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Autore: Rain Princess    29/10/2013    2 recensioni
Scritta di getto dopo la 4x07 , è un'interpretazione personale di quello che succede dopo l'elezione di Miss Mystic Falls. Non ho cambiato la storia anche se so com'è andato avanti il telefilm.
Klaus accompagna a casa Caroline dopo aver passato la giornata insieme e riflette, ammette, disegna.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti :) ho scritto questa OS qualche giorno dopo la 4x07, ma poi è rimasta come sempre nel mio quaderno. Oggi ho finalmente trovato la voglia di ricopiarla e pubblicarla, quindi eccola. So che la storia è andata avanti e altre cose sono successe, ma non mi andava di modificare niente. Tra l'altro, non ho ancora iniziato a vedere The Originals, quindi non so se c'è qualche situazione simile (a parte il baby ibrido in arrivo che si è visto alla fine della scorsa stagione), spero che sia accettabile. Buona lettura!

 


Vivo
 


Ti guardo mentre vai via, col tuo incedere naturalmente elegante, il tuo profumo portato da un soffio di vento, il biondo dei tuoi capelli così luminoso nella notte, e non posso fare a meno di pensare che tu sia la creatura più affascinante che io abbia mai incontrato. Sto qui, con le mani nelle tasche dei pantaloni, a proteggerti con lo sguardo come se potesse accaderti qualcosa da un momento all’altro, come se tu non fossi forte abbastanza da difenderti da sola. Beh, se fossimo in una città meno infestata da creature soprannaturali forse sarei più tranquillo, ma qui a Mystic Falls la tranquillità non esiste più da secoli.

Sai che sono ancora qua ad osservarti, lo vedo dal tuo portamento un po’ rigido e so che, se potessi, correresti a casa a velocità vampiresca. Ma siamo per strada e non puoi, e io mi godo lo spettacolo del tuo corpo che reagisce alla mia presenza. Oh, sweetheart, sei così buffa a volte, come ora. Così testarda, così caparbia e ostinata, a volte irritante, così incurante dei sentimenti altrui quando non fai nulla per nascondere il disprezzo che provi nei miei confronti. E tutto per quello stupido cucciolo di cane. Pensi davvero di meritare così poco?

Sei arrivata alla porta, stai trafficando con la borsetta, sento la tua agitazione fin da qui ed è un balsamo per me, mi fa pensare di poter sperare, in fondo. Ecco, hai trovato le chiavi, la serratura si è aperta, quanto ti brucia il mio sguardo sulla tua schiena?

Apri la porta poi, incerta, ti fermi a pensare un attimo, sollevi il viso nella mia direzione e i tuoi bellissimi occhi si aprono per la sorpresa di trovarmi ad osservarti così sfacciatamente. Sei adorabile con quell’espressione appena irritata. Sussurri un “Buonanotte, Klaus”, siamo lontani appena una ventina di metri ed è come se me l’avessi sussurrato all’orecchio. Brividi di piacere mi percorrono al sentire la tua voce che, per la prima volta, pronuncia il mio nome con gentilezza. E non mi lasciano mentre a mia volta ti rispondo “Buonanotte, my sweet Caroline”.
Abbassi lo sguardo imbarazzata e ti infili dentro casa, ma non abbastanza in fretta da nascondermi un angolo della tua bocca che si solleva in un sorriso.

La porta si chiude e posso ancora sentirti tirare un profondo respiro. Eh già, pare che io non ti sia più del tutto indifferente. Questa improvvisa consapevolezza mi dà una forza nuova, un’euforia fin nel sangue che mi scorre nelle vene. Ti sento salire al piano di sopra, nella tua camera. Potrei restare ancora qui a spiarti, a rubare la tua intimità? Vorrei ma, che tu ci creda o no, questo va contro i miei principi. Ti stupirebbe sapere che, nonostante tutto, ne ho ancora?
Passi davanti alla tua finestra e, con finta indifferenza, butti l’occhio oltre la tenda e ti irrigidisci di colpo. Sì, sono ancora qui e forse è meglio che me ne vada, prima di irritarti e rovinare quello che ho ottenuto oggi. Tiro fuori le mani dalle tasche, le unisco dietro la schiena e mi accommiato da te con un inchino, così spontaneo da stupirmi, così antico come gesto che forse lo troverai ridicolo, ma così parte di me. Quando rialzo gli occhi c’è un altro sorriso sulle tue labbra, ed è il premio più bello, come la promessa del bacio della principessa per il vincitore della giostra. Sono compiaciuto e me ne vado via veloce, senza timori. L’oscurità è il mio regno da secoli, so come muovermi senza essere notato.

In breve sono a casa mia, all’ingresso incrocio un paio dei miei ibridi e vengo colpito dall’enormità di un fatto: ho sacrificato uno di loro perché me l’hai chiesto tu. Ho sacrificato un soldato del mio già esiguo esercito per avere un appuntamento con te. Hai presente quanto mi è costato, miss Forbes?
Non sono un sentimentale – a meno che non si tratti di te – ma i miei ibridi sono quanto di più vicino ad un figlio possa avere, e ne ho fatto uccidere uno per te. Devo essere impazzito, perché non me ne importa, accetterei di nuovo lo scambio per una giornata come quella di oggi.

Riconosco il bisogno che mi scorre nelle mani, la necessità di esprimerlo, e mi rintano nel mio studio. Sfilo la giacca e la cravatta, arrotolo le maniche della camicia, mi siedo al tavolo, afferro un blocco e delle matite e inizio a disegnare. Disegno te, ancora una volta. Mi vengono alla mente tutte le espressioni che ti hanno attraversato il volto nel corso della giornata: quando ti sei infervorata parlando della tua amica, l’imbarazzo che ti ha fatta arrossire quando ti ho presa in giro leggendo la tua lettera di iscrizione al concorso dell’anno scorso, l’irritazione che ne è seguita, la freschezza e la genuinità del sorriso, così bello, che proprio non sei riuscita a trattenere.
Mi godo la lentezza della matita che scorre un po’ ruvida sul foglio mentre traccio decine di volte le curve morbide del tuo viso e del tuo corpo, ogni linea è parte di te. E mi trovo in difficoltà nel dover rendere la luce che avevi negli occhi mentre ti raccontavo di quel momento sulle Ande, mi hai guardato come… come se per un po’ non fossi più stato il cattivo, come se davvero ti fosse importato. È così, Caroline? Ti è importato? Ti importa conoscermi davvero?

In quel momento, quando ti ho resa partecipe di una delle esperienze più intime della mia lunghissima vita, mi hai fatto intravedere un po’ di luce, una possibilità. Una possibilità che non credo di desiderare davvero, ero serio quando dicevo che non tornerei umano, non saprei più nemmeno come si fa ad essere mortale… fragile. Preferisco questa solida, sicura oscurità che mi avvolge, mi rende potente e nasconde l’abominio che sono, che noi tutti siamo, Caroline. Ma, dal fondo di questo buio, mi piace vedere filtrare la tua luce, è così bella. Mi hai guardato con quegli occhioni così grandi e, nonostante tutto l’orrore che hanno già visto, così ingenui, che non sai quanto avrei voluto baciarti e quanto autocontrollo mi ci è voluto per trattenermi dal farlo. Non ti sono indifferente, ma non se ancora pronta ad andare oltre quel cane di Tyler, e non voglio sprecare la mia prima vera possibilità con te ora che potresti ancora allontanarti da me. Voglio che tu non riesca più a fare a meno di me, che mi baci con la stessa avidità con cui ti nutriresti del sangue, che starmi lontano ti sia impossibile, e per la prima volta non soggiogherò per ottenerlo: ti voglio vera e spontanea.
E a ripensarci ho di nuovo voglia di baciarti, la matita continua a muoversi da sola sul foglio e presto mi ritrovo davanti l’immagine di come vorrei che fosse, realistica in ogni piega di pelle e carne: le nostre labbra incastrate, gli occhi chiusi, le fronti aggrottate per l’emozione, le mie mani tra i tuoi capelli per spingerti di più verso di me, le tue fossette.

Sollevo lo sguardo verso la finestra, il cielo fiammeggia d’alba. Quante albe hanno visto i miei occhi?
Molte.
Infinite.
Troppe.

E i tuoi, quante? Quante ne ha viste quel colibrì? Quando ho perso l’umana sensibilità a queste cose?
Forse quando ho cominciato a darle per scontate, a vivere nella certezza che ci sarebbe sempre stata un’altra alba per me, che avrei sempre potuto vederne un’altra più emozionante. Ma che senso ha trovarsi dinnanzi a un capolavoro del genere e non goderne? Come si fa a goderne e non condividerlo? L’immortalità mi ha reso arido, Caroline. La mia superiorità, la mia unicità, il mio stesso essere mi hanno allontanato da tutti.
Sono così forte da non poter essere ucciso. Sono così potente da incutere timore ai miei stessi fratelli. Sono così assoluto da essere al di sopra di tutti e solo, per scelta mia e di chi mi sta accanto fisicamente. E poi ci sei tu, col carico di domande ed emozioni che, inconsapevole, ti porti dietro. Con le rivelazioni che mi regali.

Alla fine non hai risposto alla tua stessa domanda: se esistesse, la prenderesti la cura? Daresti via la tua giovinezza e la tua avvenenza eterne per un corpo che cambia, appassisce, muore? E soprattutto, io te lo permetterei? Ti consentirei di mettere fine ai tuoi giorni, risprofondandomi nelle tenebre più spesse? No, non credo che saprei essere così altruista... oppure sì. Ripenso a quando ti ho detto che, se Tyler fosse stato ancora asservito a me, non gli avrei permesso di farti del male. Ero sincero in quel momento, avrei davvero anteposto la tua felicità alla mia, avrei fatto un passo indietro lasciandoti a lui, sarei rimasto ad aspettare il momento in cui quel poco che ha da offrirti non ti sarebbe più bastato. E allora saresti venuta da me, avrei fatto in modo di farti desiderare la mia compagnia. Ma potrei accettare di mettere in discussione la tua immortalità? Lasciare che il tempo disegni il suo passare su di te con tratti indelebili, che ogni tuo secondo possa essere davvero l’ultimo, che le forme del tuo corpo, così perfette come sono ora, cambino, cedendo agli eventi, alla gravità, alla trascuratezza di una vita di umane preoccupazioni?
Una voce urla forte il suo NO, non posso permettere tutto questo, non sono così altruista. Quando ti ho salvata dal morso di Tyler ti ho detto che c’è tutto un mondo che ti aspetta lì fuori, ed è vero. Ma, soprattutto, ci sono io, e non rinuncio a te. Non posso.

Intanto un angolo della mia mente elabora, chissà come, un pensiero diverso: le forme del tuo corpo che cambiano, sì, ma per una nuova vita. Solo questo cambiamento ti renderebbe più bella e preziosa ai miei occhi. Non ho nemmeno bisogno di pensarci razionalmente, la matita accarezza il foglio in tratti morbidi, curve generose, e mi ritrovo ad ammirare te, coi capelli raccolti in maniera distratta, in un magnifico disordine, seduta sotto un albero, le mani raccolte sul tuo ventre rotondo e mi guardi, radiosa, di uno sguardo di luce, promesse, amore. Mi guardi, come se volessi sfidarmi e convincermi insieme, ma non c’è sfida, non c’è idea: ti guardo e sono già conquistato da questa immagine prodotta solo dalla mia mente. Da dove viene fuori?
Le mani mi tremano mentre reggo il foglio e un’eco lontana mi ricorda che, una volta, avevo un cuore.

Quanto male puoi farmi, Caroline? Quanto me ne stai già facendo? COSA mi stai facendo? Perché temo ciò che vedo e provo e insieme lo bramo intensamente, e se una parte di me mi grida di allontanarmi, di scappare e sopravvivere, un’altra parte non vede l’ora di fermarsi, stendersi al sole con te sotto quell’albero e godere non solo del suo calore e di te, ma anche di quella sensazione di finitezza e di completezza che solo la condizione umana può dare.
Guardo i tuoi occhi e il tuo sorriso, a cui ancora una volta non ho reso giustizia, e, dopo secoli, mi sento di nuovo sull’orlo di un baratro. Eccola qui, di fronte a me, la mia umanità, il mio nuovo colibrì. Non per me, ma per te forse accetterei di lasciare le tenebre che mi proteggono.

Ma tu ora non mi vuoi e, mentre una parte di me tira un sospiro di sollievo, do le spalle al giorno di fuoco che sorge impietoso sulle mie oscurità e ripongo la mia debolezza, il mio desiderio di te in un cassetto della mia scrivania e aspetto.
Aspetto il momento in cui capirai che ne valgo la pena, il momento in cui potrò condividere una nuova, bruciante alba con te, il momento in cui mi concederò finalmente di sentirmi vivo.
  
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