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Autore: TheNaiker    10/10/2013    1 recensioni
Hinamizawa, l'estate del 1983 è passata. Ma la felicità sognata da Rika è stata davvero raggiunta? I problemi dei suoi amici sono forse stati risolti, ma la felicità è una gracile piantina per cui bisogna lottare in continuazione, per evitare che essa appassisca. L'arrivo di nuovi personaggi ed eventi e gli effetti di quelli vecchi si intrecciano, in una nuova e difficile avventura.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 47: Punto di non ritorno


Hinamizawa, 29 Febbraio 1984

Al riparo dalla tempesta di cui lui stesso era autore, Goemon Sonozaki stava aspettando il ritorno del suo servo nel tepore della sua casa di Okinomiya. L'aveva mandato ad Hinamizawa quando il Sole era ancora ben lungi dal sorgere, ormai erano passate parecchie ore dalla sua partenza, anche se mezzogiorno doveva ancora arrivare. Attaccare in quel momento della giornata tornava infatti utile non solo per prendere di sorpresa la fazione opposta, ma anche per avere più tempo per riflettere su eventuali mosse successive. Aveva tutto il giorno di fronte a lui, non aveva mai amato l'idea di lavorare con i minuti contati.

Il piano originale che aveva messo in atto d'accordo con la moglie era infatti quello di condurre Mion ad Okinomiya, a casa loro. Sua moglie aveva insistito sull'importanza di averla alla loro mercé: una volta portata lì, quello stesso pomeriggio lei l'avrebbe mostrata a tutti membri del clan che supportavano il cambio di leadership. Avrebbero fatto vedere a tutti cosa era stato di lei, avrebbero messo alla berlina il suo bel tatuaggio una seconda volta, e li avrebbero resi tutti testimoni della sua condizione miserabile. Una volta fatto ciò, Megumi avrebbe riunito un'assemblea straordinaria dove tutto il casato avrebbe assistito alla detronizzazione finale della ragazza: chiunque avrebbe dovuto ammettere che Mion non era più in grado di comandare e che quella che avevano visto attiva e dinamica negli ultimi giorni non poteva che essere Shion, agghindata come la sorella al fine di spacciarsi per lei.

Ufficialmente, difatti, a tutto il clan era stato detto che era Shion quella ricoverata all'Istituto Irie, malata e bisognosa di riposo. I loro parenti non avevano avuto dubbi particolari sulla veridicità di quella fandonia, dopo tutto ogni volta che andavano al Maniero vedevano una ragazza con la coda di cavallo che discorreva loro con calma e risolutezza. Un illusione perfetta, tutti credevano di aver parlato con Mion, di persona o via telefono... Ciò non sarebbe mai stato possibile senza l'abnegazione di Shion, che ormai passava più tempo nei panni di sua sorella che nei propri. Paradossalmente, le storie tradizionali che si tramandavano tra i Sonozaki erano piene di maledizioni ed eventi nefasti che riguardavano la nascita e l'esistenza di gemelli all'interno del clan, ma avere avuto Shion a disposizione era invece per Mion una vera e propria benedizione, un'ancora di salvataggio a cui aggrapparsi.

In ogni caso, sebbene il ramo principale della famiglia si prodigasse nel mascherare la verità, Goemon aveva mangiato la foglia: aveva intuito che quello era solo un trucco, che quella ancora in grado di combattere non era la vera Mion. Però non poteva provarlo, finché non era in grado di portare quella ragazza ad Okinomiya per esibirla agli altri. Lui stesso ne era certo solo perché Ouka Furude gli aveva parlato della cosiddetta ATPC e dei suoi effetti: se c'era una gemella con quei sintomi alla Clinica ella non poteva essere che Mion, non ci poteva essere margine d'errore. Comunque non poteva muoversi in modo avventato, quelli che erano dalla loro parte non dovevano lasciare indizi alla fazione avversa sui loro incontri segreti e sul loro piano per rovesciare la loro leader attuale, altrimenti avrebbero rovinato tutto.

Ouka Furude... Goemon si ricordava la prima volta che quella «cosa» era apparsa di fronte a lui. L'uomo non poteva credere ai suoi occhi. Ma quello spirito gli aveva rivelato di aver letto nel suo cuore... e aveva capito quanto lui smaniasse per aver vendetta. Questo fu quello che lo spirito gli spiegò, ed il fatto che lei avesse affermato di condividere i suoi stessi sentimenti lo aveva convinto a fidarsi di lei. Il suo desiderio di vederli soffrire e morire era troppo forte per non cogliere la palla al balzo. Ouka gli aveva mostrato tutti i punti deboli di coloro che si sarebbero opposti a lui e gli aveva dato indicazioni su come liberarsi di loro.

Infatti aveva costruito il proprio complotto sopra quello di sua moglie. Megumi voleva che Mion fosse isolata dal resto del gruppo, che fosse umiliata... E lui avrebbe fatto sì che quella mortificazione fosse tale da spingere quella ragazza a suicidarsi per la depressione e la vergogna. Ouka le aveva detto tutto, lei sapeva tutto della natura di quella ragazza, sarebbe stato quello il sacrificio finale. Quello che conseguentemente avrebbe poi ucciso anche Rika, grazie al sigillo di energia che lei stessa aveva piazzato nel suo corpo, e che quindi avrebbe portato tutto il loro mondo al disastro. Ed anche se gli avevano detto che c'era un altro morente nella Clinica, Goemon aveva deciso di procedere secondo programma, per non correre rischi.

Quando si erano parlati, loro due? Subito dopo il fallimento di Nabiha, quando tutto il villaggio si era recato presso la prefettura. Anche in quel primo caso, con la Guerra delle Frane, era stata sua moglie a cercare di mettere nei guai Mion. Era stata lei a compiere il primo passo, era stata lei a tirarlo in mezzo. L'intenzione di Megumi, allora, era stato spingere tutta quella comunità ad affrontare una traumatica diaspora, un esilio drammatico. Lo Spirito di Hinamizawa sarebbe stato annichilito perché Hinamizawa stessa avrebbe cessato di esistere, e gli abitanti da soli sarebbero stati una facile presa, Mion compresa. Solo che qualcosa era andato storto, qualche ostacolo imprevisto aveva messo loro i bastoni tra le ruote e Goemon si era trovato nella scomoda posizione di dover far depistare le indagini altrui per evitare che lui e la sua consorte fossero scoperti. In quella circostanza lui si era trovato nel bel mezzo della tempesta, trascinato solo dalla voglia di rivalsa di Megumi, non aveva un fine specifico. Era lì semplicemente perché non aveva niente di meglio da fare, guidato più dall'apatia che da altro.

Ma quando si imbatté in Ouka... Aveva scoperto quale era il suo vero obiettivo... Lui non voleva conseguire solo del potere all'interno del clan, lo voleva radere al suolo, ed avrebbe disintegrato tutto il villaggio e chi ci viveva dentro. E quello spettro gli aveva illustrato la via da seguirla per raggiungere quello scopo. Gli aveva spiegato della Sindrome e dell'importanza della vita di Rika. E gli aveva anche detto che se anche una sola persona nel gruppo degli amici di Mion fosse morta in seguito ad un proprio sacrificio, allora quella mocciosa sarebbe crepata e tutta Hinamizawa avrebbe seguito quella sorte, senza alcun superstite. L'uomo non sapeva come ciò fosse effettivamente possibile, ma le aveva prestato fiducia poiché si era reso conto che lei fosse davvero uno spirito potente e non solo un fantasma vuoto e derelitto. C'era qualcosa di magico e sovrannaturale dentro di lei, così Goemon non aveva messo in dubbio ciò che lei gli aveva rivelato.

E poi, questo era quello che anche lui desiderava. Ouka aveva letto anche la sua mente ed aveva risvegliato la parte più cattiva della sua anima. Come lei odiava i membri viventi della famiglia Furude, pure lui odiava quelli della famiglia Sonozaki, quella a cui lui stesso apparteneva. E non lo faceva senza ragione. Quello spirito gli aveva rammentato perché lui li odiava così tanto.

“Yuzo...” sussurrò l'uomo “Tu e tuo figlio potrete finalmente riposare in pace, e poi io potrò raggiungervi serenamente. Presto... avrò la mia vendetta.”

Goemon si strofinò gli occhi, come per risvegliarsi da un sonno, da uno stato di estasi. Aveva dormito poco nelle ultime notti, specialmente nell'ultima, visto che l'aveva trascorsa dando indicazioni alla propria guardia del corpo e mandandolo all'attacco a compiere la propria missione. Tuttavia, si alzò dal divano e guardò che ore fossero. Il suo servo avrebbe dovuto ritornare di lì a pochi minuti... Anzi, stava pensando che ormai sarebbe dovuto già essere lì, gli aveva affidato apposta un'auto. Era in ritardo.

Per quanto una disavventura del genere non fosse poi così grave. Il suo suddito poteva arrivare in ritardo, poteva anche fallire e tornare a mani vuote, tanto le sue fonti gli avevano riportato che Mion era ridotta talmente male che probabilmente si sarebbe ammazzata comunque, a breve. Forse l'avrebbero fermato durante la sua scorribanda, forse l'avrebbero perfino arrestato, ma neppure quello sarebbe stato un vero imprevisto: tanto ai suoi occhi quella guardia del corpo era tipo da uccidersi all'istante vergognandosi del proprio disonore; piuttosto che tradire il proprio padrone e farsi portare in carcere per essere interrogato, quello era tipo da ammazzarsi. Ah, fedeltà d'altri tempi... Ogni finale di quella storia sarebbe andato più che bene, a Goemon.

In fondo voleva lì quella ragazza soprattutto per assecondare la volontà di sua moglie, per accontentarla. Non poteva deluderla, per lui era una pedina fondamentale: tra loro due era lei quella che apparteneva davvero al clan, in fondo lui era solo un parente acquisito, e poi i mezzi e le conoscenze di quella donna erano di vitale importanza per il conseguimento del suo obiettivo. Megumi poteva ancora essergli utile nel caso di uno sviluppo inatteso, lui non era tipo da eliminare i propri complici prima del tempo con frasi di saluto del tipo Addio, non mi servi più, ora muori. La sua fine sarebbe giunta solo alla fine di tutto, e lui non ci poteva fare molto, in realtà...

“Povera cara” disse l'uomo tra sé e sé “Non immagina che, una volta che Rika sarà morta, lei andrà incontro al suo stesso destino...” Infatti, al contrario di lui, Megumi era completamente all'oscuro della Sindrome. Ma allo stesso tempo aveva vissuto ad Hinamizawa per anni e proprio dentro il Maniero a contatto con Oryou e tutti i pezzi grossi del casato. Senza l'influenza benigna della Regina Portatrice la sua vita sarebbe terminata in fretta, esattamente come per il resto di quella comunità maledetta, quasi certamente.

Goemon era forse dispiaciuto per l'incombente morte della sua compagna? Boh, neanche lui era in grado di rispondere a quella questione. Però, a lui sembrava di essere alquanto indifferente alla sorte di Megumi. Anni prima, i due si erano sposati solo perché avevano una cosa in comune. L'odio. Erano molto simili tra loro, ed avevano trovato conveniente mettersi insieme anche per non invecchiare da soli. In fondo Megumi disprezzava tutti i Sonozaki come lui disprezzava l'intera Hinamizawa, e questo non faceva di lei un angelo. Quella donna non aveva dei veri pregi, era mossa solo dalla propria invidia e dalla propria suscettibilità, forse era per quello che la vecchia Oryou aveva preferito Mion a lei, come erede. Vai a saperlo. Quanto a lui, l'uomo non voleva ucciderla esplicitamente, ma se fosse morta nessuno avrebbe pianto per lei, sarebbe andato tutto bene. Agli occhi di Goemon, la dipartita della moglie assumeva tutte le caratteristiche di un passo un po' noioso ma necessario.

E ciò sarebbe avvenuto molto presto. Alla Clinica aveva un contatto. Usando il denaro della moglie aveva corrotto uno dei medici il quale lo teneva informato continuamente di quello che stava accadendo a Mion. Un vero e proprio agente sotto copertura che fingeva di essere disinteressato a quello che succedeva nel seminterrato, ma che in realtà teneva tutto sotto osservazione. E questo aveva rivelato a Goemon non solo delle condizioni critiche della ragazza, ma anche di quelle ancor peggiori del suo amico. Chi sarebbe morto prima, lei o lui? Era quello il tipo di morte che Ouka auspicava? L'uomo non ne era sicurissimo ma ciò non rappresentava un vero problema. Anche se per puro caso Rika fosse sopravvissuta, lui li avrebbe pressati, sempre più da vicino, finchè non l'avrebbe sfiancata costringendola ad un qualche gesto estremo, o se proprio l'avrebbe soppressa lui stesso con le sue mani. In fondo aveva già sistemato a dovere diversi elementi del loro club, Goemon aveva la situazione sotto controllo e loro non sarebbero mai stati in grado di passarla liscia.

Anche da lì, lui poteva udire le loro grida di paura, poteva gustare il loro dolore e la loro disperazione. Quello era il più succulento dei cibi per lui, l'unica cosa che sembrava in grado di appagare la tristezza di cui il suo spirito era colmo. Goemon ammirò lo spettacolo che si poteva osservare dalla finestra, e si scoprì di essere orgoglioso dell'inferno che aveva creato a sua immagine e somiglianza.

~-~-~-~-~

Il seminterrato della Clinica di Hinamizawa ribolliva di un silenzio surreale.

Il cardiogramma che stava monitorando il cuore di Giancarlo era stato spento, tenerlo acceso era solo corrente sprecata. Ora, la stanza dove lui era stato internato era divenuto né più né meno una camera mortuaria, che conteneva solo un cadavere, ed una persona in vita.

Takano stava asciugando l'ultimo sudore di quel corpo ormai immobile, rimanendo in piedi a lato del letto. Non aveva fatto null'altro, durante gli ultimi attimi della sua agonia, aveva solo contemplato quello che si stava verificando di fronte ai suoi occhi, senza muovere un dito per provare a salvare il ragazzo morente, e solo dopo aver dichiarato l'ora ufficiale del decesso aveva disattivato l'apparecchiatura. Tanto l'altro non dava più segni di vita.

La donna era sola, Irie doveva ancora riprendere conoscenza, il colpo che gli avevano dato fu forte e doloroso, ed era ancora privo di sensi. Il medico giaceva infatti tuttora lì, dormiente in una posizione scomoda... Ed anche se il suo corpo non era così pesante da non poter essere spostato in una normale postura distesa, l'infermiera non aveva mentalmente la forza di andare lì e sistemarlo.

Aveva usato il proprio fazzoletto, ed aveva premuto un bottone. Tutto qui, Takano non aveva fatto null'altro, ed ora stava ammirando la desolazione che la circondava, e quella che le riempiva l'anima. Non aveva controllato lo stato della testa contusa di Irie, non aveva chiamato la polizia, non aveva informato nessuno di quello che aveva visto. A lei non importava più di nulla di ciò.

“Questo era... inevitabile.” commentò lei “Ciò è quello che capita quando combatti contro qualcosa di più grande di te. Un'esperienza che ha distrutto anche me, l'anno scorso. Ho combattuto contro Dio, contro una forza illimitata, ed ho perso. Non poteva finire in modo diverso, a vedere come è finita per voi direi che questa sacrosanta verità valga per chiunque ci provi. Eh, ora lo so.”

Si sedette sulla sedia presente nella stanza, quella su cui Alice aveva passato la notte. La luce stava svanendo a poco a poco dai suoi occhi inerti, ed i suoi movimenti erano lenti e senza energia. Takano era stanca di tutto.

“Sai, ragazzo mio...” disse, parlando al cadavere “Quando avevo incontrato quella bambina con le corna, lei mi aveva proposto di essere un tutt'uno con voi. Aveva detto che c'era posto anche per me, qui ad Hinamizawa. Mi aveva detto che potevo riprendere una nuova vita, circondata solo da amici e libera dai fantasmi che mi hanno inseguita per tutti questi anni... Ed io mi ero lasciata convincere. Veramente. Quella era sembrata così sincera, lei credeva in quello che diceva, e potevo vedere che la mia felicità era importante, per loro. Hanyuu-chan mi aveva allungato la mano convinta che io potessi passare un'esistenza gioiosa, mi aveva offerto quell'opportunità ed io avevo accettato.”

“Però... Lei non poteva mantenere quello che aveva promesso. Nessuno di quei ragazzi poteva. Non è colpa loro, sai? Hanno fatto del loro meglio. Ma il punto è che questo posto non sarà mai benedetto da un Dio gentile. Loro hanno provato a trasformarlo, ed il risultato è stato uno schifo. Ora tutti loro stanno soffrendo...”

“Io sapevo già che il destino di Hinamizawa sarà sempre quello di essere dannata, loro non sono mai stati in grado di farmi cambiare del tutto idea. Me ne ero accorta anni fa, il primo giorno in cui sono venuta qui, tutti quei dissapori sulla diga, tutti quei conflitti tra famiglie, una Sindrome che marchia per sempre quelli che colpisce... Una vera allegria non può sorgere tra queste montagne scure, ma non ho mai considerato questo neppure un contrattempo. In fondo non ho desiderato essere felice, da quando sono arrivata qui. Non cercavo felicità né per me, né per loro... Anzi, io avevo cercato di diventare la sorgente finale del male. Di essere il vero Dio malvagio di questo posto, colei che condanna gli esseri umani ad una vita ignobile e buia, e quindi alla morte.”

“Io ero disperata, in quei giorni così grigi, così volevo che lo fossero anche loro. I loro patimenti avrebbero alleviato i miei... Ma non sarei mai riuscita a raggiungere questo obiettivo, questo l'ho capito di recente. Quel ruolo di essere crudele è già occupato, da un'entità spaventosa che sta mettendo in croce tutto il villaggio. Qualcosa di incomparabilmente più grande di quello che io avrei mai potuto fare, il fatto che quei ragazzi siano stati sconfitti lo dimostra chiaramente. Certe volte mi chiedo perché non mi abbiano lasciato vincere, vista la fine che stanno per fare, non sarebbe cambiato nulla ed io sarei stata soddisfatta del mio operato... Ma va bene anche così. Non sarà Oyashiro-sama, magari, ma c'è davvero una forza oscura che sta cercando di costruire un eterno supplizio per tutti noi.”

Takano singhiozzò. Vaneggiava, diceva cose dal significato fumoso e tutt'altro che chiaro. “Un miracolo non avrà mai luogo, qui... E se non c'è speranza per te, amico mio, figurati se c'è per me. Non c'è posto per me, su questa terra.”

La donna si sbottonò parzialmente il camice, in maniera da permettere alla mano di arrivare ad un taschino che aveva cucito di nascosto sotto l'indumento, qualche giorno prima. Da lì, afferrò una pistola, e poi un proiettile.

“Irie-sensei non ha la più pallida idea di questo piccolo nascondiglio... meno male...” Fatto ciò, lei appoggiò il bossolo sulla sedia per un momento, in modo da aprire il caricatore più facilmente, e quindi lo riprese per infilarlo nell'arma. Precedentemente l'aveva tenuta scarica perché non voleva che essa sparasse accidentalmente, voleva evitare che qualcuno si ferisse per colpa sua.

Ma ora era tutto diverso.

Takano diede una veloce occhiata alla porta. Era ancora da sola, nessuno l'aveva raggiunta dal piano superiore. Ne poteva essere ragionevolmente sicura, la presenza del corpo fermo del dottore in parte all'ingresso della stanza era un efficace sistema d'allarme: se qualcuno fosse sceso nel seminterrato si sarebbe messo a gridare nel momento stesso in cui avesse visto Irie svenuto e così l'intruso avrebbe rivelato a lei il suo arrivo. Però la donna desiderava essere certa al cento per cento: prese una chiava dalla tasca del camice del medico e con essa chiuse per bene la porta.

Ora era come se non ci fosse più nessuno con lei. Era libera di fare quello che stava per fare.

“Ho ancora quel giorno davanti agli occhi... Okonomi mi aveva consegnato una pistola con una sola pallottola, invitandomi ad ammazzarmi. Allora mi ero rifiutata, non potevo arrendermi ad un tale destino... E quello sparo finì col ferire nessuno, il proiettile era finito contro un albero, formando un bel buco tra l'altro... Povera pianta, sono andata a vederla dozzine di volte dopo quel pomeriggio. Era il simbolo di quello che era stato... Il monumento in memoria di quella vecchia storia. Ora lo so... Quel giorno doveva finire in un altro modo, quel colpo avrebbe dovuto togliere di mezzo qualcuno...”

Il corpo dell'infermiera chiuse gli occhi, sorridendo amaramente: “Penso che Okonogi mi avesse dato il suggerimento corretto, quella volta... La pistola che mi aveva prestato è stata sequestrata dalla Banken mesi fa, ma dopo tutto questa è una quisquilia, il mondo è pieno di armi da fuoco... Il dolore antico e quello presente, quello che ho sofferto io e quello che hanno sofferto loro... E' troppo per me. La mia mera esistenza è la causa di tutto... L'odioso Dio che mi ha creato si è divertito ad assegnarmi una vita disgustosa, ed io sono stufa di intrattenerlo... Non posso sopportarlo un minuto di più...”

“Sono spossata, Hanyuu-chan... Sono così desolata, che io non possa compiere quanto ti ho promesso... Sono spiacente, per tutto, è solo colpa mia...”

Takano si sedette sul letto dove stava il corpo di Giancarlo, e pronunciò queste parole: “Non ti dispiace se lo faccio qui, vero? Sono troppo stanca anche per andarmene da un'altra parte...”

Poi, mise la canna della pistola dentro la bocca.

I suoi occhi erano lucidissimi, alla stregua di limpide pozze d'acqua... Ed improvvisamente una visione apparve dinanzi a lei.

“Nonno, sei tu...”

Lo spirito di quell'uomo così gentile con lei era ancora lì, porgendole la mano. Loro due avrebbero vissuto insieme, lontani da tutte le sofferenze che lei aveva passato nella propria vita... Che bello...

Takano sorrise, piangendo come una fanciullina che aveva appena ritrovato i propri genitori. Era come se il suo cuore si stesse infine sciogliendo, tutti i suoi patemi si stavano dissolvendo. La sua anima si stava librando lontana dal corpo... Insieme a suo nonno, avrebbe vissuto il sogno che lei si era sempre augurata.

E quindi, premette il grilletto.

~-~-~-~-~

A distanza di qualche chilometro dalla Clinica, l'uomo che aveva rapito Mion non ebbe il tempo di fuggire con il suo bottino. Altri due visitatori sgraditi avevano messo piede nel luogo in cui aveva duellato contro Alice.

Satoko e Satoshi erano stati messi in allarme da Rena. La ragazza dai capelli castani era infatti ancora ricoverata nell'Istituto, non si era ancora mossa da quel posto a causa della sua condizione di salute. Ormai era lì da molto tempo, ma per fortuna quello doveva essere l'ultimo giorno d'ospedale per lei, suo padre l'avrebbe presto portata a casa. Così, Irie le aveva spiegato quella mattina lui si sarebbe presentato molto presto nella sua stanza per un ultimo check up di routine, subito dopo aver visitato Mion e Giancarlo.

Era stato proprio l'inspiegabile ritardo del medico a far sorgere a Rena dei sospetti. Lei aveva un brutto presentimento, Irie avrebbe mandato qualcuno ad avvisarla di un eventuale contrattempo, perciò scendendo dal letto aveva preso la propria sedia a rotelle ed era andata alla finestra della propria camera, per guardar fuori. E da lì, aveva visto Mion mentre veniva trascinata via ed Alice mentre inseguiva lei e l'uomo che l'aveva rapita. Rena lo riconobbe, aveva già visto quel figuro scortare in un'occasione Megumi come un'ombra, e da quell'immagine ne aveva tratto le ovvie conclusioni; dunque, la ragazza si precipitò fino alla sala d'accoglienza per cercare qualcuno. Una volta là, si accorse che non vi erano ancora arrivati dottori, infermiere od impiegati, così prese il telefono in prima persona e chiamò la polizia per dare l'allarme.

In un secondo momento, dopo aver riagganciato e lasciato la reception, Rena si era resa conto di non riuscire a rintracciare né Irie né Takano, nelle varie stanze del piano terra, e quindi si era preoccupata anche per loro, giungendo però rapidamente alla conclusione che fossero sotto i suoi piedi, nel seminterrato. Quell'uomo infatti aveva Mion sulle spalle, quindi tutto doveva essersi verificato nella camera in cui lei era ospitata. Ma lì non avrebbe mai potuto raggiungerli, lei non poteva scendere le scale, non avrebbe mai più potuto farlo per il resto dei suoi giorni. Per di più dal piano sottostante non avrebbero mai potuto udire la sua voce anche se avesse urlato, loro erano troppo lontani e le mura dell'edificio erano insonorizzate. Se almeno avesse potuto mandare giù qualcuno per controllare la situazione, ma al momento non vi era ancora nessun membro dello staff a cui chiedere aiuto, quelli si sarebbero fatti vedere solo dopo una mezz'oretta buona; impossibile anche contare sulla collaborazione dei pochi pazienti che avevano già preso posto nella Clinica, tutti ottantenni rachitici condotti lì da figli e nipoti, i quali se ne erano andati subito al lavoro dopo aver parcheggiato là i propri parenti. Anziani che a malapena si reggevano in piedi... Individui privi di una qualsiasi utilità, come lei.

Maledicendosi per non essere in grado di assistere Irie o Takano, Rena aveva concluso allora che l'unica cosa che poteva fare per loro era aspettare gli altri medici. Volendo essere ottimisti loro sarebbero potuti arrivare prima del solito, ma lei era conscia che anche nel migliore dei casi lei avrebbe dovuto attendere una ventina abbondante di minuti: il resto del personale non era mai arrivato in anticipo alla Clinica, e non c'era motivo per pensare che quel giorno potesse essere diverso dagli altri. Era una vera disdetta, il fatto che Irie fosse solito entrare così presto, rispetto a tutti i colleghi. Lo scagnozzo degli zii non avrebbe avuto tutto quel tempo per mettere in atto il suo piano, altrimenti.

Rena non poteva fare nulla per quelli che erano rimasti nel seminterrato. Ma poteva fare ancora qualcosa per Mion ed Alice, che erano fuori. Quell'uomo era scappato dalla Clinica attraverso i boschi, una zona che Satoko aveva presumibilmente disseminato di trappole e congegni. La sua piccola amica conosceva bene la zona ed il suo intervento sarebbe stato decisivo... Però non doveva venire da sola, suo fratello sarebbe dovuto restare con lei. E quindi la ragazza decise di chiamare anche loro e con poche parole concise li mise al corrente di quello che era accaduto, pregandoli di andare a dare una mano ad Alice.

Fu proprio questa chiamata di Rena a far sì che i due Houjou si trovassero lì, di fronte a quell'uomo. Satoshi aveva corso a perdifiato nella direzione in cui avevano udito le grida della battaglia, e Satoko l'aveva seguito a ruota, giungendo al luogo dello scontro pochi secondi dopo di lui. Ma quando erano arrivati, non avevano potuto che constatare che tutto era finito. Alice stava distesa sul terreno, morta, nel mezzo di una pozza di sangue.

“Ali-chan...” pianse Satoko, rendendosi conto di essere venuta troppo tardi. Ma non era l'occasione di dolersi per la sorte della sua amica, colui che l'aveva realisticamente uccisa era davanti a loro. Trasportare il corpo di Mion non gli aveva permesso di correre veloce e quindi lui non aveva avuto il tempo di darsela a gambe senza essere visto.

“Accidenti...” commentò l'uomo, vedendosi negata ogni possibilità di fuga.

“Tu, non ti muovere! Sta fermo dove sei!” urlò Satoshi.

“E se non obbedisco?”

“La questione non è di decidere se obbedire o no.” esclamò Satoko “Semplicemente non hai altra scelta. Capisci, mentre Nii-Nii stava facendo capolino qua e ti distraeva, io ho fatto un giro da queste parti ed ho fatto un paio di tagli alle gomme della tua auto. Non puoi andare da nessuna parte, ora.”

Il loro nemico li adocchiò con un'aria gelida. “Tu hai deciso di mandare avanti il tuo compare e di non dirigerti qui subito, allora... Forse avete perso secondi fondamentali. Non credete che la vostra amica sarebbe ancora con voi, se voi non aveste fatto nessuna deviazione?”

L'acida critica dell'uomo intimorì Satoko, che sentendosi punta sul vivo abbassò gli occhi, chiedendosi se ciò fosse vero. Ma Satoshi venne in sua difesa: “Non accusare Satoko di qualcosa che hai fatto tu, adesso! Lei ha corso al massimo delle sue possibilità, ma sarebbe arrivata in ogni caso dopo di me, questo è normale. Non... Non potevamo evitare che questa morte avesse luogo.”

Non era un allegro modo di consolare quello del ragazzo, ma come osservazione aveva perfettamente senso. Satoko abbracciò grata il fratello.

“Già, forse potresti avere ragione.” ribatté l'altro “Tuttavia, vi sarà senz'altro chiaro come io non sia uno che scherza. Non sono qui per divertirmi, lasciatemi stare e non impicchiatevi, oppure il vostro destino sarà il medesimo di quello di questa povera ragazza.”

“Sai già quale è la nostra risposta. Questo invito è assurdo, non sta né in cielo né in terra.”

“... Sì, temo di sapere cosa avete intenzione di fare, signorina. Non vado matto per fare questo genere di cose, ma visto che ci tenete e mi obbligate a farlo...”

Per l'ennesima volta, era obbligato ad adagiare Mion sull'erba, ma diversamente da prima tenne il proprio coltello nella sua custodia, andando invece a prendere la spada di Alice che era ancora nelle vicinanze. La sollevò con una certa forma di rispetto, in quanto appartenente ad un nemico onorevole che ora non c'era più; ma al contempo era un'arma più lunga ed efficace del suo pugnale, una che poteva infliggere ferite mortali più facilmente, e con essa avrebbe potuto porre fine a quella storia più celermente. Senza scordare il fatto che i due ragazzini parevano disarmati.

Satoko, dal canto suo, stava viceversa cercando di capire cosa potevano combinare contro di lui. Malauguratamente il loro avversario non era incappato in nessuna delle sue trappole, in quanto al contrario di quanto Rena presumeva lei non ne aveva piazzata alcuna in quella zona. La bambina non aveva minato la zona intorno alla Clinica, temeva di ferire qualcuno dei pazienti, forse per un eccesso di prudenza visto che era improbabile che uno dei malati si mettesse a girovagare per i boschi. Ma anche se l'avesse fatto, il loro antagonista aveva tutta l'aria di essere qualcuno con grande esperienza, forte come un samurai proveniente dai tempi antichi. Avrebbe evitato ogni suo tranello con maestria. Ed ovviamente era fuori questione crearne delle altre sul momento.

Anche la probabilità di essere soccorsi dai propri amici era alquanto remota. Keiichi, Rika, Hanyuu ed i Sonozaki erano stati sicuramente avvertiti da Rena, ma sarebbe passato molto tempo prima che loro arrivassero, in quanto non conoscevano bene la zona come lei. I suoi compagni per esempio non sapevano che in tutta l'area c'era solo un posto dove si poteva nascondere un grosso mezzo di trasporto da usare successivamente, ecco perché Satoko aveva scovato il posto esatto così velocemente, conducendo là anche suo fratello. I loro rinforzi sarebbero arrivati molto più tardi, loro due si sarebbero dovuti arrangiare da soli.

Avevano comunque ancora una chance. Lei sapeva che Satoshi l'avrebbe protetta, offrendosi di combattere contro quel tizio anche ciò voleva dire affrontare a mani nude un tizio armato di spada. Ma lui non sapeva che la sorella aveva davvero un'arma con sé. L'ultimo dei suoi ritrovati, un esperimento che aveva raccolto da un cassetto appena prima di partire, sospettando che potesse tornare utile e prezioso. Però non l'aveva mai testata, quella roba... Ma non c'era più tempo per questioni di lana caprina. Alla malora le esitazioni ed i tentennamenti, l'avrebbe provata sul posto.

Trasse fuori un fazzoletto dalla tasca, e dopo averlo aperto ne consegnò il contenuto a suo fratello.

“Nii-Nii, ti prego, indossa questo.”

Nelle mani di Satoshi, era apparso un guanto, fatto su misura per la mano destra del ragazzo.

“Do... Dovrei mettermelo? Perchè...”

“Fallo subito, per l'amor del cielo! È la nostra sola risorsa. Se ci riesce di vincere sarà solo grazie a questo.”

~-~-~-~-~

Satoko l'aveva intuito, Rena aveva chiamato tutto il gruppo per dare l'allarme. Quello che lei non poteva sapere però era che l'amica non era riuscita a parlare con ognuno. Nessuno aveva risposto, da casa Furude. Nessuno avrebbe mai avuto la forza di farlo, là.

Il cuore di Rika si stava come spaccando in due, straziando ogni brandello dell'anima della fanciulla. Tanto che lei aveva pregato Hanyuu di non prendere neanche la cornetta. Parlare con loro non sarebbe servito a un accidente, Rika sapeva che era ormai giunta la sua ora.

“Rika, non farmi questi scherzi!” la supplicò Hanyuu "Per favore, fatti forza!”

“Tu... ugh... Tu sai già che questa cosa non si può contrastare. Questo dannato sigillo di energia... Sta... sta per... Il dolore sta diventando insostenibile... Mi sa che...”

Rika tossì violentemente, sputando fuori grumi di sangue.

“Rika... Rika...”

Hanyuu non smetteva di piangere, battendosi il pugno sul petto e disperandosi per non essere in grado neppure di recare un minimo sollievo alla propria discendente. Tutto quello che poteva fare per lei era pulirle la faccia lercia di rosso con un fazzoletto. “Mi spiace di non avere più l'abilità di tornare indietro nel tempo con te, attiverei quella magia all'istante se mi fosse concesso farlo. Ma i miei poteri si sono indeboliti in tutti questi secoli, dopo tutte le volte in cui ho dovuto far ricorso ad essi... Mi dispiace, Rika, sono inutile come uno straccio usato...”

“Ma per piacere... Non mi seccare con questi nonsensi.” replicò l'altra, in agitazione “Sentirti cianciare queste stupidaggini mi sta rendendo questo momento anche più brutto di quanto non sia già... Però... Se sento questo dolore... Questo significa che Gi-chan è passato a miglior vita. Sono triste per lui, sinceramente... Ma la verità è che sono triste per tutti noi. Questa... E' questa la fine di tutto? Ve... Veramente...?”

Rika si sentiva morire. Quello che Ouka aveva posizionato nel suo corpo era entrato in azione, dopo che tutti i requisiti per la sua attivazione erano stati definitivamente soddisfatti, ed ora stava lacerando ogni fibra del suo povero cuore, il quale stava ora battendo in maniera incontrollata, sentendo di essere abbrancata dagli artigli della morte. La bambina sudava a più non posso, i suoi occhi e la sua bocca erano spalancati, le vene ed altre macchie scure risaltavano dalle sue sottili braccia. Si sentiva come se l'intero si corpo si stesse irrigidendo...

Lei si era quasi dimenticata quel genere di dolore. Il suo corpo era stato smembrato in così tanti mondi maledetti, ma ormai pensava che quella storia appartenesse solo ad un orrido passato. Tuttavia, ciò non le impediva di essere sarcastica “Forse... Forse è questo che le persone vivono durante un infarto... O quando si innamorano. Molto istruttivo, non c'è che dire.”

“Per favore non scherzare, Rika, almeno non in questo momento!”

“Che... che dovrei fare, dunque? Dammi... perlomeno il permesso di guardare in faccia il mio destino con dignità. Lasciami morire come voglio...”

Rika chiuse gli occhi.

“Non essere così cattiva! Abbi coraggio, resisti, troveremo un modo per farcela! Abbiamo già fatto un miracolo, te lo ricordi Rika?”

Rika non rispose.

“Rika, ti ho detto di non scherzare! Per l'amor di Dio, cerca di comprendermi, questo è un periodaccio anche per me, non farmi stare peggio del necessario.

Rika non rispose.

“Rika, dimmi qualcosa! Vuoi deciderti o no a degnarmi di uno sguardo?”

Rika non rispose.

Hanyuu continuò a parlare, urlandole nelle orecchie, spingendola con le mani per incitarla a replicare, ma stava cominciando a capire.

“Rika? Rika, Rika, Rikaaa! Rika, dimmi qualcosa ti ripeto! Non puoi farci questo! Rika..."

Rika non rispose, perché non poteva. Il suo cuore aveva cessato di battere, e quello davanti ad Hanyuu era ormai solamente un cadavere senza vita.

“Rika... Ri... ka... RIKAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”

  
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