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Autore: sonyx1992    14/10/2013    1 recensioni
Storia partecipante al concorso "l'alfabeto dei ricordi" indetto da Angy Lulu.
"In genere non mi piace ricordare, tornare indietro al mio passato per rivivere eventi dimenticati; ma, visto che ci tenete così tanto, vi accontenterò.
Uno dei ricordi più belli che ho si chiama Andrea, come mio fratello, come il primo amore che mi ha spezzato il cuore e come la mia migliore amica. Sì, state pensando bene: ero circondato da Andrea.
La mia migliore amica, in particolare, è quella che ricordo meglio. Non so perché; forse perché con mio fratello ci litigavo spesso o, forse, perché non ci tengo molto a ricordare la persona che mi ha spezzato il cuore.
Fatto sta che un’amica come Andrea non la si dimentica facilmente."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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G di “Gioco”


Chi ha detto che “l’amore è un gioco” si è sbagliato di grosso e non ha mai conosciuto la mia amica Andrea.
Per lei l’amore era una vita intera, un battito irregolare di un cuore, un imbarazzo da notare nel rossore delle guance; per lei l’amore ero io, il suo amico Emanuele.
Ma ciò che lei non sapeva era che ad Emanuele piaceva ancora giocare e l’amore poteva essere il passatempo migliore in una giornata uggiosa e spenta.
Il problema era che, come ogni gioco che si rispetti, anche l’amore vuole avere un compagno con cui divertirsi e, per di più, il 14 ottobre era la giornata più piovosa dell’anno.
Emanuele si annoiava; Andrea credeva che la pioggia potesse rendere tutto più romantico.
L’invito che aveva mandato attraverso il suo cellulare poteva essere chiaro per chiunque, ma non per il suo amico Emanuele che voleva essere ancora un bambino.
Mentre si dirigeva a casa sua, dove si erano dati appuntamento per parlare di “una cosa seria” (così mi aveva scritto Andrea), Emanuele giocava saltando in una pozzanghera, rendendo più lento il suo arrivo a casa della sua amica.
Ma ogni gioco ha le sue regole.
Suona il campanello ed entra in casa, togliendosi le scarpe per educazione e per non bagnare il pavimento.
Si siede sul divano e sorride alla sua amica Andrea che, a differenza di lui, di voglia di sorridere non ne ha nemmeno un po’.
“Devo dirti una cosa”, esordisce lei e subito distoglie lo sguardo.
Ma per me, quando si dice una cosa, bisogna farlo con gli occhi legati, puntati l’uno all’altro, per cogliere le differenze e i pensieri nascosti: gli occhi sono il miglior mezzo con cui i nostri sentimenti viaggiano all’esterno.
Quindi mi chino verso di lei, appoggio i gomiti sulle ginocchia e la guardo, cercando il suo sguardo.
Lei lo alza, coraggiosa, ma dopo poche parole preferisce puntare le mie labbra che i miei occhi: “io ho capito di provare qualcosa…”.
Si interrompe e le parole le muoiono in gola, deglutite con la saliva.
Guarda per terra e le sue mani si stringono sui suoi pantaloni, mentre la mia amica Andrea domanda a se stessa se sia giusto continuare.
La conosco e so che quando fa così è perché ha paura della vita; è buffo, non credete? Proprio lei che vive il momento, senza pensieri, senza domandarsi se esista davvero un futuro, adesso è qui, davanti a me, che cede lo sguardo e le parole ad una paura insensata.
Mi alzo dal divano e le vado incontro, le appoggio le mani sulle spalle e, di conseguenza, lei rialza lo sguardo su di me, distendendo istintivamente anche la schiena ed il collo e torna a guardarmi negli occhi.
Arrossisce e le sue mani non sanno come comportarsi, giocano tra loro intrecciandosi le dita.
“Continua”, la esorto, senza rendermi conto della serietà che mi ha preso all’improvviso e del sorriso che è scomparso dal mio volto.
Lei si alza, facendomi cadere le mani dalle sue spalle e cercando di portarsi al mio livello, anche se sa di essere più bassa di me e che quindi non ce la può fare.
“Non riesco a dirlo, Ele”, mi confessa incurvando le sopracciglia e continuando a scrutare i miei occhi.
Stringo i pugni lungo i fianchi, all’improvviso inspiegabilmente nervoso ed agitato.
“Provaci”, insisto.
Andrea si gira, mi dà le spalle e fugge via, con passo incerto, decisa ad arrendersi per riprendere fiato.
Istintivamente, senza pensarci, la mia mano si allunga verso di lei e le afferra il polso, per fermarla.
La mia amica si volta e sembra che non avesse aspettato altro: in un secondo me la ritrovo davanti, una sua mano mi tiene fermo il volto restando appoggiata sulla mia guancia, l’altra resta intrappolata nella mia; Andrea si alza sulle punte e coglie il momento in cui sono curvo su di lei: socchiude le sue labbra e le appoggia sulle mie, impreparate ad accogliere un suo bacio.
In un solo istante accadono cose infinite, che accelerano a dismisura la velocità del gioco: il mio cuore accelera, i miei occhi si sgranano, la mia mano si stringe sul suo polso, le mie labbra si staccano dalle sue e fuggo.
Fuggo, esco di casa, mi allontano, corro sotto la pioggia con un’espressione indecifrabile sul volto; senza meta, senza ombrello, senza coraggio. Ho dimenticato perfino le scarpe.
E correre sull’asfalto in calzini mi mette freddo ai piedi e mi fa pure male; ma l’indecisione nel cuore è più forte.
Nella corsa cado ancora nella pozzanghera in cui avevo giocato prima e, questa volta, sento l’acqua che mi perfora i calzini e la pelle, entrandomi dentro, nelle viscere, gelando tutto.
Il cuore mi batte forte; la mia fuga ha segnato la fine del gioco. Ma in giochi come questo non c’è nessun vincitore, solo sconfitti.
E dimentico che se per me l’amore è un gioco, per Andrea è tutta una vita.


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N.d.A.:
Chiedo scusa a tutti i lettori per l'incredibile ritardo di questo capitolo! Come al solito ho un'ispirazione infame che questa volta si è lasciata arrestare per un anno intero a causa dell'Università. -.-
Mi inginocchio per chiedere a tutti perdono!!!!!
   
 
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