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Autore: Hi Ban    12/10/2013    0 recensioni
[Oguri Shun]
Oguri Shun era una persona paziente.
Era una persona paziente, ma quello non voleva assolutamente dire che non avesse dei limiti di sopportazione. Semplicemente, il suo limite era vagamente basso, perciò era paziente il quarto di quanto una persona veramente paziente sarebbe stata.
Ok, no, è meglio dire che Oguri Shun era una persona che sapeva attendere ed era tollerante fino a quando tutto quello aveva uno scopo. Nel momento in cui era solo gratuito disturbo arrecato alla sua persona era capace di mandare al diavolo tutto e tutti anche nell’arco di un quarto d’ora.
In definitiva, Oguri Shun era una persona fatta tutta a modo suo, con i suoi limiti e i suoi modi di vedere le cose. E se c’era una cosa che faceva perdere immediatamente la serenità e la tranquillità ad Oguri era l’essere svegliato senza un motivo mentre stava dormendo.
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kono fanfiction wa fiction desu :D Io non conosco – disgraziatamente – il reale carattere di questi personaggi e, pertanto, quanto scritto qui corrisponde a finzione.


Only Yu




Oguri Shun era una persona paziente.
Era una persona paziente, ma quello non voleva assolutamente dire che non avesse dei limiti di sopportazione. Semplicemente, il suo limite era vagamente basso, perciò era paziente il quarto di quanto una persona veramente paziente sarebbe stata.
Ok, no, è meglio dire che Oguri Shun era una persona che sapeva attendere ed era tollerante fino a quando tutto quello aveva uno scopo. Nel momento in cui era solo gratuito disturbo arrecato alla sua persona era capace di mandare al diavolo tutto e tutti anche nell’arco di un quarto d’ora. In definitiva, Oguri Shun era una persona fatta tutta a modo suo, con i suoi limiti e i suoi modi di vedere le cose. E se c’era una cosa che faceva perdere immediatamente la serenità e la tranquillità ad Oguri era l’essere svegliato senza un motivo mentre stava dormendo.
Quel disgraziato pomeriggio, caso volle che il dormire si fosse rivelata l’azione che maggiormente si confaceva alle sue esigenze – aveva sonno, cielo, era stanco morto – e sempre il caso decise che era giusto che il suo cellulare prendesse a suonare.
Shun mugugnò qualcosa con irritazione, girandosi dall’altro lato, ma era ormai abbastanza sveglio da rendersi conto che era totalmente inutile.
Perché non aveva la vibrazione? Quella sicuramente non l’avrebbe sentita nemmeno per sbaglio, ma era stato così furbo – e se si insultava con ironia da solo era grave – da mettere la suoneria. Alta. E che, per coronare il tutto, cresceva progressivamente fino a che la chiamata non veniva risposta.
Poteva sempre lasciarlo suonare, ma dopo mezzo minuto di Be With You dei Glay – stupido Ikuta e le sue fisse! – si tirò di scattò a sedere sul divano su cui stava risposando e afferrò il cellulare appoggiato sul tavolino. Il tutto mentre borbottava imprecazioni a mezza voce.
Era sua madre.
Fissò lo schermo del cellulare con sguardo apatico, come se non sapesse realmente cosa fare. Cioè, sapeva cosa lo attendeva se avesse risposto o, come minimo poteva immaginarlo.
Se sua mamma telefonava poteva solo voler dire che voleva qualcosa da lui; non avrebbe mai telefonato per sapere come stava, si erano visti quello stesso mattino e, in genere, le chiacchiere di circostanza non erano nelle abitudini della famiglia Oguri.
Se rispondeva gli toccava fare quel che voleva, ma se non rispondeva sarebbe rimasto nel dubbio: e se fosse successo qualcosa di grave?
Tutte quelle considerazioni Shun le fece con un po’ di lentezza, considerando che si era appena svegliato e non lo aveva nemmeno fatto di sua spontanea volontà. Nel frattempo il cellulare aveva smesso di suonare.
Beh, se aveva già riattaccato voleva dire che non era nulla di importante. La momentanea gioia del ragazzo non venne nemmeno recepita dal suo stesso cervello che il telefono riprese a squillare.
Era ancora sua madre.
Shun sbadigliò e si stropicciò gli occhi assonnato, stiracchiando le gambe nello stesso momento. Se non fosse stato per il fatto che imprecava a bassa voce in una lingua che non si poteva nemmeno definire giapponese antico, sarebbe anche potuto apparire tenero.
Con uno sforzo di volontà che nemmeno lui stesso credeva possibile, accettò la chiamata, pronto a sentire cosa aveva da dire la madre.
«Cos-» cosa succede, mamma?, sarebbe stata la vagamente scocciata e molto assonnata domanda di Shun, ma sua madre non aveva atteso un secondo in più per iniziare a parlare a raffica.
Una caratteristica davvero lodevole della genitrice, Oguri lo aveva notato svariate volte.
«Shun chan! Shun chan c’è un problema, ho proprio bisogno che tu venga, non hai idea di quel che mi è successo» blaterò senza riprendere fiato e il figlio, vuoi per le pessime condizioni ricettive del cellulare, vuoi per le sue stesse pessime condizioni di comprensione, non comprese nulla oltre all’iniziale Shun chan.
Beh, forse era la volta che sua madre davvero lo chiamava solo per sapere come stava e cosa stava facendo, cosa che lo avrebbe oltremodo infastidito: per iniziare quelle tiritere di cordialità non richiesta c’erano sicuramente giorni migliori, se sua madre aveva scelto proprio quello in cui lui dormiva era tutta colpa del karma.
«Cosa?» fu la brusca risposta di Oguri, che non si trattenne nemmeno dallo sbadigliare vagamente rumorosamente.
La madre sospirò, probabilmente calmandosi anche: la tranquillità di Shun dinnanzi al suo principio di isteria dovevano averle fatto comprendere che anche lei poteva stare più calma. «Mi si è fermata la macchina, Shun, non parte proprio» ammise con un altro sospiro, come se espirare più volte potesse farla ripartire per magia.
Poi però dovette rendersi conto che la macchina si era fermata davvero, respirare pesantemente non l’avrebbe aiutata e fino ad un attimo prima era in agitazione totale. Shun la sentì trattenere il fiato di botto e poi la cascata di frasi sconnesse si riverso nelle sue orecchie. E fu traumatico per Shun, perché appena sveglio ogni rumore era cento volte più forte.
«Ah, quando sono uscita di casa andava benissimo, la benzina c’era, l’ho fatta giusto poco prima di arrivare da Ikumi san, sai, la casa è proprio attaccata al distributore… poi! Ah, poi quando sono andata via la macchina andava ancora, mi sono fermata al konbini per comprare i gamberetti e quando sono tornata non partiva!»
Oguri non ci aveva ancora capito molto: «E perché hai chiamato me?» si informò spassionatamente, probabilmente dimentico del fatto che era suo figlio e che era a piedi. Gli scherzi che gioca una mente assonnata vennero trovato piuttosto divertenti dalla madre, che esordì in una risata ilare.
«Cosa vuol dire, Shun chan? Perché devi venirmi a prendere!» gli disse come se fosse una cosa ovvia ed in effetti lo era. Il figlio era ancora vagamente perplesso, tanto che si stropicciò nuovamente gli occhi, come se vederci meglio potesse farlo arrivare ad una nuova consapevolezza.
No, la verità era che doveva tenere gli occhi aperti o sicuramente non ci avrebbe capito più nulla.
La madre rise ancora, deliziata: «Stavi dormendo, vero? Mi dispiace averti svegliato, tesoro, ma ho proprio bisogno che tu venga a prendermi. I gamberetti andranno a male se stanno ancora un po’ nelle buste!» si lamentò, disperata per la tremenda sorte che spettava ai molluschi già morti.
In un angolo del suo cervello, Shun si rese conto che la madre metteva il suo sonno al di sotto del pesce; forse c’era qualcosa che non andava nella scala delle priorità, ma era troppo assonnato per ragionarci su seriamente.
«Ti sei riaddormentato?» chiese solare, dal momento che la crisi era passata, aveva messo il figlio al corrente della sorte del pesce ed era certa che di lì a poco sarebbe andato a prenderla. Ah, che ottimi figli che aveva messo al mondo, ne andava fiera come solo una madre avrebbe saputo fare.
Shun emise un grugnito poco distinto che poteva anche farlo sembrare nuovamente preda del sonno.
Sfortunatamente per lui era sveglio e gli era appena stata sbattuta in faccia l’amara verità, ovvero che gli sarebbe toccato alzarsi, svegliarsi completamente, uscire, guidare, prendere la madre e finalmente tornare a casa.
Era troppo per un ragazzo che aveva prospettato di dormire fino al mattino seguente. In quel periodo stava passando da un set all’altro, appena finito un progetto ne spuntava fuori un altro e lui non aveva mai detto di essere una persona iperattiva. Anzi.
«Allora? Vieni adesso, caro?» chiese, ma non era da intendere come una domanda, era una semplice affermazione che voleva invitare il figlio ad alzarsi per andare a prenderla.
«Arrivo» fu la laconica risposta di Shun, che altro non poteva dire, visto che non avrebbe trovato una scusa adeguata per svicolare a quelli che la madre vedeva come ovvi compiti da figlio.
«Dove-» dove devo venire a prenderti?, sarebbe stata la seconda domanda che Shun non riuscì a porgere alla madre, ma quest’ultima lo interruppe nuovamente.
«Eh, beh, chiama anche il carroattrezzi, Ikemoto san, la macchina la porto sempre a lui e non ho il numero» dopo uno sbrigativo ‘ciao’ ciò che sentì Shun fu un ripetersi di tu-tu-tu-tu poco incoraggianti.
Il sonno, se non altro, era stato completamente soppiantato dall’irritazione. Lo aveva svegliato, gli aveva riattaccato in faccia e non gli aveva nemmeno detto dove si trovava.
Conoscendo la madre, poteva benissimo essere finita a fare compere in un Konbini a Kofu, così come poteva essere finita ad Akihabara o dietro casa. Quella donna non aveva il senso della misura, né del tempo né dello spazio. Se non fosse stato per il mare che li divideva, sarebbe pure potuta finire in Corea, così, tanto per fare diversi acquisti. Era anche piuttosto probabile che avesse finito la benzina e che non se ne fosse resa conto.
Shun era distrutto.
Era distrutto e doveva andare a raccattare la madre; probabilmente quello non era il suo giorno migliore, ma era stato un gravissimo errore da parte sua non pensare nemmeno all’eventualità che fosse già abbastanza mal messa da poter continuare pure peggio.
Un palese presagio glielo diede il telefono che prese a squillare ancora.
Anatani aeta koto... Shiawase no atosaki...
Era Ikuta.
No, non ne aveva la forza, chiuse la chiamata e si diresse in cucina.


Una volta chiamato il carroattrezzi, la madre per farsi dire dov’era ed essere andato in bagno – non necessariamente in questo ordine – Shun poté prendere l’auto e andare. Alla fine non era andata tanto lontana, solo a Shibuya e, come gli aveva fatto notare per telefono, «potevi anche immaginarlo, Shun chan! Ti avevo detto che sono andata da Ikumi san, no? E…»; il resto del discorso che propinò al figlio non è utile ai fini della narrazione.
Ci mise relativamente poco ad arrivare, contando che il suo stile di guida non era dei migliori per quanto riguardava il rispetto dei limiti stradali e per un paio di semafori si era sentito giustificato a passare ancora con il giallo visto che era irritato per il pessimo tempismo della mamma. E poi aveva sonno.
Doveva pur trarre qualche utilità dal non poter dormire come aveva sperato, no? Beh, finché non uccideva nessun innocente cittadino che attraversava le strisce poteva anche passare sulle rotonde, la cosa gli stava bene.
Nel peggiore dei casi gli avrebbero tolto la patente; in più, nonostante si fosse lavato la faccia prima di andare, per svegliarsi, era ancora piuttosto intontito dal sonno e non era nemmeno sicuro di averla con sé.
Ricordò dove doveva andare. Gli aveva dato il nome di un posto che non aveva ancora mai sentito, segno che sua madre aveva deciso di allargare gli orizzonti verso nuovi centri di acquisto. Buon per lei, se poi non rompeva la macchina e toccava a lui andare a prenderla. Che poi, non aveva anche altri due figli…?
Era una stradina piuttosto stretta e Shun la vide al primo colpo per un puro caso. Era tra due edifici piuttosto imponenti, perciò risultava difficile farvi caso. Dove era andata ad infilarsi sua madre?
Preferì lasciare l’auto lì, visto che dubitava che con l’auto si sarebbe mosso con grande facilità in quello che altro non era che una stradina molto stretta. Sfortunatamente lì non c’era nemmeno parcheggio, perciò optò per l’ennesima decisione poco legale; la lasciò attaccata al marciapiede dinnanzi al Ganbarimashou~ bar. C’era scritto divieto di parcheggio, certo, ma era questione di pochi minuti.
I suoi pronostici si rivelarono sbagliati quanto quelli di poter dormire. Di certo non poteva fare l’indovino, sarebbe fallito immediatamente; l’attore era decisamente meglio.
Quando giunse dinnanzi al Karibuki konbini sua madre non si vedeva da nessuna parte. Shun non credeva di aver mai imprecato tanto come quel giorno; probabilmente si sarebbe anche recato in qualche tempio per chiedere perdono agli dei, ma gli usciva tutto di bocca senza che nemmeno se ne accorgesse.
Dove diavolo era ora sua madre?
Shun diede un lungo sguardo all’insegna del negozio, chiedendosi se entrare, in caso la madre, nell’attesa, si fosse presa la libertà di dare un’altra occhiata. Magari le mancava la farina di riso, non si poteva mai sapere.
Il fatto era che non ne aveva proprio voglia; a lui non piaceva particolarmente andare a fare la spesa, non rientrava tra la schiera di gente che trovava interessante far scorrere pigramente lo sguardo da uno scaffale all’altro.
No, avrebbe provato a chiamarla, decisamente più nel suo stile. Nello stesso momento in cui affondò la mano nella tasca per prendere il cellulare qualcosa gli afferrò un braccio e un ‘oh’ quasi strillato gli stonò un orecchio.
Era sua madre.
«Shun! Vieni caro, ho trovato un posto davvero carino» gli disse a bassa voce, quasi la cosa potesse avere un significato maggiore se detto sottovoce. Oguri guardò la madre con un sopracciglio inarcato, ponendole una muta domanda: di cosa stai parlando?
«Dai, caro, vieni, è proprio un posto interessante! Non ne ho mai trovato uno, pensavo esistessero solo nei film!» gli confessò emozionata e i dubbi sorsero sempre di più nel giovane figlio, che continuava a chiedersi dove si fosse andata a cacciare la madre fino a mezzo minuto prima.
«Che posto, mamma?» si informò senza troppi giri di parole, perché non si fidava troppo delle descrizioni vaghe ed entusiaste della madre. Poi forse voleva portarlo solo ad un nuovo banco del pesce che si chiama NewJapanFish – solo nei film figuravano nomi tanti stupidi, perciò la sorpresa della madre ci stava –, ma era meglio essere prudenti.
Si poteva dire che andare in giro con Ikuta, che era totalmente inaffidabile, gli aveva fatto produrre gli anticorpi verso cose e situazioni che non conosceva.
«Mentre ti aspettavo ho notato quel cartello là, lo vedi Shun? No, di qua non si vede, dai vieni, è un posto carino!» continuò a tentare di convincerlo sua madre, ma Shun non voleva proprio farsi immischiare in cose del genere, qualsiasi fosse la natura.
E poi di lì, davvero, non riusciva a vedere nessun cartello, la cosa non lo spronava di certo a muovere anche un singolo passo.
La donna prese a trascinarlo per un braccio, ma né lei ci metteva particolarmente forza né lui opponeva particolarmente resistenza oltre a qualche borbottata negazione. Avrebbe tranquillamente potuto stare fermo senza che la madre avesse potuto fargli fare un passo, visto e considerato che era anche alto quasi venti centimetri in più della madre, ma non si oppose. La cosa non lo metteva particolarmente di buon umore, ma contraddire la madre strenuamente non era poi tanto utile. A volte assecondarla era più semplice.
Qualche vaga obiezione, comunque, tentò di farla: «Mamma… ho lasciato la macchina dove non si può parcheggiare. La porteranno via se non la sposto in fretta…»
Diciamo anche che Shun era poco persuasivo e sua madre non prestava minimamente ascolto a simili tentativi.
«Figurati, non ci staremo un’eternità» ribatté con un gesto noncurante della mano.
«Ho anche chiamato Iketoto san, la tua macchina-»
«Ikemono, Shun, Ikemono» lo corresse bonariamente.
«Sì, va bene, ma dove stiamo andando?» chiese, cercando almeno di capire dove si stessero dirigendo.
«Ma sì, è questione di poco, due secondi! È solo che l’ho trovato un posto così carino… ho subito pensato a te, tra l’altro!» esclamò esaltata la donna, mentre Shun era sempre meno convinto. Aveva completamente ignorato la domanda.
Comunque, a questo punto è facile scoprire il punto debole del giovane attore: proprio sua madre.
Si lasciò trascinare con i più cupi pensieri in testa, mentre già vedeva la macchina portata via. Si erano diretti verso la fine della stradina, che poi in realtà era un vicolo, perché in punta si trovava una casa e, girando a destra vi era il retro del Ganbarimashou~ bar. A sinistra, invece, c’era una porta ed era verso di essa che lo stava trascinando sua madre.
Mentre varcavano la soglia, Shun ebbe appena tempo di notare un cartello invecchiato su cui troneggiava il nome del posto: Mihoko sicuramente c’era scritto, ma il ragazzo non riuscì a leggere oltre.
Mihoko?
«Okaachan, dove-»
Sua madre gli fece segno di tacere e Shun non seppe se essere sconcertato per il comportamento esaltato della donna o per il fatto che gli aveva detto di stare zitto.
Forse stava ancora dormendo. Non gli dava un’aria molto furba, ma si diede un forte pizzicotto sulla guancia. Faceva male ed era sveglio. In più, si sentiva un deficiente.
Oltre la porta c’era una tenda di perline e Ogurin si chiese perché si trovasse subito dopo la porta, ma non riuscendo ad immaginarsi la possibile funzione optò per una scelta stilistica della proprietaria del posto. Quella conclusione diplomatica nulla toglieva al fatto che era comunque piuttosto strano.
E dopo la tendina – messa a caso – si trovarono in una stanza piuttosto piccola in cui non c’era nessuno. Vi erano solo un paio di sedie addossate ai muri ed un tappeto marrone con una fantasia orrenda a terra. Shun non sapeva nemmeno di avere un interesse tanto sviluppato per gli arredamenti, ma era certo che mai si sarebbe comprato un tappeto tanto brutto.
C’era un’altra porta esattamente davanti a loro, ma era chiusa; poi c’era solo una finestra che dava su un prato, ma Shun non vi fece particolarmente caso. Per il momento non aveva bisogno di una via per scappare, in più non ci sarebbe passato e la porta risultava comunque più tattica.
Concentrandosi meglio su quella stanza poteva dire con una certa sicurezza che trasmetteva un senso di… beh, era inquietante, quello era sicuro. Troppo buia forse, visto che l’unica fonte di luce era la finestra e la luce era spenta.
«’kaachan, dove diavolo-» non era proprio destino che per quel giorno sarebbe riuscito a terminare una frase.
«Un attimo, caro, aspetta» disse sbrigativamente e si staccò dal suo braccio.
Perché si era andata a cacciare in un posto del genere? E perché ci aveva portato pure lui, asserendo peraltro che lo aveva pensato quando ci aveva messo piede? Per quel che si poteva dire dal vedere solo quella minuscola stanza, poteva benissimo essere il rifugio segreto di qualche latitante membro della yakuza e di certo Shun non voleva averci molto a che fare. Sua madre andò verso la porta, su cui batté due piccoli colpetti. Chi c’era dall’altro lato, il Diavolo, visto che a momenti camminava in punta di piedi?
«Mihoko san? Mihoko san, sono di nuovo la donna di prima…» disse con voce quasi riverente e Shun per un breve attimo, in preda alla disperazione per quella strana situazione, si vide prendere la madre di peso e trascinarla fuori.
Un attimo dopo la porta si aprì e uscì quella che, a quanto Oguri aveva capito, doveva essere Mihoko san. Era una donna sulla quarantina che indossava un kimono, nulla di più. Aveva i capelli legati, ma dubitava che quello potesse definirsi un motivo per cui la madre era tanto reverente nei confronti di una sconosciuta.
La tal Mihoko sorrise a sua madre e fece un mezzo inchino, ricambiato, e poi squadrò a lungo Shun, che ricambiò l’occhiata con fare serio e palesemente irritato.
Perché si trascinava dietro quell’aria da spirito maledetto che pretendeva di saperla più lunga del resto del mondo? Oguri era così che l’aveva inquadrata e, oltre a non voler cambiare la sua prima impressione con una più approfondita, la trovava anche antipatica e non avrebbe cambiato nemmeno quel giudizio.
Se sua madre avesse saputo quella sua presa di posizione lo avrebbe certamente sgridato. «Oguri Shun san» disse, come a volerne chiedere conferma e allo stesso modo dimostrare che sapeva chi era. Shun inarcò un sopracciglio e alzò le spalle; che ne interpretasse lei il significato.
«Non è che leggerebbe anche lui… sa, quello che ha fatto a me…» propose sua madre con un tono quasi cospiratorio. Oguri si disse che era perché i residui del sonno ancora si facevano sentire che vedeva cose che non c’erano.
Leggere cosa, un libro? Aveva imparato un sacco di tempo prima a farlo e dubitava di aver dimenticato tutto da un giorno all’altro. Poi se sua madre aveva pensato subito a lui voleva dire che lo riteneva un analfabeta. Forse dovevano fare due chiacchiere.
Mihoko annuì: «Solo un attimo che dispongo il tutto» e con un altro breve inchino scomparve nuovamente dietro al porta.
Sua madre si voltò verso di lui raggiante.
«A me ha detto un sacco di cose interessanti! Ed erano vere!» disse sorridendo la madre, come se Shun stesse effettivamente capendo di cosa stava parlando.
«Cosa vuol dire che ti ha detto delle cose? Chi è questa tizia? Io non mi faccio leggere proprio niente» fu la celere risposta del figlio, irato e per nulla propenso a quel genere di scemenze. Perché se ben aveva capito quella Mihoko era…
«Legge le carte! E la sfera! Te l’ho detto che pensavo esistessero solo nei film, non ne ho mai visti!» commentò emozionata e il figlio alzò gli occhi al cielo. A tale dimostrazione di poca partecipazione – assente, in verità – la madre gli diede un colpetto sul braccio, lamentandosi della pessima caratteristica del figlio di non dare mai nessuna possibilità alle cose nuove. «Dai, Shun chan! È solo per provare! Poi dice il vero… cosa ti costa caro? Non costa molto e-» «Non ho la minima intenzione di fare una cosa del genere, sarà solo un’imbrogliona» fu la secca risposta. Lui non ci credeva proprio a quelle cose.
«Abbassa la voce, se ti sentisse sarebbe scortese» lo riprese, senza dimenticare i compiti di una madre di impartire una buona educazione al figlio. «E poi se ti dicesse qualcosa di utile?»
«Non credo ci sia questo pericolo» brontolò con fare scocciato.
«Vedi? Sei sempre poco aperto a queste cose! Ogni cosa nuova la eviti! Anche quel paio di mutande che ti ho comprato…» cominciò la donna con l’intento di portargli un esempio pratico per fargli una predica.
Shun drizzò le spalle come se fosse stato punto con forza da qualche parte. Era quasi certo di essere anche leggermente arrossito. Erano cose che lo imbarazzavano, quelle, infatti lo fece presente alla madre: «Mamma… quello no…» borbottò tra i denti, anche perché se era vero che poteva sentirlo che la diffamava, Mihoko poteva anche sentire la storiella sulle mutande. «Ma il concetto è lo stesso! Era una marca nuova, non hai nemmeno voluto provarla e ho dovuto darle a Ryo» si lamentò e Shun digrignò i denti borbottando qualcosa che somigliava ad un piantala, ma che dalla madre non fu minimamente percepito, tanto che terminò la storia ed era anche vagamente contrariata.
«Quella è solo una visionaria pazza, io me ne vado» fu la pragmatica presa di posizione di Shun, che fece per dirigersi verso la porta.
Lui se ne sarebbe andato, la madre avrebbe potuto farsi leggere anche le piante dei piedi, esistevano i taxi per tornare. Poi aveva anche altri due figli e un marito, che guarda caso quella sera rincasava prima.
La madre non la pensava alla stessa maniera.
«Ma sa il tuo nome! Prima lo ha detto!» cercò di convincerlo lei, dimentica di mutande e quant’altro e intenta a convincere il figlio.
Shun alzò gli occhi al cielo. «Glielo avrai detto tu» giustificò così il caso accaduto poco prima. Sua madre mise le mani avanti: «Io non gliel’ho detto, ho solo accennato al fatto di avere dei figli» assicurò con gli occhi spalancati, come a voler dare la conferma a Oguri che non stava mentendo.
«’kaachan, sono un attore, è ovvio che la gente mi conosca» ribatté allora Shun giungendo alla considerazione più ovvia, che avrebbe voluto addurre prima come spiegazione, ma che per uno sprazzo anomalo di modestia aveva tenuto per sé.
La madre parve colpita da quella inaspettata verità – lei non ci aveva proprio pensato.
E infatti non sapeva come controbattere.
A salvarla giunse, con ottimo tempismo, Mihoko san, che fece un mezzo inchino e li invitò ad entrare.
La madre lo afferrò per il braccio e lo trascinò dentro, borbottando frasi sconnesse di tanto in tanto: «Tentare non costa nulla… vedrai… interessante».
Shun era certo che sarebbe stato solo uno spreco di tempo e di soldi, ma era chiaro che contro sua madre non poteva assolutamente nulla.
Furono introdotti in una stanza molto più luminosa e con un tavolo al centro, su cui troneggiava una sfera di vetro. Shun sperò con tutto se stesso di aver visto male – magari era un bicchiere molto grande, ecco – ma disgraziatamente si rivelò essere proprio una sfera di vetro.
Rispetto alla piccola stanzetta di prima, quella era più luminosa e meno opprimente. Meno lugubre, sì, l’altra gli aveva dato proprio quell’impressione. Qui attaccati ai muri c’erano pure dei quadri. Brutti anche quelli, si ritrovò a considerare Shun, evidentemente preso dal suo spirito critico dopo la tragica vista del tappeto. Era sicuro che lì dentro l’unica cosa che si potesse fare era una modernizzazione degli interni, nulla di più.
Sfortunatamente si sbagliava, ma non era lui il veggente al momento.
Lui e sua madre presero posto sulle due sedie da un lato del tavolo rettangolare, mentre la donna andò dall’altro, sedendosi con calma.
Per coronare il tutto Shun si sentiva un imbecille come non credeva di essersi mai sentito. Forse aveva raggiunto tali limiti solo quando, al liceo, rimasto incantato a fissare una ragazza, era andato a sbattere contro un palo.
C’era anche da chiedersi perché in un momento simile ricordasse tali accaduti passati, ma forse era semplice masochismo.
«Posso predirti il futuro, Oguri san» iniziò dicendo Mihoko, con un tono basso e forse voleva anche essere suadente. Altri cinque minuti e Shun le avrebbe infilato la sfera in gola. Perché ora stava accarezzando la palla di vetro?
«No gr-» il ragazzo, che già si era seduto sul bordo della sedia premeditando una fuga molto rapida, fece per alzarsi e andarsene, anche se era costretto a vedere ancora l’antiestetica tenda di perline.
Sua madre lo afferrò per una manica e senza troppi complimenti lo rispinse seduto, lanciandogli un’occhiata che lo invitò poco gentilmente a prendere posto con calma. Fosse stato per lei – e Shun non ne comprendeva nemmeno il motivo – lo avrebbe pure legato alla sedia, ma la donna sperava nella collaborazione spontanea da parte del figlio.
«Sì, grazie» fu la gentile risposta della madre, ignorando il fatto che Mihoko si era rivolta a lui. Shun non poteva proprio sopportare una tortura simile.
«No, grazie» borbottò con rabbia Shun, tentando di imporre il suo volere.
«Sì, grazie» ribatté ancora la madre.
«Lo ha chiesto a me, mamma, non a te» la contraddisse e la donna gli lanciò un’occhiataccia.
«Oh, non ha importanza!»
«Mamma, davvero, ho una dignità anche io» fu la pacata risposta sbottata tra i denti, nella speranza che la madre cogliesse l’ira sempre meno celata.
«Oh, non fare il sostenuto figliolo, cosa vuoi che sia!» lo rimproverò, come se Shun si stesse rifiutando di fare il vaccino.
Che poi, effettivamente, poteva anche non lamentarsi più di tanto, era solo una scemenza in fondo, ma appunto aveva una dignità. Non avrebbe potuto convivere con una cosa del genere. «I gamberetti andranno a male» disse appellandosi all’ultima spiaggia.
Sua madre scrollò le spalle; «Li ricomprerò» fu la risposta conciliante.
«La macchina, l’ho parcheggiata praticamente sul marciapiede» non poteva ignorare la cosa. Cioè, a Shun non importava poi molto, ma sua madre in genere a quelle cose faceva caso. Quel giorno no; Mihoko prima che arrivasse lui l’aveva forse drogata?
«Non ci metteremo ore, tesoro!» e la risposta le uscì anche un po’ esasperata. Ah, lei era esasperata. Shun non sapeva chi tramortirci con la palla di vetro, se la silenziosa Mihoko san o la madre. Magari tutte e due.
«Vuole soltanto utilizzare informazioni su di me per fare soldi! Racconterà chissà cosa ai tabloid e-» come idea non era male, poteva anche avere senso, ma fu subito stroncata dalla gentilissima Mihoko che scosse la testa: «Non è nei miei piani, non lo farei» affermazione che fu seguita da un borbottio di assenso della madre.
Oguri sbuffò e si abbandonò contro lo schienale della sedia. Mihoko sorrise leggermente notando che finalmente era arrivato il suo turno.
«Posso predirti il futuro, Oguri san» disse nuovamente e Shun quella volta non aveva più alcuna intenzione di fare la persona gentile. Cioè, prima almeno si era sforzato.
«Lo hai già detto» fu la risposta irritata e la donna non si scompose.
La madre alzò gli occhi al cielo. Sembrava lo Shun di cinque anni che era scontroso con chiunque.
«Bene, cominciamo» propose Mihoko, ignorando il comportamento poco gentile del ragazzo. Avvicinò una mano alla sfera, ma senza sfiorarla neanche. La mosse su e giù un paio di volte, poi fece qualche giro attorno.
Shun sbuffò scocciato; visto che era tutta scena – lo era di sicuro – non poteva tagliare tutta la parte della finzione e arrivare subito alle quattro stupidaggini che aveva da rivelargli?
«Vedo…»
Oguri non gli diede nemmeno il tempo di aggiungere una seconda parola che prese a borbottare.
«Vedrà un rapporto travagliato tra madre e figlio. Certo, non è colpa mia se mi hai trascinato qui con la forza» commentò direttamente rivolto alla madre, come se l’altra donna non ci fosse. Magari era in estasi mistica e comunque non li sentiva.
Sua madre gli assestò una forte e mirata gomitata nelle costole mentre lo sentiva dire qualcosa tipo «tranquilla, anche se non andiamo d’accordo non ti ucciderò, chi compra le mutande a Ryo poi?»
Mihoko gli lanciò uno sguardo perforante, ma Shun non ne comprese il motivo. Era vero, la madre comprava le mutande al fratello, non aveva di certo detto nulla di falso.
«Era questo che volevi dire? Che mia madre gli compra le mutande? Beh, non ha molto a che fare con me, ma se devi solo dirmi questo potevo benissimo farlo da me» fu la superiore risposta di Shun, che sollevò il mento e la guardò con fare prepotente.
«Hai una carriera molto prospera dinnanzi a te» fu invece quel che disse.
Shun sbuffò ancora, l’unica cosa che aveva fatto da quando era entrato: «Grazie, me lo dice anche il mio conto in banca, ma non ci vuole una palla di vetro per saperlo» la aggredì poco gentilmente.
Non era un attore di fama mondiale, ma era abbastanza conosciuto da poter fare un’affermazione del genere.
In verità, non sapeva nemmeno Shun perché ce l’avesse tanto con Mihoko, ma era da quando l’aveva vista che gli aveva dato una pessima impressione. Era diffidente verso di lei, ecco. Un modo come un altro per discolparsi dal suo pessimo comportamento, che almeno in parte era dovuto al fatto che l’irritazione post sonno disturbato in genere se la portava dietro fino a quando non andava di nuovo a dormire. Probabilmente, se si fosse recato lì il giorno seguente per la prima volta si sarebbe mostrato solo scettico, ma non tanto sgarbato.
Era tutta colpa del pessimo tempismo della madre.
Mihoko mostrò un particolare disinteresse verso il ragazzo e continuò con quanto aveva da predire. Infatti dopo qualche attimo parlò ancora.
«Non sei una persona molto paziente, Oguri san… tuttavia, se attendi… arriverà, qualcosa di importante arriverà. Molta fama» disse frammentariamente e Shun voleva quasi scoppiare a riderle in faccia.
Non commentò, ma solo perché non avrebbe saputo come mettere in parole decenti il fatto che lui la fama ce l’aveva già, anche abbastanza, perciò tutto quel che stava dicendo per il momento era solo scontato.
«La salute…»
Ah, andava per parti, il lavoro doveva essere finito. Se con le cose ovvie ci aveva messo così poco era chiaro che avrebbe escogitato qualcosina in più con quelle che poteva inventarsi di sana pianta.
«Morirò domani? I gamberetti andranno a male e tu me li darai a cena, ‘kaachan, è colpa tua» commentò scherzosamente, ma sua madre non parve apprezzare.
Gli diede un’altra mezza gomitata e guardò con attenzione la donna, in attesa che parlasse.
«Ti prenderai un gran brutto raffreddore tra un paio di giorni» fu la profetica rivelazione e Shun non poté davvero trattenersi dal commentare.
«Seriamente? No, davvero, un raffreddore? Cielo…» disse Shun che dopo essersi sporto versa la tizia si era lasciato cadere nuovamente contro lo schienale.
Sua madre già pensava a comprargli una sciarpa e delle aspirine.
Shun si aspettava davvero qualcosa di più apocalittico, tipo un tragico incidente sul set, roba del genere.
Poi fu colto da un’illuminazione e si sporse nuovamente poggiando i gomiti sul tavolo.
«Stai inventando, vero? E visto che sai che io lo so che stai inventando a caso hai deciso di andarci piano rimanendo sul generico così io penso tu stia dicendo la verità perché un raffreddore è qualcosa che può davvero succedere e- ahia!» sua madre gli aveva rifilato un’altra gomitata. Di quel passo sarebbe tornato a casa con le costole tutte da un lato. «Non essere tanto scettico, Oguri san, non sto mentendo» ribatté lei, rispondendo per la prima volta alle sue provocazioni.
Le sopracciglia di Shun scattarono verso l’alto e un sorriso incredulo e ironico si dipinse sulle sue labbra, mentre una risata proprio non riusciva a trattenerla.
«È ovvio che sono scettico, io in queste stupidaggini non ci credo» ammise francamente e poi tornò a sedersi vagamente compostamente. Beh, il fatto che fosse più alto del normale non aiutava, la sedia era bassa e il tavolo pure. Diciamo che fece del suo meglio.
Mihoko annuì senza un reale motivo – o perlomeno Shun non lo comprese – e tornò a muovere le mani sulla sfera.
«Schiatto nell’immediato?» si informò il ragazzo a braccia conserte.
«No» fu il monosillabo con cui smontò la sua ironica domanda.
Comunque Shun lo sapeva che tanto presto non sarebbe morto, doveva ancora battere Ikuta alla play.
«L’amore…» cominciò e a quel punto Shun avrebbe dovuto come minimo mostrarsi un po’ interessato. Sicuramente fu quel che fece la madre, che si sporse sul tavolo – nipoti, nipoti, nipoti! –, mentre il figlio si limitò a sbuffare.
«Non c’è molto da dire» disse senza troppi giri di parole, lasciando leggermente sconcertata la madre. Cosa volve dire che non c’era molto da dire?
Era più o meno la stessa cosa che, comunque, si chiese anche Shun. Cosa voleva dire? Lo stava prendendo in giro?
«Che vuol dire?» sbottò Shun, che era restio a mostrare anche un minimo di interessamento alla faccenda, ma era anche abbastanza curioso di scoprire come la donna si sarebbe giustificata.
Mihoko sospirò e poi gli sorrise, cosa che l’Oguri non comprese nemmeno a distanza di anni. Cosa aveva da sorridere?
«Nel tuo futuro c’è solo Yu» ribatté semplicemente e nella piccola stanza calò un silenzio di tomba.
Chi era Yu?
«Chi è Yu?» la domanda fu posta allo stesso momento sia dalla madre che dal figlio, solo che la prima la pose al secondo e il secondo la pose alla saggia Mihoko san.
Questa fece un mezzo sorriso e non aggiunse altro.
«Caro, non mi hai presentato nessuno che si chiama Yu! Chi è?» la madre incalzò Shun a rispondere, ma era palese che lui fosse all’oscuro riguardo quella Yu tanto quanto lo era la donna.
«Vedo solo Yu, nulla di più» detto ciò allontanò le mani dalla sfera e le posò in grembo. Evidentemente aveva finito le sue previsioni.
«Già finito?» chiese incredulo Shun, che in verità era un po’ scocciato. Non che la volesse tirare per le lunghe – lui non ne voleva proprio sapere niente – ma non voleva nemmeno aver sprecato parte del suo tempo per una cosa che si era rivelata inutile e corta.
«Non posso narrarti tutto il tuo futuro, la sfera me lo mostra frammentato e non posso fare di più» fu la magistrale risposta che comunque non mise l’anima in pace a Shun.
La madre provò a richiamarlo, ma il ragazzo non l’ascoltò minimamente.
«Non vuoi dirmi che prenderò un gatto? E che mi tingerò i capelli? E che romperò il cellulare e che poi ne comprerò uno nuovo? E che girerò un altro drama? E che mi chiamo Oguri Shun e che ho una carriera ottima? No, aspetta, questo me lo hai già detto» domandò stralunato, in una versione di Shun che sua madre era solita vedere nell’adolescenza. Era chiaro che era rimasta nel figlio fino all’età di vent’anni più che passati, ma si faceva vedere più di rado. Si poteva dire che recitare lo aveva limitato un po’, mettendolo in contatto con più gente e costringendolo a maturare. Mihoko aveva tirato fuori il peggio di lui. Alla madre non passò mai per l’anticamera del cervello che l’unico problema del figlio fosse il sonnellino mancato.
Ad un tratto il telefono di Shun prese a suonare e senza nemmeno guardare chi fosse il ragazzo chiuse la chiamata. Era Ikuta, comunque, e non avrebbe risposto in qualunque caso.
«Vuoi predirmi che la mia suoneria è quella cosa dei Glay? Ci azzeccheresti anche, eh» era irrefrenabile, ma Mihoko san non fece una piega, né tento di zittirlo né gli diede corda.
«E si può sapere chi è Yu?»
Benché Shun non credesse a futuro e non futuro, palle di vetro e tarocchi – e lo aveva anche specificato piuttosto chiaramente – era rimasto incuriosito dall’ultima affermazione della donna.
«Chi riempirà il tuo futuro» fu la criptica risposta e all’espressione iraconda e stralunata di Oguri pensò bene di aggiungere anche: «C’è solo Yu» quell’ultima sentenza fu ciò che diede il colpo di grazia alla pazienza di Shun.
Se fosse stato in uno dei film di combattimento che tanto era bello vedere, sarebbe stato molto scenico ribaltare il tavolo nell’atto di alzarsi, ma Shun era comunque cresciuto civilmente e non era soggetto a tali scatti di rabbia.
Avrebbe fatto la sua figura, eh.
Il massimo che fece fu alzarsi nemmeno troppo compostamente e borbottare qualche mezza imprecazione. La madre si voltò verso di lui, biascicando qualcosa, ma sapeva bene che a quel punto suo figlio era irrecuperabile.
Oguri uscì di lì e sentì solo la madre dilungarsi in qualche saluto e poi lo seguì anche lei.
«Shun, figliolo, non fare così! Era solo per provare qualcosa di nuovo!» lo richiamò la madre, quando entrambi uscirono fuori e si trovarono nuovamente nella piccola via.
Shun si fermò e guardò la madre con fare più offeso che arrabbiato. Sembrava un bambino.
«Non potevi andarci solo tu? Che bisogno c’era di portare anche me?» chiese più che legittimamente.
«Beh, io c’ero già andata e volevo che anche tu venissi… ho pensato a te, no?» si giustificò la donna.
«... hai pensato a me perché ero io che dovevo venire a prenderti, vero?» si informò pacatamente Shun, passandosi una mano tra i capelli.
La madre sorrise colpevole e Shun si sentì in diritto di ricordarle che aveva altri due figli e un marito.
«Oh, suvvia, è stato carino, no?» notando lo sguardo contrariato e pronto all’omicidio del figlio si affrettò ad aggiungere: «E chi è questa Yu? Devi dire niente alla tua mamma, Shun chan?» Oguri sospirò e prese a camminare.
«Te l’ho detto, non so chi sia e non credo di volerlo sapere» commentò con fare annoiato. Un po’ gli interessava in verità, ma era meglio celare il tutto.
«Ah, se è come ha detto Mihoko san la incontrerai comunque~» civettò la madre e scoppiò a ridere all’occhiata truce del figlio.
Fecero pochi passi prima che Shun la sentisse fermarsi di colpo.
«Cos-» iniziò voltandosi e vide la madre sorridergli come era solita fare quando voleva un favore.
«Cosa?» terminò questa volta, sbuffando.
«Non abbiamo pagato, caro» ammise innocentemente e Shun partì a passo di marcia per andare a risolvere anche quell’ennesimo imprevisto. Ovviamente borbottò le sue dovute imprecazioni strada facendo. Quando uscì, qualche minuto dopo, sbatté tanto violentemente che si sentì anche un rumore subito dopo.
La tenda di perline si era miseramente staccata.


Quella giornata era stata una delle più brutte della sua vita e Shun era quasi sicuro che se la sarebbe ricordata per gli anni a venire.
Non solo si era dovuto sorbire la tremenda predizione del futuro, che aveva avuto un pessimo effetto sui nervi di Oguri, ma quando erano giunti alla macchina non l’avevano trovata.
Non c’era il divieto di parcheggio tanto per rendere la strada più colorata, certo.
Ed erano dovuti tornare a casa in taxi – cosa che se la madre avesse fatto fin dall’inizio avrebbe evitato di creare un sacco di problemi –, mentre nella mente di Shun prendeva sempre più piede un dubbio.
Chi era Yu?
Ok, lui non ci credeva, bla bla bla, quella solfa l’aveva ripetuta a se stesso, a sua madre e a terzi fino allo sfinimento, ma era… curioso.
Perché aveva detto proprio Yu?
Era bastata una notte di sonno per far sì che il mattino seguente Shun fosse in totale modalità da ‘ci credo, potrebbe essere vero, ogni Yu che incontrerò sulla mia strada sarà la donna della mia intera vita’.
Era bastata una sola notte e aveva permesso di portare alla luce un’altra caratteristica del suo carattere: spesso non riusciva a convincersi nemmeno da solo e aveva poca coerenza.
Ci pensava da due giorni ormai e non era arrivato ad una risposta. Sua madre lo prendeva anche in giro, chiedendogli puntualmente se avesse trovato la Yu della sua vita e suo fratello Ryo cercava di capirci qualcosa. Per il bene della sua sanità mentale Oguri aveva fatto in modo di tenere la cosa per sé. Per il momento il fratello credeva semplicemente che fosse stupido, ma nulla di nuovo sotto il tetto di casa Oguri.
Quel giorno, quando uscì di casa, aveva solo quello per la testa e perfino la gioia di riavere la sua auto era smorzata dal sacrosanto dubbio. Un giorno avrebbe fatto causa a Mihoko per danni psichici. Stava impazzendo.
E avrebbe anche citato sua madre, era parte integrante del danno. Mentre lei fantasticava sulla madre dei suoi nipoti, chiedendosi se avrebbe avuto il nome scritto con il kanji di gentile e affascinante o di coraggio, Shun teneva costantemente occhi e orecchie all’erta per captare qualsiasi cosa.
Quando giunse nel palazzo dell’agenzia, dove avrebbe dovuto incontrare il produttore del drama in cui era stato scelto come protagonista poco tempo prima, non stava assolutamente prestando attenzione a quel che accadeva attorno a lui.
Era davvero troppo concentrato per fare caso a qualsiasi cosa, che fossero oggetti che ostruivano il suo passaggio o persone.
Chi diavolo era quella Yu...
«Ohi, Shun! Shun!» Shirota chiamò il suo nome ben due volte, visto che Oguri non sembrava raggiungibile. Solo allora tornò tra i comuni mortali e si voltò verso l’amico che non vedeva da un po’.
Sorrise e si avvicinò a lui, felice di rivederlo.
«Ehi! Come va?» chiese e in quello stesso momento comparve quello che presumibilmente era il manager di Shirota.
«Yu kun, ti aspetto fuori» sentì distintamente dire, ma non ci fece particolarmente caso.
Poi realizzò e il sorriso si gelò sulle sue labbra.
Shun sarebbe potuto morire in quel momento e sarebbe stato anche per cause naturali: doppio infarto. Non si era mai troppo giovani per un attacco di cuore se la situazione era proprio quella.
Si chiamava Yu. Yu come il generico Yu che Mihoko aveva detto sarebbe stato l’unico nel suo futuro e mai quella donna aveva specificato che si riferiva ad una femmina.
Shun si lasciò giusto sfuggire un po’ la situazione di mano, infatti manifesto il suo sconcerto in più e più modi.
Shirota ipotizzò stesse poco bene o non sapeva spiegare il colorito pallido.
«Tu!» esclamò Shun, mandando ogni buona educazione a quel paese e additando il ragazzo di fronte a lui come fosse il peggiore degli appestati.
«Io» confermò perplesso.
«Tu!»
«Io?» questa volta era una domanda, magari aveva capito male la faccenda.
Che avesse dimenticato il suo nome? Possibile? Cioè, erano stati sulle stesso set per un paio di mesi, come poteva averlo… Shirota senza nemmeno accorgersene mise su una specie di broncio.
«Yu!» fu la pronta risposta di Shun, senza un senso logico.
«Tutto bene?» chiese incerto Shirota, che non ci stava più capendo niente.
«A-ah, bene, benissimo Yu» poi blaterò qualche saluto e scappò letteralmente mentre il povero Shirota si chiedeva se non avesse fatto qualcosa di male.
Shun era completamente fuori di testa: il suo futuro era Shirota Yu. Solo Shirota Yu. Yu. Non era un caso che si fossero rincontrati dopo tanto, era un segno del destino.
Come avrebbe spiegato a sua madre che nipoti non ce ne sarebbero stati? Beh, per ammortizzare il colpo le avrebbe potuto dire che comunque quello Yu si scriveva con il kanji di gentile.
... E lui lo aveva anche baciato una volta!
Mentre Shun era in totale shock per la rivelazione che lo aveva illuminato e completamente sconvolto, il telefono prese a squillare.
Come un automa, mentre la sua mente pensava ad una cosa sola, prese il cellulare e fissò lo schermo che si illuminava.
Incoming call Ikutan~ – era stato lui a segnarsi con quel nome idiota.
Avrebbe ignorato la chiamata a prescindere, ma il solo ricordare il titolo della canzone, Be with you, gli fece premere il tasto con una foga inumana.
Lui, di Yu non ne voleva più sentire nominare e you si ci avvicinava pure troppo.



C’è qualcosa che non va. No, voglio dire, ‘sta volta ho iniziato a scrivere una storia su Ogurin di mia spontanea volontà, il che vuol dire che siamo davvero a livelli scandalosi. Su, qualcuno mi faccia secca, non voglio più vivere su un pianeta in cui ci siamo io, Oguri e io che scrivo storie su Oguri D:
Vi prego di sorvolare sulla madre, io me la sono inventata di sana pianta, ma ammetto trulla trulla di essermi lasciata influenzare dalla madre di So in Tokyo DOGS; almeno la faccia di Shun c’è, eh 7_7” Non le ho dato un nome, è sempre solo mamma.
Il guest (che è proprio un guest last minute, è una comparsa di mezzo secondo alla fine, ma in verità è il fulcro della storia u-ù adoro contraddirmi, mi fa sentire potente) questa volta non è Toma, lui è un contorno ignorato nel vero senso della parola; invece è… chi altri può essere se non lui?! Only Shirota YU!XDXD Li ho shippati per la prima volta in Hanakimi (si poteva forse fare diversamente?) e da lì in poi li ho shippati sempre.
È ooc, lo so, ma facciamo finta di niente.
È ambientata prima del suo incontro/scontro/vaga conoscenza/stretta di mano/fidanzamento/sposalizio tragico con Yamada Yu; non prevedendo davvero il futuro XD Shun ha sbagliato lo Yu della sua vita, non è Shirota – sfortunatamente ç___ç – ma Yamada.
E beh, il titolo non è un errore dettato dalla mia scemenza, ma il dubbio è comprensibile, viste le prove di idiozia che do scrivendo tali demenzialità.
Bon, spero che questo ammasso di scemenza concentrata sotto forma di Verdana non vi abbia ucciso: non mi troverò mai più in disaccordo con nessuno quando mi farà notare che un buon font può salvare il mondo (ora devo solo trovare qualcuno che me lo dica, yep).


Edit: questa storia l’ho scritta qualcosa come otto-nove mesi fa, non mi ricordavo nemmeno più di averla nel computer… anche le note qua sopra sono di allora XD beh, non so che scusa addurre per il nome cretino che ho dato al bar (e non è nemmeno la prima volta che lo faccio .___.), ma soprattutto non so perché diavolo ci sono asterischi sparsi per il testo. È evidente che avessi qualcosa da spiegare o da dire a riguardo, ma non avendolo segnato per tempo non ho idea del perché ci siano, perciò… bon, facciamo finta non ci siano mai stati XD Sì, parentesi inutile, ma volevo aggiungere delle note più recenti XD
  
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