Cuore di mare.
Eravamo arrivati alla
fine.
Un mondo a catafascio
che cercava una via per rialzarsi; un nuovo Re dei Pirati pronto per essere
acclamato; i sogni di una vita realizzati, portati finalmente a compimento nel
modo più assurdo e accanto alle persone più improbabili che ognuno di noi
avrebbe mai potuto immaginare.
Eravamo a quella
conclusione che ci aveva fatti ridere e piangere, che ci aveva spezzato le ossa
e aperto la pelle di tagli. Eravamo alla fine, e il futuro davanti ai nostri
occhi si apriva fumoso come non mai. Eravamo tutti – tranne Rufy probabilmente!
– un po’ angosciati da quanto sarebbe accaduto da quel momento in poi. Pensare
a quello che sarebbe stato dopo faceva paura, perché per una volta nessuno di
noi sapeva davvero che cosa voleva, che cosa cercava. Di una sola cosa c’era la
certezza: l’idea della separazione sarebbe stata straziante!
Ma per quella notte,
quella notte limpida e stellata che sarebbe diventata storia, avevamo deciso di
accantonare tutti quei pensieri silenziosi – nessuno di noi aveva ancora
trovato il coraggio di pronunciarli ad alta voce – e di festeggiare nel modo
più appropriato l’evento.
Alla fine, dopo ore di
baldoria sfegatata e alcool come non ne avevamo mai bevuto, chi prima chi dopo
erano collassati tutti. Robin appoggiata all’albero maestro, silenziosa e
pacata persino nel sonno; Zoro svaccato a gambe e braccia aperte per terra,
così come Usopp, e con Chopper che gli dormiva comodamente sulla pancia; Sanji
si era appoggiato alla ringhiera della nave, e dormiva a braccia conserte;
Brook e Francky si erano addormentati schiena contro schiena, e russavano a
ritmo. E Rufy… Lo cercai per un po’ con lo sguardo, per poi trovarlo disteso
sulla testa del leoncino, il cappello abbassato a coprirgli il volto. Che razza
di posto per mettersi a dormire!
Osservai i miei
compagni cercando di abbracciarli con lo sguardo, e mi scoprii ad avere il
cuore gonfio di un affetto smisurato per quella banda di scalmanati che ora
dormiva beatamente, nelle posizioni più insolite, aiutati anche dall’effetto
della birra. Anch’io avrei dovuto risentirne gli effetti, ma per qualche strana
ragione ero lucida, come se l’alcool ingerito in quelle ore avesse già smesso
di circolarmi nelle vene. Mi sentivo sveglia, vigile, e preda di un qualcosa
che non riuscivo a chiamare per nome.
Scavalcai la ciurma e
senza far rumore mi diressi sotto coperta, nella mia stanza. Lì, appoggiata
alla scrivania, c’era la mappa che fin da piccola avevo sognato di disegnare, e
che era finalmente divenuta realtà. E allora perché non mi sentivo
completamente felice?
Presi la cartina in
mano e la lancia lontano da me, vedendola volteggiare piano e poi posarsi a
terra, leggermente stropicciata. Mi voltai di scatto e strinsi forte i pugni,
cercando di reprime quel sentimento di rabbia misto a dolore che provavo.
“ Perché l’hai fatto?”
Mi voltai spaventata e
davanti a me c’era Rufy, il cappello di paglia in testa e gli occhi fissi su di
me.
“ Allora eri sveglio.”
Gli dissi eludendo la sua domanda, chiedendomi da quando fosse diventato capace
di fingere di dormire, lui che solitamente, dopo una bevuta colossale, crollava
russando e per svegliarlo ci volevano i miei pugni.
“ Guardavo il cielo.”
Disse con la sua solita semplicità. Quella semplicità che non aveva mai perso
nonostante tutto quello che aveva vissuto; si era incrinata, ad un certo punto,
ma poi si era risaldata, più forte di prima. “ Perché l’hai fatto?” Mi chiese
nuovamente, osservando la cartina ancora ferma ai suoi piedi.
Sospirai pesantemente,
cercando quella risposta che sapevo di conoscere, ma che non volevo pronunciare
ad alta voce. Sentivo che se l’avessi fatto qualcosa sarebbe inesorabilmente
andato in frantumi, e l’equilibrio che avevamo creato nel corso della nostra
avventura sarebbe venuto meno. Ma Rufy rimaneva lì, fermo, aspettando quella
motivazione. Voleva saperlo. O forse voleva solo che lo ammettessi, forse aveva
già capito, così come aveva capito tante cose senza che nessuno gliele
spiegasse. Strano, visto e considerato quanto tonto fosse solitamente.
Mi diressi verso il
letto e mi lasciai cadere sopra, rimanendo seduta a fissare il vuoto. Fu quando
vidi la mappa sventolarmi sotto al naso che alzai lo sguardo, trovando quello
del mio capitano. Me la stava porgendo, e aspettava che io la prendessi.
“ Non la voglio.”
Dissi con forza, spostando di lato la testa.
“ È il tuo sogno,
Nami.” Mi ricordò, senza smettere di tendermi la cartina. Non capiva. Non
capiva come avessi potuto agognarla tanto, lottare fino allo stremo perché
fosse realizzata e ora buttarla via, come se non contasse niente.
“ Ti ho detto che non
la voglio!”
“ Perché?”
“ Perché non è quello
che voglio!” Sbottai alzandomi in piedi e scansando con forza il suo braccio. “
Non è quello… che voglio…”
“ E allora perché sei
arrivata fin qui?”
Quella sua domanda mi
fece bloccare. Era vero, ero partita con lui per poter realizzare il mio sogno,
ma poi le cose erano gradualmente cambiate. Aveva iniziato a diventare un
obiettivo realizzare quella cartina, non più un sogno. Ma ero andata avanti
comunque. Avevo continuato perché…
“ Non l’ho fatto per
quella mappa, Rufy, non completamente.” Ammisi allora, abbassando lo sguardo. “
È vero, inizialmente quello era il mio sogno: disegnare una cartina del mondo!
Ma poi… poi questo ha cominciato a non essere più l’unico motivo. Quando Orso
Bartolomew ci ha divisi, quando ho cercato di tornare da voi con tutte le mie
forze… Lì non è stato per il mio sogno. È stato per voi. Per te. Volevo… Dovevo
rivedervi, perché sentivo che mi mancava l’aria quasi.”
Alzai gli occhi e
incrociai quelli di Rufy. Era serio, serio come l’avevo visto in poche
occasioni, e nei suoi occhi lessi la comprensione. Anche lui, quella volta,
nonostante la morte di Ace, aveva voluto tornare da noi con tutte le sue forze.
Non voleva tornare dal suo sogno, ma dalla sua ciurma.
“ Ho paura, Rufy. Ho
una tremenda paura che tutto questo sia la fine.” Dissi flebilmente, dando voce
a quel tarlo che mi stava rosicchiando piano.
“ La fine di cosa?”
Domandò lui senza capire.
“ La fine di tutto!”
Sbottai arrabbiata alzando un po’ la voce. “ Abbiamo realizzato i nostri sogni;
abbiamo fatto anche di più di quanto ci eravamo prefissati: siamo arrivati dove
nessuno si era mai spinto. E ora… ora cosa ne sarà di noi?”
“ Non vuoi tornare al
tuo villaggio? Mostrare a Bellmer la mappa che hai disegnato?”
“ Io… Io voglio
tornare. Ma non voglio restare.”
Ecco, l’avevo detto.
Era quello il vero problema: io volevo davvero tornare a Coconut Village,
rivedere mia sorella Nojiko, il vecchio Genzo e tutti gli altri; volevo davvero
portare quella cartina sulla tomba di mia madre, per farle vedere che ce
l’avevo fatta. Ma non volevo restare in quel posto. Non volevo trovarmi
incastrata in una vita che ormai non sentivo più mia. Quel piccolo villaggio
che avrei sempre considerato casa ormai non mi bastava più.
“ Neanch’io voglio
rimanere a Fooshoa.” Disse improvvisamente Rufy, come fosse una cosa normale,
forse per lui lo era.
“ Cosa?”
“ Sono un pirata, Nami, e…”
“ Sei il Re dei Pirati.” Lo corressi con un piccolo sorriso.
“ Appunto. Sono il Re
dei Pirati, e la vita dei pirati è il mare. Non ho alcuna intenzione di
lasciarlo. Ma credevo che tu volessi tornare a casa.” Mi spiegò con un’alzata
di spalle.
“ Voglio tornarci, ma
non voglio restarci.” Ripetei con un sospiro. “ Io sono una navigatrice, Rufy,
e sono anche un pirata come te. E so che il mio posto è il mare.”
Era vero. Il mio posto
non poteva che essere il mare. Io sulla terra ferma n0n centravo niente.
Ero cresciuta, e come
me anche tutti gli altri chi più chi meno, con il mare nel cuore, e non potevo
abbandonarlo. Era parte integrante di me, e io volevo che fosse così.
Io e Rufy ci guardammo
per un istante, e poi scoppiammo a ridere, sguaiatamente. Lui di quel riso che
sapeva d’innocenza, di giochi di bambini e d’infantile un po’; io tenendomi la
pancia che ormai iniziava a dolere, ma impossibilitata a fermarmi perché quanto
più Rufy rideva tanto più io gli andavo dietro.
Finimmo entrambi sul
letto, sgualcendo le coperte, e con le lacrime agli occhi.
“ Il viaggio non è finito,
vero Capitano?” Gli chiesi quando entrambi riuscimmo a calmarci. Vidi buio
improvvisamente e capii che Rufy si era tolto il cappello per posarlo sulla mia
testa.
“ Abbiamo promesso a
tante persone che ci saremmo rivisti prima o poi. Direi che è arrivato il
momento di andare a salutarle. E questo significa che dovremmo navigare ancora
parecchio, ma non possiamo farlo senza la navigatrice.”
Mi calcai maggiormente
il cappello sugli occhi per non vedere l’enorme sorriso che sicuramente gli
stava disegnando le labbra in quel momento.
“ Allora sarà meglio
riposarci. Domani inizia un lungo viaggio.” Ma mentre lo dicevo mi ero già
avvicinata a lui, e avevo appoggiato la testa nell’incavo tra la spalla e il
collo, sentendo subito dopo il suo braccio avvolgermi la vita.
E mi trovai a pensare
a quanto Rufy fosse effettivamente cambiato da quando lo avevo conosciuto. Il
ragazzino si era trasformato in un uomo, ma aveva mantenute intatte l’innocenza
e la voglia di nuove avventure. E in quel momento, in cuor mio, giurai che
quelle due cose che tanto rendevano unico il mio capitano le avrei sempre
protette.
Mi strinsi di più a
lui e sentii la sua stretta risaldarsi.
“ Domani partiamo.”
“ Agli ordini Nami!”
La mia prima storia
su One Piece, ed una RuNami! Sì, ammetto di adorarli! :D
Spero di non essere stata OOC, soprattutto nei confronti di Rufy xD
Mi lasciate un commentino per farmi sapere cosa ne pensate??
ByeBye Rain