Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Yume_no_Namida    26/10/2013    4 recensioni
"Sparo.
Minato scatta nello stesso istante e si mescola all’atmosfera, il suo corpo si confonde tra impercettibili movimenti d’aria... corre.
A ventuno anni sei certo di poche cose, un affitto da pagare, la stanza deserta alla sera, malinconie fuggevoli che ti assalgono nello spazio di un secondo, poi gli amici, poi Shikaku - quello che ci sarà sempre - e, per Minato, un’ultima sicurezza: vuole correre.
Non che la realtà gli stia stretta; il suo obiettivo non è correre lontano, bensì correre veloce.
Senza trascurare i dettagli che ti scorrono ai lati, con la lucida consapevolezza del minimo particolare e, forse, la capacità di raggiungere qualcuno appena in tempo."

[Minato/Kushina]
[Prima classificata - su due, eh! - al 'Canvas contest - scrivi e scegli un canovaccio per la tua fanfic!' indetto da Ayumi Yoshida sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kushina Uzumaki, Minato Namikaze, Un po' tutti | Coppie: Minato/Kushina
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore del canvas: Rinalamisteriosa
Personaggio e/o coppie: Minato/Kushina
Raiting: Giallo
Prompt: “C’è un tempo giusto per ogni cosa: a volte è meglio agire subito, a volte è meglio aspettare.” [Fabio Volo]
Avvertimenti e/o note: AU
Altro: Vorrei che almeno uno dei due personaggi praticasse uno sport.





R
eaching you






- Pronti?

Muscoli in tensione, un ginocchio a sfiorare il suolo. La voce di Jiraya, starter* per l’occasione, giunge insolitamente distante alle orecchie di Minato: non può permettersi distrazioni.
- In posizione...
Il piacevole brivido prima della partenza, una scossa di energia pura ad attraversargli il corpo, a muoverlo come un burattino.
Sparo.
Minato scatta nello stesso istante e si mescola all’atmosfera, il suo corpo si confonde tra impercettibili movimenti d’aria... corre.
A ventuno anni sei certo di poche cose, un affitto da pagare, la stanza deserta alla sera, malinconie fuggevoli che ti assalgono nello spazio di un secondo, poi gli amici, poi Shikaku - quello che ci sarà sempre - e, per Minato, un’ultima sicurezza: vuole correre.
Non che la realtà gli stia stretta; il suo obiettivo non è correre lontano, bensì correre veloce.
Senza trascurare i dettagli che ti scorrono ai lati, con la lucida consapevolezza del minimo particolare e, forse, la capacità di raggiungere qualcuno appena in tempo.
Minato sa che un giorno verrà quel momento, ma non è oggi. Osserva l’espressione seria di Shikaku a bordo pista, leggendovi dentro il proprio netto vantaggio - se lo aspettava. Del resto, l’unico in grado di tenergli testa è proprio colui che sta fissando, con una gamba fasciata perché 100 metri e 200 di QI non vanno d’accordo, o rimugini su qualcosa o ti lasci andare e presti attenzione ai tuoi piedi, peccato che il suo migliore amico avesse optato per la prima soluzione. E c’è Jiraya, sulla linea d’arrivo, Jiraya che conosce le potenzialità del suo atleta e a cui brillano gli occhi,  per la prima volta non di qualche sconcio desiderio sessuale, e Minato ringrazia di non essere una donna ma in quel momento è deciso a non battere il record - non adesso.
Rallenta, il passo comincia  a farsi più corto e, mentre chiude gli occhi e li solleva verso il cielo, una raffica di vento gli colpisce il braccio destro, qualcuno taglia il traguardo.
Minato fa appena in tempo a scorgere una chioma rosso fuoco e due iridi color del temporale, prima di sentire urlare: “Uzumaki! Torna subito qui!”





Quel colore lo turba.
Mentre l’acqua gli scivola sulla pelle, lavando via la fatica del giorno, nel cervello di Minato l’addetto al cambio di bobina  deve avere avuto qualche problema, perché a lui si para davanti sempre la stessa pellicola, in loop infinito: Tsunade che urla contro Kushina, Jiraya che interviene a sistemare la situazione ma fa l’errore di guardare troppo in basso rispetto alla normale posizione del viso della donna, Tsunade che per poco non gli spezza qualche osso:
- “Non c’è bisogno di prendersela tanto, le tue ragazze sono le benvenute!”
- “E’ proprio perché durante i tuoi allenamenti ricevevano un così caloroso benvenuto, che mi sono state affidate”.
Minato sospira.
Jiraya non è cattivo, non farebbe del male a una mosca; però anche osservare da lontano senza fare rumore ha i suoi lati negativi, soprattutto se attraverso la serratura di un camerino. In campo è un allenatore integerrimo, all’occorrenza persino severo, ma trascorse le due ore di sudore e fiato corto l’uomo sostituisce il maestro - così era stata chiamata Tsunade. Da quel momento, allenamenti separati.
Perché Kushina è piombata in mezzo alla pista in quel modo?
La domanda gli sorge in mente come se fosse precipitata dall’alto, così spontanea e apparentemente priva di senso da lasciarlo spiazzato. Kushina è Uzumaki. Uzumaki è stata redarguita da Tsunade perché  “quello è un porco” e “non puoi, lo sai”.
Non... puoi?
Minato è in preda all’agitazione, tutta quella curiosità non è da lui.
Eppure non gli era sembrato che se la cavasse male, quando gli era sfrecciata accanto lasciandolo di stucco.
Quel rosso è mozzafiato, se ne rende conto mentre interrompe il getto d’acqua con un gesto secco  e i pomelli gli appaiono tinti di un altro, più sanguigno, colore. Poi quegli occhi, e lo scherno con cui si erano soffermati su di lui per qualche minuto. Occhi grigi e decisi, in cui gli era parso di cogliere più di una nube, un principio di pioggia a dirotto, prima che svanissero dietro il pilastro in acciaio del corridoio fino agli spogliatoi... qualcosa non va.
E’ un ticchettio basso ma soffocante, come le lancette di un orologio prima del suo arresto definitivo, e aumenta in intensità.
Forse ha ragione Shikaku, forse si è trattato di un episodio come un altro  e Kushina non è in alcun modo argomento che lo riguardi, le donne portano solo guai e “guarda me e Yoshino”, ma l’amico sa, meglio di lui, che qualcosa è scattato e che Minato ci è dentro fino al collo. Dentro cosa, di preciso, non saprebbe spiegarlo nessuno dei due, ma forse Shikaku a grandi linee ha intuito e per questo ha  sospirato, greve: non si possiede un 200 di QI per niente.
Ormai intorno è il deserto.
Col cervello ancora lambiccato da miliardi di pensieri, Minato ripone nel borsone gli ultimi effetti personali e si prepara a uscire. Mentre chiude la porta dietro sé si rimprovera mentalmente, si ripete che riflettere è inutile perché con tutta probabilità non la vedrà più, deve concentrarsi sulle gare imminenti - a Domenica manca fin troppo poco.
E allora perché sente di essersi distanziato da quel giorno, il suo giorno, di almeno un centinaio di passi?
Ha appena iniziato ad allontanarsi che si rende conto di quanto si sbagliasse: decisamente, lui non è Shikaku.
Kushina è lì. A pochi centimetri di distanza, la schiena contro il muro e le palpebre abbassate, rivolte al cielo; non appena la serratura scatta, producendo un tonfo sordo spaventosamente udibile per le orecchie di Minato, le solleva rapidamente e allaccia le proprie pupille a quelle di Minato, senza parlare.
Dieci secondi.
Dieci secondi che rasentano l’eternità, in cui la quiete diventa opprimente e forse inizia a far caldo, fa davvero caldo, e Minato vorrebbe spezzare l’assenza di suoni ma ha lo stomaco contratto, nel silenzio ha colto qualcosa di triste: piove. In quegli occhi piove.
Calma, respira.
E’ come allenarsi sotto un acquazzone ma stai correndo, stai comunque correndo: da qualche parte dovrai pur arrivare.
Fatti forza, sorridi.
Raggiungi la meta.
E le labbra di Minato si distendono all’insù, mentre finalmente chiama a raccolta tutta la propria forza di volontà ed esclama: “Bella gara, sei davvero veloce! Io sono Minato.” una mano protesa in avanti “Tu...”
“Kushina” dita contro dita, la pioggia sembra farsi meno fitta “ma lo saprai già. Tsunade sa farsi sentire.”
Lieve esitazione, i lineamenti connotano un certo turbamento.
“Senza offesa, tu...” è preoccupata? “corri come una femminuccia”.
Attimi di sbigottimento, mutismo carico di elettricità.
Poi ride, Minato, scoppia a ridere di gusto: “Beh... può darsi.” Il suo viso è come illuminato e per un’infinitesima frazione di tempo le guance di Kushina si tingono di rosso - o forse è qualche ciuffo di capelli, Minato ha soltanto immaginato.
Poi follia, o quella stretta di mano che gli blocca la circolazione, o la confusione dovuta alle allucinazioni cromatiche, e la lingua non è più in grado di porsi un freno: “Ti andrebbe di allenarti con me?”
Si fissano ancora, stavolta con più familiarità. E a lui sembra che da qualche parte, oltre la spessa coltre di grigio, sia spuntato un raggio di sole.





“E bravo il nostro Minato!”
Choza è più esagitato del solito, mentre solleva un boccale di birra al di sopra della testa e non stacca lo sguardo dalla succulenta fettina di maiale che sfrigola sulla piastra.
“Non hai perso tempo! Chissà se verrà mai il mio momento... anche Shikaku ha già Yoshino.”
“Hai” Minato si fa paonazzo,  mentre il resto della squadra maschile di atletica leggera se la ride sotto i baffi, nel contemplarlo boccheggiare “hai frainteso, Choza.”  breve pausa per riprendere il respiro “Le ho solo proposto di allenarci insieme, domani pomeriggio.”
“E lei ha risposto...” la voce di Toruo** è calma, velata da un leggero divertimento.
“Che è un’ex-judoka*** . Ovvero, che lo farà a pezzi.” mancavano le incoraggianti parole del suo migliore amico “Le donne sono una seccatura.”
“Suvvia, Shikaku, non essere così duro! In fin dei conti ha accettato. Vero, Minato?” di nuovo Choza, a tentare di placare gli animi. E’ buffo come l’artefice di una baraonda divenga poi anche colui che si dà da fare per  frenarla.
“Beh, sì. Ma non è nulla di certo, devo ancora chiedere il permesso a Jiraya. Senza chiavi...”
“Jiraya non ti negherà mai il permesso, non dopo che gli avrai esposto le tue motivazioni! Magari si metterà persino a spiarvi da un angolino nascosto, nell’attesa di chissà quale esito...” brividi di terrore “tu che ne pensi, Fugaku?”
“Mpf, io penso alle gare” molto loquace, ma per una volta Minato non può impedirsi di provare una sorta di profondo affetto nei suoi confronti.
“Sì, madamigella Uchiha, sappiamo che ha le sue cose...” il solito Kiburo**** “Di’ un po’, Inoichi, quella non è Mikoto? Hey, Mikoto!”
Fugaku si volta di scatto, senza riflettere sulla possibilità di un tranello: la porta del locale è sigillata.
“Ooops, mi sarò sbagliato” un ghigno sadico e soddisfatto.
“Stronzo.”
“Insomma, Minato” ancora Choza, a ricondurlo alla tortura “è una grande opportunità: sfruttala! Ecco, sta arrivando Jiraya.”
Ed è inutile provare a spiegare che le proprie intenzioni sono oneste, che si tratta davvero di un semplice allenamento e che di Kushina vuole diventare amico, perché senza che riesca a capacitarsi del come si ritrova catapultato davanti ai piedi dell’allenatore, che lo interroga con un inquietante brillio negli occhi: “Hai bisogno di qualcosa?”
Come se già sapesse.
E intanto da dietro la schiena dell’uomo spunta Yoshino, con uno sguardo omicida e le braccia conserte, la punta di un piede che tamburella nervosamente contro il pavimento; Shikaku sbianca, perché sarà pure un genio ma la memoria stranamente fa cilecca, quando si tratta di quella donna, e a fatica deglutisce: “Non dirmelo. Dovevamo cenare insieme?”
La tavolata si riempie di improperi e Toruo incita alla rissa, mentre Minato avverte crescere dentro di sé un panico immobilizzante  e desidererebbe unicamente sprofondare.





Freddo.
Il clima ha deciso di non mostrarsi clemente, quel giorno. Minato è accovacciato sugli spalti, addosso soltanto una tuta da corsa e una leggera giacca a vento - dovrebbero bastare ma non oggi, oggi si gela. O forse trema per paura, una paura irrazionale e inestirpabile che gli si è cucita addosso nel preciso istante in cui Jiraya ha posto le chiavi dell’edificio tra le sue mani, concretizzando un progetto che fino a quel momento gli era parso sicuro proprio in quanto di realizzazione incerta.
Dannata serata tra amici e le loro assurde teorie.
Ma non ci vuole pensare.
Stringe più forte le gambe al petto, circondandole con le braccia, affinché la pressione lo trasporti in una simulazione di spazio ristretto, al sicuro, e aspetta, imputando ogni colpa al vento primaverile.
“Scusa, ho tardato un po’.”
Un sussulto: da quanto era lì?
Minato torce il collo quel tanto che basta per notare Kushina inarcare un sopracciglio, mentre è sufficiente il tepore sulla sua spalla a indicargli la posizione della mano di lei. Si alza di scatto, scrollandosi di dosso una polvere inesistente, le guance arrossate per essere stato colto in una posizione non proprio virile...
“Bene” si ricompone “sei arrivata.”
Un sorriso sincero.
“Iniziamo subito.”
Ombre scure sul volto.
“No. Tu inizi, io... osservo.”
Un’esitazione che risuona come un terribile stecca nel bel mezzo di un concerto.
E, per l’ennesima volta, Minato ha la sensazione che stia per iniziare a piovere.
Una pioggia sottile e incomprensibile.





E’ in moto da più di mezz’ora, intervallata da brevi soste per riprendere fiato ed esercizi di distensione muscolare, e ancora Kushina non ha proferito parola. E’ seduta là, sugli spalti, le iridi fisse davanti a sé, ma Minato dubita che lo guardi, che lo veda.
Non sta andando come programmato.
Perché l’ha invitata?
Perché ha sentito di doverlo fare.
Perché lei ha accettato?
Forse per cortesia, forse perché ha sentito lo stesso. Forse perché, dopotutto, è molto meno ostile di quanto lasci trasparire.
Perché la situazione ha preso quella piega?
Bella domanda, troverebbe il modo di rispondervi in maniera ironica, se non fosse per il vago sentore di assenza che avverte all’altezza del petto.
Fai uno sforzo, Minato: qual è l’ingranaggio mancante?
Avrebbe voluto conversare un po’ con Kushina, interrogarla sulla sua storia. Avrebbe voluto correrci insieme, magari chiacchierando di speranze e progetti, conoscerla meglio: è da quando se l’è ritrovata accanto in prossimità del traguardo che ha come l’impressione di potersi muovere con più leggerezza, a passi spediti e comunque misurati, forse proprio fino al suo luogo. Il luogo della gara perfetta, il luogo del record.
Invece quel pomeriggio le gambe hanno il peso di un macigno e la pista si dilunga oltre il tangibile, troppo lontano per il proposito che si porta dentro da quando ha memoria, fiancheggiata dal senso di delusione, dal lieve rancore per essersi promesso - e aver promesso - una corsa senza eguali.
Perché corri, Minato?
Perché corro?
Ed è allora che ha una rivelazione.
Si ferma, di botto, raggiunge il cancello della protezione divisoria a bordo pista, lo attraversa, arriva al fianco di Kushina: non ha bisogno di guardarla in volto, per avere la certezza delle sue lacrime. La copre con la giacca, in un silenzio ormai privo di gravità, la prende per mano e la porta via. Piove in quegli occhi e qualche goccia fa capolino anche fuori, ma loro sono già dentro. Sono al coperto.
E, per quanto plumbeo, quel cielo promette di illimpidirsi presto.

Aiutare qualcuno.
Salvare qualcuno.

Minato credeva che Kushina gli avesse messo le ali ai piedi, che il suo carattere e la sua brutale sincerità  lo avrebbero spronato a raggiungerlo, questo qualcuno.
Forse, invece, le loro pelli a contatto hanno fatto sì che i suoi piedi si facessero crescere le ali per raggiungere lei: è lei, il suo obiettivo.





Domenica, tempo di gare.
Minato ringrazia i Kami per il sole, per il piacevole calore attraverso la cute dopo tre giornate di atmosfera cupa e pioggia pressoché ininterrotta. Gli spalti sono gremiti: in prima fila nota Jiraya, seduto accanto a Tsunade, in viso l’espressione di un bambino che ha adocchiato un pacchetto di caramelle. Correzione: seduto accanto a Tsunade con il decolleté bene in vista - è quello, il pacchetto di caramelle.
Minato si porta un braccio dietro la nuca, ha terminato i sospiri: quell’uomo non cambierà mai, non c’è occasione che tenga.
Più in alto, uno Shikaku con la gamba ancora avvolta in delle spesse bende biancastre stringe la mano di un’imbronciata Yoshino, ma attorno si respira serenità: Minato l’ha sempre percepita, nonostante i ripetuti battibecchi. Alla loro destra, una ragazza dai lunghi capelli d’ebano scruta la pista con una certa apprensione, poi deve aver individuato l’oggetto del proprio turbamento perché le labbra sottili si schiudono in un sorriso mentre si sbraccia in segno di saluto; accanto a Minato Fugaku sbuffa, rivolgendole un impercettibile cenno - Kiburo sghignazza, qualche posto più in là rispetto alla famosa Mikoto.
Poi, in quarta fila, lei, attorniata dalla folla ma più vivida di chiunque altro per via di quel colore di capelli così particolare: Kushina. Le rivolge uno dei suoi migliori saluti, il Namikaze, mentre un calore diverso da quello del sole si fa largo tra le sue viscere e lei sorride, per la seconda volta da quando la conosce sorride, ed è bellissima, lo incoraggia brandendo il pugno chiuso appena al di sotto del mento - ed è meglio che Minato ritorni in sé, perché ha afferrato, in un guizzo improvviso, qualcosa che farebbe sospirare Shikaku di rassegnazione, ma non vuole prestarvi attenzione, non ora. La rassicura, facendole l’occhiolino.
Gli altoparlanti annunciano l’inizio della competizione, Minato si reca al proprio posto e con la mente ritorna a quel malinconico giovedì pomeriggio, seguendo un filo di pensieri inarrestabili: il giovedì in cui Kushina gli aveva svelato le sue angosce e lui aveva trovato qualcosa per cui lottare. Il giovedì in cui l’ingranaggio era tornato al suo posto, in uno scoppio improvviso, e una macchina misteriosa aveva ripreso a girare - vincerò per te.
- Pronti?
Due tazze di tè fumante su un tavolino di legno dalla forma circolare, il rimbombo attutito dei singhiozzi di Kushina a scavargli un tunnel nel cuore.
- In posizione...
“S-scusa, giuro che n-on piango spesso.”
La disperata voglia di aggiustare, di rimettere a posto con un semplice ‘click’.
“E’ s-stupido, ma non ho retto. T-tu correvi e io n-on ho... retto”.
Sparo.
Soffio al cuore.
Venti anni tra le mura di una palestra, tra arti marziali e corse liberatorie.
Venti anni di medaglie guadagnate con il sudore, di sconfitte formative e sogni di regionali, di nazionali, di sfide più ardue... poi la vita.
La vita inclemente, la spossatezza nel bel mezzo degli allenamenti e un leggero fastidio, roba da poco.
Per il corpo nulla di così eccessivo, per la mente nulla di più devastante.
Un misero soffio al cuore  e tutto crolla - lo scaffale dei trofei, le mensole ancora vuote per il futuro. Niente più gare a livello agonistico, nessuno sforzo pesante: non puoi.
E allora il trasferimento a Tokyo, il monitoraggio costante di zia Tsunade, un cambiamento radicale per impedirle di cambiare davvero, di morire dentro, perché la ferita aperta da poco non perdesse troppo sangue, riuscisse a cicatrizzare... però c’è una variabile incognita.
C’è sempre una variabile incognita.
Minato e il suo correre libero.
Minato e il desiderio di stargli dietro, di percepirsi nuovamente senza limiti.
Regole infrante, rottura degli argini.
E così quel pomeriggio aveva pianto, aveva pianto tutte le sue lacrime represse. E Minato aveva ascoltato, senza giudicare, senza compatire; con attenzione, come se la conoscesse da sempre, gli occhi seri e una mano sul petto, un sorriso appena accennato: “Domenica vincerò, e tu vincerai con me.”
Perplessità, manica di una giacca che non le appartiene ad asciugarle gli occhi. Impulso trattenuto di fare del sarcasmo.
“C-come?”
“Basta che ti pensi, no? Che competa per una persona” pausa “E poi... beh, la mia giacca è pregna delle tue lacrime. Se la porti, saremo un po’ confusi.”
Non poteva averlo detto.
Era davvero una femminuccia.
Però aveva riso, Kushina, riso come non faceva da diversi mesi. Perché il sorriso di Minato era contagioso e perché da qualche parte, dentro di sé, qualcosa a metà tra il dolce e l’amaro l’aveva fatta sentire al riparo.





Non sa più da quanto stia correndo ma poco gli importa, è quasi arrivato.
Ruota appena la testa in direzione degli spalti e la scorge, appallottolata sul grembo di Kushina: la giacca è lì. Corre con la piena cognizione dei dettagli, come ha sempre immaginato di fare, nessuna differenza tra il corpo e le particelle d’aria, è pura energia e sa dove colpire, sa da chi arrivare.
E’ il momento, infine.
In un arco di tempo che gli appare indefinibile si ritrova oltre la tanto agognata linea bianca: 9”45*****.
Il record.
Intorno è il delirio.
“Sei in gamba, ragazzo, sei un lampo!” Jiraya non bada più alle forme di Tsunade.
“Potremmo darglielo come soprannome” Choza sgranocchia una patatina, rilassato - il lancio del peso è domani.
“Bravo” una voce femminile oltre le sue spalle, un paio di occhi grigi solo per lui.
Come ha fatto a raggiungerlo così in fretta?
“Hai corso bene. Ancora un po’... femmineo, ma hai corso bene.”
Kushina ha un’espressione tenera in volto, commista a fierezza, e in quel momento Minato realizza di essere arrivato: è il suo luogo.
Il luogo in cui l’ha salvata - in cui ha salvato entrambi.
E prima che lei si faccia da parte, lasciandolo alle prese con gli abbracci soffocanti di amici e conoscenti, Minato coglie come una promessa, nello sguardo di lei, una promessa di gioie quotidiane che non vuole perdersi, non vuole lasciar andare, e irrazionalmente torna a una serata in compagnia, alle parole allora imbarazzanti di Choza: “C’è un tempo giusto per ogni cosa: a volte è meglio agire subito, a volte è meglio aspettare. Ed è necessario che tu, caro mio, agisca prima di subito!”
Adesso capisce che, sì, ha effettivamente atteso troppo a lungo.
E in un moto di incoscienza simile a quello che ha dato inizio a ogni cosa, che gli ha fatto muovere i suoi primi, veri passi, prende la mano di Kushina tra le sue, la osserva sorprendersi e farsi un po’ rossa; poi, con voce ferma, esclama: “Esci con me.”
La reazione è inaspettata, un abbraccio improvviso. Subito un piede dietro il polpaccio destro a ristabilire la normalità: Minato è disteso per terra.
“S-scusa, a-abitudine di judoka” la risposta di lei, mentre si porta la giacca contro il petto e sembra farsi più piccina - soltanto ora il Namikaze lo ha notato, se si agita balbetta.
“Comunque” soggiunge, facendosi più paonazza “va bene”, e rivolge il viso altrove.
Minato sa che le è costato fatica, sa che probabilmente non è l’ultima volta che finirà catapultato al suolo - perché, come direbbe Shikaku, le donne sono una gran seccatura - e che è un miracolo se, nella foto che gli verrà scattata sul podio, non risulterà sporco e coperto di bozzi.
Però è felice.
E intuisce che il suo luogo, il luogo che doveva e voleva raggiungere, è un luogo chiamato casa.








Note
*Il nome dell’addetto allo sparo che dà inizio alle corse.
**Nella mia mente il padre di Ten Ten.
***Termine tecnico per “praticante l’arte del judo”.
****Il famigerato padre latitante e bastardo di Kiba XD. Diciamo che, nella mia pessima e carente immaginazione, in gioventù i padri hanno un carattere molto simile a quello dei rispettivi figli.
*****Ancora, un mio attacco di peroranoilachiameremostupidità: Minato stabilisce un tempo migliore rispetto a quello di Bolt, anche se di poco. Così, senza un motivo, perché mi andava di giocarmi la faccia fino in fondo *fugge*







NdA:
Spero si sia capito qualcosa, spero che gli ortaggi che reggete in mano non siano marci.
Questa storia è venuta al mondo esclusivamente per dare una possibilità a un contest la cui idea di base ho personalmente adorato, perciò eccola qua, anche se senza troppe pretese - senza alcuna pretesa.
Non ho mai scritto di Minato e Kushina e non ho la più pallida idea del perché io li abbia scelti prenotando il canvas di Rinalamisteriosa, escludendo il fatto che li trovi una delle coppie più belle del manga, forse è perché in fondo non bramo altro che complicarmi la vita, sigh *verità scomode*
Ho provato a reinterpretare quanto di loro ci viene detto nel manga in chiave AU, sul risultato non mi pronuncio - “che è meglio” - e... sono pronta al suicidio.
Se non dovessimo rivederci, accendete un cero in mio onore *ovviamente parla da sola, perché intorno è il deserto, com’è normale nonché giusto che sia*
‘Ttebane (?)!
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Yume_no_Namida