascesa di una nuova Coordinatrice.
Tutta Sinnoh
voleva vedere Lucinda vincente, esattamente come lo fu Olga anni addietro.
Tutta Sinnoh
pretendeva che il miracolo si compisse ancora.
Doveva trattarsi
di un orribile scherzo del destino, non vi era altra spiegazione – non
poteva essere definito altrimenti quel finale dall'esito così
inaspettato, ingiusto, sbagliato.
Lucinda si
portò le mani tremanti al volto, scoprendolo umido e rigato da lacrime
calde, che scorrevano sulla sua pelle candida bollenti e graffianti.
Soffocò singhiozzi disperati mordendosi il labbro inferiore con forza,
tanto da tagliare la carne sottile e assaporare il sapore metallico del sangue
nella sua bocca.
Ancora stentava
a credere che quell'incubo fosse vero. Era tutto accaduto improvvisamente, in
modo troppo rapido per realizzare che cosa effettivamente fosse successo. Se
chiudeva gli occhi e si concentrava, poteva rievocare nella sua mente le
immagini nitide di quella battaglia, nonché della brutale fine dei suoi
sogni.
Riusciva ancora
a scorgere i suoi Pokémon, sconfitti dalla sua spavalderia e della forza
di Zoey. Era in grado perfino di ricordare le espressioni smarrite del
pubblico, cariche di sorpresa e al contempo di indignazione. E come dimenticare
la delusione dipinta negli occhi dei suoi amici e la sofferenza in quelli della
sua amata madre? In tutto quel tumulto di pensieri, riecheggiava una sola
affermazione, come una nenia ammaliante capace di condurla lentamente alla
follia: Che delusione.
Rannicchiata in
un angolo del suo camerino privato, la Coordinatrice riprese a piangere
sommessamente. Le risultava impossibile mettere a tacere il dolore lancinante
che albergava nel suo cuore e sopire quell'agonia che la stava consumando
dall'interno, fino ad ucciderla con strazio. Aveva allontanato tutti, perfino
Olga, pur di rimanere da sola nella sua profonda umiliazione.
Eppure –
poteva giurarci – in quel momento percepiva la presenza di qualcuno alle
sue spalle. Nonostante ciò, non si voltò neppure per degnarlo di
una sola occhiata: quel visitatore irrispettoso non si meritava neppure di
essere guardato, non dopo che lei aveva espresso a chiare lettere il desiderio
di non essere disturbata da nessuno.
«Chiunque
tu sia, vattene immediatamente» mormorò soltanto, per poi additare
la porta d'uscita con l'indice, ordinando allo sconosciuto di obbedirle.
«Devi lasciarmi in pace, come stanno facendo tutti gli altri».
«È
inutile che tu faccia così, ragazzina patetica».
Sebbene
desiderasse stare da sola, sapeva che qualcuno prima o poi avrebbe ignorato la
sua richiesta, irrompendo nella stanza per parlare con lei di quanto era
accaduto. Tuttavia, tra tutte le persone che avrebbero potuto compiere un gesto
simile, mai avrebbe pensato che Paul Shinji si sarebbe interessato a lei
– la sua sola presenza al Gran Festival era già di per sé
qualcosa di miracoloso, per non parlare di questa inaspettata entrata in scena.
«Non
è piangendo che cambierai l'esito della gara» proseguì
l'Allenatore, ancor prima che la ragazza potesse protestare per
quell'intrusione poco gradita. Si limitò a ignorare la sua espressione
furibonda, le sue lacrime e il suo volto rosso di rabbia, per poi scoccarle
un'occhiata di puro rimprovero. «Ormai hai perso. Non c'è
più nulla che tu possa fare».
Con quale
coraggio lui si era presentato al suo cospetto? Ma soprattutto, come osava
dirle quelle cose? Non si conoscevano abbastanza per potersi prendere il
diritto di muoverle una critica così profonda; ancor meno, non poteva
pretendere che lei sottostasse ai suoi ordini, dandogli retta e appoggiando la
sua affermazione.
«Ti
ringrazio per il pensiero, Paul, ma avrei gradito di più qualcosa come “Pazienza,
hai dato il massimo”
oppure “Meritavi tu la vittoria, Lucinda”» fu difatti la risposta contrariata della
Coordinatrice, visibilmente stizzita da quella mancanza di rispetto nei suoi
confronti.
L'aspirante
Campione curvò le labbra in un sorrisetto beffardo, inarcando un
sopracciglio con visibile stupore. La squadrò da capo a piedi con
relativa sufficienza, come se di fronte a sé avesse un vero e proprio
fenomeno da baraccone, un essere patetico indegno della sua attenzione. Lo faceva
ridere, Lucinda, con la sua ingenuità e quel suo improvviso moto di
arroganza e orgoglio.
«Cambierebbe
qualcosa, se te lo dicessi? Ti renderebbe più potente, ti farebbe
diventare la vincitrice del Gran Festival?» domandò con scherno,
prendendosi chiaramente gioco dei suoi sentimenti.
«Si vede
che non hai proprio un briciolo di tatto» commentò in modo
altrettanto pungente la giovane, decisa a prendersi una rivincita morale.
Nessuno poteva rivolgersi a lei così, tanto meno un ragazzotto borioso
come lui. «Pensi che, se tu fossi al posto mio, ti direi queste
cose?».
A pensarci bene,
Lucinda non sapeva proprio dire che cosa avrebbe fatto in una simile
situazione. Forse si sarebbe limitata a un rispettoso silenzio, chinando il
capo e abbandonano un luogo così carico di tensione e delusione; o
forse, data la sua indole, lo avrebbe rassicurato anche con la sola presenza
– ignorando le possibili proteste di Paul e i suoi tentativo di
scacciarla.
Eppure, in quel
momento, non riusciva a riflettere lucidamente su quella questione. La
necessità di dimostrarsi superiore a quell'insolente era grande,
così come quella di dare di nuovo lustro e valore alla sua persona. Non
doveva lasciarsi abbattere dalle parole di quell'insensibile, nossignore: ne
andava della sua dignità.
«Se ci
fossi io, al tuo posto, di certo non piangerei come un bambino viziato»
replicò lui con aria da superiore, criticando il comportamento a detta
sua infantile della Coordinatrice.
«Giusto,
non lo faresti» sibilò inaspettatamente la ragazza, cogliendo alla
sprovvista l'Allenatore, che non poté fare a meno di mostrarsi
sconcertato di fronte a quella reazione. «Scapperesti con la coda tra le
gambe. A differenza mia, tu non vuoi affatto mostrarti per quello che sei
veramente, ossia una persona sensibile alle delusioni».
Non appena
finì di pronunciare quella frase, Lucinda si pentì immediatamente
di quanto detto. Sicuramente l'aspirante Campione non sarebbe rimasto
indifferente di fronte a quelle parole – e ne avrebbe anche avuto
ragione, dato il tono offensivo e brutale con cui erano state pronunciate.
Presa com'era dagli oscuri pensieri dovuti alla delusione, non aveva pensato
minimamente ai sentimenti e all'orgoglio del giovane.
Tuttavia, si
mostrò sinceramente stupita, non appena lo vide curvare le labbra in un
sorrisetto sornione. Per quale motivo, a dispetto delle sue aspettative, non
era rimasto minimamente toccato da quel giudizio pungente? Perché la
stava guardando come se avesse pietà di lei?
«Ma guarda
da che pulpito viene la predica...» mormorò poi, riassumendo
compostezza e scoccandole uno sguardo tagliente. «Tu credi davvero di
mostrarti per quella che sei veramente?».
Punta nel vivo,
la Coordinatrice esibì un'espressione di pura rabbia. Chi era per lui
per muoverle una simile critica? Non la conosceva neppure così tanto
bene come diceva invece di fare. Si erano parlati sì e no un paio di
volte: come osava accusarla di una cosa simile?
«Che cosa
diavolo stai insinuando, ora?!».
In genere tale
supposizione non l'avrebbe toccata in alcun modo. Dopotutto, pareva trattarsi
di un rimprovero infondato, di una valutazione fatta senza uno straccio di
prove che la argomentassero a dovere. Nonostante ciò, nel profondo del
suo cuore, la ragazza era consapevole che colui che aveva di fronte a sé
aveva colto nel segno.
Per quanto
detestasse ammetterlo, era riuscito a notare quella piccola crepa che rovinava
la perfezione della maschera che indossava. Aveva scorto quell'imperfezione,
senza rimanere ammaliato dalla cura con la quale lei aveva plasmato quella sua
facciata armoniosa e apparentemente pura. A differenza di tutti gli altri, lui
aveva udito il suo appello silenzioso e disperato – cosa che non era
riuscita a fare neppure sua madre, tanto conosciuta per la sua innata
sensibilità.
Tra tutte le
persone, proprio lui.
Faticò quasi ad accettarlo.
«Rispondi
sinceramente: volevi davvero vincere questa gara?» la incalzò,
proseguendo imperterrito per quella strada. Sembrava non avere alcuna
pietà nei suoi confronti, quasi volesse costringerla a confessare la
verità mal celata dietro al suo atteggiamento. Non si curava neppure dei
sentimenti di chi gli stava davanti.
La giovane
digrignò i denti, evitando quello sguardo indagatore che minacciava di
mettere a nudo tutte le sue debolezze. Non avrebbe permesso a nessuno, tanto
meno a lui, di vanificare tutti gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto fino a
quel momento. «Certo! Certo che lo volevo. Per chi mi hai presa?!»
replicò in modo intimidatorio, mentre mentalmente pregava che la terra
si aprisse sotto i suoi piedi e la portasse via da quel luogo maledetto.
«Lo voleva
Lucinda o la figlia di Olga?» insistette ancora Paul, afferrando il mento
di Lucinda, per costringerla a voltarsi e guardarlo negli occhi.
In quell'istante
critico, il suo istinto le consigliava caldamente di ribellarsi a quella presa
e di fuggire a gambe levate. Doveva assolutamente scappare prima che fosse
troppo tardi, trovare un luogo dove potesse stare da sola con se stessa e
riparare al più presto quella maschera che minacciava di sbriciolarsi da
un momento all'altro.
Per anni non
aveva fatto altro che mostrarsi alla gente come una ragazza spensierata e
gentile, dall'animo buono e nobile. Assecondando i voleri altrui, si era fatta
conoscere come Lucinda, la grande figlia di Olga, colei che avrebbe nuovamente
dato lustro al nome della sua famiglia. Tutti avevano creduto seriamente che
lei gareggiasse per passione personale, che mettesse il cuore in ciò che
faceva; forse era per via di questa visione sbagliata delle cose che
consideravano particolari
le sue esibizioni.
Se solo avessero
prestato più attenzione al suo atteggiamento, alle sue parole e alle sue
movenze, avrebbero compreso che cosa davvero animasse la Coordinatrice, che
cosa la spingesse a vincere tutti quei Fiocchi e a trovare un modo per stupire
quel pubblico capriccioso – o forse nessuno lo avrebbe volutamente
notato, perché in realtà ciò che volevano è che
Lucinda fosse come sua madre, quella donna che aveva stupito tutta Sinnoh con
la sua bravura.
Soddisfare
quelle aspettative e adempire a questo ruolo era l'unico modo per sopravvivere
a una simile pressione da parte di quel popolo ingordo.
«Ti sei
mai chiesta che impressione dai alle persone, quando gareggi?»
domandò l'Allenatore, i suoi occhi viola puntati nei suoi. «Ti sei
mai chiesta che cosa vedono loro, dagli spalti?».
«Sì
che me lo sono chiesto. E so perfettamente che loro amano vedermi all'opera,
che loro pensano che abbia davvero talento!» mentì a se stessa,
nel disperato tentativo di proteggere ancora ciò che era rimasto della sua
dignità – se poteva dire di averne mai posseduta una. «Per
questo che si aspettavano una vittoria da parte mia. E io li ho delusi. Ash,
Brock, Kenny, mia madre... tutti! Dal primo all'ultimo!».
La crepa si
sta allargando. Devo ripararla immediatamente!
«Le tue
esibizioni non comunicano nulla di nulla, perché non sono propriamente
tue. Sai perché tutti le amano?» proseguì imperterrito,
ignorando l'evidente agitazione della persona con cui stava parlando.
«Perché ricordano quelle di Olga, la grande coordinatrice che
aveva conquistato il cuore dell'intera regione di Sinnoh».
Se Lucinda era
ricordata da tutta la Regione come figlia di Olga, un motivo c'era. Lei per prima era
consapevole di quanto le sue esibizioni fossero ricordo di quelle della sua
genitrice e mentore, di come fossero ispirate alle sue e di come ne fossero
l'emulazione. Sotto un certo aspetto, la Coordinatrice pretendeva proprio che
fossero così simili alle sue, come per mantener fede all'immagine che
tutti si erano fatti di lei.
Eppure, per quanto
fossero corrette e identiche a quelle della madre, non sortivano lo stesso
effetto. Paul per primo aveva scorto questa sottile ma vitale differenza, che
distingueva la giovane dalla donna – differenza che lei aveva cercato
più volte di nascondere, servendosi della sua maschera di entusiasmo e
di gioia.
Che cosa sarebbe
accaduto, ora che qualcuno si era finalmente accorto di quanto fossero vuoti
tutti i suoi spettacoli?
«Sai
perché tutti si aspettavano che tu vincessi? Perché Olga lo ha
fatto. Tutti si aspettavano uno spettacolo meraviglioso, capace di lasciarli a
bocca aperta» sibilò l'aspirante Campione, con parole che parevano
lame taglienti, che non facevano altro che ferire mortalmente l'animo provato
della sua vittima. «Eppure tu non ce l'hai fatta, non hai soddisfatto le
loro aspettative. E sai perché, ragazzina patetica?».
Perché
io non sono lei.
«Perché
tu non sei Olga e tu per prima ne sei consapevole» esalò infine
lui, esprimendo ad alta voce ciò che la ragazza stessa aveva pensato.
La mia maschera
sta cadendo a pezzi.
Aveva ragione,
per quanto non volesse ammetterlo. Nonostante fosse la copia perfetta della
grande Olga, non sarebbe mai stata come lei. Lucinda era come uno specchio per
allodole per il pubblico, per quelle persone che valutavano le Gare solo per
ciò che potevano guardare con i propri occhi, non per il lavoro svolto
dal Coordinatore; ma non avrebbe mai ingannato chi, come Paul, preferiva
puntare il proprio sguardo sull'autore delle meraviglie, su chi combatteva per
ottenere Fiocchi e Coppe.
Sebbene fosse in
grado di riprodurre fedelmente le mosse della sua mentore, non sarebbe mai
stata come lei: in quei gesti e nelle sue movenze mancava la passione che il
suo mito impiegava in ciò che faceva – la stessa passione che
ammaliava gli spettatori, stupendoli ogni volta come se fosse la prima, che la
giovane non poteva copiare in alcun modo.
«Se hai
perso, è stato solamente per colpa tua, perché hai dimenticato
qual è il vero spirito delle gare. Non è cercando di soddisfare
le aspettative altrui, indossando una maschera finta, che renderai la strada di
fronte a te pianeggiante» mormorò infine, per poi lasciare il
mento di Lucinda, senza però interrompere il loro contatto visivo.
«Anzi, il più delle volte è tutta in salita. Se hai perso,
è perché qualcuno ha dimostrato davanti a tutti che la Lucinda
che tutti conoscono è diversa dall'idea di Lucinda che loro hanno. Zoey
lo ha fatto. Zoey ha scoperto il tuo punto debole e ti ha ferita
profondamente».
E tu hai
strappato dal mio volto la maschera che indossavo.
La giovane non
seppe come replicare. Si limitò semplicemente a sostenere lo sguardo del
suo interlocutore, quasi incantata dalle sue parole e dal tono con cui le stava
pronunciando. C'era una certa sensibilità in quelle affermazioni, quasi
come se lui stesso avesse vissuto sulla sua pelle quanto stava raccontando
– come se potesse comprendere alla perfezione la situazione di chi gli
stava di fronte, sebbene la conoscesse poco o niente.
Come diavolo
aveva fatto a mettere a nudo le sue debolezze? Come era riuscito a scoprire la
verità celata dietro la sua maschera? Per quanto cercasse di dare
risposta alle sue domande, la ragazza non vi riuscì.
«Non
è vivendo nell'ombra di qualcuno che si ottiene il successo» disse
poi, iniziando ad avviarsi lentamente verso l'uscita della stanza. Le sue
labbra si curvarono un sorriso beffardo ma – la Coordinatrice poteva
giurare che fosse così – al contempo triste. «Anzi, il
più delle volte finiamo col scordarci chi siamo realmente o col non
accettarci».
«Parli
come se ne sapessi qualcosa» esclamò Lucinda, trovando finalmente
la forza di dar voce ai suoi pensieri. Non si trattava solamente di una sua
sensazione: lui era perfettamente consapevole di quanto stava dicendo, come se
avesse fatto esperienza di quanto lei stava provando in quel momento di
disperazione.
L'aspirante
Campione indugiò un attimo, prima di poggiare un mano sulla maniglia
della porta. Voltò leggermente il capo verso di lei, quel poco che gli
bastava per poter scorgere la sua figura fragile con la coda dell'occhio.
«Le persone che agiscono così sono davvero patetiche. Sono deboli,
non sanno reggersi sulle proprie gambe, hanno paura di loro stessi»
sibilò tra i denti, soffocando una particolare rabbia repressa, per poi
scuotere il capo e tornare a fissare un punto morto di fronte a sé.
«Ma che te lo dico a fare, ragazzina? Tanto non lo puoi capire. È
troppo tardi».
Non le concesse
neppure il tempo di replicare a quell'ultima, vacillante, provocazione. Paul si
congedò, silenzioso e misterioso com'era venuto, lasciando nuovamente la
giovane sola con i suoi pensieri e i suoi sensi di colpa.
Eppure, per
quanto la priorità del momento fosse riparare la maschera che l'altro
aveva brutalmente distrutto, non poté fare a meno di riflettere sulle
sue ultime parole.
Chi stai
rimproverando ora, Paul? Stai dicendo che è troppo tardi per me...
...O per te?
«Perché
non provi a essere un po' più gentile, Paul? Se continui a comportarti
così, non vincerai mai alla Lega di Sinnoh».
Paul si
voltò di scatto, incrociando così lo sguardo ammonitore di
Camilla. Per quanto cercasse di restare composto di fronte a una simile
affermazione, non poté fare a meno di esibire un'espressione stupita e
sconcertata. Una dei suoi modelli, che aveva sempre stimato per le sue
capacità combattive, gli aveva appena mosso una pesante critica.
«Non
sto criticando la tua forza. Si vede che sei molto portato per i duelli e le
battaglie» aggiunse poi la veterana, curvando le labbra in un mesto
sorriso. Sembrava quasi che avesse pietà nei confronti di quel ragazzo,
in quel momento decisamente punto nel vivo da tali parole. «Però
non sei affatto come tuo fratello, per quanto sia abile come lui con i
Pokémon. Insomma, ti manca qualcosa, quel qualcosa che ti impedisce di
diventare un vero Campione».
Più volte
Paul si era soffermato a pensare a cosa effettivamente lo differenziasse da suo
fratello. Da quando Camilla aveva criticato il suo modo di agire e pensare,
più volte aveva dubitato delle sue capacità e aveva altrettanto
immaginato il suo futuro di Campione come lontano e irraggiungibile.
Prima di quel
momento, aveva ricevuto tante altri giudizi di quel genere. Eppure, non vi
aveva mai dato così tanto peso – forse perché considerava patetiche tutte quelle persone, a detta sua
invidiose, che avevano osato rivolgersi a lui in quel modo.
Inconsciamente,
aveva perfino cercato di emulare Reggie – anche se non l'avrebbe mai
ammesso -, ovviamente senza riuscirvi. Nonostante si sforzasse di comprendere
che cosa avesse in più di lui, non era in grado di cambiare l'opinione
che la gente aveva di lui.
Detestava essere
riconosciuto non tanto per le sue doti di Allenatore, quanto per il legame di
parentela con quello che era uno stimato allevatore di Pokémon;
perché non c'era niente di più seccante di essere paragonato a
lui, sempre e costantemente comparato a quella figura invincibile e tanto
stimata.
Forse era per
questo che era completamente diverso da lui. Magari era proprio perché
non voleva essere confrontato all'altro, che aveva assunto un atteggiamento
freddo e scontroso. Doveva essere per forza così.
Tuttavia,
proprio grazie a questo comportamento detestabile e presuntuoso, a dispetto
delle opinioni altrui, si trovava a un passo dal suo traguardo. A breve le
finali del Torneo avrebbero avuto inizio e solo uno dei due sfidanti ne sarebbe
uscito vincitore, ottenendo così il titolo di Campione.
Per quanto fosse
sicuro di sé e delle sue capacità, non riuscì a sopire il
suo nervosismo. Osservò le sue mani tremare, in quel momento vittime
della tensione, e si maledì mentalmente per quell'improvvisa perdita di
compostezza. Doveva ritrovare assolutamente lucidità, altrimenti non
avrebbe coronato il suo più grande sogno – e non si sarebbe preso
una rivincita contro chi aveva avuto da ridire sul suo modo di allenare i
Pokémon, sulla sua persona e sulle sue abilità.
«E
così è arrivato il grande giorno anche per te!».
Paul si
voltò di scatto, non appena quella voce squillante e allegra lo
richiamò all'attenzione. Chi mai aveva deciso di disturbarlo in quel
momento importante, di interrompere la sua meditazione? Chi aveva avuto il
coraggio di mettere piede nella stanza riservata a lui, proprio prima di quello
scontro decisivo?
Il ragazzo non
poté fare a meno di esibire un'espressione stupita e al contempo
seccata, non appena l'immagine di Lucinda popolò il suo campo visivo.
Tra tutte le persone che avrebbero potuto fargli visita, perché proprio
quella Coordinatrice infantile? Proprio non sapeva spiegarselo.
«Ah, sei
tu, ragazzina patetica. Chi ti ha dato il permesso di venire qui?»
esclamò infatti, mostrandosi seccato per la sua inaspettata intrusione.
«Pensavo
che ti avrebbe fatto piacere vedere una faccia amica, prima di questo
incontro» si giustificò la giovane, per poi curvare le labbra in
un sorriso radioso. Sembrava quasi felice di trovarsi in quel posto e di poter
parlare con lui, inspiegabilmente.
«In
realtà, mi stai solo disturbando. Starei cercando di
concentrarmi».
La giovane non
ribatté in alcun modo, come se avesse deciso di rispettare il suo
volere. Un silenzio imbarazzante calò sovrano su di loro, che non fece
altro che irritare ulteriormente l'Allenatore. Tuttavia, decise di non
commentare in alcun modo, fingendo di ignorare la presenza dell'altra poco
distante da lui.
Chiuse gli occhi
e tornò a concentrarsi, cercando pace e serenità nelle tenebre
amiche, mentre la sua mente elaborava strategie per battere il suo nemico. Non
doveva coglierlo impreparato, non poteva assolutamente perdere contro quel
patetico ragazzino. Doveva mostrarsi invincibile e pronto e tutto, quasi come
se capace di leggere la sua mente e di precedere ogni sua mossa.
«Sono
sicura che riuscirai a vincere, Paul. Per quanto sia amica di Ash, penso che tu
saresti molto più adatto al ruolo di Campione» mormorò
improvvisamente Lucinda, spezzando quella quiete sacra con la sua confessione
sincera. Le sue guance si imporporarono leggermente di rosso, non appena
terminò di pronunciare quelle frasi, e chinò il capo imbarazzata.
«Finalmente
hai capito che sono migliore rispetto a quel tuo amico» ribatté
lui, incrociando le braccia al petto e sfoderando un ghigno beffardo. Eppure,
per quanto si mostrasse sicuro di sé e fin troppo spavaldo, dovette
ammettere che non gli dispiaceva affatto sentirsi dire quelle cose da lei
– anche se non l'avrebbe mai detto ad alta voce, perché ne andava
della sua immagine e della sua dignità.
La Coordinatrice
alzò lo sguardo al cielo e finse di non aver udito quell'affermazione
arrogante. L'aspirante Campione non sarebbe mai cambiato, neppure in un simile
momento pregno di tensione e di agitazione. «Non è una questione
di bravura o meno. È una questione di volere. E tu desideri davvero
vincere, no?» domandò successivamente, senza smettere di
sorridere.
«È
ovvio. Altrimenti non avrei neppure iniziato questo viaggio».
A differenza di
quanto facevano gli altri ragazzi della sua età, ossia partire per
intraprendere un'avventura per puro divertimento, sin dall'inizio Paul sapeva
quale fosse il traguardo del suo viaggio. Aveva iniziato la sua carriera di
Allenatore per concluderla in bellezza, diventando il Campione di Sinnoh. Il
suo destino era vincere e nessuno lo avrebbe ostacolato nel suo cammino, di
questo ne era particolarmente convinto.
Non aveva deciso
di percorrere quella strada animato dall'amore per i Pokémon, non lo aveva
fatto perché desideroso di vivere un'esperienza entusiasmante. No, lui
lo aveva fatto solo per riscatto personale, per necessità.
Nulla avrebbe
interrotto il suo cammino glorioso.
«Non
è solo per quello. Tu vuoi vincere anche per riscatto personale» esclamò
la giovane, cogliendo l'altro alla sprovvista e costringendolo ad esibire
un'espressione incredula. Quasi non poteva udire a ciò che le sue
orecchie udivano. «Vuoi dimostrare di essere bravo, pur non essendo come
Reggie, no?».
Stentava a
credere alle parole di quella patetica ragazza. Come diavolo aveva fatto a
scoprirlo, a capire quale fosse davvero lo scopo di tutta questa sua farsa? Che
cosa mai poteva capire una come lei di quali sentimenti alimentavano la sua
sete di vittoria?
Non poteva
davvero aver intuito quale fosse il suo intento. Tuttavia, si stava pur sempre
parlando di Lucinda, colei che non aveva fatto altro che fingere di essere
un'altra persona per numerosi anni. Che anche lei fosse in grado di comprendere
il suo segreto?
Impossibile.
«Sai, ho
capito molto dal nostro ultimo incontro e, per quanto non mi piaccia dirlo, ti
voglio ringraziare» proseguì poi lei, per poi ridacchiare con voce
armoniosa e cristallina. «So che hai la stoffa del Campione. Per quanto
tu sia scorbutico, maleducato e scontroso...».
«Come ti
permetti?!» la interruppe Paul, alzandosi di scatto dalla sedia e
scoccandole un'occhiata intimidatoria.
«Sai che
cosa significa allenare i Pokémon ed essere un vero Allenatore. E forse
lo sai perfino meglio di tuo fratello» concluse Lucinda, ignorando
volutamente la brusca reazione dell'altro. Un'espressione affettuosa si dipinse
sul suo viso, in quel momento privo di ogni maschera. Per la prima volta,
l'aspirante Campione poté godere del suo genuino entusiasmo, quasi contagioso.
«Per questo devi vincere, Paul. Per te stesso, per questa Sinnoh che ha
bisogno di un Campione come te».
Non mentiva
affatto, glielo leggeva negli occhi. Non lo stava affatto lusingando, né
lo stava raggirando con frasi fatte. Per qualche inspiegabile motivo, aveva
compreso ciò che gli altri non avevano neppure notato – o peggio,
che avevano frainteso -, riuscendo perfino a togliere dal volto del giovane
quella sua maschera di forzata austerità e di spavalderia.
A differenza di
tutte le altre persone che lo conoscevano, lei aveva apprezzato ogni parte di
lui, riuscendo a trovare una giustificazione al suo atteggiamento. Non era
rimasta scioccata di fronte alla sua sete di riscatto, né lo aveva
considerato folle.
Forse
perché lei, meglio di chiunque altro, sapeva benissimo che cosa
significasse vivere nell'ombra di qualcuno.
«Che
c'è, stai cercando di conquistarmi con queste belle frasi fatte?»
la schernì l'Allenatore, smorzando quell'aura misteriosa che era calata
improvvisamente tra loro. Sfoderò un ghigno beffardo, non appena vide il
volto della Coordinatrice diventare paonazzo per la rabbia.
« Tutto
tempo sprecato, con te! E dire che cercavo di essere gentile»
sbottò la ragazza, alzando le braccia al cielo e voltandosi di scatto,
per poi avviarsi con passo deciso verso l'uscita della stanza.
Se solo fosse
rimasta a osservare il volto del giovane un secondo di più, avrebbe
visto un sorriso di gratitudine dipingervisi sopra. Paul non riuscì a
trattenersi dal ridere sottovoce, di fronte a una simile reazione da parte
della sua interlocutrice. «Ehi, Lucinda» la richiamò poi,
prima che questa potesse varcare la soglia della porta e andarsene.
«Che
c'è, ora?» rispose la Coordinatrice in questione, mostrandosi
stupita e alterata al contempo. Gli teneva ancora il broncio, espressiva e
emotiva come sempre.
Grazie, avrebbe voluto dirle in quel momento.
Eppure, ciò che uscì dalle sue labbra fu: «Preparati ad
assistere alla più bella lotta di sempre».
Il viso di
Lucinda si rasserenò, non appena incrociò lo sguardo calmo e
pacifico del futuro Campione. «Ci conto» mormorò, facendogli
l'occhiolino.
Privi di ogni
maschera, si scambiarono un sorriso d'intesa, contenti di essersi finalmente
ritrovati dopo tanto tempo.