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Autore: myheartwillgoon    10/10/2013    2 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9 Sogno o realtà?
 
Chiuse la porta d’ingresso silenziosamente, e appoggiò le chiavi di casa sul mobiletto. Si fermò un attimo a contemplare la sua immagine nello specchio. Alcuni segni sfregiavano il viso cereo, come piccole righe tracciate da una penna su un foglio. Aveva un’aria stanca, e forse lo era davvero.
   Lungo il tragitto si era attardato seduto su una panchina, a osservare la gente. Era un modo per rilassarsi e per trovare ispirazione. Un gruppetto di anziane signore che andavano a fare la spesa con i nipotini, un ragazzo che correva seguito dal cane e una coppia di giovani innamorati che camminavano con le dita intrecciate. Gli era venuto istintivo guardarsi le mani, pensare a quanto gli mancasse avere qualcuno accanto a sé, a cui stringere la mano, qualcuno che potesse capirlo, amarlo, con cui condividere la propria vita. Non era più un ragazzino. Era stanco di passare da una ragazza all’altra alla ricerca di quella giusta. Helen lo era stata.
    Pensò a Glen che, nonostante vivesse da solo, aveva l’amore di Luke, suo figlio; a Mark, la gioia di avere una moglie e tre stupendi figli. Si ritrovò a mangiucchiarsi le unghie, un brutto vizio che non riusciva a sradicare. Prese un bel respiro e chiuse gli occhi. Affiorarono al pensiero un paio di occhi limpidi come il cielo, un sorriso caloroso e aperto, un viso dolce. Si lasciò trasportare da quell’immagine. Un senso di tranquillità si fece largo dentro di lui annientante come un uragano, ma con la dolcezza della brezza primaverile.

 
Quella notte dormii come un neonato. Mi sentivo la mente più libera che mai.
Al risveglio venni accolta dal suono della caffettiera al piano inferiore e dal profumo di pancake caldi e sciroppo d’acero. Alisha quella mattina non lavorava e così si dilettava in cucina, preparando una colazione degna della regina. Mi sciacquai il viso in bagno e scesi ancora in pigiama, salutando con un bacio la cuoca e ringraziandola per essersi data tanto da fare. Mi invitò ad accomodarmi e mi servì.
   «Allora come è andata ieri allo zoo?» mi chiese, continuando a trafficare sul ripiano della cucina.
   «Benissimo, Danny è stato mooolto paziente.» Mi sorse una domanda. «Scusa se te lo chiedo, perché hai chiesto proprio a lui?» Doveva pure avere qualcun altro a cui chiedere, che ne so, un’amica?
   «Perché i bambini lo adorano. E anche tu.» Si voltò e mi sorrise innocente.
   Arrossii e mi limitai a tuffarmi sulla mia tazza di caffè. Odiavo ammettere che aveva maledettamente ragione.
Finita la colazione salii in camera. Accesi il cellulare e sullo schermo comparvero alcuni messaggi e una chiamata persa. Due poemi dalla mia migliore amica, uno da mia mamma, di cui era anche la chiamata. Mi stupii che non ce ne fossero almeno una decina. Un ultimo messaggio era di un numero sconosciuto. Non era nemmeno scritto in italiano. Brutto segno.
   “Ciao Anna, sono Danny.” Una dormita fantastica, una colazione regale e adesso anche questo? Dovevo sicuramente essere morta e quello doveva essere il paradiso. “Ho chiesto il tuo numero ad Alisha, spero non ti dispiaccia.” E come potrebbe? “Mi ha detto che non hai ancora avuto modo di visitare il centro come si deve. Oggi pomeriggio sono libero, ti va di venire a fare un giro? Fammi sapere.” Il mio corpo reagì senza chiedermi il permesso e cominciai a saltellare per la stanza, senza controllo. Cosa diavolo mi stava succedendo? Fino al giorno prima lo odiavo a adesso ero la persona più felice del mondo... Che strana cosa, la mente umana.
   Cercai di darmi un contegno, benché minimo. E formulai una risposta che avesse un minimo senso compiuto.
   “Ehi, grazie per avermelo chiesto. Non mancherò!” Ok, non aveva molto senso.
   Qualche minuto dopo l’apparecchio vibrò e si materializzò il suo nome (che intanto avevo segnato in rubrica) seguito da una fila di cuoricini, che davano l’idea di quanto la mia malattia mentale fosse grave. “Perfetto! Allora passo io a prenderti verso le 2... Ricordati i pantaloni!”
   Faceva pure lo spiritoso.
   Mi  resi conto di avergli garantito la mia presenza ancora prima di chiedere il permesso ad Alisha. Ma sicuramente non mi avrebbe negato il permesso. Scesi da lei e glielo domandai e, come da prognostico, fu felice di lasciarmi via libera.
   Pranzai presto per potermi preparare con comodo.
   Mi infilai sotto la doccia, sperando di sciacquarmi via l’ansia che mi tormentava. Anche se dall’esterno potevo sembrare la persona più calma dell’universo, dentro di me sentivo crescere, minuto dopo minuto, una strana sensazione. Mi sembrava di aspettare di essere chiamata per l’esame orale di maturità, avevo le mani congelate, la gola secca e i tremori. A un certo punto fui perfino tentata di controllare che non avessi la febbre. Non riuscivo a controllare le mie mani, la mia testa, il mio stomaco e il cuore mi scoppiava sotto lo sterno.
   Mi dovetti sedere sul piano della doccia, travolta dal getto bollente che picchiettava insistentemente la mia pelle, facendomi quasi male. Rimasi così un attimo, cercando on ogni modo di tranquillizzarmi.
   La verità era che avevo paura.
   Avevo paura di quello che sarebbe successo, di come avrei passato quella giornata con una persona che non conoscevo e che non poteva nemmeno essere definita “normale”. Dopotutto non potevo dimenticare che Danny era famoso e che probabilmente mi considerava come una delle tante fan che avevano il privilegio di passare qualche ora con lui e il suo invito probabilmente era per fare un favore ad Alisha. Mi aspettavo già un pomeriggio passato in un locale isolato e sconosciuto, a bere qualcosa parlando con un pazzo nascosto dal menù per non essere riconosciuto.
   Le note di “If You Could See Me Now” presero a diffondersi dal mio cellulare. Chiusi l’acqua e uscii avvolta nell’asciugamano. Era Danny. Pensai di essere in ritardo.
   «Pronto, Danny?»
   «Ehi, scusa il disturbo. Volevo sapere se ti andava anche di fermarti a cena, conosco un posticino niente male dove hanno birra alla spina per tutti i gusti!»
   Peccato che fossi astemia. «Certo, volentieri! Ma come facciamo per i bus?»
   «Ho chiesto la macchina a Mark, possiamo tornare quando vogliamo.»
   «Fantastico! Allora ci vediamo più tardi.»
Non era per niente fantastico. Poter tornare a qualsiasi orario significava fare molto tardi e quindi passare molto, troppo tempo da sola con lui. Mi diedi uno schiaffo, basta pensare negativo.
   Mi asciugai i capelli e mi truccai, giusto per rendermi presentabile. Indossai un maglione leggero e un paio di jeans scuri, sperando di resistere all’aria frizzante che soffiava la sera. Fui tentata di prendere anche la giacca ma mi imposi di dimostrarmi meno freddolosa di quello che ero veramente.
   Ultimati i preparativi mancava ancora un buon quarto d’ora. Decisi che non potevo non avvisare Elisabetta dell’ “appuntamento”, sarebbe andata su tutte le furie. E magari mi avrebbe persino dato qualche buon consiglio. Dopo alcuni squilli stavo per attaccare quando dall’altro capo rispose una voce affannata.
   «Stavo per riattaccare! Quando mi servi scompari sempre!» la rimproverai con tono ironico.
   «Frena, frena, frena! Ho salito quattro rampe di scale come un fulmine per rispondere! Per fortuna che la suoneria era alta. Non è colpa mia se scegli sempre i momenti peggiori per chiamarmi!»
   «Ok, lasciamo perdere. Ho poco tempo e un problema ben più grande da risolvere» dissi io, cercando di risultare più calma possibile.
   «Mi spaventi così! Prima di tutto quanto è grande questo problema?»
   Avevo sempre avuto la tendenza ad ingigantire i problemi, ma non lo facevo per cattiveria. «Un metro e novanta» annunciai, sperando capisse.
   «Cosa?!» Aveva capito. «Il tuo problema è Danny O’Donoghue? Hai la fortuna di conoscerlo e ti lamenti pure?»
   Sbuffai. «Non hai capito. Il mio problema riguarda lui ma non è lui!»
   Potevo quasi vedere la sua espressione stupita. «Spiegati.»
   Sapevo che mi avrebbe sbraitato contro. «Allora... Danny si è offerto per accompagnarmi per il centro.» Ignorai la sua imprecazione. «Passa a prendermi tra nemmeno dieci minuti e io non so cosa fare!»
   «Mettiamo in chiaro una cosa. Se fossi lì ti ammazzerei con le mie stesse mani. Detto questo, ascoltami bene. Hai l’opportunità di uscire con l’uomo dei sogni e ti stai chiedendo se andare e passare la giornata più bella della tua vita oppure rifiutare, distruggendo le sue e le tue aspettative. Penso che adesso tu possa risponderti da sola» concluse lei, con un tono di chi la sa lunga.
   «Ma non so come comportarmi con lui! Sarà abituato a donne bellissime, sicure di sé e che sanno sempre cosa dire, non a una ragazza normalissima, insicura e timida.»
   «Tu sei bellissima, Anna! Te l’avrò detto un milione di volte. Credi in te stessa e soprattutto non cercare di assomigliare a nessun altro. Sei perfetta così come sei, capito?»
  Mugugnai qualcosa e sentii il campanello di casa suonare. Era arrivato.
   «Ora devo andare» dissi, troncando la chiamata. «Domani ti chiamo per aggiornarti. Augurami buona fortuna.»
   «Aspetterò solo quello. Fatti onore bellezza!»
   Infilai il cellulare nella borsa e presi a scendere le scale, stringendo il corrimano di legno.

 
Era in ritardo. Una lunga chiamata del suo produttore l’aveva tenuto incollato al telefono fino a pochi minuti prima. Aveva dovuto fare tutto di fretta. Una doccia lampo e aveva indossato i primi vestiti che aveva trovato. Odiava farsi aspettare. Prese le chiavi del gioiellino di Mark e si fiondò al volante, finendo di sistemare i capelli guardandosi nello specchietto retrovisore.
   Ingranò la marcia e la sensazione della leva sotto la mano gli fece ricordare il giorno dell’incidente. Non aveva più guidato da quell’evento ma non si poteva per sempre rimanere incollati al passato. Era ancora vivo ed era quello che contava anche se la sua carriera era ancora a rischio. Un paio di volte a settimana tornava in ospedale per la terapia riabilitativa nel tentativo di salvare il salvabile. Il medico che lo seguiva non voleva sbilanciarsi ma aveva notato un miglioramento, benché minimo. “L’importante è non perdere la speranza” ripeteva, e Danny non ne aveva nessuna intenzione.
   Quando fu fuori dalla casa degli O’Donnel parcheggiò e andò a suonare il campanello. La porta si aprì e si ritrovò davanti Alisha, in tenuta casalinga, con tanto di guanti e grembiule.
   «Ciao Danny, entra pure!» lo invitò lei, facendosi da parte per lasciarlo passare.
   L’interno profumava di fresco e di pulito. I bambini erano in salotto e giocavano con uno strano gioco da tavolo che gli ricordava quello che il nonno aveva creato per loro. «Te lo ricordi?» chiese Alisha, avvicinandosi. «L’aveva fatto tuo nonno per noi...»
   «E mia madre ve l’ha regalato quando è nata Cleo. Ecco perché mi sembrava famigliare.» Sorrise.
   «Sul fondo ci sono ancora incisi i nostri nomi» ricordò lei, con occhi nostalgici. «Ah, bei tempi!»
   Stava per rispondere quando vennero interrotti da tonfi di passi sulle scale. Si girarono contemporaneamente e comparve Anna con il viso arrossato. Guardava in basso ed era impegnata a sistemare un filo che fuoriusciva dalla cucitura dei jeans. Sollevò lo sguardo quel tanto che bastò perché i suoi occhi celesti riflettessero la luce della stanza. Lo salutò con la mano, stringendo con l’altra la tracolla.
   «Ciao, Anna, possiamo andare?»
   «Certo.»
   Avanzò verso Alisha e le schioccò un bacio sulla guancia. «A dopo, non aspettatemi svegli.»
   La donna borbottò qualcosa del tipo “Non fate troppo tardi”. Anche Danny la salutò con un abbraccio fraterno prima di far scorrere un braccio sulle spalle di Anna e trascinarla con sé verso l’auto. Poteva sentire il suo cuore accelerare sotto la punta delle dita.

 
Mi cingeva delicatamente le spalle e parlava di qualcosa ma in quel momento proprio non riuscivo a connettere. Ero persa nel suo abbraccio, tanto strano da sembrare un sogno, assaporandomi ogni singolo istante e sperando di non sentire mai suonare la sveglia.
   «Anna, ci sei ancora?» disse spostandosi di fronte a me e sventolandomi una mano davanti agli occhi.
   «Sì, ehm... Cosa mi hai chiesto?»
   «Ho chiesto se ti andava bene di andare a fare colazione ai bagni pubblici...» disse lui, serio.
   «Si certo, va benissimo!» risposi, senza pensarci.
   Capii solo dopo cosa avevo detto, dalla risata di Danny mentre si infilava in auto. Diventai paonazza. Il mio proposito di evitare momenti imbarazzanti era andato miseramente in fumo.





 

 




E' la prima volta che mi faccio sentire,perdonatemii :(
Voglio ringraziare chi ha messo "This is love" tra
le storie seguite, da ricordare, nelle preferite,
chi ha recensito e chi ha semplicemente letto <3
Questo capitolo fa particolarmente schifo ma abbiate pietà!
Scusate per averci messo tanto per aggiungerlo,
per il prossimo speriamo in meglioooo
baci e grazie a tuttiii <3
 
  
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