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Autore: Mayo Samurai    26/10/2013    1 recensioni
"Wilson mostrò un sorriso e fece per alzarsi, ma lei lo troncò sul nascere:” Non sono così belle, non ne sono capace.
Preferisco bruciare i fiori che legarli assieme.

Sono brava solo a distruggere.”
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole splendeva alto, dimostrando a tutti quando fosse doloroso starsene sotto ai suoi raggi troppo a lungo, camminare e trasportare uno zaino riempito delle cose più disparate.
Wilson pensò con molta nostalgia a casa propria: persa nelle montagne, nascosta da alti pini, raramente era colpita dal sole, e il suo corpo s’era abituato a starsene nella penombra e non sotto il sole cocente di mezzodì.
L’uomo tirò un lungo sospiro, grattandosi la barba sfatta e guardandosi attorno.
Nemmeno un albero.
Non un’aspettativa di ombra nel raggio di chilometri.
Maxwell l’avrebbe pagata molto salata.
Sospirò di nuovo e riprese a camminare nella steppa.
Tutto attorno a lui s’espandevano metri e metri d’erba alta, ogni tanto avvertiva il verso di qualche coniglio, il gracchiare di corvi e il canto del mare troppo distante per esser visto.
Non aveva fame, ma era molto accaldato.
Fortunatamente vi era un filo di vento, che ogni tanto gli sospirava in viso, dandogli un po’ di refrigerio sotto quel sole assassino.
Le lande erano tranquille in quei giorni, non avevano trovato i campi di Warlus e i Mastini non si erano presentati.
Le giornate erano pigre e lente, spese alla ricerca di qualche altro angolo confortevole dove campeggiare.
Non essendo una priorità, Wilson si prese il proprio tempo, passeggiando, più che ricercando.
Una cosa positiva di quel luogo c’era.
Vi era una pace sovrannaturale.
Si poteva sentire la natura respirare e crescere, il mare, sempre agitato, non sembrava disturbare la tranquillità della terra, che russava pigra, stiracchiando ogni tanto le radici, voltandosi dall’altra parte per poi riprendere a dormire.
L’uomo alzò il naso al cielo, fissando un punto indeterminato di quella magnifica distesa azzurra che sembrava voler abbracciare tutto.
Da casa sua non era mai riuscito a vedere l’orizzonte, la sua vista si chiudeva sempre sulle montagne, o addirittura sugli alberi che circondavano la povera capanna che chiamava casa.
Ma ora…
Wow.
Si fermò di nuovo, respirando sempre più lentamente finchè il respiro non tornò alla normalità.
Quel luogo era l’Inferno travestito da Paradiso.
Chiuse gli occhi come il vento iniziò a soffiare, e quando si chetò, riprese a camminare.
Finalmente, dopo ore di cammino il terreno cambiò, e da arido e duro divenne morbido e verde.
L’aria mutò improvvisamente, riempiendosi del profumo dei fiori e del pigro ronzare di api laboriose.
Oh, prato.
Wilson tirò un lunghissimo sospiro, pensando che non ci sarebbe stato nulla di male nel fare un pisolino su quell’erba così invitante, che con un solo passo spigionava un intenso profumo di freschezza in grado di risvegliare pure i morti.
Sopra di lui s’estese un’ombra enorme, ma con sollievo notò che erano solo nuvole che si trascrivano pigramente per il cielo.
Sorrise: non sarebbe morto nessuno se si fosse riposato per un poco.
 
 
 
Quello che lo svegliò fu il forte profumo di fiori venuto a pizzicargli il naso.
Lo storse, e trovando l’odore troppo invadente per i suoi gusti, aprì gli occhi, tornando a rimirare il cielo sopra di lui, ora saturo di bianche nuvole zuccherose, così gonfie e candide da sembrare dipinte.
“Buon pomeriggio bell’addormentato.”
Accanto a lui, seduta sull’erba ci stava Willow, con le mani affondate in una moltitudine di fiori colorati raccolti nella sua gonna.
“W-willow… Che ci fai qui?” Domandò rialzandosi, tenendosi sollevato per i gomiti, con ancora gli occhi impastati dal sonno.
“Passavo di qua; ho, o abbiamo, girato in tondo.”
“Ah.”
Un dolce silenzio reso meno imbarazzante dallo frusciare del vento s’intromise, sedendosi tra di loro come un terzo incomodo.
Wilson guardò l’orologio: mancava ancora molto prima che il sole decidesse di riposare, avrebbero potuto rimanere lì ancora a lungo.
Tornò a stendersi, chiudendo gli occhi e intrecciando le dita tra di loro, facendole riposare sul petto.
Era piacevole stare lì, senza far nulla in particolare, senza preoccupazioni, col solo rumore della natura a far da ninnananna.
“In che senso abbiamo girato in tondo?” Chiese rimanendo nella stessa posizione.
La ragazza scrollò le spalle:” Io sono andata a sinistra e tu a destra, e ci siamo incontrati.
Il campo è dietro quegli alberi, abbiamo fatto il giro lungo.”
“Capisco.”
Il silenzio tornò, e poco dopo Wilson riaprì gli occhi, sbirciando Willow.
“Che cosa stai facendo?”
Lei sembrò congelarsi per un attimo, per poi sciogliersi in un tenue rossore:” Corone di fiori.
Sai, per rimanere in pace.”
Wilson mostrò un sorriso e fece per alzarsi, ma lei lo troncò sul nascere:” Non sono così belle, non ne sono capace.
Preferisco bruciare i fiori che legarli assieme.

Sono brava solo a distruggere.”
Senza parlare, per una volta, Wilson prese qualche fiore e iniziò a intrecciarli assieme all’erba alta, lavorando lentamente, carezzando i fiori e deliziandosi della loro setosità, della freschezza conservata dai petali più carnosi.
Willow dal canto suo rimase ad osservalo sorpresa, riprendendo ad allacciare tra di loro i fiori, con un’espressione leggermente corrucciata sul volto, guastata dal leggero rossore che s’espandeva fino alle orecchie.
Continuarono a lavorare in silenzio, col vento che solo ogni tanto veniva a sbirciare cosa stessero combinando.
“Finito!
Posso vedere la tua?” Domandò Wilson, poggiandosi la corona sulle ginocchia, dimostrandosi come al solito entusiasta per le cose più piccole e sciocche, come una corona di fiori.
Willow alzò appena la corona di fiori, riabbassandola immediatamente:” No, non è bella, è solo… 
Sono solo dei fiori messi assieme, non è una corona.”
Wilson rimase ammutolito, e dimenticandosi di chiedere il permesso, gliela prese dalle dita, mormorando uno “scusa” quando s’accorse dell’espressione offesa di Willow.
La rigirò tra le dita pallide, carezzando i petali con una delicatezza infinita, timoroso di romperli o di rovinarli.
“E’ bellissima.”
Willow scosse la testa, prendendo la corona fatta da Wilson:” Questa è più bella.” Borbottò rigirandosela con la stessa delicatezza riservata alle sue adorate fiamme.
L’uomo le sorrise e indossò la corona:” Allora vorrà dire che la mia la metterai tu, mentre io indosserò quella che hai fatto tu.”
Lei lo guardò senza capire, e prima che ci riuscisse Wilson s’era alzato in piedi, stiracchiandosi:” Funziona alla perfezione, mi sento molto meglio ora!”
Poggiate le mani sui fianchi si guardò attorno, prendendo un’enorme boccata d’aria: sembrava cambiato completamente, ad un tratto s’era tramutato in un uomo sicuro, pieno di forze e vita.
Willow rimase affascinata: una stupida corona di fiori, fatta anche male, aveva risvegliato in Wilson un qualcosa che s’era chetato da tempo.
L’ottimismo.
“Mi viene quasi voglia… Voglia di ballare, si!”
E fu con la stessa sciocca felicità che l’uomo si chinò verso di lei e le fece indossare la corona, sorridendole in un modo così dolce che Willow si sentì cariare i denti.
“Sei bellissima.”
Dopo aver realizzato ciò che aveva appena detto, entrambi arrossirono violentemente e si allontanarono l’uno dall’altro, Wilson portandosi le braccia dietro la schiena e girandosi mentre Willow balzò all’indietro nell’erba.
“Erm… Uhm.
…”
“Uhm…”
“…
Sai, quella cosa…
“…
Ballare?”
“Si.
… Se ti v-“
“Si.”
Wilson si voltò di scatto, sgranando gli occhi di fronte a una Willow tutta rossa, con indosso una corona di fiori.
Il sorriso nacque spontaneo, e crebbe, fino a fargli lacrimare gli occhi.
Allungò timidamente una mano, così che la ragazza, allungando la propria, la poggiasse sulla sua e si avvicinasse.
“I-io però… Non so ballare, non ho mai- mai imparato, non so se capisci…”
“Nemmeno io so ballare.” Rispose prontamente l’uomo, alzando le spalle di fronte all’espressione sorpresa della ragazza.
Piano e con timore iniziarono a muovere i piedi, mentre gli ultimi petali rimasti sulla gonna di Willow cadevano a terra ogni volta che compivano una piroetta.
Entrambi si fissavano i piedi, mentre si muovevano scoordinati, dando l’impressione di due bambini che hanno appena imparato a camminare.
Ma pian piano, col vento che soffiava e l’erba che ondeggiava, i due iniziarono ad essere sempre più sicuri, fino ad arrivare a compiere qualche timido balzo ogni tanto.
Cominciarono a ridacchiare, mentre arrossivano fino al limite, si staccavano un poco per poi ricongiungersi, allungavano le braccia così da allontanarsi e riavvicinarsi con passi veloci, quasi spaventati che per un attimo di più tutto sarebbe finito.
Ad ogni passo, ad ogni salto, s’alzavano piccoli insetti, fiori e steli d’erba, riempiendo l’aria di un dolce profumo inebriante, donando ai due ballerini l’impressione di essere in un sogno, o in una favola.
Wilson afferrò Willow per i fianchi, sollevandola verso l’alto mentre compiva un giro su sé stesso: con una nuova energia rise, vedendo l’espressione stupita dell’altra.
Ma poi toccò a lui sorprendersi.
Come per magia i vestiti di Willow si tramutarono, diventando bianchi e lunghi, come quelli di una sposa.
Anche i suoi cambiarono: divennero bianchi e leggeri come le nuvole che correvano sopra di loro.
Si sentiva così pulito e fresco.
Vide anche un velo, e i capelli lunghi capelli di Willow finalmente sciolti.
Era così bella.
Rimase così scioccato da tale visione che perse la presa, e riuscì ad evitare una caduta rovinosa ad entrambi solo per miracolo.
“T-tutto a posto Wilson?”
L’incantesimo s’era spezzato, riportandoli alla cruda realtà.
L’uomo annuì: era tornato tutto come prima, Willow portava sempre la gonna nera, la semplice camicia rossa e il suo viso era nuovamente stanco e sporco, benedetto dalla presenza di qualche graffio.
Il fiato di Wilson era nuovamente spezzato, e sentiva la stanchezza della vita selvaggia tornare ad arrampicarsi lungo la sua spina dorsale.
Sentiva freddo.
“P-perdonami, un calo di zuccheri…” Borbottò staccando le mani con gentilezza, passandosele poi sui pantaloni per asciugarle dal sudore.
Willow battè i piedi sul terreno un paio di volte, togliendosi gli ultimi residui di vegetazione dalle calze e dalla gonna.
“Credo che sia meglio andare…” Mormorò lui, raccogliendo il proprio zaino senza guardarla.
Fece qualche passo, rendendosi conto che Willow non lo stava seguendo.
“T-tutto a posto?
Non ti sei fatta male vero?”
Lei scosse la testa, prendendo a sua volta lo zaino e raggiungendo l’altro.
“…
Willow?
Ti ho offesa in qualche modo, mi dispiace, la prossima volta io…”
“N-non è quello, solo…
“…Solo?”
La ragazza si prese qualche secondo prima di rispondere e scattare come un gatto rabbioso verso la foresta.
“…
Solo che stai bene vestito di bianco.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
BLBLBLLBLB
 
Qualche giorno fa mi hanno chiesto:” Ma ne hai scritte altre?” E io ho dovuto rispondere che no, non ne avevo scritte altre.
Ma ora.
Ma ora, se dovessero domandarmelo di nuovo potrò rispondere: si, si cazzo ne ho scritta un’altra dannazione e sono così felice perché loro sono i miei patati ed ogni volta che scrivo su di loro mi vengono in mente altre mille stupide idee.
E la cosa mi elettrizza.
 
 
 
 
E DETENGO IL CONTROLLO DELL’INTERA SEZIONE DI DON’T STARVE MUHAHAHAHAHAHA INCHINATEVI DAVANTI A ME SCIOCCHI MORTALI
 
   
 
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