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Autore: WestboundSign_    13/10/2013    3 recensioni
"Perché anche Jaime aveva la stessa sfumatura triste negli occhi, un dolore sottile che era difficile da notare. Ma Jack e Jaime ormai erano diventati una persona sola, dagli stessi pensieri ossessivi e dalle stesse emozioni indefinite, incapaci di muoversi nel mondo dopo il crollo di tutte le loro sicurezze."
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“È bello rivederti dopo tutto questo tempo, Jaime.”
“Non è passato così tanto!”, rise. “Però mi sei mancato, moltissimo”, aggiunse abbracciandolo.
Quando si staccarono Jack gli diede una pacca sulla spalla, fissandolo con uno sguardo che nessuno avrebbe capito, tranne loro due ovviamente. Perché anche Jaime aveva la stessa sfumatura triste negli occhi, un dolore sottile che era difficile da notare. Ma Jack e Jaime ormai erano diventati una persona sola, dagli stessi pensieri ossessivi e dalle stesse emozioni indefinite, incapaci di muoversi nel mondo dopo il crollo di tutte le loro sicurezze.
“Come sta andando?”
Jaime tirò su col naso e scrollò le spalle, guardandosi la punta delle Vans nuove che si era già rovinata. “È peggiorato.”
“Lo so”, sospirò Jack. “Li sento parlare... tutto il tempo. Quando l'autista si ferma per una sosta devo uscire, ho paura di...” le parole gli morirono in gola, e Jaime gli strinse un braccio per rassicurarlo.
“Una volta sono entrato e...”
“Non me lo dire, cazzo, non me lo dire.”
Con ogni parola il dolore si faceva più grande. Avrebbero dovuto capirlo fin dal primo giorno, quando li avevano visti riscaldare la voce insieme. Erano trascorsi dei mesi, ma non è facile abituarsi al vuoto, e la voglia di piangere e farsi del male non era ancora passata. Spesso si erano detti che era da stupidi, che non erano più dei ragazzi, soprattutto Jaime, a trent'anni di età è vietato piangere per amore, la vita non è un telefilm, ma allora erano solo deboli e poco cresciuti, perché non c'era giorno che non scoppiassero, nascondendosi sotto le coperte con la testa affondata nel cuscino, sperando di non essere sentiti, perché era vergognoso un comportamento del genere. Ma per un cuore è troppo difficile accettare i cambiamenti, soprattutto quando la persona che conosci da una vita ti viene strappata dalle braccia e le tue certezze si sfaldano, come i muri di una casa vecchia e abbandonata. E vuota. Erano vuoti. Gusci con un sorriso disegnato sopra, a ostentare una normalità perduta e una vita che aveva cessato di esistere da troppo tempo.
“Andiamo a mangiare da qualche parte? Non ho voglia di stare con gli altri”, disse Jack, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Ho visto un Mc Donald's qualche strada più in là.”
“Andiamo.”
Jaime fece strada fuori dal parcheggio nel quale erano posteggiati i tour bus dei Pierce the Veil, degli All Time Low e dei The Wonder Years. Gli A Day To Remember non erano ancora arrivati, e i manager stavano iniziando a dare di matto, come al solito. Mancavano ancora tre ore al concerto, comunque, non c'era nessun motivo di preoccuparsi, ma loro non lo capivano mai, e le bands erano costrette a scappare per evitare le loro urla e i loro attacchi isterici, e non riuscivano mai a riposarsi del tutto.
Jack infilò le mani nelle tasche dei jeans troppo attillati e si affiancò a Jaime. “Per il resto come va?”, gli chiese guardandolo, e ringraziò il dio a cui non credeva perché poteva evitare di fingere sorrisi, almeno con una persona.
Jaime scoppiò a ridere. “Quale resto?” Era una risata amara, e Jack sentì il cuore fare “crack”. “Tu invece?”
“Potrei dire la stessa cosa”, mormorò. “È sempre più difficile, è forse la prima volta in dieci anni che non vedo l'ora che finisca il tour”, affondò le mani un po' più a fondo nelle tasche. “Prenderemo due settimane di pausa, dopo.”
“Anche noi, e la cosa mi mette tristezza.”
Jack aggrottò le sopracciglia. “Perché?”
“Di solito usciamo... uscivamo insieme, con gli altri e i nostri amici di San Diego”, tirò su col naso Jaime. “Ho sentito Vic dire a Mike che ha intenzione di andare a Baltimore.”
Jack si fermò in mezzo alla strada, paralizzato. “No.”
I pensieri iniziarono a correre veloci. Alex avrebbe di sicuro portato Vic in giro per la loro città, nei loro posti segreti. Lo skate park, il pub dove si erano ubriacati la prima volta, la scuola dove si erano conosciuti. La casa dei suoi genitori, la sua vecchia camera da letto, quella nuova. L'immagine di loro due sul letto lo fece rabbrividire, e scrollò le spalle, accelerando il passo per raggiungere Jaime.
“E invece sì. Ho proposto di fare delle cose insieme e lui ha detto che voleva prendersi un periodo di riposo...”
“...a Baltimore.”
“A Baltimore.”
Jack si asciugò le mani sudate sulle cosce. “Non può venire a Baltimore. Baltimore è...”, non riuscì a completare la frase.
“Non so se siano consapevoli della situazione, ma ti stanno mancando di rispetto, è come se Alex volesse dormire sul nostro tour bus o fare un viaggio in Messico dove vivono i nostri nonni”, mormorò Jaime stringendosi nella felpa leggera che Vic gli aveva imposto di comprare nell'ultima data a New York.
“Non penso che uscirò di casa, cazzo, ho paura di...” le parole gli morirono in gola, come al solito. Ma con Jaime non era un problema, Jaime lo capiva senza bisogno di aggiungere frasi inutili a discorsi che non portavano da nessuna parte.

Quando entrarono nel Mc Donald's lo trovarono semivuoto, e non c'era da stupirsi, le persone alle sei del pomeriggio sono ancora al lavoro, di norma.
Guardarono i menù sopra alle casse, scorrendo i nomi di quei panini super calorici.
Jack tirò una gomitata a Jaime per richiamare la sua attenzione. “Tu cosa prendi?”
“Mmh... un Big Mac menù. Giusto per tenermi leggero”, sorrise.
“Anch'io allora”. Tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e pagò da mangiare anche a Jaime. “Porto io la roba, tu vai a prendere un tavolo”, gli ordinò. Aspettò pazientemente che gli hamburger fossero pronti e prese il vassoio, salendo al piano superiore.
“Ecco”, sorrise sedendosi di fianco a lui.
Aprirono i loro panini e li addentarono, lasciando che la maionese colasse sui loro visi.
Jack alzò lo sguardo verso Jaime per trovarlo coperto di salsa, e scoppiò a ridere, sputando pezzi di insalata ovunque. “Oddio”, lo additò, cercando di contenersi, ma fallendo malamente.
Jaime gli fece il labbruccio, sporcandosi ancora di più. “Ma, ma”, balbettò sbattendo le ciglia, e Jack quasi si soffocò con un pezzo di carne.
“Smettila!”, urlò fra le lacrime, e Jaime scoppiò a ridere.
“Sei tutto sporco!”
“Ti sei visto?!”
Con una mano sotto al mento per non far colare la salsa Jack si alzò e prese un po' di tovaglioli di carta da un distributore, porgendone metà a Jaime. “Tieni, animale”, rise di nuovo, e entrambi sorrisero di quel momento, così raro e così assurdo.
Finirono di mangiare in silenzio, guardandosi di tanto in tanto e scoppiando a ridere, incapaci di non pensare a loro due coperti di maionese.
Jack si pulì le mani e prese una patatina. “Stasera suoniamo prima noi? Matt mi ha detto qualcosa ma non me lo ricordo”, scosse la testa.
“Sì, credo che ci alterneremo come allo Spring Fever.”
Jack annuì bevendo la sua Coca. Si incantò sul muro di fronte a sé, e ad un certo punto Jaime gli tirò un calcio sotto al tavolo. “Jack!”, sussurrò-urlò, fissandolo con gli occhi sbarrati.
“Che cosa...”
“Shh!”, lo zittì, prendendolo per un braccio e trascinandolo alle scale. Indicò un punto al piano di sotto. Si sporsero sulla ringhiera e Jack rischiò di vomitare lì e subito. Seduti a un tavolo, Vic e Alex ridevano.
Si voltò verso Jaime e lo vide pallido, gli occhi sbarrati.
“Merda”, sussurrò. “Dobbiamo spostarci”. Lo prese per mano e lo portò dietro ad una colonna, convincendosi di non essere ancora uscito dal locale solo per paura di farsi vedere, spiarli non c'entrava nulla, davvero.
Si appoggiarono al muro, sporgendo la testa per vedere, incuranti di quanto potesse sembrare strana la situazione agli occhi di uno sconosciuto.
Una confezione colorata di Chicken Nuggets spiccava sul vassoio dei due, e in mezzo al tavolo troneggiava un frappè gigantesco.
Vic sorrise ad Alex e infilò nel bicchiere due cannucce.
“Mi viene da vomitare”, mormorò Jack stringendo Jaime che nel frattempo aveva iniziato a tremare piano. Sapevano entrambi cosa sarebbe successo dopo, ed era tutto troppo schifosamente cliché e romantico, quasi sbagliato e comunque raccapricciante.
Infatti, come previsto, i due cantanti avvicinarono le teste, bevendo insieme il milkshake troppo dolce, come la loro relazione. Le loro dita si intrecciarono, e Alex imboccò Vic, mettendogli un Chicken Nugget in bocca.
Jaime si aggrappò a Jack. “Ti prego, andiamo via”, lo supplicò con gli occhi, che quella vista era troppo per loro due, e non avrebbero resistito ancora a lungo senza crollare in qualche modo, o magari buttarsi direttamente giù dalle scale, e morire lì, nel fast food più schifoso di tutta la città, anche se non ne sarebbero mai stati capaci, non avrebbero potuto rovinare l'appuntamento di Alex e Vic, perché li amavano comunque, non importava a quanto dolore li esponessero.
Jack annuì e lo spinse all'uscita, guardandosi indietro per assicurarsi di non essere stato visto. Appena fuori iniziarono a correre senza dire una parola, nascondendosi nella prima strada chiusa che trovarono. Jaime si buttò fra le braccia di Jack, affondandogli la testa nell'incavo del collo.
“Non piangere Jaime, ti prego, poi piango anch'io... non piangere”, gli sussurrò quest'ultimo accarezzandogli la schiena, ma era troppo tardi, e sentì le lacrime cadergli sulla maglietta, raggiunte poco dopo dai singhiozzi, attutiti dalla sua pelle. Non aveva resistito. Non ce l'aveva fatta. Ancora una volta, la vita era stata più forte di loro.
Lo strinse con tutta la forza che aveva, fino a sentirgli le ossa e i muscoli bollenti sotto il tocco delle sue dita.
“Shh”, lo cullò piano lasciandogli piccoli baci sul collo e sforzandosi di non crollare anche lui, di essere forte per non buttarlo giù del tutto, ma era difficile, troppo, gli si spezzava il cuore in altre mille schegge irreparabili a vederlo piangere fra le sue braccia.
“Perché, Jack? Perché?”, balbettò Jaime spostando la testa e guardandolo negli occhi senza vergogna, le lacrime che scorrevano incontrollate sulle sue guance. Nessuno lo aveva mai visto piangere, odiava piangere, era imbarazzante, ma con Jack non aveva problemi. Jack sapeva cosa stava passando.
Jack gli appoggiò i pollici sugli zigomi e gli asciugò le lacrime dal viso arrossato. “Va tutto bene. Prima o poi si accorgerà che sei meglio tu di Alex, capirà di stare perdendo qualcosa di molto più prezioso, capito? Non piangere, che poi ti si arrugginiscono le guance.”
Jaime arrossì e si concesse di sorridere, abbracciandolo di nuovo.
“Ce la fai a tornare a casa?”
“Sì, sì”, annuì, e Jack lo prese per mano, facendoci sopra piccoli cerchi con il pollice, e uscirono dal vicolo.
Quando arrivarono al parcheggio trovarono un bus in più, e tirarono un sospiro di sollievo. Nessuno dei due aveva voglia di sentire i manager urlare e farsi salire l'agitazione a mille, grazie tante.
Salirono sul tour bus degli All Time Low perché era vuoto, e Jaime sparì in bagno a sistemarsi. Aprì l'acqua e si lavò via i segni delle lacrime, anche se non poté fare molto per gli occhi arrossati e quelle dannatissime macchie rosse che gli comparivano sulle guance ogni volta che piangeva. Si asciugò e tirò sul col naso prima di riaprire la porta e spegnere la luce, per poi andare nella stanza principale. Si buttò su un divano e si prese la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie. Aveva scoperto da poco che piangere gli procurava un mal di testa atroce.
Jack richiamò la sua attenzione e gli porse una tazza di the fumante, che lui accettò volentieri. Gli fece spazio sul divano e si appoggiò ai cuscini, soffiando sul liquido per farlo raffreddare. L'acqua girava in piccoli vortici nella tazza, formando minuscole bolle che scoppiavano subito dopo per il troppo calore. E anche la sua vita era così, un vortice pieno di scoppi e cadute, sciare di lava che spazzavano via ogni fortezza costruita in anni di auto controllo, portavano via tutto, ogni cosa, tranne lui. Lui era sempre lì, in piedi, al sicuro su una collina alta abbastanza da tenerlo in vita, ma non a proteggerlo dai lapilli.
Portò la tazza alle labbra e prese un sorso, era dolce e speziato, proprio come piaceva a lui. Jack lo conosceva fin troppo bene. Gli appoggiò la testa sulla spalla e socchiuse gli occhi, lasciando che gli accarezzasse il collo.
“Come ti senti?” la voce di Jack era leggera e cauta, probabilmente si stava sentendo anche lui uno schifo, ma riusciva a non mostrarlo.
“Potrebbe andare meglio, diciamo, ma comunque va bene, voglio dire, se non ci fossi stato tu sarei rimasto lì a guardarli tutto il tempo e beh”
Jack annuì e sospirò, fissandosi i jeans già sporchi.
“Tu invece?”
“Non lo so, non...” le parole gli morirono in gola. Ma non c'era bisogno di spiegare, sapevano entrambi di stare provando le stesse emozioni disperate e senza via di fuga.
Jaime finì il the prima che diventasse tiepido e perdesse tutti i suoi effetti consolatori.
“Non credo di essere pronto a dividere il palco con Vic”, mormorò Jack appoggiandosi a lui con la testa. “Per fortuna non l'abbiamo registrata insieme, non avrei sopportato di vederli in studio.”
“Dovevi vedere Vic mentre la provava prima di registrarla”, rise amaramente il bassista. “I fans saranno anche contenti, ma...”
“A volte desidero di non essere mai uscito da Baltimore. Mi andavano più che bene i concerti da cento persone al massimo, cazzo.”
“Almeno eravamo felici.”
Il silenzio calò nella stanza. Felici.

“Jack! Alza il culo, dai! Vieni!” Zack si avvicinò a Jack e iniziò a scuoterlo per una spalla. Era seduto su un divanetto con le cuffie nelle orecchie, ad ascoltare The Flood degli Of Mice & Men perché era uno dei pochi album capace di bloccare il flusso inarrestabile di pensieri che lo stavano facendo lentamente impazzire.
“Jack, che cazzo!” Zack gli strappò le cuffie e lo tirò su per un braccio. “Fra cinque minuti siamo sul palco, aspettiamo solo te!”
Jack fissò l'iPhone caduto per terra e poi Zack, annuendo piano. Non importava quanto fosse depresso, non avrebbe mai potuto abbandonare la sua band, non avrebbe neanche dovuto esserlo, depresso, perché Jack non era così, Jack Barakat era sempre pronto a salire su quel fottuto palco e spaccare i culi, e se una sola volta non fosse stato così si sarebbe tradito con le sue stesse mani, e tutto sarebbe cambiato, di nuovo.
Seguì Zack attraverso la stanza e raggiunse Rian e Alex, che li strinsero in un abbraccio.
“Siete pronti?” Il profumo di Alex investì Jack, che sentì lo stomaco torcersi e annodarsi nella sua pancia. Quella vicinanza lo faceva stare male, lo faceva piegare in avanti e sudare freddo, implorando per avere di nuovo quelle labbra sulle sue, che prima di Victor era lui il sorriso di Alex, il suo sfogo e la sua dolcezza, il suo mondo e il suo divertimento.
“Jack?” Rian gli tirò una gomitata nelle costole, facendolo riconcentrare. Si era perso il discorso di Alex, ma a quel punto poco importava, la sua voce più che rassicurarlo lo faceva andare nel panico, catapultandolo in un altro universo.
“Andiamo!” urlarono insieme staccandosi dall'abbraccio prima di prendere i loro strumenti dalle mani dei tecnici. Jack afferrò la chitarra, accarezzando distrattamente un vecchio adesivo che aveva attaccato troppo tempo prima.
Qualcuno urlò “due minuti!” e lui si girò verso il palco, sospirando piano. Non ce l'avrebbe mai fatta. Ricontrollò che il ciuffo fosse a posto in uno specchio appeso al muro e si voltò inconsciamente verso Alex, anche se quando lo fece desiderò di poter tornare indietro nel tempo lì e subito. Stava abbracciando Vic, il mento appoggiato alla sua testa per via della notevole differenza di altezza. In condizioni normali ci sarebbe stato Jack al suo posto, fra le braccia di Alex. In condizioni normali non sarebbe mai rimasto da solo prima di uno show. Lanciò un'occhiata a Zack e Rian, trovandoli pronti e sorridenti, impazienti di salire sul palco, e si ritrovò ad invidiarli come non mai.
“Un minuto!”
Si schiarì la voce e ripassò mentalmente la scaletta, storcendo la bocca quando arrivò a A Love Like War.
I ragazzi fuori iniziarono ad urlare “All Time Low”, e invidiò anche loro, perché erano più uniti della band stessa.
“Trenta secondi!”
Jaime comparve al suo fianco e lo abbracciò, facendogli quasi venire un infarto perché non se lo sarebbe mai aspettato.
“Ce la puoi fare”, sussurrò al suo orecchio, e Jack sorrise.
“Grazie”, disse stringendogli un braccio e gli venne un po' da piangere, perché erano mesi che nessuno veniva a salutarlo prima di un concerto, e si sentiva sempre così dannatamente solo quando saliva sul palco.
“Dieci secondi!”
Jaime gli lasciò un bacio sulla guancia e gli strinse una spalla, sorridendogli nel modo migliore che poteva. “Sei forte, Jack.”
Prima che potesse replicare Zack lo spinse verso il palco, e si ritrovò solo, mentre Lost in Stereo esplodeva nello stadio.

“Hearts on fire tonight, feel my bones ignite!”
Vic saltò sul palco e mise un braccio attorno alla vita di Alex.
“Feels like war, war, feels like war, war!”
Jack strinse la chitarra un po' più forte, ferendosi i polpastrelli con le corde del manico. Alex non l'aveva guardato all'inizio della canzone, quando aveva suonato da solo, nonostante tutti avessero urlato, perché per una volta non faceva il coglione saltando di qua e di là come sempre in quei dieci e più anni di carriera.
Cercò di non voltarsi e di continuare a muoversi e sorridere, perché “This is an All Time Low's show, where dreams come true”, e non poteva deludere i fans, proprio non poteva, erano una delle ultime cose che lo facevano svegliare al mattino e comporre canzoni, una delle uniche cose per cui valeva ancora la pena salire sul palco alla sera.
Con la coda dell'occhio riuscì a vedere Alex smettere di suonare per abbracciare Vic, e giurò che se non fosse stato per la musica tutti avrebbero potuto sentito il rumore del suo cuore che cadeva e si spezzava. Crack.
Avvicinarono la testa allo stesso microfono. “Hearts on fire tonight!”
Crack.
Sempre più vicini, le bocche che quasi si sfioravano.
Crack, crack.
Colse la mano di Alex accarezzare la schiena magra di Vic.
Crack crack, crack.
Mai canzone fu più azzeccata per quel momento, per quella situazione di dolore che lo consumava dall'interno.
Diede loro le spalle e si girò dall'altra parte, senza neanche venire cagato dal pubblico, troppo preso dalla bellezza e dalla forza che i due uomini al microfono stavano emanando.
Si sentì stanco e malato, e fissò il backstage, chiedendosi se qualcuno se ne sarebbe accorto se fosse uscito. Ma poi vide Jaime che si stringeva un braccio attorno alla pancia e gli sorrideva, e allora si voltò e saltò come mai aveva fatto, perché sapeva quanto gli stava costando quel sorriso, e sapeva anche quanto dolore stava provando, e non avrebbe mai voluto vanificare i suoi sforzi comportandosi da egoista.
Qualcuno gli lanciò un reggiseno e lui lo raccolse e lo mostrò a Jaime, fiero di sé, poteva farcela, alla fine.
“Is this the end of us, or just the means to start again?”
Crack.

Jack si strinse nella felpa e prese il telefono di Rian dal tavolo. Inserì il codice – troppo facile, 1987 – e aprì i messaggi. Mike, Cass, Matt, Alex. Schiacciò il nome di Mike e scorse la conversazione, un sacco di battute gay e stronzate sulle batterie. Si bloccò quando lesse il nome di Jaime in un messaggio di qualche giorno prima.
Ti devo lasciare, Jaime sta piangendo di nuovo, non capisco perché sia così fottutamente triste quando stiamo per tornare in tour insieme! A dopo Dawesome ;)”
E la risposta di Rian: “Dovresti vedere Jack hahaha, di sicuro saranno tristi perché non hanno tanti muscoli quanto noi :( ma sicuro che ci penserà la gayaggine di Vic e Alex a farli star meglio, fidati ;)”
Jack lanciò il telefono lontano da sé sentendosi male e tirò su il cappuccio della felpa, alzando il volume della musica, anche se non poté fare a meno di sentire le ultime note di I'm Low On Gas risuonare nell'aria, segnando la fine del set dei Pierce the Veil. Non sapeva come sentirsi a riguardo, se non altro Alex avrebbe smesso di saltare ovunque e sorridere come un pazzo ogni volta che Vic faceva scream, e di spiarlo dal backstage arrossendo di tanto in tanto. Era così non-alla-Alex. Non aveva mai avuto un comportamento del genere, neanche con Lisa.
Mike fu il primo ad uscire, seguito da Tony e Jaime. Vic non riuscì ad arrivare ai divani, bloccato da Alex che gli era saltato addosso, incurante del sudore. Jack storse il naso prima di alzarsi e prendere un asciugamano, porgendolo a Jaime che lo ringraziò con lo sguardo.
“Le docce?”
Gli sorrise divertito, era adorabile con i capelli bagnati e scomposti. “Ti accompagno.”
Lo prese per il braccio e oltrepassò Vic e Alex sforzandosi di non guardare, che era abbastanza per quella sera, grazie mille.
Trovarono le docce incredibilmente vuote, e Jack si sedette su un lavandino, voltandosi dall'altra parte mentre Jaime si spogliava.
Si girò quando sentì le tende tirarsi e l'acqua scorrere. “Scusa se non sono venuto a vederti”, disse, fissandosi le mani rovinate. “Non riuscivo a...”
Jaime rise piano, rassicurandolo. “Non preoccuparti, non sono stato io quello che ha dovuto suonare con loro due!”
“È tuo questo shampoo?”, chiese poi alzando un tubo rosa, e Jack arrossì.
“Ugh sì ma non l'ho scelto io Rian mi ha obbligato!”, disse tutto d'un fiato, sicuro di non essersi mai sentito più in imbarazzo di così.
Jaime rise di nuovo. “Sì, sì”, lo assecondò.
“Non mi credi!”, sbottò Jack cercando di fingersi scandalizzato.
“Certo che ti credo, mister etero!”
“Vaffanculo”, incrociò le braccia.
“Beauner.”
Jack si morse il labbro per trattenere una risata. “Intanto ai fans era piaciuta. E poi chi non è gay per Beau Bokan?”
Jaime sospirò. “Oh, Beau... potrei masturbarmi.”
“Ew, no! Tieni il cazzo lontano dal mio shampoo, pervertito!”, saltò sul lavandino, e entrambi scoppiarono a ridere.
“Sei uno scemo, Barakat”. Jaime spense l'acqua. “Passami l'asciugamano.”
Jack ricadde pesantemente sul pavimento e infilò una mano nella tenda, porgendogli l'asciugamano morbido. Subito dopo, Jaime uscì.
“Merda, credo che dovrò andare di là nudo, ho dimenticato i vestiti... non guardarmi così!”, rise alzando lo sguardo. “Lo so che ho un corpo eccitante!”, ammiccò alla faccia bollente di Jack, che balbettò un “vaffanculo”.
“Fa anche freddo”, si lamentò fissandolo con un espressione falsamente triste.
Jack alzò gli occhi al cielo. “Ho capito, ho capito. Aspettami qui”, sbuffò uscendo dalla stanza, seguito dalla risata di Jaime.

“Mi fa male la mano.”
“Sei sempre così noioso dopo i concerti?”, sospirò Jack nascondendo un sorriso. “Dai, dammi, faccio io”. Prese il phon e lo accese, passando una mano fra i capelli bagnati di Jaime, che gli sorrise dallo specchio e gli diede una pacca sulla coscia, fissando una goccia cadergli dalla testa e finirgli sulla maglietta bianca.
Fece delle facce quando l'aria bollente gli colpì il viso e Jack ridacchiò, riempiendosi il cuore di quel momento così innocente e felice quanto raro.
Quando finì spense il phon e prese il gel, spalmandoselo sulle mani. “Ecco qua”, gli spostò i capelli. “Magnifique!”
Jaime rise e scosse la testa.
“Sono quaranta dollari, madame.”
“Oh, fanculo Barakat!”, scoppiò a ridere e lo spinse via, rialzandosi. “Se vuoi però posso darti un bacio”. Si alzò in punta di piedi e gli lasciò un bacio leggero sulla guancia, facendolo arrossire.
“Mi va più che bene”, sorrise timidamente Jack.
Si guardarono negli occhi qualche secondo, ma prima che potessero dire qualcosa la porta si spalancò, facendo entrare una folata di aria gelida nel bagno caldo e confortante per il vapore.
Jaime si portò una mano allo stomaco, sicuro che avrebbe vomitato di lì a pochi secondi, e Jack cercò di sorreggerlo, finendo per accasciarsi su di lui. Vic e Alex si stavano facendo, lì, di fronte a loro, attaccati al muro. Dopo qualche secondo si staccarono, e Alex si spostò sul collo di Vic, che gemette schiacciato alle piastrelle umide.
Nessuno di loro due si era accorto di niente, troppo presi da loro stessi, e Jack in un impeto di coraggio, con gli occhi ancora sbarrati per lo shock, riuscì a trovare la forza di prendere Jaime per mano e trascinarlo fuori dalla stanza e lontano dal bagno, scansando la gente nel backstage e correndo, finché non furono fuori e l'aria della sera li colpì, facendoli risvegliare dalla situazione paradossale in cui erano finiti, e Jaime scoppiò a piangere schiacciando la testa contro la felpa morbida di Jack, che lo seguì a ruota, incapace di contenersi.
Si strinsero fino a farsi male, fino a sentire le ossa bucare il corpo dell'altro e i polmoni comprimersi e dilatarsi in cerca di ossigeno che mancava, mancava, mancava.
Erano patetici. Nessuno dei due ricordava di aver mai visto qualcuno comportarsi così per una persona, neanche nelle peggiore soap argentine per adolescenti, neanche a Jersey Shore o al Grande Fratello.
La domanda era sempre la stessa. “Perché?”, chiese Jaime per la seconda volta nel giro di quattro ore, sentendosi implodere. Neanche fossero morti i suoi parenti o i suoi migliori amici.
Jack non riuscì a rispondere, lasciandosi squarciare il petto da quei singhiozzi disperati che avrebbero portato chiunque a una crisi di panico o di isteria.
Qualcuno urlò “gay”, e i due alzarono la testa contemporaneamente. Nella luce della porta di emergenza, Mike e Rian stavano ridendo con una birra in una mano e il telefono nell'altra.
“Questa finisce su Twitter!”, gli comunicò uno di loro agitando l'iPhone nell'aria, e Jaime alzò il medio senza spostarsi, tenendo stretto Jack, che aveva apparentemente smesso di piangere.
In pochi secondi i due batteristi sparirono, lasciando risuonare le loro risate stupide nell'aria pungente della sera.
“Porca puttana”, sussurrò Jaime, e Jack lo lasciò andare, asciugandosi le guance con la manica della felpa.
“Merda, devo essere orrendo”, ridacchiò, provando dolore nel distendere i muscoli del viso in uno dei suoi soliti sorrisi.
Jaime gli sorrise a sua volta. “Mai quanto me”. Tirò su col naso. “Comunque non me ne frega un cazzo in questo momento, andiamo a bere qualcosa ti prego”, lo implorò con lo sguardo, e Jack annuì debolmente. In quel si sentiva più vicino a Danny Worsnop che qualsiasi altro membro degli Asking Alexandria.
“Self destruction is such a pretty little thing”, mormorò una frase dell'unica loro canzone che conosceva.
Jaime lo prese per mano. “No, Jack. Tu sei una cosa molto più bella dell'autodistruzione”. Gli baciò una guancia. “Capito?”
Jack arrossì e balbettò un “sì”, non ancora abituato a tutte quelle attenzioni. Si ritrovò ad ammirarlo per il coraggio che stava dimostrando, lui non ce l'avrebbe mai fatta.
“Quindi ora torniamo sul tour bus e ti metti a dormire, va bene?”, gli disse dolcemente.
“No!” Jack sbuffò e si fermò. “Lo so che se poi mi addormento tu esci e ti ubriachi da solo.”
“Non è vero”, protestò Jaime, contrariato.
“Quindi tanto vale farlo insieme”, lo ignorò Jack. “Merda, ho lasciato l'iPhone dentro”, imprecò trovando vuote le tasche dei jeans. “Ci toccherà cercare un pub per conto nostro.”
“Non possiamo andare a riprenderlo?”, propose Jaime.
“Io dentro non ci torno”, lo bloccò. “Dai, andiamo ci sarà pure un maledetto posto da qualche parte, no?”
Jaime gli strinse più forte la mano. “Hai ragione. Andiamo”, sorrise.

“Non ci credo! Non ci posso credere!” Jack scoppiò a ridere piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
Si erano appena fermati dopo aver corso per dieci minuti buoni, rischiando di essere investiti due volte perché nonostante fossero le due di notte in America le strade erano sempre trafficate.
“Messicani bastardi!”, urlò sdraiandosi a terra e tenendosi il petto con le mani cercando di regolare il respiro. Jaime lo raggiunse poco dopo, appoggiando la testa di fianco alla sua sull'erba umida del prato del parco in cui erano entrati in mancanza di posti migliori.
“Devi solo ringraziarmi”, ribadì. “Se non ci fossi stato io ora ti troveresti in commissariato.”
Jack alzò le braccia. “Scuusa!”, scoppiò a ridere di nuovo.
Dopo essersene andati dal parcheggio avevano camminato fino al primo bar che avevano trovato, e avevano iniziato a bere. Una birra, un Whiskey Cola, un Vodka Lemon. E poi Jack aveva tirato una gomitata a Jaime, lo aveva guardato negli occhi e, nel modo più casuale possibile, gli aveva chiesto se avesse dei soldi. E no che non ce ne aveva, aveva lasciato tutto nel backstage, stava forse cercando di dirgli che neanche lui ne aveva? Si erano ritrovati senza documenti e telefono, ma, soprattutto, al verde. Jaime aveva immediatamente chiesto dove diavolo fosse il bagno e aveva trascinato Jack con sé, in una scena apparentemente e disperatamente gay. Ma una volta in bagno gli aveva fatto l'occhiolino ed era salito in piedi sul water, per smontare una finestra in alto, vicino al soffitto. Aveva appoggiato il vetro per terra ed era uscito in strada, porgendo poi una mano a Jack per aiutarlo a salire. Ma aveva finito per incastrarsi con la testa, era davvero strettissima, cazzo, e Jaime aveva dovuto tirarlo e spingerlo finché non si era liberato. E prima che qualcuno potesse accorgersi di qualcosa, erano scappati.
Jaime rise e gli prese la mano, allacciando le dita con le sue. “Non mi divertivo così da un sacco”, mormorò avvicinandosi un po' al corpo bollente di Jack.
“Neanche io”, sorrise quello girandosi sulla pancia e iniziando a tirargli distrattamente una ciocca di capelli ribelle, ridacchiando fra sé e sé al ricordo della stronzata che avevano appena fatto.
Jaime gli scosse un braccio. “Jaaack.”
Jack alzò gli occhi al cielo e sbuffò giocosamente. “Vieni”, disse sdraiandosi di nuovo per terra e allargando le braccia, in modo che Jaime potesse accoccolarsi addosso a lui.
“Mi sei mancato tanto tanto”, gli soffiò Jaime sul collo, e Jack gli accarezzò la testa.
“Anche tu, anche tu”, sussurrò alzandogli il mento con un dito.
Gli tirò i capelli per avvicinarlo e gli lasciò un bacio umido su una guancia.
“Quanto abbiamo bevuto, Jackie?”
Jack sentì una scintilla esplodergli dentro, all'altezza del cuore. “Non molto, sono completamente sobrio.”
“Anch'io”, concordò Jaime. “E dire che l'intenzione iniziale era quella di sfondarci... e alla fine ho dimenticato lo stesso ciò che è successo prima.”
“Perché siamo insieme”, ragionò Jack ad alta voce, arrossendo quando si rese conto di quello che aveva appena detto. Si coprì la bocca con una mano. “Cioè, se fossimo stati soli ci avremmo pensato tutta la sera, no?”, tentò di rimediare.
Jaime rise e annuì con la testa, per tornare serio subito dopo, quando si appoggiò sui gomiti e incontrò lo sguardo di Jack. Non erano gli occhi di Victor, di quella tonalità marrone inconfondibile, ma ciò non significava che fossero meno belli. Gli occhi di Jack erano caldi, grandi e tristi. Una tristezza che lo attirava, come una calamita, perché era abbastanza sicuro che anche i suoi fossero la stessa sfumatura amara.
Abbassò lo sguardo sulle sue labbra serrate, leggermene all'ingiù come sempre da quando Alex l'aveva lasciato, e sentì il bisogno di baciargli via quell'espressione dal viso.
Si avvicinò piano e senza pensare e gli diede un piccolo colpo con il naso, appoggiando la fronte sulla sua. Gli venne da sorridere, perché Jack era dolce e bellissimo, e non meritava tutto quel dolore a soli venticinque anni.
“Se lo fai poi non potrai più tornare indietro”, lo avvisò Jack, ma Jaime non si spostò di un solo centimetro.
“Solo se lo vuoi davvero, Jaime”, lo pregò con gli occhi, e Jaime gli sorrise, baciandogli le palpebre e costringendolo a chiudere gli occhi.
“Sappi che non sarai un rimpiazzo di Vic, come io non lo sarò di Alex. E penso che loro non valgano neanche la metà di quanto valiamo noi”, sussurrò prima di chinarsi sulle sue labbra. Lo baciò piano, e fu come trovare il pezzo mancante del puzzle da diecimila tasselli, come respirare dopo essere rimasto in apnea venti minuti.
Aveva tanto agognato un bacio di Victor che si era dimenticato cosa significasse guardare un'altra persona, e pensò che il cantante aveva azzeccato ancora una volta le parole, e non doveva più immaginare di vivere come un re, perché in quel momento lo era, lo erano.
E il dolore, il dolore era sparito. Magari il petto gli avrebbe fatto male ancora per un po', magari il sangue sarebbe rimasto amaro, ma Jack avrebbe di sicuro trovato un modo per addolcirlo giorno dopo giorno, Jack era zucchero puro, era tutto quello che avrebbe potuto desiderare dalla vita, anche se ci aveva messo due anni a realizzarlo, anche se era rimasto accecato dalla luce utopica di Vic per troppo tempo, ma ora che aveva finalmente trovato un motivo per continuare a suonare non l'avrebbe mai lasciato andare. E fanculo Victor, fanculo Alex, alla fine del tour sarebbe andato anche lui a Baltimore, e avrebbero fatto ingelosire tutti, e il sole avrebbe brillato per loro, e le nuvole avrebbero pianto di tenerezza e di gioia, che non esisteva coppia più bella.
Jack gli mise una mano sulla guancia e scoppiò a piangere, e Jaime gli baciò ogni lacrima, stringendolo piano a sé. Aveva sentito troppo a lungo le sue ossa bucargli i polmoni e il cuore, e ora voleva solo rendersi conto che no, non era un sogno, anche se ci andava molto vicino.
Non smise di guardarlo un solo secondo, e quando finalmente Jack riaprì gli occhi arrossati sorrise, uno di quei sorrisi che ti arrivano al cuore e ti rimangono dentro, schiacciati fra le cuciture e i cerotti messi lì per alleviare quella merda di dolore chiamato vita.
Le dita callose di Jack gli accarezzarono gli zigomi e si accorse di stare piangendo anche lui, mentre sorrideva come un pazzo, che la vita era bellissima, e non si era mai sentito più felice di così, a bagnarsi di rugiada e lacrime incredibili fra le braccia dell'unica persona che lo aveva veramente capito. E non gli importava niente se subito dopo avrebbe visto Vic baciare Alex, perché non sarebbe più stato solo, e Jack era mille volte meglio di Victor, Jack aveva bisogno di cure, e avrebbe passato anche tutta la vita a donargliele, l'essere umano più spettacolare che avesse mai conosciuto.
Rimasero sdraiati sulla terra a contare le stelle e a ridere dei loro visi arrossati finché i primi raggi di sole glielo impedirono, e allora si alzarono e corsero via dandosi la mano, e poterono giurare di non essersi mai sentiti più svegli, nonostante la notte passata in piedi e i mesi di insonnia.
E quando arrivarono al parcheggio e trovarono Vic e Alex fuori da un tour bus, stretti in una coperta a guardare l'alba risero e li superarono, collezionando espressioni confuse che li fecero sorridere e aumentare la presa sulla mano dell'altro.
E Jaime non aveva mai trovato il suo letto minuscolo più comodo di quella mattina, con Jack che ne prendeva metà, e si addormentarono con il sorriso sulle labbra e le mani sul cuore, per essere sicuri che non fosse la loro immaginazione stanca, ma la realtà.
Il futuro era sempre sembrato una cosa incerta e meschina, e ci sarebbero ancora state nuvole all'orizzonte, ma ci avrebbero pensato dopo; per il momento quel cuscino intriso di vecchie lacrime e quei sorrisi sui loro visi erano abbastanza. E lo sarebbero rimasti per sempre.

 

Le mie OTPs sono Kellic e Jalex, ma non posso fare a meno di shippare anche Jaime e Jack perché ohemgee sono la cosa più bella del mondo. Quindi a scuola ho scritto questa cosa e uhm, sì, alla fine poteva venire meglio, ma sono comunque abbastanza contenta del risultato finale.
Perdonatemi quel “non piangere, che poi ti si arrugginiscono le guance”, stra plagiato dalle Luci, ma le ho ascoltate talmente tanto che ora ogni volta che qualcuno dice “piangere” penso a quella frase e y'know. E scusatemi anche gli accenni agli OM&M (dopo quella foto di Jack che abbraccia The Flood non ho potuto non scrivere di loro), ai blessthefall (semplicemente Jack non può mettersi una maglietta con il cognome di Beau, davvero, no) e agli AA (anche qui, dopo le foto di Jack e Danny dovevo far finta che gli piacessero – che magari gli piacciono davvero, figata) e, er, non so che dire. Comunque se siete arrivati qui giù vi meritate un premio perché questa shot è lunghissima (non così tanto but) e strana, rido. Fatemi sapere se vi piace, magari. E sono anche su Twitter @martaAllTimeLow. c:
Grazie MelodramaticFool_ per essere come sempre meravigliosamente paziente e betarmi tutte queste fanfiction inquietanti. <3

 

   
 
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