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Autore: Ally M    26/10/2013    1 recensioni
"L'ultima volta che mi sono fidata di te mi hai voltato le spalle"
"L'ultima volta che io mi sono fidato di te, sei tornata da mio fratello"
Sean Renard / Adalind Schade
( spoiler della seconda stagione )
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adalind Schade, Sean Renard
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Goodnight, Bad Morning

 

 

 

 

 

 << Oh lights go down
In the moment we're lost and found
I just wanna be by your side
If these wings could fly
>>

 

 

 

 

 

Ho fatto un errore.”

Aveva il volto bagnato di lacrime e sporco di trucco, i lunghi capelli biondi erano scompigliati e in disordine come se nelle ore precedenti non avesse fatto altro che passarci le mani in mezzo.

Tirò su con il naso e si passò una mano sul viso, cancellando il segno di una lacrima che aveva appena lasciato i suoi occhi.

Era in bilico sulla soglia di casa sua, aspettando che lui la facesse entrare e per un attimo Sean Renard si domandò chi fosse quella donna.

Adalind Schade non chiedeva permesso, lei lottava con le unghie e con i denti per ottenere ciò che voleva, sapeva come far cadere un uomo ai suoi piedi e come distruggere un nemico.

Ma quella ragazza bionda sulla soglia del suo appartamento era fragile, spaventata e disperata.

Si scostò dall’entrata e le fece un rigido cenno, invitandola ad entrare.

 Prima di cominciare a parlare chiuse la porta e l’osservò attentamente mentre faceva qualche passo incerto nell’appartamento, mentre osservava attenta l’ampia vetrata da cui si scorgevano le prime luci di quella notte a Portland.

“Te l’avevo detto di scegliere attentamente di chi fidarti” sentenziò alla fine, provocandola con un ghigno sul viso.

“Eric non è l’affascinante principe che sembra, eh?” continuò facendo un passo vero di lei, che era rimasta immobile accanto al divano.

Adalind si morse il labbro e si strinse le braccia intorno al corpo come se avesse freddo o come a volersi proteggere.

Non disse una parola, non rispose alle sue provocazioni, rimase in silenzio mentre si sedeva sul divano e si prendeva il capo fra le mani, stringendo alcune ciocche di capelli fra le dita.

Adalind

La chiamò e fece qualche passo in avanti, accovacciandosi davanti a lei e fu solo in quel momento che lo sentì.

C’era qualcosa di diverso in lei e se ne era reso conto solo quando le si era avvicinato abbastanza da poter ridurre la distanza fra loro a una mera illusione.

Le sue mani corsero a stringerle i polsi, guidandoli in modo da poter vedere il suo viso.

“Cosa è successo?” domandò,  le dita di lei che correvano a cercare le sue, le mani gelide e tremanti e lo sguardo spaventato.

“Sono incinta”

“No”

Non era riuscito a trattenere quella parola, aveva lasciato al sua bocca prima ancora che la sua mente potesse ragionare o anche solo comprendere ciò che lei gli aveva appena detto.

Poteva leggerle la verità negli occhi, nel tremore delle sue labbra, nella stretta disperata delle sue dita, ma desiderava con tutto se stesso che non fosse vero.

Adalind smise di guardarlo: alzò prima gli occhi al soffitto per poi abbassare il capo e nascondere le nuove lacrime che erano in procinto di lasciare i suoi occhi.

Sean si lasciò andare a sedere sul pavimento davanti a lei, la schiena appoggiata a un fragile e costosissimo tavolino di cristallo ma le sue mani ancora a stringere le sue.

Rimasero a lungo in silenzio prima che l’uomo riuscisse a pronunciare qualche parola.

Era sconvolto, Adalind poteva leggerlo nei suoi lineamenti, nei profondi occhi grigi che continuavano a guardarla ma era come se non riuscissero a vederla, nelle piccole rughe che erano sorte sulla sua fronte, nella mascella contratta.

“E’ mio?”

Adalind per un attimo sentì l’impulso di lasciare andare le sue mani e allontanarsi. Spostò lo sguardo da lui, la risposta a quella domanda non sarebbe stata facile, non senza esprimere desideri così sepolti in lei, così impossibili da realizzare da averla lasciata priva di poteri e con il cuore infranto già una volta.

“Non lo so”

Quanto tempo era che non diceva la verità? Quasi nemmeno ricordava una volta nell’ultimo periodo in cui non aveva mentito, forse solo con lui, quella notte lungo il fiume in cui aveva trovato un nuovo modo per spezzarle il cuore.

Non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma Adalind sperava con tutta se stessa che il bambino fosse di Sean, era quasi come quei sogni infantili dove aveva creduto di essere una principessa e che un meraviglioso principe sarebbe corso a salvarla.

Ma la loro vita non era mai stata una favola, lui era un bastardo, lei non era più niente, non nemmeno più un Hexenbist, ma solo una delle tante ragazze carine in città.

E lui sembrava averne già trovata un’altra al suo posto.

Liberò le mani dalla stretta di lui con un gesto carico di stizza, al punto che quando Sean la guardò vi scorse ancora qualcosa dell’Adalind che aveva conosciuto: l’odio.

“E Juliette come sta?” gli domandò in un ringhio, alzandosi in piedi e girando intorno al divano, come a voler mettere più distanza possibile fra loro.

“Non sono affari tuoi. Hai fatto già abbastanza, non ti riguarda” rispose glaciale, posando una mano a terra su cui fece leva per alzarsi in piedi.

“Oh, è tornata fra le braccia del Grimm e ti ha voltato le spalle?” provava un certo piacere mentre pronunciava con rabbia e disgusto quelle parole, mentre metteva le mani sui fianchi e gli rivolgeva un ghigno carico di compatimento e odio.

“Che errore hai fatto?”

Fece un passo indietro, il respiro che per un attimo si fermava da qualche parte nella sua gola e la mano che involontariamente si posava sul ventre.

Io…” cominciò tentennando, dimenticando per  qualche momento tutta la rabbia e il dolore che aveva provato a causa sua.

“Ho fatto un patto” concluse la fra con nervosismo palpabile,  passandosi una mano nei capelli e voltandogli le spalle, come se la vista dell’uomo la infastidisse o forse solo quello che avrebbe letto nel suo sguardo una volta riferitigli i termini del patto.

Lo sentì muoversi alle sue spalle, avvicinandosi, quasi riuscendo a percepire il calore del corpo dell’uomo sempre più vicino al suo.

“Con chi?”

Stefania Vaduva Popescu

Sean non disse nulla per qualche lunghissimo secondo e già Adalind si sentiva vacillare, l’uomo si schiarì poi la voce.

“Cosa le hai promesso?”

Non voleva rispondere a quella domanda, si morse la guancia e l’altra mano raggiunse quella sul ventre intrecciandosi ad essa mentre le lacrime tornavano a riempirle gli occhi.

“Il bambino, in cambio lei mi restituirà i poteri da Hexenbiest

Lo sent’ sospirare pesantemente alle sue spalle e non osò girarsi. Nonostante tutto il male che le aveva fatto, nonostante il modo in cui le aveva voltato le spalle e spezzato il cuore, vedere la delusione o il disgusto nei suoi occhi a causa sua le avrebbe spezzato il cuore.

Anche lei si odiava per quello che aveva fatto: mille domande avevano affollato la sua testa dopo che, su gambe malferme aveva lasciato con Frau Pech la tenda della Regina dello Schwarzwald Gypsies.

E se quel bambino era veramente di Sean?

Quante volte se lo era chiesta in quei giorni, quanto quel pensiero le aveva tolto il respiro e dato un briciolo di speranza di poter avere anche lei, dopotutto, il suo lieto fine.

Adalind

Scosse il capo e si passò le mani sul viso, cancellando le nuove lacrime che erano andate a bagnarlo.

“Sono stata una stupida, non dovevo venire” mormorò  muovendosi lontano da lui, facendo qualche passo verso la porta.

“Vuoi davvero scambiare il bambino per i tuoi poteri?” le domandò a brucia pelo, osservando il corpo della donna irrigidirsi, ma le spalle tremare.

“No”

Fu un sussurro, un’ammissione che aveva il vago sentore della preghiera, al punto che Sean percorse velocemente la distanza che li separava e afferrandola per il polso la costrinse a girarsi verso di lui.

“Posso aiutarti” sembrava così sicuro di sé, così certo delle sue capacità, così magnifico che avrebbe voluto davvero fidarsi, avrebbe voluto farsi prendere fra le braccia e lasciarsi rassicurare, ma non poteva.

Non sapeva nemmeno lei come fosse arrivata alla sua porta, ma non poteva fidarsi dopo quello che le aveva fatto, non voleva, non poteva.

La mano di Sean si alzò accarezzandole prima i capelli e poi lasciando correre il pollice lungo la linea dolce della sua mascella, seguendo poi la curva morbida del mento e tenendolo piano fra le dita.

“Lascia che ti aiuti” la fissò intensamente, come a volerla convincere, con un solo sguardo a fare come le diceva, un tempo riusciva a farlo, ma il dolore che le aveva inflitto era stato troppo grande per potersi fidare ancora.

“No” scosse il capo e fece un passo indietro, la mascella contratta.

“L’ultima volta che mi sono fidata di te mi hai voltato le spalle” sputò sentendo la rabbia prendere nuovamente il posto del dolore.

“L’ultima volta che io mi sono fidato di te sei tornata da mio fratello”  le ricordò piegando il capo  e guardandola intensamente negli occhi, facendole tremare le gambe.

Sean le aveva sempre fatto tremare le gambe, ogni volta che la guardava, che le parlava ogni cosa in lei tremava.

“Rimani per questa notte, poi domani mattina potrai decidere se restare o andartene.”

Non avrebbe voluto farlo, non avrebbe voluto annuire e lasciarsi guidare in camera da letto, ma fidarsi di lui e lasciarlo fare era qualcosa che faceva talmente parte di lei, quasi un istinto primordiale, che riuscì a fermarlo.

Sentì lo sguardo di Sean sulla sua pelle mentre si spogliava e s’infilava la sua vecchia maglietta del college, s’infilò poi sotto le coperte, sentendo il suo profumo ovunque intorno a lei.

Si girò su un fianco, dandogli le spalle, mentre lui si stendeva al suo fianco e spegneva la luce dell’ abat-jour.

Sentì i movimenti dell’uomo alle sue spalle e poi calore bruciante sulla pelle morbida del  collo, dove Sean aveva immerso il viso, fra i suoi capelli, e la dolcezza del suo braccio intorno ai suoi fianchi, la mano posata sul ventre.

Intrecciò le dita a quelle dell’uomo senza dire nulla, mentre quei desideri impossibili che aveva seppellito da qualche parte dentro di lei tornavano ad emergere, luminosi e possibili.

“Andrà tutto bene, Adelind

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Si svegliò in un letto vuoto, immersa nel candore delle lenzuola illuminate dal pallido sole che faceva capolino da dietro le tende chiare.

Si guardò intorno, riconoscendo il mobilio finemente lavorato e antico della sua camera d’albergo a Vienna e il suo cuore sprofondò da qualche parte nel suo stomaco, rendendosi conto che il respiro di Sean sulla sua pelle era stato solo un sogno.

Si strinse le braccia intorno al busto, nel tentativo di recuperare il calore che le aveva lasciato addosso quel sogno.

Teneva gli occhi aperti, udendo il rumore della doccia provenire dal bagno, provando ancora un minuscolo briciolo di speranza, il desiderio di vederlo ancora.

Eric uscì dal bagno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e i capelli bagnati, le rivolse un sorriso mentre faceva qualche passo sulla poltroncina in stile barocco su cui la notte prima aveva lasciato i vestiti.

“Non volevo svegliarti, ma chére

“Stai andando via?” gli domandò mettendosi a sedere, stringendosi addosso il lenzuolo, sentendosi quasi in imbarazzo per essere in quel letto, per aver trascorso la notte con lui.

Cercò con tutta se stessa di cancellare il pensiero di Sean dalla sua mente mentre lui le rivelava che doveva andare a Praga, dove aveva alcune faccende da sbrigare.

Gli rivolse il più luminoso dei sorrisi quando lui, perfettamente vestito, si piegava su di lei per baciarla sulle labbra.

“Ci sentiamo in questi giorni, ma chére

Lo osservò uscire dalla stanza, la meravigliosa suite che lui le pagava da quasi due mesi, per poi uscire dal letto e indossare la vestaglia.

Uscì in balcone  stringendosi le braccia intorno al collo: l’aria era gelida nonostante la bella giornata soleggiata.

La vista era splendida: i suoi occhi si perdevano nel verde degli alberi del Liechtensteinpark su cui si affacciava il suo albergo, nelle meravigli architettoniche che rendevano Vienna una delle città  più belle del mondo, ma con un peso sul cuore si rese conto di preferire Portland, vista fra le braccia di Sean.

Tornò in camera, richiamata dal insistente bussare di qualcuno.

Quando aprì la porta si trovò davanti il ghigno soddisfatto di Stefania Vaduva Popescu che la superò, entrando nella stanza,senza nemmeno aspettare di essere invitata.

“Ho trovato il modo di farti riavere i tuoi poteri,  Frau Schade” le comunicò con espressione soddisfatta e quasi famelica sul viso.

Adalind non poté fare altro che sorridere.

Dimenticare il sogno era la cosa migliore da fare, per quelle come lei, sapeva che non avrebbe mai avuto il lieto fine che desiderava da bambina.

“Sarà difficile e immensamente doloroso” l’avvisò inarcando un sopracciglio “Sei sicura? Puoi ancora avere quei cinquecento mila dollari se vuoi”

“No”

Quella semplice parola lasciò le sue labbra talmente autoritaria e carica di rabbia che Stefania alzò le mani in segno di resa.

Basta con i sogni, si disse, non era più una bambina e Sean non era più con lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ la prima volta che scrivo nel fandom di Grimm, ma dopo aver divorato le prime due stagioni in poche settimane e dato che ieri notte è andata in onda la prima puntata della terza stagione mi sono decisa a scrivere questa one shot che girava nella mia testa già da un po’.

Io adoro Renard e Adalind insieme, sin dalla prima stagione, molto di più di Nick e Juliette sicuramente, e dato che spero davvero in un loro pargolo Hexenbiest è venuta fuori questa cosa.

Il titolo della storia viene da una canzone dei The Kills, mentre la citazione inziale è il ritornell di Wings di Birdy.

Per quanto riguarda la sua collocazione temporale, questa one shot l’ho pensata ambientata qualche giorno prima della 2x21, infatti Eric, dice ad Adalind che sta per andare a Praga mentre come ben sappiamo, arriverà a Portland e lei non ha ancora firmato il contratto con Stefania.

Detto questo ringrazio di cuore chi è arrivato a scrivere fin qui, spero che vi sia piaciuta questa piccola storia.

Alla prossima!

 

 

 

   
 
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