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Autore: FlyingBird_3    09/10/2013    16 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l’armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Fu così che nacquero i primi ribelli, chiamati partigiani; lottavano al fianco degli Alleati, o per conto proprio, contro i comuni nemici nazisti.
Fu a metà di quell’agosto, verso tardo pomeriggio, che vidi entrare in città un esercito; capii che erano tedeschi solo quando sentii le parole che stavano cantando, fieri ed impettiti, tra le vie del paese…
 
Erano circa le sei e mezza del pomeriggio, ed io stavo tornando alla fattoria con la mia solita bicicletta.
Faceva caldo, ma quel giorno c’era una brezza fresca che rinfrescava le vie del paese, così decisi di percorrere la strada fino alla campagna a piedi, portando la bici a mano.
Ero davanti alla drogheria di donna Lucia quando sentii dei commenti strani, sussurrati a mezza voce: “Mio marito mi ha appena detto che sono arrivati alle porte del paese… meglio tornare a casa prima che ammazzino tutti…”
Mi girai a guardare quella signora, e la riconobbi come la catastrofica del paese: era sempre quella che diceva che era contenta, ma poi di fare attenzione perché non si sa mai…
Il marito faceva parte della Resistenza, e lo si vedeva di tanto in tanto tornare in paese per far scorte di provviste per i suoi compagni.
Percorsi altre tre, quattro vie imbattendomi nel calzolaio Giovanni, che mi offrì come al solito una piccola margherita.
Quando arrivai verso la strada che portava alla campagna però, mi fermai; il sole stava tramontando, e i suoi raggi rossi mi colpivano in pieno viso.
Quello che vidi però non fu un semplice tramonto: come ombre scure, vidi arrivare a passo di marcia un esercito. Un esercito vero, non i nostri partigiani.
Il suono ritmato dei loro stivali sulla ghiaia mi immobilizzò, ed ero come ipnotizzata; capii che erano tedeschi solo quando sentii le parole che stavano cantando, fieri ed impettiti, tra le vie del paese.
Tre uomini facevano da capigruppo: i due ai lati saranno stati alti un metro e novanta, quello in mezzo un po’ più basso. Ma fu proprio lui che mi fermai a guardare: nonostante avesse il sole alle spalle, a mano a mano che si avvicinava lo vedevo sempre più nitido.
Indossava una divisa verde chiaro e alti stivali neri, come gli altri, ma sulla sua giacca brillavano molte più medaglie che, ad ogni passo cadenzato, gli oscillavano sul petto.
I capelli erano castano scuro, gli occhi di un azzurro così chiaro che non avevo mai visto prima. I tratti del suo viso erano marcati, ma non gli davano un’aria dura, anzi.
Li vedevo avanzare sempre di più verso di me, che ero rimasta imbambolata a guardarli, con la bicicletta in mano, in mezzo alla strada.
Rimasi a fissare quel soldato tedesco avvicinarsi, quando il parroco del paese mi chiamò da sotto i portici.
Mi risvegliai come da un sogno e mi allontanai di fretta con la mia bicicletta, raggiungendolo.
Vedemmo passare l’esercito davanti a noi, perfettamente allineati e sincronizzati.
“Sono arrivati davvero, allora” mi disse Don Armando, “i ragazzi avevano ragione.”
“Cosa stanno facendo secondo lei?” gli chiesi.
“Mi è stato riferito che non vogliono far del male alla popolazione. Stanno solo facendo una marcia sulla nostra città per dimostrarcelo.”
“Allora siamo finiti sotto il controllo tedesco, ora?” chiesi ancora.
“Sembrerebbe così, figliola… vai a casa ora, prima che tornino indietro, fa presto. E, Maria mi raccomando. Fa attenzione…” mi disse, stringendomi un braccio.
“Certo, non si preoccupi. Faccia attenzione anche lei…” e detto questo, risalii sulla mia bicicletta e imboccai la strada battuta verso la fattoria.
Passando tra i campi che precedevano casa, le alte, gialle e ormai secche pannocchie, nascondevano tutta la vista nei dintorni. Già da lontano però li vidi: enormi carri armati, alti quasi due metri, con una lunga bocca, puntavano proprio verso di me.
Dentro però non c’era nessuno; scorsi delle persone con dei vestiti scuri nei campi lì vicino, ma non mi fermai a vedere chi fossero, anzi accelerai.
Una volta arrivata non appoggiai neanche la bicicletta, che cadde rovinosamente a terra alzando dei sassolini di ghiaia, ed entrai sbattendo la porta e urlando.
“Siete tutti qui?” dissi col fiatone.
Mia madre scese dal primo piano con Andrea in braccio, e vidi mia sorella con i suoi due figli e nostra zia nella stanza affianco all’entrata.
“Dov’è lo zio?” chiesi affannata.
“Maria che succede? Aldo è dov’è sempre a quest’ora. E per favore non sbattere più la porta in quella maniera…” disse mia zia.
“Si, Maria che ti prende? Hai svegliato Andrea…” disse mia madre, cullando l’ultimo figlio di mia sorella.
“Sono arrivati i nazisti in città” dissi, e mi sedei su una poltroncina per riprendere fiato dalla corsa in bicicletta.
“Come fai a saperlo? Li hai visti?” mi chiese mia sorella Elena.
“Si, stavo tornando a casa… e loro sono entrati in città. Stanno facendo il giro del paese ma hanno detto che non vogliono far del male ai cittadini” dissi, sventolandomi con un pezzo di carta.
“Quegli sporchi nazisti sono venuti a portare morte anche qua, nella nostra città. Non gli bastava restare nel loro paese…”
“Mamma ti prego non urlare…” disse mia sorella.
“Elena ma ti rendi conto? Tuo fratello e tuo marito sono là, tra le colline, che combattono questi assassini. Tuo padre è morto per una guerra inutile! Se dovessero venire a cercarli, cosa gli diremo? Uccideranno anche noi, anche i tuoi figli!” disse mia madre, camminando nervosamente avanti ed indietro per la stanza.
Ad un certo punto qualcuno aprì la porta, e il gelo calò nella stanza.
“Dove siete? C’è qualcuno...”
E mio zio fece la sua comparsa, ancora vestito da contadino.
“Oh finalmente sei arrivato Aldo! Hai sentito che sono arrivati…” disse mia zia.
“Si, li ho visti,” la interruppe zio Aldo,”hanno lasciato i loro carri armati nei nostri campi.”
“E adesso? Che facciamo zio?” disse mia sorella.
“Facciamo quello che abbiamo sempre fatto. Gli uomini di questa città stanno combattendo per noi qui, tra le colline del nostro paese. Dobbiamo fare la nostra parte anche noi, e difenderli, aiutarli.”
“Questo vuol dire che se vediamo un tedesco alla nostra porta possiamo sparargli in fronte?” chiesi io.
Mio zio si girò con uno sguardo che gli avevo visto solo poche volte.
“Maria, nessuna donna di questa casa toccherà mai una pistola. Ci sono io qua a difendervi, e non pensare di fare l’eroe, sei solo una femmina. Devi solo stare attenta, e continuare a fare quello che hai sempre fatto, senza destare sospetti.”
E detto questo lo zio uscì di nuovo, per andarsi a lavare prima di cena.
Nessuna di noi parlò, un po’ per la paura un po’ per il disagio. Sapevo perfettamente che solo zio Aldo non avrebbe potuto proteggerci da un esercito disciplinato e preparato, come quello che aveva appena sfilato in città.
  
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