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Autore: Vorarephilia    15/10/2013    0 recensioni
Soleil aveva sedici anni e una vita che a molti potrebbe apparire semplice.
Amelie aveva sedici anni e un'esistenza priva di significato.
Soleil aveva un'amica immaginaria, una volta.
Amelie aveva qualcuno con cui passare il tempo, una volta.
Soleil amava guardarsi allo specchio.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 7

Essere Uno, Essere in Due – parte I

 

Valkhari

 

Vedere Amelie andare via mi aveva rassicurata.

Sapevo che era pericolosa, l'avevo vista mentre uccideva i Riflessi, nel mondo specchio.

L'avevo vista e non avevo detto nulla, troppo preoccupata di poter provocare reazioni che non avremmo potuto fermare.

Non potevamo fidarci di lei, era totalmente fuori di testa.

 

-Io devo andare.- annunciò Valkirya.

Non sembrava scossa come tutte le altre e questo mi faceva piacere.

-Vieni con me.- mi disse. Sulle labbra aveva un sorriso dolce, anche se incerto.
Per la prima volta in tutta la mia vita, mi sentii a casa.
Capii come Soleil, una ragazza che appariva sveglia, potesse fidarsi ciecamente di Amelie.
Compresi la luce che brillava negli occhi di entrambe, poiché era le stessa che illuminava lo sguardo di Valkirya quando presi la mano che mi porgeva.
Quel contatto mi diede la certezza che non avrei più potuto viverle lontano.
Era come se tutta la sofferenza che avevo provato nel mondo specchio fuggisse dalla mia mente, terrorizzata dalla luce che la mia metà aveva portato.

 

Mi fece salire su una moto.
Ne avevo già viste, ma non in funzione.
La maggior parte delle cose, nel mondo specchio, erano rotte o inutilizzabili.
Il rombo del motore mi assordò e le vibrazioni mi scossero. Mi sentivo su di giri, agitata e felice allo stesso tempo e, per la prima volta, senza parole.
Era come se la mia gola si fosse chiusa per l'emozione, una sensazione che non avevo mai provato.
Mi strinsi a lei, affondando il viso nei suoi capelli rossi, di una morbidezza indescrivibile.
Valkirya era perfetta. Ogni cosa di lei mi invadeva i sensi, il suo profumo: un misto tra dolce, fresco e aspro; i suoi colori: la pelle chiarissima, i capelli di fuoco, gli occhi di un grigio che nulla aveva a che spartire con quello del mio mondo; la pelle liscia e morbida, priva di difetti; la voce soave che avrei ascoltato per sempre.
Non riuscivo a pensare a come avessi vissuto prima, senza di lei.

 

Casa sua aveva la stessa forma di quella in cui io ero costretta ad abitare. Grande, spaziosa, eppure non era vuota, non era inquietante, non era spettrale.

Era calda, armoniosa, invitante, piacevole.

Quel genere di edificio che si poteva tranquillamente chiamare Casa, perchè ti lasciava dentro una sensazione di pace e protezione.

Valkirya salutò i suoi genitori con un abbraccio e mi trascinò in camera sua.

Il suo letto a due piazze era rivestito da coperte blu chiaro. Sul comodino in legno rosso c'era una cornice con una foto che la ritraeva al fianco di Soleil.

Erano piccole e sorridevano. Le mancavano i denti davanti e portava i capelli molto più corti, da maschio.

Sembrava effettivamente un bambino, ma sapevo che era lei.
-Avevamo dieci anni. Lei era sempre triste.- mi disse, sedendosi sul materasso, proprio dietro di me. Prese in mano la cornice e sorrise affettuosamente, anche se nei suoi occhi c'era preoccupazione.
-A me sembra felice.- mormorai, prendendo posto accanto a lei.
-È il suo super-potere. Sembra felice anche se non lo è. La fa per non intristire le persone che le vogliono bene.- mi spiegò.
-Tu sei una di quelle persone, vero?- chiesi.
-Sì.- era orgogliosa di questo.
Le domandai perchè il nome di Soleil non assomigliasse a quello di Amelie.
Corvine non era la sola a cui suscitasse una certa curiosità.
Lei mi raccontò di una donna di nome Dannielle e di come avesse vissuto una vita tremendamente infelice. Sempre chiusa in casa, nella sua stanza.

Mi raccontò di come avesse iniziato ad abusare di “certe sostanze” quando aveva più o meno la nostra età. Di come avesse conosciuto un uomo speciale e di come se ne fosse innamorata.
Avevano avuto una figlia, Amelia.

Una bellissima bambina.
Ma Dannielle non aveva la forza di crescere e diventare responsabile per lei, perciò aveva deciso di ricominciare ad usare quelle “sostanze”, che però l'avevano uccisa.
Mi raccontò di come l'uomo speciale si fosse innamorato della gemella di Dannielle, di come si fossero sposati e avessero cresciuto insieme Amelia, decidendo però di cancellare quel triste passato cambiandole nome.
-La mamma di Soleil, Mary, mi ha raccontato questo storia. Io non dovrei conoscerla, ma non importa. Sono la sua migliore amica, è giusto così.- disse alla fine, con espressione dolce.
Non sembrava turbata da quel racconto tanto quanto avrebbe dovuto essere. Era come se per lei fosse tutto normale.
Una madre che abbandonava la figlia.
Un uomo che dimenticava la donna della sua vita per la gemella.
Una bambina che veniva chiamata con un nome non suo.
Era come se Amelia fosse morta con Dannielle e questo, ai miei occhi, era molto conturbante.
-E questo l'ha resa infelice.- mormorai pensierosa.
-Non solo questo. Anche non poter stare con Amelie.- mi disse Valkirya.
-In che senso?- domandai.
-Soleil è stata in coma per un mese. Un mese trascorso nel mondo specchio e dopo quel mese, siccome sua madre stava soffrendo troppo, ha deciso di non dover mai più vedere Amelie. Così le ha detto di non presentarsi più. O almeno questo è quello che so.- spiegò.

Forse non compresi pienamente tutto quello che mi aveva detto, ma non pretesi chiarimenti di alcun tipo. Sapevo che aveva già raccontato cose che avrebbero dovuto restare segrete a tutti quanti.

Non mi chiesi nemmeno perchè si fosse aperta con me, forse sentiva le stesse cose che provavo io, ovvero che mi potevo fidare della mia metà.

Era come me, dopotutto, cosa avrebbe mai potuto farmi di male?


Di lei sapevo già qualcosa, appresa in quelle occasioni in cui Valkirya si era specchiata nel corso negli anni.
Era stata una bambina serena, tranquilla, piena di amici e sempre desiderosa di giocare.
Ma era successo qualcosa, ad un certo punto. Qualcosa che l'aveva fatta piangere e soffrire.
Piangeva e soffriva ogni volta che si guardava allo specchio.
Non sempre per le stesse ragioni.
Alle volte era per preoccupazione, altre per rabbia o per dolore o per vergogna o per odio verso se stessa.
Valkirya, e questo lo sapevo perchè ero costretta, dalla mia condizione di Riflesso, ad essere uguale a lei, non era sempre stata una ragazza che la società avrebbe definito bella.
Era stata una bambina paffuta prima e grassa in seguito. I compagni di classe la prendevano in giro e un paio di volte l'avevano picchiata.
O almeno così avevo sentito attraverso lo specchio.
Era nel periodo in cui io avevo iniziato ad usare la Voce, perciò non mi ero propriamente interessata alla sua situazione.

Ora me ne pentivo.
Ad ogni modo, le cose avevano iniziato a migliorare durante l'ultimo anno delle scuole medie. Aveva iniziato a seguire una "dieta", qualunque cosa fosse, e aveva perso peso, entrando automaticamente nella categoria delle belle ragazze.

Dopotutto, con i suoi capelli che sembravano fuoco, gli occhi grigi e l'incarnato bianchissimo, appena spruzzato di lentiggini sulle spalle, era praticamente impossibile che le persone riuscissero a non guardarla in quel modo.
Aveva smesso di piangere allo specchio e di odiarsi.

Aveva iniziato a tenere i capelli sciolti, a truccarsi, a sostituire gli occhiali con delle lenti a contatto e ad uscire più spesso di casa.
Entrata alle superiori, era una ragazza popolare.
-A cosa pensi?- mi chiese.
-A te. A com'eri qualche anno fa.- risposi.
-Mi hai vista?- spalancò gli occhi, sorpresa.
-Ogni volta che ti specchiavi.- le sorrisi con affetto.

Era strano, il mondo Giusto.
Non era come le fiabe lo descrivevano, era allo stesso tempo migliore e peggiore.
Non tutti i suoni erano piacevoli, alcuni perforavano i timpani, facevano venire la pelle d'oca o il mal di testa, altri erano troppo alti, fastidiosi, mi rimbombavano nel petto e nelle tempie.
Era difficile, per me, sopportarli tutti.
La stessa cosa valeva per gli odori. Alcuni pungevano il naso, ce n'erano di insopportabili, acidi, aspri, troppo dolci, malsani.
D'altro canto, nelle fiabe non erano riusciti a descrivere nemmeno alla lontana la bellezza del cielo e dei colori.

Tanti, tantissimi colori.
E, e questo mi lasciava estremamente dubbiosa, nonostante l'aria fosse gelida, era più calda di quella del mondo specchio. Baciava la pelle, la frustava, la pizzicava, ma era comunque molto più piacevole della temperatura immobile e invariata del mio mondo.
-Sai, voi dovreste prestare più attenzione a tutto quello che avete.- sussurrai.
Valkirya era stanca quindi ci eravamo distese sul letto, coperte fino agli occhi da pesanti e morbide coperte dal profumo floreale.
-Lo so. Ma andiamo tutti molto di fretta, non c'è tempo per osservare.- mi spiegò con voce quasi triste.
-Non va bene. Ci sono cose meravigliose qui! Guarda solo i colori della maglietta che indossi. Sono stupendi!- esclamai, alzandomi a sedere.
-Lo so Valkhari...- ripeté lei sbadigliando.
-Scusa, mi agito troppo a volte.- mi distesi nuovamente e la guardai per un pò.
Pensai seriamente se avvisarla oppure no.

Ero indecisa.
-Senti...- mormorai.
-Che c'è?- chiese, sforzandosi di ascoltare le mie parole.
-Fai attenzione ad Amelie.- dissi a bassa voce. Lei mi guardò negli occhi, per qualche secondo incerta, poi annuì.

 

Valkirya


“Fai attenzione ad Amelie.”
Avrei potuto avere dubbi su come interpretare quella frase, se solo non l'avessi guardata negli occhi.
Paura.
Valkhari era spaventata.
E, se era simile a me almeno un po', potevo dire che la sua paura era già di per sé qualcosa di terrificante.
Non ero una persona che si lasciasse manipolare dalle emozioni senza senso.
Non più da quando ero cresciuta.
Non potevo dire che Amelie mi avesse fatto una brutta impressione.

L'avevo vista per pochi secondi, non le avevo nemmeno parlato.
Però avevo visto lo sguardo traboccante di gioia di Soleil e questo mi era bastato per apprezzarla.
Eppure le parole di Valkhari mi avevano messa in allarme.
-Cos'ha fatto?- le domandai.
-Ucciso. Tutti quanti nel mondo specchio. Tranne noi, ovviamente, e un ragazzo che non usa la Voce.- mi disse con voce tremante.

 

Un'assassina.

Non era poi così diversa da Soleil, alla fine.

 

-Va bene, ho capito. Grazie di avermi avvertita.- le dissi, intrecciando le dita alle sue, sotto le coperte.

Lasciai che si addormentasse. Non sapevo cos'avesse dovuto sopportare per venire da questa parte dello specchio, ma di sicuro era stato qualcosa di incredibilmente faticoso.

Già dalla prima occhiata si vedeva che, a parte Amelie, erano tutte molto stanche e fisicamente provate.

La guardai per un po' e sorrisi.

Nemmeno noi eravamo molto diverse.

Escludendo le ovvie somiglianze nell'aspetto, ad esempio il modo in cui i capelli si attorcigliavano su se stessi, la grandezza e la forma degli occhi, i lineamenti del viso, l'altezza, il peso e la fisionomia, c'erano sostanziali analogie anche nell'atteggiamento, nell'accento, nelle parole che sceglievamo di usare.

Non avevo avuto la possibilità di ascoltarla a lungo, ma avevo già capito qualcosa di lei.

Si faceva coinvolgere facilmente e amava con tutta se stessa sperare in qualcosa di migliore.

Era, molto probabilmente, stata sua l'idea di seguire Amelie nel nostro mondo.

Era solare e allegra, ma seria quando serviva, ed era ben consapevole del carisma che possedeva, con cui convinceva gli altri a fare ciò che voleva, o ad ignorare importanti dettagli.

 

Come io avevo sempre fatto per coprire Soleil e le sue... stranezze.

Lei era la mia migliore amica da una vita, ma avevo iniziato ad avere un po' paura di lei da quando si era svegliata dal coma, dieci anni prima.

La cosa più bizzarra, e anche quella che era mutata di più dal suo atteggiamento normale, era stata la rabbia, la paura di perdere qualcosa di questo mondo.

Non avevo ricordi precisi di quel periodo, solo qualche flash ogni tanto, e qualche immagine impressa a fuoco nel cervello.

Come quando l'avevo vista per la prima volta uccidere.

Non persone, no.

Piccoli animali.

Roditori per lo più.

Scoiattoli che trovava nel bosco, nonostante i suoi genitori le vietassero di entrarci; topi, ricci e anche un paio di gatti.

Li stritolava e poi li apriva. S ricopriva le mani di sangue e restava per ore a osservare il colore rosso.

I colori.

Per Soleil, uscita dal coma, erano sempre stati molto importanti.

Sembrava terrorizzata dall'idea di non poterli più vedere.

Tanto che una volta mi arrischiai a chiederle il perchè.

 

-Non ci sono colori dall'altra parte.- mi aveva risposto in un sussurro strozzato. Un brivido l'aveva scossa e mi aveva fissato con occhi vitrei.

Un riflesso bianco le aveva illuminato le pupille.

 

All'epoca non avevo capito. Mi ero spaventata, pensando, stupidamente, che fosse stata nel mondo dei morti.

Ma ascoltando i suoi borbottii involontari riguardanti Amelie, avevo capito che le pupille bianche erano il marchio dei Riflessi, anche se all'epoca non sapevo di doverli chiamare così, e che “l'altra parte” a cui si riferiva da bambina, altro non era che l'altra parte dello specchio.

Non che queste spiegazioni lo rendessero meno inquietante, certo.

Ora, vedendo Valkhari, riuscivo a capire meglio ogni cosa.

C'era una specie di energia che mi suggeriva e mi spingeva ad avvicinarmi a lei.

Sembrava come se il mio corpo volesse fondersi con il suo.

La trovavo incredibilmente intrigante e bella, volevo scoprire tante cose di lei, del suo mondo, che Soleil mi aveva sempre descritto come orribile, vuoto, spento, morto, silenzioso.

 

Probabilmente erano già le tre o le quattro del mattino quando finalmente scivolai nel sonno.

La mano ancorata a quella di Valkhari, che respirava docile al mio fianco.

I sogni parlarono della mia infanzia e delle mie brutte esperienze preadolescenziali.

Di Riflessi e di riflessi bianchi negli occhi.

 

Quando mi svegliai, mi resi conto che Valkhari non era la sola ad aver dato un'occhiata dall'altra parte.

  
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