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Autore: Selina    06/04/2008    5 recensioni
Raccolta di tre oneshot horror, completamente scollegate tra loro. AU.
1. The Queer Half
Sora si intrufola nel laboratorio sbagliato e beve l'intruglio sbagliato, e come al solito tocca a Riku mettere insieme i pezzi. [Riku, Sora, Kairi]
2. Goodbye Pisces
Una strana conversazione tra una ragazza scappata di casa e un ragazzo bloccato in mezzo al niente. [Riku, Naminé]
3. Wishmaster
Il solito, vecchio 'stai attento a quel che desideri', ma c'è ancora qualcuno che non ha imparato la lezione. [Axel/Roxas/Naminé]
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Nota legale:

Kingdom Hearts © Square Enix & Disney. Questa Fan Fiction è stata scritta per puro diletto, senza alcuno scopo di lucro. Nessuna violazione di © è dunque intesa.


Personaggi: Riku, Sora, Kairi, altri XD

Pairing: esplicito nessuno. Impliciti, beh, tutti XD RikuSora, SoraKairi, AkuRoku, RokuNami.

Rating: R, perché Marluxia è un signore.

Note: il titolo della storia è ispirato a The Dark Half, di Stephen King. Il titolo della raccolta invece è quello di un episodio di Buffy, e me l’ha suggerito la Caska<3


EDIT:

Questa fic fa riferimento a Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr. Hyde. Dove, per inciso, Hyde -la metà malvagia- prendeva il controllo ed andava a spasso per conto suo.

Non pensavo di doverlo precisare, ma visto che la storia sembra essere particolarmente ermetica spero che così risulti più comprensibile XD



:: THE QUEER HALF ::



Aveva pensato spesso al limite che divideva l’ottusa ingenuità di Sora dalla follia autodistruttiva -più per spirito di sopravvivenza che per reale curiosità, ma dubitava che il puro interesse l’avrebbe fatto arrivare più lontano. Perché se un bambino di sei anni che propone di entrare nella grotta buia e silenziosa di un’isola deserta che con il senno di poi poteva essere tranquillamente un covo di pedofili è spericolato, ed un ragazzino di dieci pronto a buttarsi da una scogliera è coraggioso, un quattordicenne che accetta con limpido entusiasmo di gettarsi in una traversata transatlantica con due noci di cocco ed una bottiglietta d’acqua si trova un po’ in bilico sulla sottile linea che passa tra incosciente e maniaco suicida. Ma visto che l’idea della zattera era sua -ed era sempre sua la madre che li aveva scovati come un cane da tartufo ed impedito a suon di sberle di gettarsi nell’impresa più disastrosa della loro vita-, era stato disposto a concedere a Sora il beneficio del dubbio.

Fino a quel momento.

Perché per quanto Sora gli avesse ormai fritto il cervello come un uovo su una pietra arroventata, era decisamente poco incline al dubbio mentre un esercito di pazzi infoiati dalla dubbia sessualità sbatteva i pugni contro la porta -ed il fatto che proprio lui fosse in dubbio sulla loro sessualità la diceva lunga. Era un albino altro un metro e settanta con i capelli bianchi che vestiva solo di blu e giallo ed aveva una vergognosa cotta per il suo migliore amico che durava ormai da una decina d’anni, ma non gli era mai capitato di vedere gente strana come quella assiepata di fronte alla casa di Sora, che pretendeva ululando cose che avrebbe preferito che Kairi non sentisse. Soprattutto per evitare la concorrenza, che la metà le aveva già pensate lui.

E mentre spostava il divano di fronte alla porta per barricarsi in salotto, ringraziando Kingdom Hearts che l’afflusso azzerato di sangue al cervello avesse fatto dimenticare a quella folla scatenata l’esistenza delle finestre, Sora lo osservava perplesso come se fosse colpa sua. Cosa che sinceramente trovava più offensiva che fastidiosa, perché con l’idea della zattera aveva rischiato di ammazzare tutti e tre, ma non gli sembrava abbastanza grave da convincerlo che il suo migliore amico girasse di notte con un gonnellino bianco addosso a rimorchiare gente che sembrava uscita dalla Notte degli Zombie per portarla a casa sua.

Così la sua voce suonò particolarmente seccata quando si sedette sul divano e cercando di ignorare gli strilli sibilò: «Una spiegazione sarebbe gradita.»

Sora, che guardava per aria in cerca di farfalle, sbatté le palpebre e focalizzò lentamente lo sguardo su di lui. Sembrava sorpreso, come se gli avesse chiesto di risolvere un’espressione di fisica quantistica  con tre arance e una mela. Si dondolò un attimo a gambe incrociate, abbastanza da fargli venir voglia di prenderlo per i capelli e scrollarlo come un cappotto bagnato, ma dopo un attimo lunghissimo si umettò le labbra con la punta della lingua -uno dei tanti gesti che aveva imparato a carpirgli di nascosto e custodire gelosamente- ed inclinò la testa.

«C’è gente di fuori.»

«Grazie, me ne ero accorto. Perché c’è gente di fuori?»

«Vorranno entrare» rispose Sora come se fosse del tutto logico, prima di grattarsi pigramente la nuca. «Sono stanco. È da un po’ che di notte dormo male.»

«E se questa gente resta fuori dalla tua porta dormirai anche peggio. Suppongo che i tuoi genitori vorranno sapere chi è il tizio dai capelli rosa che sta davanti alla vostra porta, e soprattutto perché vuole sodomizzarti con un telecomando.»

Sora non sembrò particolarmente impressionato all’idea, così fece la cosa più impensabile di un intero universo di cose impensabili, e scrollò le spalle.

«Vedrai che si stuferanno.»

«Stanno urlando. Prima o poi qualcuno arriverà a vedere cosa sta succedendo, anche se siamo su un arcipelago in cui i genitori trovano sensato lasciar girare i figli minorenni su un isolotto deserto.»

«Meglio, così andranno via prima.»

E Riku, che iniziava a pensare di essere finito in una dimensione parallela in cui tutti parlavano al contrario e camminavano sulle mani, pensò che nessuno avrebbe potuto biasimarlo se avesse simulato un’emicrania e fosse tornato a casa. Si massaggiò la fronte con la punta delle dita, cercando di non prendere a calci il suo migliore amico fino a riassestargli il cervello dentro al cranio, che dovevano essergli saltati un paio di collegamenti fondamentali.

«E tu sai come sono arrivati fin qui?»

Raggomitolato per terra, Sora grattò il tappeto con un piede, come se il suo totale disinteresse per la questione non fosse abbastanza chiaro.

«Gli ho detto dove abitavo. O almeno credo.»

«Per un motivo in particolare o perché Tidus e Wakka parlano solo di me e ti senti escluso?»

Sora si abbracciò le ginocchia.

«Beh, è una storia lunga…»

«Con quella gente là fuori non credo che potremo andare da qualche parte molto presto.»

«Come vuoi.» Non alzò le spalle, ma fu come se l’avesse fatto. «Ricordi il mese scorso?»

«Il mese scorso quando

Sora sembrò un po’ seccato, come se fosse legittimo pretendere che seguisse passo passo i suoi deliri.

«Quando stavamo parlando di DiZ.»

«…DiZ?»

All’improvviso si sentì giustificato ad avere la pelle d’oca alta una spanna. Lui e le sue stupide idee del cazzo.

«Mi avevi sfidato ad entrare nel suo laboratorio.»

«Ti avevo anche sfidato a mangiare un topo vivo a sette anni, ma non sei stato abbastanza idiota da cascarci.»

«Quello è stato solo perché Kairi mi ha fermato!» si difese Sora, del tutto ignaro di essersi appena insultato da solo, e soprattutto ancora una volta terribilmente inconsapevole di quanto a fondo avesse inciso quel singolo colpo di lama. Perché Riku ricordava con rabbioso risentimento la prima volta in cui Sora aveva scelto Kairi al posto suo, ed era bruciante il ricordo di quella umiliazione.

Forse era stato quello il momento in cui aveva capito che se aveva un rivale, quello non era certo Sora.

«E quindi sei andato nel laboratorio di DiZ? Lo sai che quello è matto, basta guardare gli assistenti che ha raccattato! Li avrà selezionati in base a quanto riuscivano a piegarsi!»

«Allora si vede che sono più coraggioso di te» si vantò Sora, sogghignando vittorioso. Riku spinse in fondo allo stomaco l’immediato fastidio che essere sfidato gli provocava, e che lo costringeva ogni stupida volta a fare qualcosa di cretino per dimostrare a tutti che era il migliore, sempre. Specialmente a Kairi, perché fosse ben chiaro che non poteva neanche sperare di reggere il paragone.

«E che c’entra il tuo essere incredibilmente coraggioso con il casino che c’è qui fuori?»

«Un attimo, ci sto arrivando» protestò Sora, offeso.

«Prima che sfondino la porta sarebbe meglio.»

«Sì, lo so! Sei solo arrabbiato perché io ci sono entrato e tu no!»

«Sora…»

«Ok, va bene! - sbuffò lui, dondolandosi sulle natiche e sbattendo ripetutamente i piedi sul tappeto - C’erano un sacco di bottiglie con dentro roba colorata nel laboratorio, ed io avevo appena scavalcato il fossato e scalato le mura e schivato i cani e i coccodrilli e-»

«Non c’è nessuna di queste cose vicino al laboratorio di DiZ, lo sai, vero?»

«…e visto che avevo sete ho bevuto la prima cosa che mi è capitata in mano» concluse Sora con una vocina che si abbassava sempre di più man mano che parlava, mentre nascondeva la testa tra le ginocchia. Ma sfortunatamente Riku aveva sentito tutto, e gli piantò addosso lo sguardo più sconvolto/infuriato/allucinato della storia.

«…tu hai fatto COSA?!»

«C’era anche Kairi con me!» si difese subito Sora, come se fosse un’attenuante.

E come se quella non fosse una condanna a morte, Kairi, che era rimasta in silenzio vicino alla finestra per tutto il tempo, si girò lentamente e li guardò con placidi occhi blu.

«DiZ stava facendo degli esperimenti sulla scissione della personalità, a quanto sembra» dichiarò lei a voce bassa, sistemandosi pigramente i capelli su una spalla. «Credeva di aver trovato la formula per dividere la parte buona di un essere umano da quella cattiva.»

«E tu hai lasciato che Sora bevesse una delle sue brodaglie?!» ringhiò Riku, cercando di schiacciare l’inquietudine con la rabbia furibonda. Ma anche se aveva sempre funzionato, quando i languidi occhi blu di Kairi tornarono a guardare fuori dalla finestra gli sembrò che qualcosa di ghiacciato in una maniera dolorosa gli stringesse il cuore.

«Sembra che qualcuno abbia dato fuoco al giardino» fu l’unica cosa che disse.

Nel giro di un attimo si erano catapultati entrambi alla finestra, e Riku non ebbe neanche il tempo di osservare attonito il ROXAS di fiamma che uno svitato dai capelli rossi aveva acceso in giardino -neanche il tempo di registrare che Sora aveva bevuto un qualche strano intruglio che gli aveva definitivamente scombinato il cervello già malmesso che aveva-, che girandosi verso Kairi la vide intenta a pettinarsi con le dita i capelli che le scendevano sulla spalla, e fissando il leggero arco delle sue labbra, curvate in un sorrisetto discreto stranamente soddisfatto, si rese conto di aver subito una sconfitta schiacciante.



  
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