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Autore: nothing but a shadow    28/10/2013    2 recensioni
«Cosa ti importa in ogni caso?» la voce del ragazzo era poco più di un sussurro, quasi avesse paura di parlare più forte.
Fu preso letteralmente alla sprovvista da quella domanda. In effetti, cosa gli importava? Non lo conosceva, e infondo non erano nemmeno fatti suoi. Ma si sapeva, Alex non era capace a fregarsene di una persona che, visibilmente, soffriva, fosse essa un suo parente o, come in quel caso, un perfetto sconosciuto.
«Semplicemente detesto vedere le persone soffrire,» alzò lo sguardo al cielo, scuotendo leggermente la testa. «e vorrei fare qualcosa per aiutarti.»
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I wanna see your face and know I made it home.

 

Alex sbuffò visibilmente nervoso. Erano le otto e mezza di sera e l'unica cosa che voleva fare era arrivare a casa, mangiare fino a scoppiare, buttarsi nella morbidezza del suo letto e circondarsi del calore delle sue coperte.
E invece era bloccato nel traffico da mezz'ora – Alex avrebbe giurato che fosse in mezzo a quell'ammasso di automobili da almeno due ore – e aveva anche una certa necessità di un bagno. Sbuffò nuovamente, battendo ripetutamente la testa sul volante della sua Toyota. Si era sempre chiesto cosa facesse quel ritardato del primo della fila, probabilmente era una qualche ragazzina che, alla vista del rossetto sbiadito dalle labbra, aveva ben e giustamente pensato che quello fosse il momento e il luogo perfetto per rinfrescarsi il trucco.
«Fanculo.» il biondo scivolò leggermente sul sedile di pelle, distendendo le gambe e incrociando le braccia, uno sguardo assassino negli occhi.
Buttò una veloce occhiata allo stereo prima di afferrare il suo iPod, rigorosamente attaccato all'impianto, e far partire “Dammit” dei Blink-182. Battè la mano a ritmo sulla coscia, cominciando a cantare a tempo della la voce di Mark Hoppus.

Una decina di canzoni dei Blink dopo, Alex aveva finalmente imboccato la via di casa. Pochi metri lo dividevano dalla sua dimora e il biondo poteva già pregustare il calore dell'edificio accoglierlo come a dirgli “bentornato Alex”. Si leccò le labbra, parcheggiando l'auto nel viale di casa e spegnando il motore. Aprì lo sportello e quasi non riuscì a contenere un sorriso quanta era la sua gioia di essere finalmente a casa. Si stiracchiò emanando dei lievi versi di gradimento e stava per aprire la porta di casa quando qualcosa catturò la sua attenzione. C'era qualcuno seduto sul bordo del marciapiede, le ginocchia unite circondate dalle braccia, il volto nascosto tra di esse. Ora che quella persona aveva la sua attenzione, il biondo fu in grado di sentire i violenti singhiozzi provenire dalla sua direzione.
In quel momento, Alex aveva due scelte davanti: andare in aiuto di quel qualcuno – che, per quanto il buio gli permettesse di vedere, gli sembrava un ragazzo, oppure fare finta di niente ed entrare finalmente a casa per avere il suo beato riposo.
E, senza neanche accorgersene, le sue gambe lo stavano già conducendo verso quella misteriosa figura perché, non prendiamoci in giro, se avesse fatto finta di niente i sensi di colpa lo avrebbero tormentato fino al giorno della sua morte e probabilmente anche dopo. A volte odiava essere così sensibile.
«Serve aiuto?» chiese, senza però ottenere una risposta.
Agrottò le sopracciglia, poggiandosi una mano sul fianco. Provò a richiamare l'attenzione del ragazzo, ma ancora nessun segno.
Sospirò, sedendosi sulla fredda roccia del marciapiede poco distante dall'altro. «Hey?» scosse leggermente la sua spalla, facendo sobbalzare il ragazzo per lo spavento, cosa che automaticamente fece spaventare anche lui.
«C-cosa?»
Sì, si disse, era decisamente un ragazzo; aveva i capelli di un castano scuro, caratterizzati da una fitta serie di meches bionde concentrate maggiormente sulla frangia lunga davanti agli occhi. Il cappuccio della felpa nera era appoggiato sulla testa, e gli occhi erano visibilmente stanchi, rossi e ancora bagnati di pianto. Le sue braccia si sorreggevano ora sulle ginocchia grazie ai gomiti, e la testa era leggermente incrinata nell'intendo di guardare Alex.
«Ho detto, serve aiuto?»
Il biondo sperò di non darlo a vedere ma era diventato improvvisamente triste alla vista dello sguardo distrutto di quel povero ragazzo. Quest'ultimo scosse la testa, tornando alla posizione in cui Alex lo aveva trovato.
«No, sto benissimo.»

«Non si direbbe.» insistette, sbuffando una risata.
«Cosa ti importa in ogni caso?» la voce del ragazzo era poco più di un sussurro, quasi avesse paura di parlare più forte.
Fu preso letteralmente alla sprovvista da quella domanda. In effetti, cosa gli importava? Non lo conosceva, e infondo non erano nemmeno fatti suoi. Ma si sapeva, Alex non era capace a fregarsene di una persona che, visibilmente, soffriva, fosse essa un suo parente o, come in quel caso, un perfetto sconosciuto.
«Semplicemente detesto vedere le persone soffrire,» alzò lo sguardo al cielo, scuotendo leggermente la testa. «e vorrei fare qualcosa per aiutarti.» riportò lo sguardo sull'altro, regalandogli un sorriso confortante.
Scorse lo sguardo sbalordito dell'altro, e gli venne naturale chiedersi se fosse poi così strano e fuori dal normale preoccuparsi di una persona e volerla aiutare. Il moro annuì, più a se stesso che ad Alex, e si sistemò il cappuccio sulla testa.
«I miei mi hanno cacciato di casa, e non so dove andare.» cominciò a spiegare, chiedendosi da dove gli venisse tutta quella confidenza da un momento all'altro. «Non ho nessun parente qui. Sono due giorni che vago per l'isolato, ma non ho davvero la più pallida idea di cosa fare. Probabilmente morirò congelato.» sbuffò una risata, povera di vere e proprie emozioni.
Alex rimase a bocca spalancata. Come poteva un genitore cacciare il proprio figlio, che a giudicare dai suoi tratti avrà avuto massimo diciannove anni, senza preoccuparsi di dove andrà, come sopravviverà? Era un concetto totalmente fuori dalla sua comprensione. Scosse la testa, cercando di rimandare indietro i suoi stessi ricordi e in seguito si morse un labbro. Non era del tutto sicuro di ciò che stava per proporgli ma fanculo, non poteva e non voleva lasciarlo lì a morire di freddo un'altra notte di novembre.
«Puoi stare da me, se vuoi.»
A quelle parole, l'altro per poco non si strozzò con la propria saliva. «D-dici sul serio?»
Il biondo gli sorrise rassicurante, annuendo con la testa. Gli occhi del moro si illuminarono di pura gratitudine e le sue braccia circondarono improvvisamente il collo di Alex, stringendo questo in un caloroso abbraccio.
Questo spalancò gli occhi, preso alla sprovvista, ma ricambiò l'abbraccio dopo pochi secondi. Sapeva che stava correndo un rischio, infondo era pur sempre un estraneo, ma c'era stato qualcosa negli occhi del povero ragazzo che lo avevano rassicurato e convinto. Sciolse l'abbraccio, alzandosi in piedi e porgendo una mano all'altro. «Dai, entriamo.»
Il ragazzo afferrò la mano del biondo alzandosi a sua volta, annuì e lo seguì fin dentro alla casa. L'improvviso calore colpì il suo corpo provocandogli mille piccoli brividi. Erano due giorni che vagava per le strade con addosso solo la sua felpa e si era quasi dimenticato la sensazione di essere dentro una casa.
«Comunque io sono Alex Gaskarth, piacere.»
Quello gli porse la mano, che strinse volentieri sorridendogli. «Jack, Jack Barakat.»
Il biondo ricambiò il sorriso, togliendosi la giacca e appendendola all'attacca-panni nell'ingresso. «Allora, Jack, immagino tu voglia farti una doccia calda.»
Jack annuì, mordendosi però un labbro. Non aveva vestiti con se, ma non voleva nemmeno chiederli all'altro. Ma Alex sembrò quasi leggergli nel pensiero, visto che poco dopo soffiò una risata e lo condusse al piano superiore, porgendogli dell'intimo pulito,una t-shirt nera e un sotto tuta grigio. Jack sorrise e lo ringraziò, chiudendosi nel bagno e aprendo l'acqua.
Il biondo tornò invece al piano inferiore, cominciando a tirare fuori gli ingredienti per cucinare una semplice pasta al sugo.
Ripensò al ragazzo nel suo bagno. Un piccolo senso di pentimento stava cominciando a farsi strada dentro di lui, ma cercò di scacciarlo via, ripensando a quando suo nonno gli ripeteva sempre che le buone azioni venivano sempre ripagate, prima o poi. Si chiese se fosse effettivamente vero.
Calò un'abbondante dose di spaghetti e accese un altro dei fornelli, cominciando a cuocere il sugo.

Quindici minuti dopo la loro cena era pronta e servita a tavola. Alex si accomodò su una delle sedie in attesa di Jack, che non tardò ad arrivare.
Il biondo si prese un minuto di tempo per guardarlo: i pantaloni gli scendevano morbidi sulle gambe, ma non abbastanza da nascondere la linea del loro contorno, la t-shirt leggermente corta ma larga che lasciava intravedere l'elastico dei suoi boxer nonché le linee a V che vi terminavano; i capelli ancora leggermente bagnati che gli ricadevano ribelli sulla fronte, leggermente spostati così da non coprire gli occhi nocciola, che traboccavano di timidezza, i denti affondati nel labbro inferiore.
Alex gli sorrise, invitandolo a sedersi davanti a lui. Jack annuì abbassando lo sguardo, quasi stesse facendo qualcosa di cui vergognarsi estremamente.
Sì sedette sulla sedia di legno ringraziando il padrone di casa con un sorriso, e iniziando a mangiare beandosi di ogni boccone, quasi fossero passati secoli dall'ultima volta che aveva toccato cibo.
Il biondo sorrise all'espressione compiaciuta sul suo volto. Era davvero curioso di sapere la sua storia, sapere perché i suoi genitori – se così potevano essere definiti – lo avessero cacciato. Ma, nonostante lo stesse ospitando nella sua casa, non aveva voglia di fare pressioni e di inondarlo di domande troppo personali, così pensò che avrebbe cercato di conoscerlo un po' meglio, sperando che sarebbe stato poi lui ad aprirsi di sua spontanea volontà.
«Allora,» posò la forchetta nel piatto ormai vuoto, incrociando le dita e appoggiandoci il mento sopra. «quanti anni hai Jack?»
Il moro alzò lo sguardo, ingoiando prima di parlare. «Diciotto, compiuti da poco, te?»
«Ventidue.» soffiò una risata. Guardò Jack mordersi il labbro inferiore, e non poté evitare di pensare a quanto adorabile fosse la sua timidezza.
«Oh.» fu l'unica cosa che il minore riuscì a dire, prima di prendere l'ultimo boccone e iniziare a masticare, facendo calare tra i due un silenzio che fece sentire entrambi tremendamente a disagio. Alex sbadigliò, sentendo la sua stanchezza tornare tutta d'un tratto. Si alzò e prese i piatti di entrambi, posandoli nel lavandino, dicendosi che li avrebbe lavati il giorno dopo.
«Ti mostro la tua stanza.» disse, prima di iniziare a salire le scale seguito da Jack. Aprì una delle porte sulla destra, rivelando al suo ospite una stanza piccola ma accogliente, dalle pareti azzurrine.
La consapevolezza di essere effettivamente ospite di Alex investì Jack come un treno. «G-grazie Alex, giuro che leverò il disturbo appena-» «Assolutamente nessun disturbo, puoi rimanere quanto vuoi. Credi di riuscire a rimediare un po' della tua roba da casa?» gli chiese il biondo, appoggiandosi alla parete dietro di lui con un sorriso sicuro sulle labbra. Jack ricambiò il sorriso sentendosi rincuorato, e non poté evitare di pensare che Alex fosse una qualche specie di angelo.
«Credo di sì,» si umettò le labbra. «solitamente di domenica mattina i miei sono in chiesa dalle nove alle dieci e mezza circa.» un lampo di disgusto nei suoi occhi.
«Allora domani mattina andiamo a recuperare qualcosa, va bene?»
Jack annuì convinto. «Va benissimo.»
Alex gli sorrise lievemente. «Buonanotte, Jack.»
«Buonanotte Alex.» il moro si chiuse la porta alle spalle.
Il biondo si rinchiuse nella propria stanza, sospirando di sollievo non appena la sua schiena toccò il materasso. Si sfilò i jeans, la t-shirt e la felpa, buttandoli in una parte indefinita della stanza. Tirò su le coperte perdendocisi dentro, e cominciando a ripensare alla sua giornata.
Forse ospitare un perfetto estraneo dentro casa non era stata una delle sue idee più prudenti, ma non avrebbe mai potuto lasciarlo fuori a morire, non dopo che anche a lui, ai suoi diciannove anni, era successa la stessa cosa. La sua fortuna era stata avere una buona quantità di soldi in banca lasciatagli dal nonno prima di morire, con cui aveva potuto comprare la sua attuale casa, e di avere già un lavoro stabile.
E in ogni caso, Jack avrebbe potuto tenergli compagnia in quella sua vita estremamente solitaria. Sorrise al pensiero, addormentandosi con le labbra ancora distese in quel gesto di felicità.

Alex grugnì, cercando di riaddormentarsi ignorando la sete che lo aveva improvvisamente svegliato nel cuore della notte. Non aveva per niente voglia di alzarsi per soddisfare il suo bisogno, così cercò semplicemente di convincersi che poteva aspettare fino a mattina. Si rigirò nel letto, gli occhi aperti e nessun segno che volessero richiudersi. Guardò la sveglia, che segnava appena le tre del mattino. Sbuffò, immobile nella sua posizione con gli occhi fissi al soffitto, intento ad ascoltare il silenzio che regnava padrone nella sua stanza.
O almeno così gli sembrò a primo impatto.
Dei piccoli suoni disturbavano la quiete, e si concentrò su di essi. Sembravano dei singhiozzi, ma Alex era l'unico nella casa, non potevano provenire da dentro.
Poi all'improvviso si ricordò di quel ragazzo moro che alloggiava nella stanza degli ospiti, e si alzò di scatto quasi correndo verso la camera poco distante.
Aprì la porta trovandosi davanti la magra figura di Jack ripiegata su se stessa, in una posizione simile a quella in cui lo aveva trovato la sera prima, il corpo violentemente scosso dai singhiozzi.
Il moro non sembrò accorgersi della presenza dell'altro fino a che questo non si sedette accanto a lui sul letto e gli circondò le spalle con un braccio, tirandolo leggermente a sé. Alzò lo sguardo incontrando gli occhi ancora assonnati di Alex, che lo guardavano con una premura che il minore aveva dimenticato potesse esistere nello sguardo di qualcuno. Con un pollice gli asciugò le lacrime da sotto gli occhi, sorridendogli appena.
«M-mi dispiace di averti sve-svegliato.» la voce del moro era appena un sussurro, e Alex sentì la tristezza pervadergli i sensi.
«Ero già sveglio, non preoccuparti per me.»
Non aveva bisogno di chiedergli cosa succedesse, quel poco che sapeva era abbastanza, e sapeva che non era qualcosa su cui si riusciva a passare facilmente sopra. Lo strinse tra le sue braccia in un gesto spontaneo e il minore nascose il volto nel suo petto. Alex lo cullò fino a che non si calmò, accarezzandogli inconsciamente i capelli come avrebbe fatto con il proprio figlio.
Sentì Jack muoversi delicatamente tra le sue braccia, e lo lasciò andare. Controllò l'ora di sfuggita, erano le quattro e, diamine, aveva tenuto quel ragazzo tra le sue braccia per un'ora.
Fece per alzarsi dal letto, ma sentì una debole stretta circondargli il polso. Si girò trovando Jack con la testa bassa, e anche se non poteva vederlo, avrebbe giurato che si stesse mordendo il labbro a sangue. Rimase in silenzio, invitandolo a parlare.
«Puoi... puoi rimanere con me?»
E Alex non poteva davvero rifiutare quella proposta, per quanto strana tutta quella situazione fosse.

Jack si svegliò poche ore dopo, e si guardò intorno. Il panico si impossessò di lui per un lampo di secondo, ma poi si ricordò dove fosse. Sorrise; ancora non poteva credere che qualcuno lo avesse davvero preso con sé. Insomma, non tutti – anzi, praticamente nessuno – erano disposti ad ospitare un perfetto sconosciuto in casa, ma Alex lo aveva fatto. Lo aveva raccolto e gli aveva dato un posto dove vivere, e Jack sapeva che non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.
Fece per alzarsi dal letto quando fu bloccato da qualcosa. Guardò alla sua sinistra, trovando il corpo ancora addormentato del maggiore disteso su un fianco, con un braccio allungato a circondargli la vita, e la sua testa era appena appoggiata alla sua spalla, entrambi solo nei loro boxer.
Jack arrossì furiosamente, grato che l'altro non potesse vederlo. Si rilassò, e guardando la sveglia si rese conto di avere ancora un po' di tempo prima di doversi alzare. Il suo sguardo si spostò di nuovo sull'altro, e mordendosi un labbro si girò leggermente nella sua direzione, portando una mano tremante ai suoi capelli, cominciando ad accarezzarli in un gesto indeciso ed estremamente delicato.
L'altro lo strinse inconsciamente ancora più a sé, appoggiando ora il viso sul suo petto e portando una gamba sopra a quella del minore.
Jack sentì le proprie guance andare di nuovo a fuoco, ma sorrise, continuando ad accarezzare i capelli dell'altro, spostandosi a sua volta un po' più vicino a lui. Nonostante sapesse che Alex non fosse cosciente delle sue azioni, quelle piccole attenzioni facevano sentire il moro vivo. Si era davvero dimenticato cosa significasse avere qualcuno a cui importasse di lui, qualcuno che ci tenesse.
Ma, da una parte, sapeva che anche il biondo si sarebbe presto stufato di lui, sapeva che avrebbe mandato le cose a puttane anche con lui e, soprattutto, sapeva che non sarebbe potuto rimanere suo ospite per sempre. Sentì le lacrime cominciare a bagnargli gli occhi, quando il ragazzo al suo fianco cominciò a muoversi, e Jack ritirò velocemente il braccio.

Alex aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il corpo di Jack. Tirò su la testa e incontrò lo sguardo del minore.
«Buongiorno.» gli disse questo, regalandogli un sorriso. Il biondo si guardò intorno e si accorse di avere un braccio stretto alla vita dell'altro e una gamba in mezzo alle sue. Arrossì violentemente e si ricompose, tornando a guardare Jack.
«M-mi dispiace i-io non volevo-» «Non preoccuparti, so che non è colpa tua. Non mi sono spostato perché non volevo svegliarti.» disse Jack, in una mezza bugia.
Alex sorrise, alzandosi dal letto e stiracchiandosi. «Vuoi fare colazione?»
Il minore annuì sorridendogli, alzandosi a sua volta e infilandosi i vestiti che gli aveva dato l'altro la sera prima. Alex lo guardò vestirsi e decise che era meglio fare lo stesso. Tornò nella sua camera e tirò fuori dall'armadio un altro sotto tuta simile a quello che aveva dato a Jack e una felpa nera dei Blink-182.

Dopo una colazione a base di uova, bacon e pane tostato, i due erano andati a casa di Jack – che Alex aveva scoperto essere poco distante dalla propria – per portare via una buona parte dei suoi vestiti e dei suoi oggetti personali, inclusa la sua chitarra. Il biondo aveva chiesto all'altro se suonasse e l'altro gli aveva risposto affermativamente, aggiungendo che non era un gran ché tutta via.
Durante il viaggio di ritorno verso casa Gaskarth, i due si erano ritrovati a parlare di musica scoprendo di avere giusti molto simili. Jack stava cominciando a sentirsi sempre più a suo agio in presenza di Alex, e ad essere un po' meno timido.
In quel momento, i due erano seduti sul piccolo divano di pelle nel salotto di casa del maggiore, che stava cercando di convincere l'altro a suonargli qualcosa.
«Avanti Jack, sono sicuro che sei bravo!» Alex scosse le braccia con enfasi, realmente convinto delle sue parole.
L'altro si morse il labbro, cedendo alla fine alle suppliche di Alex, che lo ringraziò con un sorriso a trentadue denti.
Imbracciò la sua elettrica e dopo averla collegata all'amplificatore e iniziò a suonare “The Middle” degli Jimmy Eat World. Lo sguardo di Alex si illuminò e cominciò a cantare le parole di quella canzone che amava. Ci volle poco prima che entrambi cominciarono a esibirsi proprio come se stessero avendo un vero e proprio concerto. Jack rise guardando Alex cantare imbracciando il telecomando del televisore fingendo fosse un microfono, salendo in piedi sul divano e cominciando a muovere il corpo a ritmo di musica.
Il minore suonò l'assolo e Alex, a sua volta, fece finta di suonare una chitarra invisibile, gesto che fece scoppiare Jack in una piccola risata, seguito poco dopo anche dall'altro.
«Everything, everything will be allright!» Il maggiore cantò l'ultima parola saltando giù dal divano e atterrando vicino al moro.
Il petto di Alex si muoveva freneticamente in cerca di ossigeno e un sorriso divertito si era formato sul visto di Jack. I loro occhi si incastrarono e il viso del moro si fece improvvisamente serio, mentre i volti di entrambi si stavano avvicinando quasi inconsciamente. Le loro labbra erano divise solo da pochi millimetri di distanza e Alex chiuse lentamente gli occhi.
Il suono del telefono di Alex li fece sobbalzare uno lontano dall'altro, e Jack sospirò un po' deluso mentre il maggiore tirava fuori il suo iPhone dalla tasca. Controllò il mittente, e non poté fare a meno di deglutire, gesto che non passò inosservato da Jack.
«Lisa?» fu l'unica cosa che sentì prima che l'altro si allontanasse per parlare con chiunque quella ragazza fosse. Il moro si accomodò meglio sul divano, prendendo la sua chitarra e cominciando a suonare accordi a caso, con la mente totalmente da un'altra parte.

Era passato un mese da quando Jack si era trasferito da Alex, e tra i due si era creata una grande amicizia. Erano quasi come due fratelli e Alex non vedeva più il moro come un'estraneo dentro casa sua e, anzi, non riusciva più a ricordare come fosse la sua vita senza Jack dentro casa sua. Quest'ultimo aveva trovato un lavoro al negozio di musica, così da poter contribuire alle spese della casa. Tuttavia i due non riuscivano più a vedersi molto, in quanto il turno di Jack finiva alle sette della sera e iniziava appena un'ora prima di quello di Alex e la mattina aveva scuola. Gli unici momenti in cui i due potevano stare insieme erano la sera e il week-end, e cercavano di goderseli davvero a pieno. Alex adorava la compagnia di Jack e Jack vedeva Alex come il suo eroe, infondo lo aveva salvato da una vita da senzatetto e non era una cosa da niente.
In quei trenta giorni, non avevano più parlato del piccolo “incidente” che avevano avuto quando avevano messo su quel concerto improvvisato e a loro sorpresa non era nato nessun imbarazzo tra di loro, ed entrambi pensavano che l'altro lo avesse semplicemente dimenticato. Sempre in quei giorni, Jack aveva conosciuto la Lisa la cui chiamata li aveva interrotti, scoprendo che era la ragazza di Alex. Si era presentata alla ormai loro porta ed era praticamente saltata addosso al biondo, che l'aveva salutata decisamente con meno entusiasmo. Il moro si era presentato alla ragazza, cogliendo quella scintilla di disprezzo nei suoi occhi nell'apprendere che era il suo nuovo inquilino. Quella stessa sera, lei ed Alex si erano ritirati in cucina sotto richiesta di Lisa, ma nonostante la loro lontananza Jack aveva sentito la loro conversazione dall'inizio alla fine.
La ragazza aveva espresso senza mezzi termini tutta la sua contrarietà alla permanenza di Jack, si era lamentata del fatto che in quasi sette anni di relazione Alex non avesse mai voluto abitare con lei ed ora viveva con un ragazzo che Lisa aveva “visto come lo guardava”. Il moro non era in grado di vedere la scena, ma aveva sentito il rumore della sedia muoversi ed era convinto che Alex si fosse alzato in piedi quando aveva iniziato a urlarle di chiudere la bocca e di andarsene, perché non aveva nessun diritto di sindacare le sue scelte solo perché era inutilmente gelosa. Poco dopo la porta della cucina si era aperta e ne era uscita una Lisa furiosa, che non mancò di lanciargli uno sguardo pieno d'odio prima di andarsene e sbattere la porta dietro di lei.
E Jack aveva semplicemente fatto finta di non aver sentito niente quando Alex era tornato nel salotto e gli aveva sorriso chiedendogli di scusarla perché non sapeva proprio cosa gli fosse preso. E fu proprio Jack a convincerlo a chiamarla per chiarire le cose.
In quel momento, a distanza di due settimane dall'avvenimento, il moro era seduto sul divano fissando con sguardo assente l'immagine in pausa sulla televisione. Pochi minuti dopo Alex si unì a lui con una ciotola di popcorn caldi in mano e fece partire il film – Jack lo aveva pregato di guardare “Mamma ho perso l'aereo” e lui aveva ceduto al centesimo “ti prego”. Il minore prese la coperta alla sua destra e la avvolse intorno a entrambi, e prese una manciata di popcorn.
Circa una mezz'ora dopo, Alex appoggiò la testa sulla spalla di Jack, che lo guardò sorridendo prima di avvolgere il braccio intorno alle sue spalle e avvicinarlo di più a lui. Il maggiore si accoccolò al suo corpo, appoggiando appena una delle gambe piegate sul divano sul ginocchio dell'altro. Continuarono a vedere il film in quella posizione per altri dieci minuti prima di essere interrotti dal suono del cellulare di Jack. Il minore grugnì prima di rispondere, senza controllare chi fosse. Alex si ricompose mettendo il film in pausa, spostando lo sguardo sul volto di Jack.
«Pronto?» Il biondo sentì distintamente una voce femminile e vide il l'amico, il cui volto era illuminato solo dalla luce della televisione, cambiare espressione. «Mamma?» Alex spalancò gli occhi, il suo stomaco si strinse. «Non sono affari tuoi dove sono. No, non ci torno a casa!» ci fu una pausa, in cui la madre di Jack parlò. «Sai cosa c'è mamma? Puoi andare al diavolo, anzi potete andare al diavolo tutti! Vi odio, fanculo!» E la conversazione terminò.
Il corpo di Jack tremava dalla rabbia, ma non ci volle molto prima che questo scoppiasse in lacrime. Nascose il suo viso tra le mani, cominciando a singhiozzare. Alex lo strinse al suo petto ed ebbe un déjà vu della prima notte di permanenza di Jack. Lo cullò tra le sue braccia, sussurrandogli parole dolci per farlo calmare.

Quando i suoi singhiozzi si erano alleviati e le lacrime erano terminate, Alex allentò la stretta, spostandogli i capelli dalla fronte.
«Andiamo a dormire, mh?»
Il moro annuì e il maggiore gli prese una mano, intrecciando le loro dita. I due salirono le sale, verso le loro camere. Alex scortò Jack nella sua stanza, e aspettò che si mettesse a letto.
«Buonanotte Jack, vedrai che dormirci sopra ti farà bene.» Il biondo gli lasciò un casto bacio sulla fronte e si avviò verso la porta.
«Alex?» Jack sentì riaffiorare tutta la sua timidezza all'improvviso, e si morse il labbro.
Il maggiore si girò verso di lui. «Sì?»
«Resta con me.»
Alex sorrise alla sua proposta, accettando senza quel senso di imbarazzo che invece si era impossessato di lui quella sera, un mese prima. Si spogliò dei vestiti rimanendo solo nei boxer, e si infilò nel letto a una piazza e mezza vicino a Jack, girandosi su un fianco così da fronteggiarlo. I loro volti erano così vicini che Alex poteva sentire il respiro dell'altro infrangersi sulle sue labbra. Istintivamente portò una mano sul fianco dell'altro, percorrendone la linea con il dito indice. Il minore si morse il labbro inferiore, alzando lo sguardo negli occhi dell'altro; nonostante fossero immersi nel buio, riuscì a perdercisi dentro. La mano di Alex si fermò sulla sua schiena, avvicinando i loro corpi maggiormente, facendo combaciare i loro petti e incrociando una gamba tra quelle di Jack. Il suo braccio lo strinse in un mezzo abbraccio, e i loro occhi non si lasciarono nemmeno per un momento.
«Posso farti una domanda?» sussurrò il maggiore, e guardò l'altro annuire. «Perché i tuoi ti hanno mandato via?»
Ed eccola quella domanda che Jack aveva tanto temuto. Non che non sapesse che prima o poi avrebbe dovuto dirgli la verità, ma aveva cercato di evitare l'argomento, e avrebbe voluto farlo ancora per un po', almeno fino a quando il loro rapporto non fosse ancora più stabile. Ma non gli andava di mentirgli, non se lo meritava. Così prese un respiro, desiderando che potesse prendere coraggio con la stessa facilità dell'ossigeno.
«Perché hanno scoperto il mio segreto, perché hanno scoperto che sono gay.»
Ci furono una manciata di secondi di silenzio, in cui la mente di Jack creò le peggiori situazioni. Ora che sapeva la verità, soprattutto in quella precisa circostanza, lo avrebbe sicuramente mandato via, avrebbe tagliato tutti i ponti e avrebbe finto che niente fosse mai successo. Sarebbe andato dalla sua meravigliosa ragazza e le avrebbe chiesto scusa per quella scenata, dicendole che aveva ragione, e l'avrebbe finalmente fatta trasferire, dimenticandosi di lui, ma la voce di Alex lo risvegliò dai suoi pensieri.
«Sai Jackie, tutti abbiamo dei segreti. Ho cercato di far capire a Lisa che tra noi non poteva più funzionare in tutti i modi possibili, ma credo che semplicemente non voglia vedere la verità. Anche io ho un segreto, e glie lo ho confidato nella peggiore maniera del mondo, quella sera la settimana scorsa quando siamo usciti insieme. Ero completamente ubriaco,» Rise lievemente al ricordo. «e si sa che le parole degli ubriachi sono i pensieri dei sobri. Così le ho detto la verità, le ho confessato quel segreto che mi portavo dentro già da un po', ma lei non mi prese sul serio. Il giorno dopo mi chiamò ed io ero al lavoro. Mi raccontò l'accaduto ed io risi, per poi fingere di dover attaccare perché avevo molto lavoro da fare e non avevo tempo per parlare. Non ripresi più l'argomento da quel giorno.» fece una pausa, avvicinandosi impercettibilmente all'altro. «Sai Jackie, tutti abbiamo dei segreti, ma tu non sarai più il mio.» Il moro sentì le labbra di Alex posarsi improvvisamente sulle sue, e il suo cuore perse un battito. Spalancò gli occhi, sentendo lo stomaco aggrovigliarsi e fare mille capriole, e pensò che erano quelle le famose farfalle. Gli ci vollero una manciata di secondi prima di riuscire a registrare la situazione, ma poi ricambiò il bacio, muovendo le sue labbra a ritmo di quelle dell'altro. La lingua del maggiore leccò il suo labbro inferiore, quel labbro che si era spaccato mille volte a forza di tormentarlo con i denti, e Jack aprì le labbra per dare libero accesso ad Alex si esplorare la sua bocca. E se prima sentiva le farfalle nello stomaco, ora era convinto che ci fossero dei fottuti tirannosauri nel suo corpo. Le loro lingue cominciarono a danzare a ritmo della stessa musica, a combattere per la dominanza. Fu Alex a staccarsi poco dopo, ma ebbe tempo solo pochi secondi prima di sentire di nuovo le labbra di Jack sulle sue. Sorrise nel bacio, stringendo la vita del minore e spostando il corpo così da trovarsi quasi sopra a Jack. Continuarono a bearsi di quelle attenzioni ancora per un po', quando Alex si allontanò di nuovo, lentamente questa volta. Intrecciò di nuovo le loro dita, e penso che sì, era decisamente vero che le buone azioni venivano sempre ripagate, alla fine.



Note: se posso essere sincera non ho la minima idea di come sia saltata fuori questa fanfcition. So solo che erano le due di notte e avevo una trementa voglia di scrivere una one shot (e anche qui non ho idea del perché) e ne è uscita questa. Diciamo che ci ho messo di più a trovare il titolo adatto che non a scriverla, visto che volevo un titolo che riassumese in brevissimo la trama della storia. Quindi dopo aver ascoltato un'innumerevole quantità di canzoni è partita Painting Flowers e puff, ecco il titolo.
Ok, la smetto di trattenervi ulteriormente. Spero che vi piaccia e boh, le recensioni sono sempre ben accette. Love you all.
Ps: non so per quale motivo l'editor mi mette spazi random tra una frase e l'altra del testo, e per quanto cerco di levarli rimangono ugh.

 

  
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