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Autore: Sarah Carry Herondale    09/10/2013    2 recensioni
E' bastato uno sguardo per farli innamorare, e sarà per sempre.
Questa è la mia seconda storia; spero che vi piaccia e se è così recensitela! :)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Patroclo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ftia, la mia terra.
Il giovane Achille se ne stava sulle rocce a strapiombo sul mare a osservare l’Oceano.
Sperava di vedere sua madre Teti, almeno per qualche istante; era tanto che non le parlava.
Gli mancavano la sua voce e le sue delicate carezze.
Quel giorno di maggio non aveva voglia di allenarsi; aveva lasciato che la malinconia gli avvolgesse le membra e il cuore.
Sentiva che gli mancava qualcosa e provava un senso quasi opprimente di nostalgia.
Cos’era che gli mancava? Cosa desiderava con tutto se stesso?
Lo sciabordio dell’acqua in qualche modo lo calmava e gli trasmetteva la sensazione che presto qualcosa sarebbe cambiato.
Si, ma quando?
Aveva solo quindici anni, una vita davanti. Avrebbe potuto aspettare ancora per molto tempo; chi lo sapeva cosa significava “presto” per il Fato, entità eterna ed immortale.
Madre che cosa devo fare?
Nessuna risposta. Solo le grida stridule dei gabbiani.
Una brezza leggera gli scompigliava i biondi capelli che gli sfioravano le spalle; i suoi occhi ambrati scrutavano l’orizzonte, il confine visibile del suo mondo.
Solo due volte era uscito dalla sua terra, per far visita ai re delle altre terre e presentarsi come principe dei Mirmidoni.
Lo sono io un principe?
Tutti, in ogni angolo della Grecia e anche oltre sapevano che Achille era il principe, il più forte di tutti gli Achei nonostante la sua giovane età.
Ma, nonostante questo non poteva impedirsi di avere dei dubbi e di farsi delle domande; per lui quella non era una certezza.
 
Si stava allenando con il suo maestro d’armi nel cortile del palazzo.
Sentiva le goccioline di sudore che gli colavano lungo la schiena e i capelli che gli solleticavano il volto, sfuggiti al nastro di cuoio con cui li aveva legati.
Dopo una breve serie di parate e affondi era riuscito con facilità a disarmare l’uomo e a puntargli la lama affilata alla gola.
Se si fossero trovati in battagli al’uomo sarebbe già morto.
Con quanta facilità posso uccidere.
Achille non aveva eguali sulla terra e forse avrebbe potuto anche battere gli dei, se avesse voluto.
Ad interrompere la sessione di allenamento era stata una serva dalle candide vesti; aveva annunciato che Peleo attendeva il principe al porto perché stava arrivando una nave da terre lontane.
Achille si era precipitato al porto, correndo come solo un semidio era in grado di fare.
Si era posto accanto al re, ritto e immobile a scrutare il mare.
All’orizzonte si scorgeva una nave, solo un piccolo puntino ma che avanzava verso Ftia molto velocemente diventando sempre più grande.
Le vele spiegate erano azzurre, con un grande occhio dorato al centro.
Una nave greca.
Erano già salpate dodici navi per andare incontro agli stranieri che stavano arrivando.
Era usanza mostrarsi ospitali con coloro che arrivavano nella terra di un re: offrire loro una maestosa accoglienza, cibo e bevande, comodi letti e scambiare i doni ospitali.
In breve la nave, seguita dalle dodici imbarcazioni dei Mirmidoni, aveva raggiunto il porto e legato gli ormeggi.
Era stata posta una pedana in modo che i passeggeri potessero scendere a terra; per primi, Achille, aveva visto due soldati che indossavano un’armatura bronzea e impugnavano delle lunghe lance.
Era sceso poi un ragazzo dell’età di Achille, teneva lo sguardo basso in modo da non incontrare gli occhi di nessuno e si torceva le mani nervosamente.
Lo seguiva poi il maestro  che lo aveva accompagnato da quella terra lontana.
Si erano inchinati di fronte al re, presentandosi. Poi il ragazzo si era posto di fronte ad Achille e aveva fatto un piccolo inchino.
Achille era rimasto immobile ad osservare.
Patroclo.
Aveva alzato gli occhi e si era letteralmente perso nello sguardo del ragazzo che aveva gli occhi color del mare.
Era stata una folgorazione, aveva sentito il cuore nel petto battere all’impazzata e aveva visto l’incertezza anche nello sguardo che stava deglutendo.
Patroclo.
Assaporava quel nome che era come musica per lui.
Patroclo.
Il ragazzo dagli occhi azzurri che in quel momento gli aveva rubato il cuore.
Anche Patroclo provava quelle stesse sensazioni.
Da quando aveva incontrato quegli occhi ambrati tutto aveva perso importanza, esisteva solo Achille.
Aveva dimenticato il motivo per cui si trovava li, in esilio, aveva dimenticato l’omicidio che aveva commesso, aveva dimenticato il momento in cui la vita aveva abbandonato il corpo del suo compagno.
Sentiva che quel ragazzo non lo avrebbe giudicato, qualsiasi cosa avesse fatto.
La scorta con cui era venuto lo aveva poi portato dentro al palazzo, dove avrebbero discusso con il re riguardo alla sua permanenza.
Mentre Patroclo saliva alla reggia, Achille lo aveva seguito con lo sguardo senza lasciarlo mai un istante fino a quando non era diventato un puntino indistinguibile.
Era poi salito sulla scogliera a guardare il mare.
Patroclo diceva il suo cuore.
Patroclo sussurrava il vento.
Si era ricordato di quel giorno, di alcuni mesi prima, in cui aveva cercato sua madre tra le onde.
Rammentava la malinconia del suo cuore, il senso di solitudine, la sensazione che alla sua vita mancasse qualcosa.
Improvvisamente quelle sensazioni si erano dissolte, era bastato uno sguardo.
Il Fato aveva compiuto il suo destino; aveva intrecciato il filo delle vite di quei giovani ragazzi per non separarli mai più.

  
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