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Autore: kurage    27/10/2013    3 recensioni
[CHANBAEK] A volte un incontro può cambiare anche il peggiore degli uomini.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva. Uscii fuori di casa. Presi una sedia e mi sedetti nel piccolo balcone, totalmente esposto alla pioggia che cadeva.
«Non stare fuori, ti ammalerai,» disse qualcuno.
Già, qualcuno. In realtà non era nessuno. Non avevo nessuno che si preoccupasse per me. Mi ammalerò? Non mi importava. Neanche io mi preoccupavo di me stesso. Né di me stesso né del tempo che passavo. Trascorrevo il tempo senza curarmi del come. Sì, forse lo stavo sprecando. Ma non lo percepivo come un problema mio, il problema era del tempo.
Non mi lamentavo con la natura per avermi messo al mondo per un tempo così esiguo. Per me non era breve. Era abbastanza. Ed abbastanza noioso. Se avessi vissuto meno di quanto mi sarebbe spettato probabilmente non me ne sarei neanche accorto. Non contavo i minuti, o le ore. Non avevo orologi in casa, non avevo calendari. Non volevo essere schiavo del tempo.
Non so che giorno è, e allora? Qualcuno me l'avrebbe chiesto? No. Io l'avrei chiesto a me stesso? No. Era un'informazione superflua. Il mondo sarebbe cambiato se io avessi saputo il giorno, l'ora o i minuti? Assolutamente no.
Non che mi importasse preservare le informazioni utili da quelle inutili. Le  informazioni utili le ignoravo, quelle inutili non le vedevo neanche. Sono un noncurante, un menefreghista. Un ignorante. Ma era come se la cosa non mi riguardasse. Ero fatto così. Come la pioggia, tutto cadeva dall'alto, mi scivolava addosso, ed io sopportavo lasciando passare. Mi bagnavo i vestiti e dovevo cambiarli. Ma comunque io non lo facevo, aspettavo che si asciugassero da soli. Perché non mi importava. Non mi importava neanche scendere per strada così com'ero e camminare in mezzo alla gente. La gente non era nessuno. E così feci. Uscii di casa e cominciai ad errare per le strade della città, mentre pian piano cessava di piovere.
Ad un certo punto calpestai un oggetto. Sollevai il piede e lo raccolsi. Tch. Un orologio. Lo guardai con disprezzo e lo gettai lontano. Rompendolo, probabilmente. Sorrisi, soddisfatto di me stesso.
«Mi scusi,» mi si avvicinò una persona. Le diedi una veloce occhiata, un ragazzino. Basso, dall'aria indifesa. Credendo di aver ottenuto la mia attenzione continuò:
«Quello era il mio orologio..»
Inizialmente lo ignorai, poi lo guardai in faccia.
«Non ti servono oggetti inutili come un orologio, ti ho solo fatto un favore,» risposi.
«Ma era un oggetto prezioso..» insistette.
«Non ti servono neanche oggetti costosi.»
«Non era costoso, era un regalo.»
«Mi spiace,» dissi con scarso coinvolgimento.
Mi osservò attentamente percorrendo con lo sguardo la mia figura con un'espressione quasi mortificata.
«Ma lei è tutto bagnato,» disse avvicinandosi lentamente. Io indietreggiai.
«Sono caduto nel fiume,» mentii. «Capita.»
Nel mentre ricominciò a piovere. Prima piano, man mano  sempre più forte. Il ragazzo aprì il suo ombrello e mi si avvicinò ancora con l'intento di condividere con me quello spazio asciutto. Scostai l'ombrello e mi allontanai.
«Sono già bagnato.»
«Me se continua a stare esposto alla pioggia si ammalerà,» si avvicinò di nuovo perseverando nel suo tentativo di protezione.
«E dunque?» non cedetti e mi allontanai nuovamente.
«Non è bello ammalarsi,» sospirò e rinunciò.
«Non importa a me, perché dovrebbe importare a te?»
Non rispose.
Sbuffai svogliatamente e feci per tornare indietro verso la strada che mi avrebbe portato a casa, ma una domanda mi trattenne.
«Perché prima ha mentito?» il ragazzo chiuse l'ombrello esponendosi a sua volta alla pioggia che scendeva.
«Quando? Io non ho mentito.» risposi senza voltarmi.
«Quando ha detto di essere caduto nel fiume. Ha mentito. Io capisco quando la gente dice la verità e quando mente.»
La pioggia non accennava a voler smettere di cadere con violenza.
«Non è bello mentire.»
«Non importa a me. Perché dovrebbe importare a te,» dissi senza dare alcuna intonazione.
«Mi importa e basta.»
Questa è bella. Sorrisi ironicamente e continuai per la mia strada, stavolta senza alcun impiccio che mi impedisse di proseguire per i fatti miei. Non mi voltai a guardarlo ancora, quello che fece poi non lo so e non mi riguarda.
Rientrai a casa. Non ricordavo nemmeno per quale motivo fossi uscito. Ma forse, pensai, non ve n'era alcuno. Non era importante. Mi abbandonai nel divano.
Abitavo in un appartamento piuttosto povero, malandato. In un condominio fatiscente. In un quartiere poco raccomandabile. Era ciò che potevo permettermi, ciò che mi bastava. Non mi interessava avere di più, e se anche un giorno fossi finito per strada probabilmente non avrei neanche notato la differenza.
Era suddiviso in tre stanze: una cucina, un bagno ed una camera da letto. Qualche metro quadro. Abitavo da solo, era più che sufficiente.
Cercai di alzarmi ma non ci riuscii. Mi sentivo pesante e mi girava la testa. La gola mi bruciava terribilmente. Forse avevo la febbre, ma poco importava, tanto non avevo neanche un termometro per verificare. In fondo cos'è la febbre? É solo un numero, e a me i numeri non piacciono. Inutili. Saperli non serve a niente. Cosa influirebbe sapere di avere trentotto di febbre, trentanove o quaranta? Io sapevo ciò che sentivo. Questo mi bastava anche se tuttavia non mi importava.

Ti avevo detto che ti saresti ammalato.
Aprii di scatto gli occhi, guardandomi intorno. Ingenuamente tentai di sollevarmi, venendo immediatamente bloccato da un forte attacco di emicrania. Mi portai una mano alla tempia, massaggiando piano nel tentativo di alleviare il dolore.
Già, mi aveva detto che mi sarei ammalato. Chiusi gli occhi. Ma chi? Nessuno me l'aveva detto. Mi tornò in mente quel ragazzino. No, lui me l'aveva detto.
E così mi sono ammalato. Forse non sarei dovuto stare sotto la pioggia. Al diavolo, ma che importa, la gente si ammala anche con gli ombrelli. Chi l'ha detto che prevenire è meglio che curare? Se non c'è né prevenzione né cura nessuna delle due è meglio dell'altra.

Percepii un forte senso di nausea, dovevo andare in bagno. Ma se non riuscivo neanche a mettermi seduto la prospettiva di raggiungermi e di raggiungere la tazza era più che fuori dalle mie possibilità. Cercai di rilassarmi e di controllare quel senso di malessere. È vero, forse ero un menefreghista, ma non mi facevo mettere i piedi in testa da niente e da nessuno. Avrei potuto controllare qualsiasi cosa. Dovevo.
Pian piano riuscii a calmarmi. In fondo ero abituato, fino ad allora avevo vissuto da solo reggendomi unicamente sulle mie gambe, aiutandomi soltanto con le mie stesse braccia. Nel buio l'unica mano che potevo afferrare era la mia. Andava bene così, io non dipendevo da nessuno, e nessuno da me. Ero un'entità indipendente.

Continuai a stare male per un po' di tempo. Forse ore, forse giorni, senza avere la forza di alzarmi. Non mangiai e non bevvi nulla. Ogni volta che contro il mio volere le palpebre stavano per chiudermi pensavo che probabilmente non mi sarei più potuto svegliare. Ma puntualmente mi svegliavo di nuovo, e man mano guarii. Fui in grado di alzarmi, di bere, di mangiare. Ce l'avevo fatta, da solo.
 
 
 
 
 
Ho detto in precedenza di essere menefreghista. Ma purtroppo non era il mio unico difetto. Non saprei come definirmi. Forse inconcludente. Iniziavo le cose, mi stufavo e le lasciavo perdere senza neanche averle finite. Magari mi pentivo, ma mi rendevo conto che ormai era troppo tardi per tornare indietro. Non ero affidabile, ma questo poco importava. Non avevo nessuno che volesse fidarsi di me. Nemmeno io mi fidavo di me. Si può dire che fossi un pochino insicuro di me? Si può dire? Sì, penso di sì.
Menefreghista, inconcludente, inaffidabile, insicuro. Non c'era niente di positivo in me.
Tch, che bella persona.
Uscii in balcone, mi sedetti nella sedia ancora bagnata dalla pioggia. Tirai fuori una sigaretta dal taschino, afferrai l'accendino e la accesi. Feci un tiro, restando poi ad ammirare il fumo che si disperdeva nell'aria. Poi un altro. Dopo un po' però mi stancai e la poggiai nel posacenere senza averla finita e la guardai consumarsi lentamente.
Non sono neanche in grado di finire una sigaretta. Sorrisi ironicamente di me stesso. Che schifo.
Quella fu la prima volta che cominciai a provare disprezzo per me stesso.
Irritato rientrai all'interno entrando immediatamente nella mia stanza, mi spogliai e mi infilai nel letto. Non avevo sonno, ma pareva che dormire fosse l'unica cosa che mi riuscisse a prescindere dalle circostanze.
Domani è un nuovo giorno, ed io sono sempre lo stesso.

«Chanyeol, nella mia ditta abbiamo bisogno di un impiegato, potrei darti un lavoro.»
«Kyungsoo, non ho bisogno di un lavoro,» risposi secco.
«Vivi di stenti in un appartamento fatiscente nel quartiere peggiore della città, hai effettivamente bisogno di un lavoro.»
«Io non vivo di stenti, vivo come vivo.»
Sospirò.
«È per questo che ti ha lasciato, Chanyeol. Io sono solo preoccupato per te.»
«Non farlo, ho tutto sotto controllo,» dissi bevendo un sorso dal bicchiere che avevo davanti. «Quindi, mi hai chiamato per dirmi solo questo?»
«In sostanza sì. Era solo questo,» sollevò lo sguardo su di me, con aria severa. «Non sottovalutare la tua situazione.»  
«Non lo farò,» abbozzai un sorriso e poggiai sul tavolo una banconota per pagare il conto. Dopo di che feci un inchino per salutarlo e uscii dal locale.
Detestavo incontrare le altre persone, detestavo parlare con loro, di loro, di me. Detestavo le persone e basta. Questo era uno dei vantaggi di vivere nella zone in cui abitavo io, tutti ignoravano tutti. A nessuno importava di nessuno.
Trovai la porta del condominio aperta e senza pensarci la attraversai prendendo subito le scale. Arrivai davanti all'uscio del mio appartamento e tirai fuori la chiave facendo per aprire, ma in quel momento mi resi conto di una cosa parecchio insolita. La serratura non c'era più, e al suo posto vidi un enorme buco.
Sono venuti a rubare in casa mia? Illusi.
Sentii del movimento all'interno e mi inchinai cautamente per sbirciare dal foro. Intravidi le figure di tre ragazzetti con il viso coperto da delle bandane ed un ragazzo minuto steso a terra. Impugnai il serramanico che tenevo in tasca e mi preparai a fare irruzione nell'appartamento.
«Uscite immediatamente da casa mia!» urlai spalancando la porta e minacciandoli mostrando la lama. I ragazzi, presi alla sprovvista, sobbalzarono per la sorpresa e uscirono immediatamente dall'appartamento.
«Tch, non dovevano essere dei professionisti,» dissi fra me e me, poi mi rivolsi verso il ragazzo a terra. «E tu?»
Mi resi conto con grande stupore che quel ragazzino era lo stesso che incontrai qualche giorno prima sotto la pioggia. Notai le gravi ferite che recava sul volto e corsi in bagno a prendere l'occorrente per medicarlo. Era svenuto, e non rinvenne fino a che non finii di curargli le ferite e lo feci sdraiare sul divano. Quando aprì gli occhi non sembrava particolarmente sorpreso di trovarsi nel posto in cui si trovava.
Mi guardò con gli occhi appena socchiusi.
«Il mio nome è Byun Baekhyun, grazie.»
Sorrise e richiuse gli occhi continuando a riposare. Non sembrava particolarmente scosso dall'accaduto.

Quando si riprese fisicamente del tutto e riuscì a mettersi seduto gli portai una tazza di tè caldo. Lui la prese ringraziando e ne bevve qualche sorso. Non doveva essere il massimo, non mi capitava spesso di bere il tè o addirittura di avere ospiti, ma lui sembrò apprezzarlo comunque.
Incontrare nuovamente quella persona mi fece un effetto molto strano. Non mi infastidì come pensavo avrebbe fatto, ma pensai semplicemente che dipendesse dal contesto.
Mi raccontò per bene le dinamiche di quanto era successo. Disse che si aggirava nei pressi del quartiere e vide delle persone intrufolarsi nel condominio con fare sospetto, così decise di seguirli e quando si accorse che erano venuti fin qui per introdursi in una casa che non era la loro, aveva tentato di fermarli. Gli chiesi perché l'avesse fatto nonostante la questione non gli riguardasse.
«Non so,» rispose sollevando le spalle. «Forse perché pensavo di non avere più niente da perdere in ogni caso.»
Lo guardai ascoltandolo attentamente.
«Diciamo che non ho più nessuno,» disse sorridendo tristemente.
Benvenuto nel club, pensai.
«So cosa si prova,» gli dissi guardandolo. «Ma a me sta bene, credo.»
«Non ti annoia stare solo in una casa come questa?»
Sollevai le spalle abbassando lo sguardo.
«Non mi importa.»
«Non ti importa neanche se resto qui per un po'?»
Nel sentire quella richiesta sollevai un sopracciglio. Non era normale che una persona chiedesse con tutta quella nonchalance ad uno decisamente poco affidabile di poter stare con lui nel suo appartamento tutt'altro che accogliente subito dopo una tentata rapina avvenuta esattamente nel suddetto appartamento.
«Resta se vuoi, a tuo rischio e pericolo.»

 
  
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