Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: marig28_libra    21/10/2013    1 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“ Sì, fuggiam da queste mura,
Al deserto insiem fuggiamo;
Qui sol regna la sventura,
Là si schiude un ciel d’amor.
I deserti interminati
A noi talamo saranno,
Su noi gli astri brilleranno
Di più limpido fulgor. “

( G. Verdi e A. Ghislanzoni Aida )




 
 
Alessandria d’Egitto
3 ottobre 1987


 
 


Mio adorato Doko,
da quanti lustri non ti scrivo? Da un’eternità, un’immensità di anni che non ci ha più fatto sfiorare. Abitiamo su uno stesso pianeta ma è come se risiedessimo sulla Luna e su Venere. Tu, su una terra argentata a illuminare le mie stagioni ed io che ti attendo, con tranquillità disperata, dentro un abbandonato tempio di Afrodite… Sei paralizzato in Cina, mentre navigo tra la Grecia e l’Egitto. Adesso alloggio in una delle stanze del Palazzo di Sekhmet*, la sede ufficiale degli Archiatri del Regno di Kemet*. Mi sono recata qui, cinque mesi fa, per terminare l’apprendistato dei miei due allievi Khemauseret e Tefnut che sono pronti per prendere il titolo di medici al Santuario. L’Arcontato della dea Atena è al completo e affianco a Pausania e Arrunte, detentori delle scienze aritmetiche e umane, vi saranno, finalmente, i custodi dell’arte di Asclepio.
Come Arconte Supremo, ho compiuto una parte della mia missione.
Dopo il Grande Sacerdote, noi cinque sorreggiamo l’autorità della sapienza e i suoi segreti…Sono felice di aver adottato i miei amati ragazzi. Li incontrai qui in Egitto, la culla ancestrale di tutte le scienze.
Come prosegue, invece, l’addestramento del piccolo Shiryu ? Come sta Shunrei? Vorrei tanto conoscerli ma, ahimè, non offro alcun pronostico…Posso soltanto immaginare il tuo cuore che li sta coltivando, mostrando le leggi degli atomi che nutrono il corpo e le voci della natura…
Purtroppo non c’è concesso il privilegio di respirare con lentezza.
Domani mattina torneremo ad Atene e non mi sento per nulla tranquilla…Qualche ora fa , dal Grande Tempio, ho colto delle vaghe e oscure vibrazioni che non sono riuscita a focalizzare bene…Mi sono parse mostruosamente grandi e adesso non le sento più. Chissà cosa sarà accaduto.    L’avrai certamente percepito che si manifesterà una situazione strana e spaventosa…In questi casi mi chiedo davvero se la Pace sia soltanto un’icona sacramentale che  consente di creare un minimo di normalità tra una guerra e l’altra. Sembra che la serenità abbia un’effimera farcitura, un collante che unisce mattoni che devono essere distrutti al prossimo attentato…Si parla di universo e armonia ma l’origine di tutto non fu il violento big bang? Non è un controsenso generare pace se poi la finalità degli umani è progredire lanciandosi esplosioni? E’ inutile. Siamo incorreggibili. Se credo in Atena, è soltanto perché m’illudo che il senno vada di là della materia e dell’anima  violate. Spero che la nostra dea riuscirà a ribaltare il principio dei contrasti e renderlo realmente un ballo privo di dolore…Ahimè, mi sento sciocca nello scrivere cose che mai si avvereranno. Sono sempre stata più scettica di te, Doko, anche se sapevi perfettamente diventare un lucido misuratore. Sei ottimista ma non ti sei mai abbandonato ad un  fanatismo di spensieratezza. Per questo mi arrabbiavo: perché una persona come te cade nella contraddizione che la guerra possa preservare la pace?! Dicevi che il mondo è nato dal Caos per apprendere la via delle acque calme, ma dicevi anche che il mondo è fragile giacché la sua troppa grandezza lo conduce al dubbio della stabilità. Esiste un ciclo di rigenerazione in cui l’oscillazione tra il bene e il male è l’equilibrio immortale del cosmo, un equilibrio dettato dal terrore dell’immobilità e dal desiderio di correre in ogni direzione sia empia sia buona.
Ho compreso questo tuo ragionamento senza condividerlo totalmente.
Ho compreso il tuo dovere di cavaliere esecrandolo con tutta me stessa.
Doko, continuo a sostenere che il colore della tranquillità possa essere soltanto uno. Non amo le complesse dicotomie. La gioia bisogna crearla in un’unica e coerente direzione. La pace genera pace. La violenza genera violenza. Le guerre gonfiano solo tempeste e sono state l’errore più grande degli dei.
Non mi fido del Cielo.
L’unico vero paradiso è la musica dei tuoi battiti che mi accompagna da sempre. Abbiamo più di duecento anni…sono trascorsi quasi due secoli da quando ci conoscemmo…Sembra irrealtà…Sembra che i momenti e i tesori che condividemmo siano stati cancellati dall’inconsistenza del Tempo. È incredibile, amore , ma fummo adolescenti. Adolescenti già stritolati da vite anomale.
Tu avevi sedici anni e dovevi ancora prendere l’armatura di Libra, io ne avevo quattordici e mi stavo avviando verso la professione di medico. Non seppi mai cosa significasse essere giovane. Fui venduta sposa a un uomo di cinquantasei anni e dal giorno del mio matrimonio finii di fantasticare. Non ebbi più voglia. Non ebbi più né il coraggio né la forza.
Una ragione per cui non smetterò di ringraziare gli dei è di avermi fatto incontrare te.  Una ragione per cui non smetterò di maledirli è di avermi donato la tua luce troppo tardi. Avrei desiderato essere tua prima…prima di finire saccheggiata.
Mi avevi raccolto, mi avevi sorriso, mi avevi compreso più alto di qualsiasi vento, più immenso di qualsiasi mare. Avevi saputo aspettare, sfiorandomi col timore di vedermi evaporare. Baciavi e accarezzavi senza che nessuno potesse profanare il siero della tua anima che mi avvolgeva. Mai scorderò quella notte invernale in cui venisti, per la prima volta, nel mio letto. Ero ancora un po’ impaurita dalla fisicità, da quel contatto così intimo che  avevo vissuto sempre con ribrezzo e dolore.
Riuscisti a rendermi nuova, a lavarmi dalle disgustosità che opprimevano il mio cervello. Diventasti l’unico dio in cui credetti infinitamente. Bastarono i tuoi occhi più verdi degli alberi a persuadermi  che il freddo di dicembre fosse un cencio d’inutili ombre. Bastò il tuo splendido corpo a farmi conoscere  il cerchio magico di piaceri puri, liberi e devoti. Mi deliziai tanto a spettinare quei tuoi fitti capelli  che sapevano di mogano, argilla, fuoco.  Erano un po’ castani e un po’ rossi, erano docili e ruggenti. La tua bocca mi fece resuscitare da ogni  mestizia e, sebbene fosse screpolata dal caldo e dalla polvere, era morbidissima e regale. Amai follemente le tue spalle meravigliose , il tuo addome , indurito dalla fatica, che cullò il mio, le tue gambe che scivolarono tra le mie senza morsi di sofferenza.
Erano così che facevamo l’amore. Parlavamo, disputavamo, ci proteggevamo e alla fine tentavamo di beffeggiare il mondo tra le lenzuola. 
Ci comportavamo pari a clandestini, ci nascondevamo pari a ladri…insabbiavamo tutto neanche fossimo i peggiori malfattori del mondo. Pur di restare il mio custode, rischiasti grosso…saresti potuto finire male.
Fosti  sfortunatamente cosciente di non poter ottenere un palazzo tutto per noi.
Sei un sognatore realista, Doko. Come potrei non capirti?
L’abbiamo sempre saputo che la felicità è la parte più favolosa della tristezza. È una stanza buia che lascia aprire la porta per mostrare un po’ di luce esterna e che poi fa…tornare nel nero. Sì, la Felicità è una stanza oscura ma è piena di oggetti bellissimi che tacciono nell’attesa di venire investiti dai raggi del sole. Purtroppo ci si dimentica di questo e le meraviglie giacciono impolverate di sofferenza.
Ce la faremo, però, a sopravvivere nella tenebra. Dovremo aspettare la luce giusta che illumini la nostra camera rendendola indistruttibile.
D’accordo... sto farneticando come una ragazzetta o forse sono affetta da deliri senili…comunque ci credo.
Credo che ci rincontreremo, che attraverseremo di nuovo paludi imminenti e che dopo ce ne andremo.
Definitivamente.
Saremo tu ed io. Senza giovinezza, senza vecchiaia.
Non voglio smettere di immaginare, anche se rischio di apparire sciocca. L’immaginazione è astratta ma è il nostro concreto cervello che la elabora. L’anima non si muove che col corpo. La mente viaggia con la potenza del sangue che brucia.
Non occorre spiegartelo Doko.
Mi segui dappertutto.
Mi dici, ogni giorno “ ti amo” con le piogge che ti vessano, con le ossa che si gelano, con il cuore che ti sussurra affanno.
Anch’io dico “ ti amo”.
Il tempo è relativo, è convenzione, è tirannia da insabbiare. Non siamo sposi, non abbiamo conosciuto alcun altare ma è da un’eternità che siamo congiunti in una stessa dimora. Una dimora anarchica, d’infiniti venti.
Il nostro grande e invisibile regno.

Con immensa luce
La tua Roxane



L’anziana donna depose la penna di papiro sulla scrivania.
Rilesse ciò che aveva scritto, ciò che il suo sangue le aveva mormorato a caratteri incandescenti e dolci.
Restò  affossata nel silenzio.

Si lasciò spazzolare dalle setole della vacuità.
Abbandonò lentamente la vetusta sedia d’acacia sulla quale era assisa.

Dalle finestre, sorrette da colonne verdine palmiformi, penetravano gli sfavilli della veste di Nut, dea della notte stellata. Il nero di quei tessuti, contaminato da efelidi erubescenti, contrastava con i pennacchi delle lanterne che scaldavano la camera .

Sotto quelle fontane d’oro ,  Roxane pareva uno spettro di gioielli e nuvole.
I lunghi capelli lattescenti, un tempo biondo scuro, erano raccolti in una regale e voluminosa crocchia. Due ciocche mosse rollavano libere e ordinate senza fiatare.
Sul viso minuto spiaggiavano sottili e malinconiche rughe che permettevano di rimirare strascichi di delicata e inflessibile bellezza.
Gli occhi erano di un nocciola chiaro soffiato di dardi rubino.
Le labbra si mostravano di un rosa sbiadito e assottigliato di ragionevolezza.
Una veste arancio tenue ornava il corpo magro e nobile della donna che, malgrado non fosse di grandiosa altezza, irradiava simile a Egle, madre delle Grazie. 

La lettera sulla scrivania  venne arrotolata da mani esangui  bollate  da una leggera tela di stropicciature. 
   
L’anziana legò il papiro con un filo rosso e depose sopra il sigillo di Igea, dea consorte di Asclepio e simbolo della sua casata.

- Akhet – chiamò ella.

Un magnifico falco reale, che taceva su un trespolo, volò e si posò sul davanzale della finestra.
Era un rapace prodigiosamente intelligente, coperto da un  piumaggio marrone che  pareva la lucida frastagliatura di una cascata di  caffè.
I suoi occhi , dalle pupille nere e dalle orbite gialle, erano marchiati da screziature di penne brune che formavano una coppia di tatuaggi identici a quelli del dio Horus.

- Devi consegnare questo al venerabile Doko – disse teneramente la donna – vola in Cina, verso le cascate di Goro- Ho…Sii silenzioso e fulmineo come sempre , bello mio.

Accarezzò la creatura legandole la lettera alla zampa destra.

- Ci rivedremo ad Atene.

Akhet  si tuffò oltre le creste  scure degli edifici e delle palme per levarsi verso il firmamento.
Roxane lo ammirò con affetto: era un essere speciale che lei, Khemauseret e Tefnut avevano addestrato con infinita dedizione e pazienza.
Per loro non fu affatto facile, all’inizio,  domare quell’uccello irremovibile che svolazzava indomabile e temibile ma poi, con  pertinacia, erano riusciti a flettere la sua perspicacia perché sarebbe stato un vero peccato non coltivare il talento di un simile  animale, diverso dagli altri esemplari.
Akhet riusciva addirittura a superare la velocità di un falco pellegrino, ghermiva prede di terra e di fiume con abilità spaventosa, sapeva vedere nel buio e viaggiare nei suoi manti uguale ad un gufo o ad una civetta…
Non per nulla veniva impiegato come infallibile messaggero di scambi epistolari.
Non per nulla portava il nome della stagione della piena nilotica: la sua energia era trasparente, densa e devastante pari all’inondazione di Api* .

Guardando il cielo, Roxane sperò, tuttavia,  che in un giorno lontano ma comunque tangibile lei e Doko si sarebbero adagiati su placidi torrenti…
Forse sarebbero diventati due scie di salici piangenti per barcamenarsi sempre sulla vetrata dell'acqua…
Forse sarebbero diventati due intoccabili draghi  di vapore che avrebbero attraversato flabelli di stratosfera.

La donna rise con sognante cordoglio.
In quale fluido Libra avrebbe potuto sciogliere la lega delle sue armi? Era quella la costellazione, epicentro dell'equilibrio, del giudizio,  della temperanza inibitrice delle frenesie  violente.

Doko stabiliva e valutava in quali straordinarie condizioni gli altri cavalieri potevano adoperare i suoi strumenti bellici.
Roxane non stabiliva in quali straordinarie condizioni poteva fuggire con l’Amore.

Tutto restava fantasia senza possibilità di eutanasia.

La veneranda preferì posare lo sguardo sul terrazzo che si trovava al piano sottostante al proprio alloggio.
Sorrise in un ronzio di esili minuti e dopo  andò a coricarsi.

Su quell’ampio balcone, rischiarato da calderoni di rame, due giovani sedevano a un tavolo quadrato.
Una fanciulla scintillante, che velava la propria snellezza con  una tunica e uno scialle bianchi, osservava con curiosità il ragazzo di fronte a lei intento a mescolare un mazzo di carte.
Ella attendeva in silenzio…
Il volto ovale, modellato dallo scalpello di un nostalgico artigiano, poetava arcaica soavità: brillava di  sacerdotale sensualità come quello di  Nefertari e di augusta introversione come quello della donna faraone Hatshepsut *.
Gli occhi, una coppia di cammei fluviali, straripavano un azzurro cupo, splendente e rappreso in vortici invernali. Singolari rigature castane li ornavano quasi  fossero ramoscelli  secchi che carezzavano cieli piovigginosi.
Un naso sottile e leggero si accostava armoniosamente a una bocca gentile e carnosa di un bordò dolce e invitante.
Una vaporosa e liscia chioma corvina esaltava la sommessa grazia della ragazza, lasciando tremolare tristemente alcune precoci filature argentate.

Tefnut avrebbe dovuto interrogare i tarocchi del cugino Khemauseret che s’accingeva a cominciare la piccola divinazione con aria sicura, distesa e fluente di tepore.
Quella sua corporatura alta , modellata di morbida e rilassante robustezza, trasmetteva un’aria  ponderata e accomodante.
 
- E’ da tanto tempo che non mi chiedi più di leggerti le carte – disse egli.

- Sì…-  rise la fanciulla sottotono – Pare siano passati quasi cinque anni dall’ultima volta.

- Già…Pensa bene alla tua domanda.

- Ne devo porre una soltanto, vero?

- Esatto. Formula l’interrogativo che preme maggiormente il tuo animo.

La giovane donna si spostò alcune ciocche di capelli dalla fronte. Soleva scaricare l’esitazione in quel modo quando doveva temporeggiare su una delicata situazione.

- Dunque…- emise con lieve tremore – desidero sapere… cosa mi serberà l’amore.

- Molto bene.

Ella guardò fiduciosa l’uomo che amava come un fratello maggiore. Avevano ventitré e ventisei anni e sin da piccoli erano cresciuti assieme facendo germogliare una grande e solida intesa. Erano amici e complici e si confidavano reciprocamente riflessioni, dubbi, sofferenze , sogni. Un ferreo quanto solido legame consentiva loro di correre l’uno affianco all’altra con la sintonia di due cavalli che guidano una stessa biga.

- Orsù – sorrise Khemauseret – con la mano sinistra dividi il mazzo di carte.

La cugina eseguì ed egli diede una rimescolata ai tarocchi per poi sparpagliarli sulla tavola senza palesare il lato delle immagini divinatorie.

- Sempre con la mano sinistra scegli i quattro arcani.

Tefnut toccò le carte che il giovane prese, voltò e dispose a rombo dinanzi a lui: alla sua destra stava la macabra e nera figura di uno scheletro con la falce, dalla parte opposta era apparsa una donna ieratica fasciata da una lunga veste, ai due vertici folgoravano una torre che crollava e un uomo che lottava contro un leone.

- Un quadro di tormentate nuvole – osservò il divinatore – l’arcano giudice, posto all’estremità maggiore, è la Torre, l’arcano sentenza è la  Forza mentre a levante e a ponente hai rispettivamente la Morte e la Papessa. 

Khemauseret tacque contemplando con energica mitezza il disegno delle carte. La sua voluminosa zazzera , che pareva composta da code ondulate di volpi brune, lasciava dondolare una lunga treccia laterale che gli si sfregava insolente e dolce sul braccio destro.
Quel ragazzo era più affascinante che bello: i tratti delle gote e delle mandibole avevano una forma quadrata e soffice, il naso sporgeva diritto e vivace, le labbra apparivano leggermente sottili e spigolose, le sopracciglia cespugliose, pettinate con cura, sottolineavano un acuto e asimmetrico sguardo dinoccolato.
La particolarità, che incuteva tenera e simpatica inquietudine, era data proprio dagli occhi: quello di destra brillava di nerezza mentre quello di sinistra era di un grigio pallido, opaco e rorido.
Tefnut ricordava che a dodici anni il cugino aveva rischiato di perdere la vista a causa di una grave infezione alla retina che poi era stata debellata da Roxane con un abilissimo intervento chirurgico.

- Allora, cuginetta- riprese il neomedico  – se vogliamo dare una prima e generale definizione del tuo spirito è questa: instabilità e desiderio di cambiamento per trovare un sentiero di senso e completezza.

La ragazza si sentì piombare in una piacevole e scombussolante pioggia di tizzoni.
L’uomo aveva visto giusto e vedeva sempre giusto. La squadrò con aria indagatrice senza disperdere alcun alito di dolcezza.

- Instabilità…- gli mormorò la fanciulla – da quanto non sono più la brava equilibrista di una volta? Sono riuscita a mandare avanti il mio lavoro, sono stata vicino a mawat* Roxane  ascoltando ogni suo insegnamento, diventando medico…Eppure…sai bene che quell’orribile freddo e quell’insopportabile strappo stanno sempre dentro a non farmi vedere nulla.

- Questo è perché hai paura di prendere in mano le redini di un nuovo domani. Hai paura di sperare, di farti sconvolgere ancora una volta dai desideri…Resti rigida, chiusa in te, commettendo l’errore di girarti e rigirarti in una poltiglia ottusa. 
  
Tefnut si massaggiò, confusa,  una tempia.
L’amico  si protese verso di lei prendendole una mano.

- Nut – le sussurrò con lo sfrigolio di un coccolante camino- sei meravigliosa in tutti i sensi: hai intelligenza, bellezza e un carattere che le ragazze della tua età si possono scordare. Guardati. L’hai mai fatto seriamente? Perché non dovresti voltare pagina? Se non fossi tuo cugino non esiterei a corteggiarti spietatamente e a preparati sorprese.

La fanciulla sollevò  lo sguardo che tradiva una timorosa voglia di uscire da una casa invernale.
Rise con un debole sbuffo chiedendo:

- Vuoi mostrarmi come sarà in grado di tuffarsi la mia testa?

- Ovvio! Le carte le ho disposte qui per questo! Osserva…A est è comparsa la Morte…il che è alquanto curioso, quasi un ossimoro… Dall’orizzonte in cui nasce il Sole tu hai il simbolo del Sonno Eterno…tuttavia…è morendo che ci si trasforma; è quando le forze si spengono in un gelo d’incubo che tutto può riaccendersi con la voglia di brillare, cambiare, risorgere.

Tefnut fissò l’anello che portava all’anulare sinistro… Il cerchio rilucente di un’unione, una comunione consolidata d’intensi propositi… Sarebbe dovuto essere un cammino eterno con quiete remate, ansiose corse, tratti ilari, traffici stressanti, sbarchi, scali…Un viaggio da compiere in due.
Un difficoltoso progetto da mettere in atto con lui.

- Qui, verso il tramonto,  hai un pilastro importante – seguitò Khem- la Papessa può essere il tuo rifugio d’introspezione, la ricerca di una profonda chiarezza al di là dell'apparenza… Essa indica anche una figura iniziatrice che ti può recare supporto e guidarti oltre l’oscurità della notte…E’ il tuo faro quando declini come il Sole perdendoti nell’incertezza. Non escludo che la nostra Roxane possa incarnare magnificamente quest’immagine.  
 
L’egiziana assodò il vero. L’adorata madre spirituale l’aveva allevata assieme al cugino, l’aveva istruita e fatta maturare acconsentendole di raggiungere vette elevate. Fu grazie ad ella, tra l’altro, che conobbe lui. L’amatissimo alleato, il compositore di liriche serene e passionali.

- A conferirti l’energia giusta per affrontare questo itinerario  è l’arcano sentenza – spiegò il ragazzo – la Forza è la determinazione che hai in potenza e che devi mutare in atto; è’il senno che intende demolire le insidie del timore che acceca; è la potenza che attende solo di essere portata in superficie ed essere sfruttata come la più preziosa delle armi. Altre persone potranno rafforzare il tuo impegno e la tua salute e posso garantirti che una di quelle son io.
 
Khem sorrise mostrando la sua imbiancata catena di denti.
Tefnut lo ricambiò gettandosi nel suo sguardo in bilico tra il carbone caldo e l’argento stellato.

- Se, tuttavia, vorrai lasciar scaturire il cambiamento – avvertì gravemente il giovane – dovrai rompere quelle catene che ti legano al passato e che non ti consentono di levare l’ancora e continuare il tuo viaggio. L’arcano giudice, la Torre, annuncia l’ansia del movimento, del superamento di una pericolosa stasi al fine di completare una rigenerazione. Sei caduta e devi rimetterti in gioco. È probabile che ti si presenterà un amore difficile, magari angosciante, ma veramente sincero e colmante di luce. Tefnut…pensa a far uscire il tuo cuore dalla paralisi, liberalo, permettigli di seguire i turbamenti e non le esalazioni di momenti ormai irrecuperabili.

La ragazza avvertì  forbici di freddo bruciante in gola.
Non riusciva ancora a svincolarsi totalmente da lui.
Lui dagli occhi verdi marroni colanti di avvedutezza , fragranti di rami che filtravano raggi solari.
Lui con quei capelli ricci biondo ramato, con quel viso semplice, pulito ma seminato di lentiggini…
La sua alta e magra figura, la sua bellezza modesta e comune erano diventate l’espressione dello splendore.
A tale sagoma se ne stava accostando, però , un’altra.
Era potente, resistente come titanio. Era luccicante di riflessi mori e di berillio. Era l’immagine di un elegante e guerresco esploratore con una sciabola per tagliare  liane e un taccuino per appuntare meraviglie da narrare.

- Nut…- fece Khemauseret – continui a oscillare tra loro due, vero?

La giovane posò i gomiti sul tavolo stringendosi nelle spalle.

- Hai indovinato – ammise abbattuta – Diomede e Shura combattono dentro di me da molto tempo.

- Bisogna concludere questa pittura d’indugio con l’Arcano misterioso. Dunque…se si sommano i numeri della Morte, della Papessa, della Forza e della Torre o meglio, il tredici, il due, l’undici e il sedici esce il quarantadue che , sottratto al ventidue , il numero totale dei tarocchi, dà il venti. L’Angelo. Esso rivela un evento in evoluzione che non può che avvenire tramite una crisi. “ Crisi”  è la tua parola chiave. Deriva dal greco “ krisis” cioè “ scelta, decisione, risoluzione” ; “ krino” vuol dire “ io giudico” e tu devi valutare te stessa e cercare una catarsi dalle nebbie.
    
Tefnut si alzò lentamente dalla sedia per andarsi ad affacciare al balcone.
Sul lembo malfermo e carbonizzato del Mediterraneo, che lambiva il porto alessandrino, la luna  sgocciolava un sudore di panna  disciolta.
Nell’aria brusivano le voci lontane dei bazar, dei locali notturni, degli alberghi…
Nel cuore si stava assemblando nitida l’immagine di quell’attimo orrendo, impossibile, imprevisto.

- Capisco, Khem…- disse la giovane – tu…hai ragione…desidero veramente uscire da quest’insopportabile stasi…Ho il panico. Vorrei fidarmi di me ma non ci riesco…Ritorno ancora a…quel momento…q-quel momento di due anni fa…

Tefnut si sentì strizzare gli occhi tra gli artigli del pianto.
Non si sarebbe mai dimenticata di quella mattina con Diomede. Si erano sposati da appena quattro mesi cominciando a godersi una nuova vita. Avevano comprato una casa bianca nei pressi di Rodorio, stavano collaborando ad un importante progetto di ricerca, lui come farmacista e chimico, lei come cardiochirurgo. Quel giorno, tuttavia, dovendo sostenere degli esami in laboratori diversi,  si erano dati appuntamento all’ora di pranzo nell’atrio dell'Ospedale del Santuario.
Tefnut si  presentò in anticipo iniziando ad attendere lo sposo…
I minuti trascorrevano e lui, solitamente puntuale,  ancora non giungeva…
La ragazza, preoccupata, si diresse verso il suo studio e , non appena ebbe aperto la porta,  lo vide sdraiato per terra.
Morto.
Gli occhi aperti avvelenati da una pellicola polverosa e secca.
La pelle chiara diventata di un pallore ghiacciato e ghiaioso.
Le gramaglie  del silenzio sparpagliate sul pavimento come invisibili cartacce  indifferenti.

- T-tutto continuerebbe- balbettò la ragazza scottandosi a quel ricordo – se…lui fosse ancora  al m-mio  fianco…

Khem raccolse  le carte e si avvicinò alla cugina.
La contemplò con intensità e finezza: le sfiorò i capelli tintinnandole le striature bianche che spuntavano come esili affluenti in una marea carbonifera.
Egli sapeva che quelle scie di lacrime nevose erano apparse per il trauma inatteso.
Tefnut era riservata, decisa e all’apparenza incrollabile ma la morte del giovane marito l’aveva brutalmente atterrata. 
Quell’inspiegabile causa di arresto cardiaco non aveva mai trovato un’attendibile spiegazione clinica: Diomede era sanissimo e non risultava che fosse affetto da qualche malformazione al cuore.
Fu proprio la sua vedova a occuparsi  dell'autopsia senza trovare alcun indizio rivelatore.

- Se…se…- bisbigliò ella gualcendosi – se…non fosse mai successo niente…non riterrei il sole una sfera piena di luce e  vuota di sangue. Se non mi fosse capitato quel dannato…

- Tefnut.

Il tono di Khemauseret si era inspessito di durezza.
La cugina lo fissò con triste imbarazzo.

- Senti…- riprese l’uomo tornando tiepido ma forte – non potrai dire in eterno “ se”, “ se” , “ se”…Non potrai mai punire le bastardate del Destino. Esso continuerà sempre a giocarci tiri mancini, tentando di mandarci a pezzi però non riuscirà  mai a invadere la nostra mente. Tu dipendi da te stessa. Tu hai il tuo cervello e il tuo cuore in mano. Tu sei il medico che conosce meglio di chiunque altro i movimenti del tuo corpo. Vuoi continuare a sprecarti in questo modo?!

Tefnut restò in silenzio e  abbracciò l’amico.
Cercò di riprendere fiato alimentandosi  di quel cuore consigliere che gonfiava e si sgonfiava rosso e brillante.

- Ti sei dimenticata della Spagna? – la rimproverò teneramente Khem avvolgendole le spalle- ti sei scordata di cosa ti hanno donato la Maestra Dora, Anita e…Shura? Per fortuna che io e mawat Roxane ti abbiamo raccomandato caldamente di cambiare aria se no…non so se adesso saresti direttamente scomparsa sotto terra!

Tefnut rise tenuemente.

- Sono stata benissimo in quel periodo…- riconobbe con calore – sì…è vero…non so cosa avrei fatto senza aver assorbito quella freschezza delle montagne, quell’allegria d’Anita, la dedizione di Dora e…Shura…mamma mia…è cresciuto un sacco…è maturato parecchio…sta diventando un uomo. Un uomo splendido.

Khem si staccò leggermente dalla cugina per sorriderle sornione.

- Scommetto, mia cara, che sapresti descrivermi ogni onda del suo sguardo.

- In effetti…lo conosco da quando era bambino…che buffo  era! Ti ricordi quando veniva ad allenarsi ad Atene?

- Eccome! Lo prendevo in giro perché era sdentato e aveva  capelli da istrice impazzito…ti saltellava attorno come un piccolo satiro e ti regalava fiori e uva! Ti asfissiava neanche fossi la sua ninfa!

- Pensa che mi dava sempre la sua merenda e  mi prometteva che,  se sarebbe diventato il mio fidanzato,  avrebbe imparato a cucinare le più belle torte! 

I due giovani risero.

- Ora…- seguitò Tefnut – ora gli occhi di Shura…sono affilati e trapassano qualunque cosa senza lasciar scampo…sono di un nero strano e lucente che fa vedere, alcune volte, dei lampi verdi. Sì. Sono gli occhi di una lama. Una lama che non teme di fendere il magma della terra. Una lama che non ha mai perso nessuna antica purezza. Quel ragazzo si è alzato verso le montagne ma…vedo ancora in lui quelle scintille che non tramontavano mai, neanche di notte. A sedici anni già guardava il mondo tuffandosi da qualunque altezza e adesso che ne ha diciotto e possiede l’armatura d’oro…scardina gli animi di chiunque. Io…mi sento persa…l’ultima volta che l’ho visto…non mi ha più permesso di formulare un pensiero lineare…

Khem accarezzò il viso della cugina.

- Nut – le raccomandò – vedi di non lasciarti scappare un vento simile. Shura è davvero giovane ma credo che dovresti immergerti…in lui. Non pensi che sia ora che il tuo cuore conosca una seconda direzione ? Non pensi che dovresti riprendere a scrivere un capitolo che ti faccia rinnovare e donarti un’altra essenza?

La ragazza guardò Alessandria granellata di luci e schizzata d’argento annerito.
Le colline del deserto esterno sporgevano come teste di balene muggenti.
Nella notte tutto splendeva e si opacizzava in un epitaffio di parole senza congiunzioni.

- Sì…- disse fermamente la ragazza tornando a fissare il cugino – troverò le pagine su cui continuare a scrivere nuovi giorni e nuovi sensi.

Khem baciò la fanciulla sulla guancia.

- Buonanotte , piccola. Che Iside possa proteggere i tuoi sogni!

- Buonanotte, Khem. Che Horus possa sempre farti toccare il Sole!


Tefnut ammirò il cugino che abbandonò il terrazzo con passo felpato e carezzante.
Non c’era da meravigliarsi se la gente chiedeva di farsi leggere i tarocchi da lui. Non si dava arie da indovino, non terrorizzava con profezie di nubi nere, non salmodiava chissà quali strambe formule magiche. Lui, semplicemente, mostrava  i moti dell'’animo, integrandosi con le loro oscillazioni, entrando in contatto con  empatia e  pellucidità.
Suggeriva delle terapeutiche vie senza improvvisare poteri da veggente.
Era dotato di una sensibilità profonda che riteneva  quasi scontata e che invece possedeva qualcosa di misterioso e ascrivibile.

Prima di andare a dormire,  la donna diede un’ultima occhiata alla luna…
Aveva la  sensuale e virginea lucentezza di quelle spade rituali che aveva visto roteare…

Erano le armi che Capricorn aveva fatto danzare in quella cerimonia di cinque mesi prima…

La sera di quel giugno di severa frescura si riversò nei cantari dei ventricoli.  


Una luna di calda freddezza occultava metà del viso  dietro la palpebra della tenebra…
Era una bimba atra che giocava a coprirsi con un gomitolo di pece e fuliggine…

Atena si ergeva , nelle sue amazzoniche e caste membra di pietra,  sopra l’acropoli che la glorificava con salmi d’immortali marmi.
L’enorme egida e i drappeggi del chitone le erano rischiarati  da  imponenti calderoni d’oro disposti ai suoi piedi.
Davanti quella catena di ciuffi infiammati una silenziosa folla di pellegrini attendeva l’inizio del rito.

Il Volo della Verità era una cerimonia che avveniva nella mezzanotte dell'equinozio estivo per accogliere la prosperità della nuova stagione che  a luglio avrebbe celebrato  i giochi panatenaici.

Il Gran Sacerdote, con il viso celato da una maschera d’oro bianco e col capo ornato da un elmo bronzeo d’oplita, contemplò i devoti.
Dominava , dall’alto di una tribuna di legno posta ai basamenti di Atena, l’ampio piazzale che sarebbe stato palcoscenico della cerimonia.
La sua tunica color ghiaccio, dai riflessi celesti, lampeggiava messianica oltre le  fluttuazioni delle lanterne e delle penombre sibilanti. Tre collane, di diaspri rossi e fluoriti trasparenti, erano stille  di petali cristallizzati che bagnavano i tessuti. 

- Fedeli della Vergine Pallade – annunciò  levando la sua voce dorata e abissale – ora che si schiudono le porte della luminosa estate, ora che stanno per nascere i giorni che precedono le sacre cerimonie panatenaiche, le armi della guerra necessitano di purificarsi nella ragione e nel fuoco della temperanza.  Nessuna folle violenza deve lordare la forza che detiene e difende il cuore della pace. La verità dell'equilibrio deve risiedere in una mente e in un corpo che sappiano destreggiare gli impeti delle tempeste. Al ruggito delle ombre va contrapposto il ruggito limpido degli astri. Solo uno spirito  fermo che sta per addentarsi nel mondo può compiere la rigenerazione delle lame di Atena. Che il Volo della nottola  possa prender forma.

Il Sacerdote afferrò la catena di un incensiere sferico istoriato di motivi stellati.
Fece dondolare tacitamente l’oggetto colmando l’aria di trecce di fumo aulente.

Dalla parte opposta dello spiazzale giunse un anziano di media statura.
Era vestito di un lungo chitone ocra e portava sulle spalle un himation* porpora tenuto fermo da fibule d’ambra.
Quell’uomo , dai corti capelli bianchi e dalla barba di spini amarognoli,  era Arrunte  uno degli arconti del Tempio. Aveva un corpo nodoso come quello di un vecchio pioppo, un naso adunco e magro,  due occhi marroni  inamovibili come mattoni e cocenti di severità.  

- Savia Atena – pronunciò arso e solenne – così come suole il precetto, al tuo cospetto giungerà un  guerriero che ha appena varcato la soglia dell'età adulta. E’ un nobile efebo, colui che deve maneggiare la daga dell'Aurora e la daga del Vespero poiché solo con la germoglia tura di una nuova forza  il potere del ferro può rinvigorire ogni anno. Questa notte, o celeste figlia di Zeus, riceverai il dono della danza d’ un servitore d’oro.

Tra la folla dei partecipanti si alzò un vocio di ammirazione e curiosità.
Non si sapeva ancora chi fosse il diciottenne  scelto. Il mistero restava  custodito fino all’inizio della sacra danza.

- Costui viene dalle terre iberiche – seguitò Arrunte – ha lottato sulle cime di lancinante  gelo dei Pirenei… Ha ereditato la sapienza di Dora Aristokidos , ardente sacerdotessa guerriero della Lince… Ha conquistato le vestigia luminose della costellazione del Capricorno... Cavaliere Shura, avvicinati dinanzi alla tua Regina.  

Si sentì un incavato rollio di percussioni…
Due file di suonatori di tamburi avanzarono e si disposero  a ferro di cavallo dietro la folla su dei palchetti sopraelevati.

Shura, seguito da ritualisti che reggevano frasche d’ulivo,  emerse dai tendaggi inchiostrati della tenebra.
Avvolto in un mantello verde scuro, si lasciò cospargere dalle polveri delle fiaccole che spruzzavano cantilene di lingotti dorati e rossi.
La calura delle luci contornava di acherontica regalità la sua figura alta, snella, poderosa: le ombre, rannicchiate nelle rughe della cappa, e i riflessi ustionati ,  che galleggiavano sui rilievi delle stoffe,   contrastavano e si agguantavano in un ballo immobile e agro.

I musici cessarono di percuotere  gli strumenti incrociando le bacchette sulle teste.

Il  ragazzo  incedette con viso d’acciaio tagliente e un’austerità di marmo ardente.
I capelli, grossi e spinosi, parevano una selva di felci nere bagnate da una pioggia di buio smeraldo.
Gli occhi, dall’acuminata e invitante linea obliqua, luccicavano come artigli di gemma lavica su un cielo di bianca tormenta.

Tefnut lo rimirava, tra la coltre dei presenti, palpitante di soggezione tentando di ascoltare il solfeggio dei suoi maestosi passi.

Il giovane si fermò davanti ad Arrunte.
Togliendosi  con calda e seducente compostezza  il chitone lo porse a uno dei ritualisti.
Restò a torso nudo coperto solo di una fusciacca di seta rossa e di un largo pantalone di lino stretto attorno alle ginocchia.
La sua bellezza, liberata dalla sacralità arcaica, stormiva sensuale, mediterranea e umida: le braccia potenti e ferrose, le spalle robuste ed eleganti, il petto energico, il ventre elaborato da placche di solidi muscoli, componevano un’opera di tuonante grazia.

- Nobile Shura – lo appellò l’arconte – sei pronto a reggere gli scettri dell'armonia? Riesci a cogliere il respiro vitale della terra che percorre il levante e il ponente?

- Sì, sommo Arrunte – rispose con un inchino il ragazzo – le mie mani e le mie braccia sono disposte ad accogliere qualunque lampo, vento e tremore. La mia carne muterà in metallo. Nelle mie vene non scorreranno che cosmo e fiamme.

Con passo di granito, Dora uscì dall’oscurità liquida tenendo un grande piatto d’avorio sul quale erano riposte due spade. Una aveva l’elsa d’oro e di rame, l’altra d’ametista e ossidiana.
La donna era abbigliata con un chitone d’amazzone lungo fino alle ginocchia e calzava sandali di cuoio con lacci che  avvolgevano gli stinchi. I suoi lucidi capelli castani erano legati in una grossa treccia mentre il volto era coperto da una maschera bronzo rossastro. 

- Mio valoroso discepolo – disse la Maestra con tono asciutto e vibrante – ti affido le anime dell’Aurora e del Vespero affinché tu sconfigga le tenebre del caos prive di  leggi e  soli.

- Niente, Maestra Dora,  m’impedirà di far danzare l’ordine in fasci di luce.

Il cavaliere afferrò con solenne disinvoltura le armi.
Arrunte, la sacerdotessa e gli altri ritualisti s’inchinarono dinanzi ad Atena.
Le stropicciature delle fiaccole gementi si amalgamarono col silenzio.

Dopo alcuni secondi, i borbottii delle percussioni salirono gradualmente.

Shura venne lasciato solo.
Puntò , con grave autorevolezza, le daghe innanzi a lui, come stesse mettendo in allerta il buio.
Con improvvisa velocità, spalancò le braccia: i pettorali , le dentature oblique delle costole e i dossi dell'addome si tesero e dalla pelle emersero le radici delle vene che parevano ruggire impazienti scintille.
Il ragazzo avrebbe benissimo incarnato, nella sua fortezza di carne e amianto, il consorte della grande dea Nike.

I timpani echeggiarono massi di suoni  corazzati , pulsazioni di rinoceronti in corsa…

Capricorn fece mulinare le spade creando eliche d’oro e argento incendiati.
Prese a vorticare su se stesso graffiando l’aria di sibili metallici che , come stridori d’uccelli migratori, si librarono oltre la polvere e il vuoto.

I tamburi diruparono più atrabiliari  e gutturali, quasi avessero stabilito una competizione con i battiti rutili e selvaggi del danzatore.
Tefnut avvertiva il proprio fiato investito dalla rete d’onde che lui tesseva, lasciandosi ammaliare dal suo corpo, dalla sua anima, da quell’alienazione celeste e terrena di magnitudine infuocata.

L’ ispanico balzava e piroettava tracciando , con le spade, spirali di comete melate che spruzzavano schegge platinate di serpenti piumati. Le gambe correvano melicamente mostrando e velando, dietro il candido tessuto dei pantaloni, le loro linee d’atletica e accaldata lucentezza. I piedi, vigorosi e fini, salmodiavano le loro ossa come le corde dei tasti di un piano: si sollevavano e strisciavano sulla pelle del marmo senza ferirsi.

I tamburi placarono i  barriti.
Shura si arrestò con un braccio sollevato sul capo e l’altro teso all’altezza dell’anca. Fletté il ginocchio sinistro e allungò l’altra gamba in una posizione d’attacco uguale a un monaco d’arti marziali.
La giovane egiziana studiò i brillanti e cupi tratteggi del dorso del guerriero: le scapole gonfiavano alture di muscoli fuligginosi, il sentiero della spina dorsale si torceva esponendo, agli ululati delle lanterne, le striature delle fibre che si sforzavano. Una coppia di sottili fosse si tendeva verso  le natiche, scattanti e sode, che si univano alla concentrazione dei quadricipiti.    

I tamburi  fecero conflagrare nuovamente i carri da guerra.

Con agilità Shura guizzò in avanti roteando le braccia e squarciando le invisibili epe delle negatività occultate.
Turbinava, declinava al suolo, sorgeva.

Danzava grida nerborute di vento  maestrale.
Danzava con singolare severità bacchica, unendo la lava venosa di Efesto alla furia grandinata di Ares.
Nel nero dei suoi occhi v’era la linfa d’una notte invincibile.
Le sue membra, pluviali ed elettrizzate, dipingevano movenze soavemente tartaree.

Tefnut desiderò essere prigioniera di quel corpo e di quello spirito che imperversavano uragani solari. Desiderò essere cinta da quelle braccia astrali e sentire quel petto ampio irrigante di saldezza.

I suonatori tentarono invano d’infilzare il giovane con le frecce di piombo delle loro note.

Egli lanciò in alto le durlindane per riprenderle , repentinamente, dopo tre verticali. Compì evoluzioni da giocoliere scagliando in alto le armi e afferrandole alla fine di flessuosi capitomboli mortali. Si tuffava in avanti o si curvava all’indietro con il garbo e la gagliardia degli acrobati affrescati sulle stanze dei palazzi micenei.

Le percussioni detonarono la sentenza finale.

Il cavaliere pattinò per l’ultima corsa.
Puntellò le lame per terra e si elevò, su di esse, con incredibile leggerezza, disegnando una capriola dietro l’altra.
Piombò al suolo con un tonfo di brace.
Incrociò le spade di fronte a lui.
Chiuse gli occhi…

I timpani squagliarono i loro fragori.
Il silenzio fece sgorgare i propri affluenti sull’arena.

Il ragazzo aprì lo sguardo di carbone oceanico.
Si alzò lentamente in piedi.
Sollevò le braccia slanciate.

- Che gli occhi della Verità possano far correre sempre le loro lame - scandì con timbro trasparente e rombante – che gli occhi della Verità possano trafiggere sempre le nebbie delle notti furiose.

Le spade svanirono in turbini di biancore accecante e sofficemente calorifero.
Comparvero due splendide civette albine dalle piume d’invernale e irreale levità.
Spiccando il volo,  scomparvero oltre la corona di Atena come lune alate che avrebbero protetto le  distese del firmamento irreprensibile.


Le cariatidi  sorreggevano, intinte d’imperturbabile talco lunare, le logge dell'Eretteo.
Tefnut , poggiata davanti l’ingresso del Tempio, pensava al rituale a cui aveva appena assistito.
Le pareva di tagliarsi ancora  con le spade di Shura, le pareva di vedere quel tango di luci e ombre che scivolava su di lui, che gli esaltava la magnificenza dell'anima rigorosa e metallizzata…
Non avrebbe mai pensato di potersi sentire il cuore colmo di esitazione, violenti dubbi…
Non era un effimero e sensuale invaghimento quello che provava o una fragile sensazione di fascinazione…

Aveva guardato Capricorn fino in fondo, dalla pelle ai tessuti dello spirito studiandone ogni espressione e movimento…

Per la prima volta la sua mente non aveva cercato Diomede.
Si era magnetizzata sul cavaliere cercando di  appigliarsi a  qualcosa…

La fanciulla  si sentì irragionevolmente colpevole.
La situazione stava sfuggendo di mano,portando lentamente lo sposo in un vecchio casolare e lasciando scorgere  la strada della superficie.
Era cominciato tutto in Spagna, a Pasaia*, quando lei aveva soggiornato da Dora per quattro mesi…Era stata accolta affettuosamente da Shura…Aveva visto  diversi addestramenti, tastandone i sacrifici, le soddisfazioni, le lacrime di sudore…Non si era scordata della tempra  di quel ragazzo, capace di soffrire senza lamenti ma che tratteneva, comunque, una tenera incertezza,  che nascondeva alla Maestra e che confidava a lei…All’epoca c’erano ancora i sedici anni, i residui infantili della titubanza, la consapevolezza di un fascino che s’iniziava ad affermare…
Ora erano piombati i diciotto.

Shura era diventato ancora più bello, nel corpo, negli occhi, nella determinatezza dei gesti.
Nessun brivido distorceva la sua robustezza.
Il fresco ingresso dell’età adulta gli avrebbe serbato altri urti ma lui sarebbe stato capace di ammortizzarne gli effetti deleteri. 

Lei che avrebbe fatto? Sarebbe stata in grado di sopravvivere in una casa vuota con  un arto mancante e con  un letto inutilmente grande?
Come sarebbe proseguita un’esistenza digiuna di uno sguardo amante, di abbracci, di idee e sogni?

A Diomede si stava sovrapponendo Shura, così diverso e antitetico…Un altro universo…Una scoperta da riscoprire…

- Tefnut! Tefnut!

La ragazza si voltò verso la piazza dell'acropoli.
Una sagoma vivace stava correndo via  da un gruppetto di persone che aveva seguito il rito. Portava una lunga veste bianca  con sfacciata puerilità e  senza la minima rigidità. Aveva una scarmigliata chioma di capelli neri  legata  da un laccio che minacciava di cadere da un momento all’altro.
Quella  tipetta era inconfondibile.

- Anita! – sorrise l’egiziana.

La ragazzina si tuffò allegramente tra le sue braccia.

- Nut! – esclamò – finalmente riesco a beccarti!

- Che bello  rivederti!

- Non sono venuti Madre Roxane e Khem?

- Purtroppo no…Sono dovuti partire in anticipo per Alessandria perché mio cugino doveva urgentemente superare delle prove…Non poteva rimandare gli esami di chirurgia…

- Capisco…Speravamo tanto di poterli salutare…

- Tra un paio di giorni dovrò partire anche io per l’Egitto ma stai tranquilla! A ottobre dovremmo tornare di nuovo ad Atene. A proposito…Mi domandavo dove fossi finita… non ti ho incontrata prima della cerimonia…Eri  con la Maestra Dora? 

Anita sbuffò imbronciata.

- Sì …stava cercando di agghindarmi tutta bella e perfettina come una sposa ma io sono fuggita, lei si è imbufalita e mi ha mandato a quel paese. Dice che sono peggio dell’ortica e di una scimmia posseduta!

- Non ha tutti i torti! – rise Tefnut – quando provavo a truccarti o a metterti un vestito diventavi  una micia rabbiosa!

- Ehi! Io amo il comfort! Non tutti quei bagagli appesi alle orecchie, quel matitone attorno agli occhi, il rossetto da vamp…

- Ma Anita! Sei una ragazza!

- Mica devo posare infighettata come una pin up!

Con gesto lesto, la giovane disfò  la crocchia scomposta di Anita e gliela sistemò con impeccabile stile.
 
- Non devi fare la femme fatale ! – ridacchiò -  È solo per valorizzarsi! Sei così carina!

- Zè…quel capro di mio fratello dice che sono sexy quanto una zucchina rinsecchita…

- Fa lo stupido…tu non sai quanto sia geloso di te! Teme che qualche furbastro possa portarti via da lui!

- Figuriamoci! Quello lì ha la scia di guape che lo assalgono…

- Anche adesso gli hanno teso un agguato?

- Avevi dubbi? Guarda, non le reggo…mi stanno troppo sulle scatole! Queste di Rodorio fanno tutte le brave fanciulle  poi non appena nasano l’aroma di un figo si mettono in tiro con profumi da farti venire il diabete e  biancheria intima da baldracche! C’erano delle tizie, al termine della cerimonia, che per  poco non orgasmavano alla vista di Shura…Sono fuori dai coppi… ma che hanno i loro feromoni?

- Beh…tuo fratello è molto attraente, capisco benissimo che colpisca però… ogni reazione ha un limite…

- Ah! Non dirlo a me! Preferisco non riportarti i commenti porconi che gli hanno fatto ieri mattina  mentre si stava allenando in piscina…

- Scimmios!

Anita e Tenfnut si accorsero che Shura era  dietro di loro.
Avvolto da una clamide*  bordò,  sorrideva inargentato.

- Oh, el capron! – sghignazzò la sorella – sei riuscito a fuggire dalle caprette infoiate?

- Ahimè è duro el ridmo de la vida del caballero...specialmente se le ciquas devientano loche!

- Segnor Fernandez – lo rimproverò scherzosamente Tefnut – vi pare giusto far attendere due damigelle che dovrebbero avere la precedenze su ogni altra…gentil donna?

Il giovane restò stregato dal  seducente sorriso dell'egiziana. Non gli sfuggì nessuna sfumatura di quella dolce e leggiadra malizia che dallo splendido viso irrorava le forme delle membra velate da una tunica rosata.

- Chiedo umilmente venia, madonne – proferì con tono caldo e pentito – il mio corazon è espinado!

- Oh, Cielo! – sospirò Anita – ecco il Carlos Santana dei poveri…

- Senti, babbuina….non pensi  sia ora di andare a nanna nella tua casetta di liane?

- Si dà il caso che la babbuina abiti in una stalla con un caprone scassapile…

- Ah è vero…ecco perché si sente tanfo di giungla e pulci!

- Cretino!

- Dai, tesoro! Vammi a preparare un frullato alla banana!

- Come no! All’una di notte!

- Devo crescere! Ho bisogno di potassio!

Anita diede una rumorosa pacca sull’addome del fratello.

- Il tuo cervello ha bisogno di potassio, addominali d’acciaio!

Shura strinse energicamente la ragazzina stampandole un bacio sulla guancia.

- Su, torna dalla Maestra Dora prima che tu la faccia infuriare di nuovo!

- Va bene, va bene…vi lascio romanticamente soli al chiaro di luna…mi raccomando, fratellone! Non fare il diablo!

- Stai tranquilla, bell’upupina!

Il cavaliere scombinò  lo chignon spinoso della sorella che si allontanò salutando, con espressione furbetta, Tefnut. 

I due giovani restarono  in compagnia dei raggi lunari e della quiete.

- Sei bellissima come sempre, Tefnut – dichiarò il ragazzo armandosi di uno dei suoi seri e intensi sorrisi – avevo una gran voglia di rincontrarti.

Si avvicinò alla fanciulla e lei corrispose il suo sguardo navigatore e luminoso.

- Shura…- gli mormorò – sono davvero felice di poter essere qui…Il Volo della Verità è stato un rito meraviglioso…non potevano che scegliere un giovane come te per eseguirlo. Per padroneggiare due lame divine è necessaria una forza profonda.

- È stato un lungo percorso e le soddisfazioni non sono arrivate subito…Ho bruciato ogni goccia del mio sangue per affinare le mie tecniche. In ogni momento devi dimenticarti del dolore , perché è quando pensi di morire che bisogna trapassare la soglia del limite e continuare.

- Non temi che l’equilibrio del tuo corpo possa andare in frantumi? Il fisico deve essere sostenuto dalla coscienza delle proprie capacità e limiti…E’ una questione di armonia…

- E’ l’infinito l’armonia di un cavaliere, Tefnut. Abbiamo un corpo mortale ma il nostro cosmo è fatto dell’immortalità delle stelle. Dobbiamo diventare infinito se il nostro spirito deve raggiungere il cielo. Atena ci ha dato questi poteri che sono un dono e una piaga…io ero terrorizzato dalla mie capacità ma sono stato costretto ad amarle e a sacralizzarle. Senza di esse non sarei stato capace di sopravvivere alle prove.

- Sei terribile…ma non posso darti torto anche se fai paura quando parli così…

Shura prese dolcemente la mano della ragazza.

- Mi permetti d’accompagnarti a casa?

Tefnut sorrise intorpidita: il giovane feriva con la sua franca gentilezza quando tentava di tranquillizzare, illudere che era possibile attraversare le assurdità.
Non sapeva che quella testarda energia suscitava più ansie che serenità.

- Grazie, Shura – gli  sussurrò l’egiziana - mi fa molto piacere.

Il ragazzo la prese garbatamente sottobraccio e si diresse con lei verso il villaggio di Rodorio...
Sui sentieri di ciottoli addormentati, le ombre strisciavano affusolate come sagome di fantasmi amanti che finalmente gioivano ignorati dai vivi.
Le facciate delle case duellavano una di fronte all’altra senza disfide, senza motivazioni, tacevano con epidermidi di freddo e crepato stucco.

I due giovani parlavano piano, raccontandosi a vicenda i propri vissuti e  allacciando traiettorie di  comprensioni. Le loro voci si alternavano nel lucore di una notte parca fatta di lampioni sonnambuli e lontani chiacchiericci di gente ancora sveglia.
V’era l’emanazione  di una pallida e amena normalità che poi sarebbe svanita come la calda alitata di una bocca dal vetro di una finestra.

Il cavaliere e l’egiziana giunsero a destinazione e purtroppo dovettero interrompere gli intrecci delle loro sillabe.
L’ingresso  della dimora attendeva amaramente d’ essere aperto.

- Ti ringrazio di cuore – disse teneramente la fanciulla – sono stata contenta di aver parlato con te.

Lui le offrì un sorriso muto, strano, oppresso.
Lei , imbarazzata,  prese la chiave di casa non sapendo se sentirsi più gioiosa di prima o più rattristata che mai.

Il silenzio perdurò alcuni secondi.

- Tefnut – si destò  lo spagnolo – devo dirti un’ultima cosa…

La fanciulla stette in attesa con le costole che le rabbrividivano.

- Ti penso spesso – le rivelò – immagino di vederti alla fine di ogni notte, di ogni ostacolo. Quando sei stata da noi a Pasaia , mi piaceva un sacco svegliarmi e sapere che da quella stanza in fondo al corridoio  saresti uscita e avremmo  fatto colazione assieme…Non aspettavo che quel momento ogni volta che andavo a dormire…Avrei preso a calci nel sedere la notte pur di vedere immediatamente spuntare il sole….

Le si accostò arioso e rugiadoso di eburnee candele lunari.
Ella restò immobile, sfrigolante di spaesamento, con la testa colma di perturbazioni atlantiche ingovernabili. Cercò di riprendere quota, di destarsi da quella discesa silenziosa che pure modulava echi di soprano.
Tutte manovre inutili.
Egli le carezzò le braccia con carnale dolcezza stellando la sua pelle e il suo animo di musiche contundenti.

- E’ bellissimo quando ci si brucia – continuò  profondo il cavaliere –  mi sentivo pieno quando mi bastava vedere che c’eri, che camminavi sotto il mio stesso tetto, che mi mostravi i tuoi occhi… La prima cosa che ho amato di te perché sono azzurri ma non completamente…Hanno tante striature marroni e se non sbaglio, all’occhio sinistro, ne hai una più scura delle altre.

Ridacchiò tenuemente  vergognoso e con innocente  spavalderia.
La donna restò allibita: quasi nessuno si  accorgeva di quel piccolo dettaglio…             

- Quanto siamo scemi noi maschi! Ci lasciamo rincretinire dai petti, dalle cosce, dai sederi, facciamo a gara a chi accalappia le più belle ragazze per non  passare per dei fessi senza palle…senza sangue…Beh…io non sono l’eccezione che conferma la regola e ho seguito ciò che l’istinto frulla in quei momenti...sai…in quei momenti che non si ha voglia di usare  il cervello…ecco.

Shura si massaggiò la nuca  a disagio.
Tefnut lo squadrò con sopracciglio inarcato un po’ intenerita e un po’ indispettita.
Si domandava dove volesse andare a parare.

- Sì…- confidò lui espirando – è facile ragionare dall’ombelico in giù…ed è anche irresistibile…

L’egiziana  sorrise  inasprita.

- Certo – constatò ironica – non ci vuole nulla a voi per gioire. È tutto così semplice! Perché complicarsi l’esistenza? Basta una bella sorsata di eccitazione e via! Salvaguardate la vostra virilità perché non sia mai passare per  fraticelli!  Vero?

La ragazza scosse il capo e minacciò di entrare in casa.

- Tefnut! – la chiamò Shura maledicendo se stesso – aspetta!

Lei lo fulminò seccamente ma decise di continuare ad ascoltarlo.
Quegli occhi neri custodivano dell'altro e in fin dei conti si stavano dichiarando con imprudente e preziosa onestà.

- Senti – proseguì egli rammaricato ma deciso  – ho combinato un mucchio di scemenze coi miei amici, lo ammetto,  ma questo non significa che io non sia capace di mettere in moto i neuroni…Detto francamente (  perdona i miei termini) le scopate si consumano subito ma poi cosa resta? Credi che io sappia descrivere le ragazze che mi sono portato a letto? No. Non ti so riportare alcunché perché non me frega nulla . Abbiamo soltanto paura della morte, del domani che nasconde tutto e quindi ci strafoghiamo di stordimenti.

Tefnut lasciò sbiadire il cipiglio.
S’incantò ad analizzare le sopracciglia contratte del giovane che discorreva con pungente lucidità.

- Tefnut…noi uomini purtroppo restiamo animali ma ti garantisco che quando adoperiamo la testa diventiamo più matti , più contraddittori e più sensati di prima. Dicono che le donne sono complicate ma la scatola cranica di un uomo è un casino indecente!

Si mise a ridere.
La sua voce, scintillante e alpestre, era  similare all’ematite: da pigmenti d’intenso grigio metallico assumeva il bollore e le vibrazioni del sangue scarlatto.
Lei  si sentiva irretita…Le fiaccole che svolazzavano dalle logge dei templi, gli odori di salmastra sonnolenza delle piante, l’incanto del firmamento d’impercettibile moto…Ogni cosa si allontanava dai suoi sensi.

- Vedi…- fece lui serio e acceso- c’è una spada che mi sta trafiggendo la pancia, i polmoni, l’anima…E’ ancora un punto interrogativo nel domani ma è così stupenda che voglio che mi vada sempre più dentro. Vedo una nuova via…una via che solo questa lama  può chiarirmi e donarmi…Tefnut: non riesco a farti fuggire dalla mia mente.

Solo Capricorn deteneva il lituo del potere.
Il suo volto  si chinò, gentile e ardente, verso la bocca  rubino dell'egizia.

Una folgore, tuttavia, proruppe in quell’istante.

- Shura, perdonami…

Tefnut, col cuore macerato di paura e tristezza, respinse il cavaliere.
Posandogli la mano sulla spalla,  non potette che lasciargli  il tocco di due iridi accaldati e lividi.

- Anche io – ammise- anche io ti penso spesso…Mi hai catturato piano, piano…Forse me lo sarei dovuto aspettare…Da quando sono stata con te, Anita e la Maestra Dora ho visto come hai affilato il tuo spirito, come hai affilato me, come mi hai fatto uscire da un incubo…

Coccolò lievemente la gota del giovane.

- Sei fortissimo – sorrise afflitta- sei veramente degno di prendere l’Excalibur. Riesci a rompere qualunque roccia.

Lui le prese la mano baciandone il palmo.

- Lo sai – balbettò ella – lo sai …che mi stai facendo crollare?

Gli si svincolò con intenso rammarico e lo contemplò rannuvolata di spaesamento.

- Scusami davvero…mi sento così sciocca…Non so cosa pensare.

Infilò la chiave nella serratura con mesta agitazione.

- Tefnut.

La ragazza si girò.
Shura la fissava con gravità irremovibile.

- Non smetterò di immaginarti.

Lei si sentì braccata, speranzosa.

- Non devi aver paura – continuò lui – non puoi cadere…Ci sono io ad aspettarti e a prenderti.

Sorrise sicuro e puro di diamante.
Tefnut si addolorò di felicità ed entrò in  casa, per sgattaiolare da lui, dal suo fresco splendore, dai suoi giuramenti d’aurifere navigazioni.

La speranza e il timore danzavano sotto un tintinnante lampadario di fragile arcobaleno.


 

I ricordi vennero interrotti.
Un lampo azzurro-biancastro  inondò il palazzo degli Archiatri  di Kemet.
La notte sbiancò di stupore senza emettere suoni.

Tefnut si schermò per un istante gli occhi…
Quando l’idrante d’abbagliamento si dileguò,  si affacciò al terrazzo guardando il cortile interno spumeggiato di palme : alcuni vigilanti  e dottori si stavano precipitando verso l’ingresso dell’edificio. 

Incuriosita e preoccupata, la fanciulla abbandonò il balcone per recarsi immediatamente al piano di sotto. Mentre scendeva la scalinata  che portava all’atrio, fu raggiunta dal cugino.

- Khem! Hai visto la  luce di prima?

- Eccome! Sono sicuro al cento per cento che non si trattava di una cometa!

- Già. Chissà cos’è successo. Mawat Roxane aveva previsto l’arrivo di qualcosa di strano…

I due ragazzi attraversarono  l’enorme corridoio dell'androne e  arrivarono allo spiazzale marmoreo dell’entrata del palazzo.

Trovarono tre guardie e un gruppo di sei medici che stavano soccorrendo una persona.
Era un giovane alto e barcollante vestito con un mantello acquamarina lacero.
Venne adagiato delicatamente a terra mentre si aspettava una barella.

- Che è accaduto a questo ragazzo? – domandò Khem a uno dei soccorritori.

- Non abbiamo capito bene…- rispose l’uomo – è riuscito solo a dire che ha attraversato il deserto del Libano per arrivare fin qui…

Tefnut  osservò il ragazzo semi incosciente. Era veramente atipico e aveva un’età indefinibile: poteva dare l’idea di un sedicenne quanto di un trentenne. Possedeva un viso efebico d’ aulete   e un brillante grigiore da monarca amareggiato. Le guancie spianate, il mento grazioso e il naso dalle linee di bruma sembravano fatti di porcellana d’antiquario luccicante come vasi cinesi.  I capelli, sebbene fossero pieni di sabbia, non avevano disperso la finezza del loro splendore azzurro violaceo. Ogni filo rabbrividiva regale  nella sua essenza di vetro e raso coprendo di lisce fronde una fronte alta e un collo lungo e angelico. La carnagione rosa chiarissimo, che rifulgeva di sfumature argento perlacee, conferiva all’ adolescente un’aria elfica e raffreddante.

- D-devo …d-devo parlare… - riuscì a farfugliare pesantemente – il…il…

Aprì faticosamente uno sguardo a forma di gemma dalle tonalità cobalto-indaco.
Tentò di sollevarsi sui gomiti ma Tefnut lo dissuase invitandolo a stare sdraiato.

- Non sforzarti. Sei molto debole. Hai bisogno di cure…

- Devo vedere…u…uno…dei s-sommi…arconti del Grande Tempio…

Khem e la cugina si guardarono perplessi e inquieti.

- Eccomi, giovane forestiero.

Roxane era comparsa, coperta da una sopravveste sabbiosa, rassicurante e silenziosa.
Si chinò sul misterioso ragazzo sorreggendolo per le spalle.

- Qual è il tuo nome? – domandò con autorevole dolcezza.

Il giovane contrasse le belle labbra livide in un’espressione pesta:

- M-Mi…c-hiamo…Tamira e…e…

Completamente affannato, perse i sensi.
La manica del mantello malandato gli scoprì l’avambraccio sinistro.

- Mawat Roxane! – notò stupito  Khem  - guardate quel tatuaggio! C’è scritto…” Penta uranòs” ?!

- Ma…- fece Tefnut inarcando la fronte – non è…l’antichissimo sigillo del Quinto Portale?!

L’anziana rabbrividì di gelate micce. Le sue congetture avevano colto  gravi vibrazioni. Deglutì e pronunciò ansiosamente:

- Tamira appartiene al Cielo Estremo…è un Alchimista di Eu Topos *! 

 


Note esplicative:

Sekhmet* :  dea figlia di Ra dalla testa leonina. Essendo divinità della distruzione e delle carestie veniva adorata in funzione apotropaica dai medici per scongiurare le malattie e trovarne i rimedi.
 
Kemet*:  uno degli antichi nomi del Regno d’ Egitto che significava “ Terra nera” , in quanto designava il limo scuro portatore di fecondità che si deposita sulle rive del fiume dopo l’inondazione.

Hatshepsut*: l’unica regina che governò come faraone intorno al 1500 a.C  dopo la morte del marito Tutmosi II. Fece costruire il grande Tempio di Deir el-Bahari e , alla sua morte,  il successore Tutmosi III volle cancellarne la memoria distruggendo tutto ciò che la ricordava.

Api *:  o Hapy, “ l’esuberante”,  è il dio del fiume e in origine era questo il vero nome del Nilo ( in quanto Neilos e Nilus  sono i nomi dati dai greci e dai romani) . Divinità androgina , possiede  caratteri sia maschili che femminili poiché l’acqua, nella concezione egizia, è uomo e la terra è  donna. Api è dunque sia padre che madre e rappresenta la fertilità e la vita.
 
Mawat*:  madre” in egiziano antico.

Himation*: letteralmente in greco antico“ mantello”, è un ampio telo costituito da un taglio di stoffa rettangolare che può essere drappeggiato  in molte maniere e fissato alle spalle con spille o fibule.

Clamide*:  mantello dei combattenti e dei guerrieri di taglio quadrato, più corto dell’himation.


Note inerenti ai capitoli precedenti:

Pasaia* : ( Pasajes in castigliano) è un comune spagnolo della comunità autonoma dei Paesi Baschi. E’ situato a nord est della penisola iberica ( sulla costa atlantica)  proprio vicino alla catena montuosa dei Pirenei.
Vedi CAP 6 – come lame  lucenti: Dora. 

Alchimista di Eu Topos *:  vedi CAP 15- celeste immenso.


Note personali:
carissimi lettori! ^^ Finalmente il capitolo 17 è giunto al termine! Come ho già detto anche nella parte precedente, sto portando avanti questa storia parallelamente alla spin-off “ Io, figlio dell'inferno” …perciò avviso che “ L’occhio dell'ariete”  diventerà bimestrale e dunque il prossimo aggiornamento sarà a dicembre! 
Passo ora a fornirvi ulteriori note esplicative inerenti a questo capitolo dal sapore un po’ greco, un po’ egizio e un po’ ispanico XD
- Punto 1  i nomi dei “ cugini del deserto”  XD 
 Tefnut è la dea egizia dell'umidità ed è sposa di Shu il dio del vento. Assieme ad egli ha generato Geb e Nut, dei della terra e del cielo stellato nonché , a loro volta, genitori di Osiride, Iside , Seth e Nefti. Ho voluto dare questo nome al mio personaggio per rendere un’idea di malinconia, fragilità e trasparenza come le gocce di rugiada mattutine che poi scompaiono dalle foglie.
Khemauseret o Khaemauset  era il quartogenito di Ramses II il Grande, uno dei figli più “ importanti” , mago di grande fama, studioso delle Piramidi e sacerdote di Menfi. Ho dato al nostro cartomante-medico questo nome per richiamarmi a una figura erudita, misteriosa e perspicace.
- Punto 2 :  la questione tarocchi .
Quest’arte divinatoria mi ha sempre affascinato e può essere letta in molti modi. La modalità di lettura che ho narrato me l’ha descritta e spiegata una mia carissima e stretta parente che a volte legge le carte. E’ una via semplice, senza pretese vaticinanti, mirante a individuare lo stato d’animo della persona e a mostrare probabili reazioni future . Ovviamente per sapere il significato delle figure dei tarocchi ho letto un libricino e ho programmato, con attenti calcoli, il quadro che svela Khem a Tefnut. Ho voluto presentare i personaggi in questo modo lasciando trasparire un’atmosfera “ arcana” che alludesse  alla magia praticata in Egitto, terra per antonomasia delle arti mistiche.
- Punto 3 : Il Volo della Verità
E’ un rito partorito dalla mia fantasia che mi serviva per collegarmi alla sacrale importanza delle panatenee e mostrare Shura inserito nell’antica tradizione delle cerimonie greche. Ho desiderato raccontare la vita  religiosa del Grande tempio e anche ( e soprattutto) un aspetto inedito e seducente di Capricorn. 

Dopo avervi torturato di spiegazioni , mi auguro che abbiate apprezzato questo capitolo dove si sono scoperti importanti  risvolti sentimentali che ci tenevo a mettere in luce ^^
Vi do appuntamento col cap 18 dove si cambierà scenario e vedrete…altra gentaglia!! ;-)

Un salutone grazie a tutti!!!  

 
p.s ho corretto nel Cap 5  ( conchiglie di storie: libra e gemini)  una frase errata sul compleanno di Doko…

 

 


   
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: marig28_libra