Storia
scritta per il concorso “scelta delle tracce per
drabble” sul forum.
Happy
birthday, honey.
Avevo
tredici anni.
Avevo
tredici anni e tanta voglia di crescere, di vivere.
Mamma
aveva organizzato una festa, c’erano palloncini colorati,
bambini, musica, una
torta. Non avevo mai festeggiato il mio compleanno prima di allora, non
avevo
mai avuto una torta, delle candeline da spegnere.
L’avevo
sempre immaginata, la torta intendo, come quelle che si vedono nei
matrimoni,
con tanti piani e mille decorazioni. Un’opera
d’arte al gusto di cioccolato.
Ora era lì, davanti a me, su un tavolo di plastica malandato
nel nostro
giardino che profumava di rugiada e margherite. Una grande torta
rotonda, con
quattordici candeline rosse e una grande e accurata scritta in corsivo.
“Buon
quattordicesimo compleanno Rose”, recitava.
Quattordici
anni. Ero una signorina ormai. Era passato un anno da quando avevo
avuto le
prime mestruazioni, da quando avevo litigato con Rox, da quando lui se ne era andato. Per me e la mamma
era cominciata una nuova vita. Potevo permettermi una torta, potevo
comprare i
vestiti nel negozio vintage della signora Sprite, potevo addirittura
andare al
parco divertimenti.
Sorridevo
molto, in quel periodo. Un sorriso a trentadue denti che mamma diceva
illuminasse anche le tenebre più oscure. Ecco, quello era il
sorriso che avevo
mentre mi avvicinavo con il viso alle candeline, assaporando il momento
in cui
il mio fiato avrebbe spento la potenza del fuoco che sembrava
così misera, così
debole sottoforma di una flebile fiamma di candela.
«Esprimi
un desiderio, Rosie» disse la mamma, con le lacrime agli
occhi.
Già
sapevo cosa chiedere, ne ero consapevole da sempre, forse.
Inspirai
profondamente e poi… e poi arrivò il vento, che
spense le candele al posto mio.
Non era giusto, spettava a me, era il mio momento.
Alzai
lentamente lo sguardo verso la mamma, ma la mia attenzione fu catturata
dal
telefono poggiato sulla rozza tovaglia a scacchi rossi e bianchi. Aveva
preso a
squillare. Era quasi doloroso il risuonare di quella melodia.
Violentava il
silenzio che si era creato quando tutti avevano trattenuto il respiro
per far
sì che io buttassi fuori il mio per spegnere quelle dannate
candeline per la
prima volta. Risposi.
«Ciao,
dolcezza. Il papà sta tornando a casa. Pronta a festeggiare
come si deve il tuo
compleanno?»
Mi
scappò un singulto e il telefono finì a terra, i
pezzi sparsi un po’ in giro.
Lui ci aveva trovato. Di nuovo.
Fui pervasa dal terrore e sentii ancora una volta la sua cintura legata
ai
polsi, la pelle sudata di quegli uomini sulla mia, il pianto di mia
madre, il
rumore delle botte, le urla.
Lacrime
amare mi percorsero in un attimo il viso. E mia madre capì.
Non c’era paura nei
suoi occhi. Solo determinazione e rabbia. Sperava di convincermi che ce
la
saremmo cavata anche quella volta.
Era
tutta colpa del vento. Stupido, odioso vento che aveva distrutto le
speranze
racchiuse nel mio desiderio. Cosa avevo chiesto? Semplicemente che mio
padre,
l’uomo che mi aveva generata, picchiata, violentata, venduta,
morisse.