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Autore: A r l i e    30/10/2013    2 recensioni
«Io non sono pessimista, Jones, a differenza tua sono realista!»
« La realtà che ci circonda non è delle migliori, non credi? Essere realisti adesso è sinonimo di pessimismo.»
«Essere ottimisti adesso, invece, è sinonimo di incoscienza e ingenuità.» ribatté il soldato più grande con decisione.
La risata di Alfred però, sminuì il tono e la fermezza con cui aveva pronunciato quella frase, e questo irritò non poco Arthur.
«Meglio incoscienti che pessimisti.»
Genere: Angst, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Principato di Sealand/Peter Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Quando la guerra finirà…
Rating: Giallo
Personaggi: Alfred F Jones;  Arthur Kirkland; Peter Kirkland.
Pairing: UsUk
Genere: Angst, Guerra, Malinconico, Storico.
Premessa: Questa One-Shot è un AU ambientato durante la seconda guerra mondiale, nel bel mezzo dell’operazione husky, ovvero lo sbarco in Sicilia dell’esercito angloamericano.
In questa FF Vedremo Alfred e Arthur nelle vesti di comuni soldati.
I personaggi potrebbero risultare leggermente OOC.
Angolo di Shaira_: Ehilà! Shaira è tornata a rompere dopo un sacco di tempo su questo fandom.
Chi si ricorda della sottoscritta? *i grilli cantano*
Bando alle ciance, passiamo ai fatti.
Questa è la mia prima Shonen-ai, e con questo non voglio giustificarmi se fa schifo, ma ci tenevo a precisarlo.
Magari il contenuto potrà risultare un po’ inverosimile ma spero che possa piacervi ugualmente.
 
Buona lettura
Shaira.
P.S: Come sempre accetto ogni tipo di parere, positivo, neutro o critico... non mi offendo tranquilli ;)

Quando la guerra finirà

«E quando la guerra finirà, cosa farai?»
Arthur paragonò quella domanda appena fatta dal soldato americano, ad uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi.
Non capiva come Alfred Jones, riuscisse ad essere così ottimista e speranzoso in una situazione come quella.
Quando la guerra finirà.
Quella frase suonava assurda all’orecchio di Arthur .
Sospirò. Sollevò il busto da terra facendo leva sui gomiti, e osservò Alfred  con la coda dell’occhio: era steso accanto a lui, con le braccia incrociate dietro la nuca.
I capelli biondi erano mossi dal leggero vento della sera, le labbra piegate in un sorriso appena accennato.
Gli occhi di zaffiro osservavano rapiti il cielo stellato.
Un pensiero assurdo passò per la mente di Arthur: per un momento aveva pensato che non gli sarebbe dispiaciuto essere al posto del cielo; essere il protagonista degli sguardi e dei pensieri di Alfred. Scosse la testa nella vana speranza di scacciare quella stramba fantasia e pensare ad altro.
«Che domanda stupida,» sbottò guardando altrove: quell’americano cominciava a fargli uno strano effetto, doveva ammetterlo «non so neanche se sopravviverò.»
Alfred voltò il capo verso il suo interlocutore «Certo che sei davvero pessimista! Lo sai bene che ti proteggerò!» esclamò contrariato, prima di tornare a fissare il cielo «Io farò l’aviatore.»
«Io non sono pessimista, Jones, a differenza tua sono realista!»
« La realtà che ci circonda non è delle migliori, non credi? Essere realisti adesso è sinonimo di pessimismo.»
«Essere ottimisti adesso, invece, è sinonimo di incoscienza e ingenuità.» ribatté il soldato più grande con  decisione.
La risata di Alfred però, sminuì il tono e la fermezza con cui aveva pronunciato quella frase, e questo irritò non poco Arthur.
«Meglio incoscienti che pessimisti.» disse l'americano mettendosi a sedere «Piuttosto… ancora non hai risposto alla mia domanda. Allora? Cosa farai dopo la guerra?»
L’inglese esitò un po’ prima di rispondere «Non ci ho mai pensato.»  ammise; nei suoi pensieri –come in quelli di tutti gli altri soldati- non esisteva un dopo la guerra. «Credo che mi arruolerò nella marina militare, tanto per cambiare» rispose sarcastico.
Era difficile immaginare un futuro migliore, quando  ci si trova nel bel mezzo di un conflitto mondiale, ma forse Alfred aveva ragione: lui era fin troppo pessimista. Si alzò da terra e tese la mano al compagno per aiutarlo ad alzarsi. «Si è fatto tardi Jones, torniamo alla base.»

 
-^-^-^-^-

All’interno della mensa militare, echeggiava il vociare e le grasse e fastidiose risate dei soldati inglesi e americani.
Arthur era sul l’orlo di una cresi di nervi. Si massaggiò la fronte lanciando un’occhiata al soldato seduto al suo fianco, il quale cercava di far la corte ad una delle cameriere della mensa.
«Ah, le donne~ resteranno sempre un tabù per me.» sospirò quest’ultimo dopo aver incassato l’ennesimo rifiuto.
Magari avrebbe gradito di più un corteggiamento da un uomo sobrio, avrebbe voluto rispondere Arthur, ma si limitò ad annuire mentre l’altro mandava giù  l’ultimo goccio di vino rimasto.
E pensare che lui si riduceva in quello stato ogni venerdì sera quando era Inghilterra. A quel pensiero, provò una vaga sensazione di vergogna e ribrezzo.
«Come mai Jones non è venuto a mangiare?» chiese per cambiare argomento.
Solitamente l’americano era il primo a fiondarsi nella mensa e l’ultimo ad uscirne, gli era parso strano non vederlo lì.
Il soldato, nei limiti del possibile, cercò di spiegare all’inglese il motivo per cui Alfred non si era presentato.
Arthur rimase impietrito.
«Eri l’unico ad essere ancora  all’oscuro di tutto!» rise l’uomo, anche se non c’era davvero nulla di divertente in tutto quello che aveva appena raccontato.
«Dov’è adesso?» domandò Arthur cercando di celare con un telo di freddezza la preoccupazione e l’angoscia che provava in quel momento.
«Lo troverai sicuramente al poligono.»

 
-^-^-^-^-
 
A quell’ora del pomeriggio il poligono da tiro era sempre vuoto.
I soldati preferivano di gran lunga andare a pranzare piuttosto che perfezionarsi sulla loro mira, e martoriare la povera sagoma dalla forma umana con i loro proiettili.
Appena entrò nella stanza, Arthur sentì l’odore della polvere da sparo pizzicargli il naso.
Era lì Alfred, armato di pistola, cuffie e occhiali di protezione.
Gli dava le spalle. Stava sparando senza sosta il bersaglio, come se al suo posto ci fosse il suo più acerrimo nemico.
Arthur, prese l’occorrente e si affiancò al soldato americano, accanendosi anche lui contro la sagoma; solo quando le munizioni della pistola finirono, Alfred si accorse della sua presenza. «Immagino che anche tu adesso ne sei al corrente.» disse appena finirono anche i proiettili di Arthur.
«Mi dispiace.»
E cosa poteva dirgli? In quel momento non trovava parole più adeguate.
«Lo so, a tutti dispiace.» si avvicinò al tavolo e smontò la sua pistola provvedendo al controllo dei meccanismi e all’oliatura. Arthur lo imitò, posizionandosi nuovamente al suo fianco.
«Sai, l’ho visto» disse Alfred rompendo il silenzio che si era venuto a creare; l’inglese gli lanciò un’occhiata interrogativa, nel mentre si toglieva le cuffie «Il soldato tedesco che ha ammazzato mio fratello.» spiegò.
Il soldato più grande si lasciò scappare un sospiro frustato «Siamo in guerra Alfred.» mormorò sorprendendosi di averlo chiamato per nome: era la prima volta che capitava da quando l’aveva conosciuto « è normale che queste cose acca-»
«NON A LUI!» lo interruppe quasi urlando l’altro, intuendo come avrebbe concluso la frase  «Non doveva succedergli nulla…» con un gesto brusco e violento, fece scivolare la pistola a terra; l’inglese indietreggiò appena e Alfred  si accorse di aver esagerato: prese un profondo respiro alzando il capo al soffitto; una mano tremate passò tra i capelli e scivolò sulla nuca. «L’ho perso. Gli avevo promesso che l’avrei protetto una volta arrivati qui. Proprio come l’ho promesso a te, Arthur. E se…e se perderò anche te?»
«Non si è mai troppo prudenti in guerra. Se mai morirò sarà solo ed unicamente colpa di chi ha deciso tutto ciò.»
Forse era stata colpa della frustrazione, o forse cercava soltanto qualche appiglio a cui attaccarsi per non cadere in quel vortice improvviso di realtà e tristezza , ma sicuramente fu qualcosa a spingere Alfred a compiere quel gesto tanto avventato .
Prese il viso di Arthur tra le mani e prima che potesse dire qualcosa, posò le sue labbra su quelle sottili dell’inglese.
Fu un bacio proibito e disperato, che bruciava più del fuoco, che sapeva di lacrime e di tristezza ma allo stesso tempo di desiderio e di voglia d’evadere da quel mondo che ormai era diventato fin troppo grigio e crudele.
Arthur strinse con le mani i bordi del tavolo, contro il quale Alfred l'aveva spinto nella foga del momento.
Non l'aveva respinto.
L'aveva lasciato fare,  ma nella mente dell'inglese si era scatenato il putiferio.
Era sbagliato. Quel bacio era uno sbaglio
Socchiuse gli occhi sentendo il corpo del più giovane spingere contro il suo, poi si appuntò mentalmente di tirare una sberla a quell'idiota non appena le loro labbra si sarebbero separate dando fine a quel bacio.
Il più tardi possibile, sperò Arthur con tutto se stesso.

 
-^-^-^-^-
Come poteva un semplice bacio rubargli l’anima, il sonno e la concentrazione?
Arthur non si capacitava di quanto accaduto il giorno prima.
Dopo quel bacio, a differenza di come si era ripromesso di agire, non fece nulla.
Semplicemente abbassò lo sguardo e diede le spalle all'americano, poi sentì la porta della stanza sbattere violentemente e quando si voltò di Alfred non c'era più traccia: era andato via, l'aveva lasciato...solo?
Arthur sentì un vuoto dentro.
Era successo tutto troppo in fretta.
Non sapeva né come interpretare il gesto di Alfred, né come affrontarlo nel caso lo avesse incontrato.
Chiunque l'avesse visto in quel momento avrebbe notato le sue occhiaie più accentuate del solito.
«Dormito male?» chiese per l'appunto la voce intimorita di un soldato.
Arthur alzò lo sguardo dalla tazza di tè che stringeva tra le mani incontrando il sorriso sforzato del suo interlocutore.
Il ragazzo dimostrava a malapena diciotto anni, doveva essere uno dei più giovani, ipotizzò il biondo con amarezza.
Morire a diciotto anni, quando ancora non si sa quasi nulla della vita, com'è crudele la guerra...
«Perché, tu invece riesci a dormire?» chiese di rimando con arroganza, zittendo il giovane inglese.
Subito dopo si pentì di aver usato quel tono.
A volte non riusciva a capire come la gente riuscisse a sopportare il suo carattere scorbutico: Ah già, la gente non lo sopportava, non c'era niente da capire.
«Come ti chiami?»
«P-Peter»
«Anche mio fratello si chiama così. Ha otto anni...»
«Anche io ho una sorella di otto anni, si chiama Kaelin.»
Peter avrebbe continuato a parlare della sua amata sorellina se un forte e brusco boato non avesse interrotto la discussione.
Il pavimento tremò sotto i piedi di entrambi, facendo perdere l'equilibrio a Peter.
«Arthur Kirkland!»
L’inglese sobbalzò. Si alzò dalla sedia sulla quale era seduto, voltandosi di scatto verso il soldato, che dall’uscio della porta, lo osservava con gli occhi sgranati e il viso pallido.
«Cosa sta succedendo?!» chiese allarmato.
«I tedeschi e gli italiani…» l'altro deglutì sonoramente «…hanno circondato la nostra base»

 
-^-^-^-^-
 
Il cielo non era mai stato così cupo e tetro, eppure si trovavano in Sicilia, la terra del Sole, ma il Sole si rifiutava di risplendere su quel triste scenario.
Nell'aria aleggiava l'odore della polvere da sparo, misto a quello ferroso del sangue e a quello insapore della morte.
Le mani di Arthur tremarono, appena riuscì a mirare un soldato del fronte opposto.
La fronte corrugata era imperlata di sudore.
Un soldato rannicchiato dietro un cumolo di macerie, aveva cacciato una foto e un rosario e aveva conciato a pregare tra le lacrime, chiedendo a Dio di poter vedere la sua famiglia per l'ultima volta.
Arthur provò invidia per quell'uomo: almeno lui aveva qualcuno ad attenderlo a casa e qualcuno che l'avrebbe pianto alla sua morte.
«Arthur!»
Ed eccolo finalmente  un raggio di sole.
La voce che negli ultimi giorni era diventata la speranza di Arthur.
Il soldato alzò il volto incontrando quello sorridente di Alfred: quel ragazzo era incredibile, riusciva a sorridere anche in quella situazione, ma Arthur sapeva che quel sorriso era solo una maschera.
« Chinati o ti faranno fuori.»
«Non prendo ordini da nessuno,» replicò chinandosi al suo lato «meno che mai da te» sghignazzò impugnando l’arma.
Arthur l'aveva definito un idiota sin dal primo momento, per via di quel sorriso costantemente presente sulle sue labbra.
L’aveva definito insensibile, per via della sua spensieratezza .
L’aveva considerato un bambino imprigionato nel corpo di un adulto, per il suo definirsi “eroe”.
Solo in quel momento, guardandolo inginocchiato al suo fianco intento a prendere la mira, Arthur si rese conto di quanto si fosse sbagliato.
Alfred sorrideva sempre, perché era l’unico modo per mascherare la paura e la tristezza.
Alfred appariva spensierato, perché voleva sembrare agli occhi di tutti il più calmo, proprio per porsi come la guida del gruppo, colui che sa sempre cosa fare e che alla fine, in un modo o nell’altro, riesce a mettere in salvo tutti.
Alfred si autodefiniva “eroe”, non per vantarsi, ma perché avrebbe fatto di tutto per salvare qualcuno, anche rischiare la propria vita.
Le labbra di Arthur si incresparono in un sorriso, per un momento aveva quasi dimenticato di trovarsi nel bel mezzo della guerra, ma ci pensò la dura realtà a riportarlo con i piedi a terra.
Fu un attimo.
Un proiettile colpì in pieno Alfred, il quale si accasciò a terra dopo pochi istanti.
L’inglese in un primo momento non aveva capito cosa era successo, o semplicemente non voleva crederci.
 
«Non so neanche se sopravviverò.»
«Certo che sei davvero pessimista! Lo sai bene che ti proteggerò!»
 
Il mondo crollò addosso ad Arthur come un pesante macigno.
Lacrime e disperazione avevano annebbiato la sua mente impedendogli di ragionare.
«ALFRED!»

 
-^-^-^-^-
Il tocco delicato dell’infermiera, svegliò il giovane soldato dal suo sonno ristoratore.
«Scusami, non volevo svegliarti.» mormorò la giovane arrossendo, ritirando la mano dal viso ruvido del ragazzo.
«Non preoccuparti, anzi…»  biasciò lui passandosi le mani sugli occhi «…se non l’avessi fatto, molto probabilmente non mi sarei svegliato più.» affermò divertito.
«In effetti ci sei andato vicino.» ribatté prontamente l’infermiera. La ragazza lo osservava con la coda nell’occhio, nel mentre inseriva del liquido in una siringa.
Il soldato la guardò torvo «Uh? In che senso ci sono and-AHII»
La forza con cui l’infermiera aveva inserito l’ago nel braccio, gli fece strabuzzare gli occhi.
«Un proiettile ti ha colpito.» spiegò premendo con cautela l’estremità della siringa. «Hai perso molto sangue.»
«Cosa?»
«I tuoi compagni ti avevano dato per morto.»
Alfred socchiuse i suoi occhi azzurri assumendo un’espressione solenne « Vedi, è difficile mettere a tappeto un eroe come me.»  disse, lasciando scappare una risatina divertita all’infermiera.
«Per quanto tempo ho dormito?»
«Due giorni»
Un lungo fischio di stupore uscì dalle labbra dell’americano. «Ed è venuto a trovarmi qualcuno?» chiese speranzoso.
La ragazza scosse la testa amareggiata. «Nessuno»
«Neanche Arthur?»
Gli occhi della ragazza scattarono in quelli azzurri del soldato. Affondò i denti nel labbro inferiore e rimase in silenzio.
«Ah, sapevo già che non sarebbe venuto.» borbottò Alfred incrociando le braccia al petto. «Ma sono sicuro che in fondo è in pensiero per me» disse sicuro e determinato, più che altro stava solamente cercando di convincersi.
«Arthur Kirkland?» chiese in un flebile sussurro l’infermiera, prendendo tra le sue mani quelle di Alfred. «Arthur Kirkland, è l’uomo di cui parli ?»
«Sì, è proprio lui! È un ragazzo esile, con i capelli biondi e spettinati, ha due sopracciglia così grandi che potrebbero essere scambiate per due cespugli. Ho sempre avuto la tentazione di chiedergli se quelle cose che ha sugli occhi hanno vita propria, ma ha un carattere così burbero! Non gli si può dire niente. Ma…allora è venuto? Se sai il suo cognome è sicuramente venuto! Scommetto che ti ha chiesto espressamente di non dirmelo al mio risveglio. Lui è così…»
La ragazza restò in silenzio, ascoltando quelle parole cariche d’entusiasmo a testa bassa.
«Ehi! Allora? Ho ragione? » chiese impaziente Alfred.
L’infermiera scosse la testa in segno di diniego.
«Mi hanno detto che Arthur Kirkland è un tuo amico, è così?»
Alfred annuì perplesso «Sì, e allora?»
«Quando Arthur Kirkland è arrivato in infermeria le sue condizioni erano precarie. Abbiamo fatto di tutto per salvarlo ma non c’è stato niente da fare. A quanto hanno detto alcuni soldati, Arthur si è scagliato contro i soldati del fronte opposto non appena ti hanno colpito, ma il suo è stato un gesto avventato. In molti hanno cercato di trattenerlo ma lui, preso dalla rabbia non ha permesso a nessuno di fermarlo. Credeva che tu fossi morto, e probabilmente voleva vendicarti. Ha urlato il tuo nome prima di essere ridotto ad un colabrodo dall’esercito nemico. Mi spiace.»
Quando l’infermiera alzò lo sguardo, il volto di Alfred rigato dalle lacrime era rivolto alla finestra accanto al suo letto.
Un sipario nero era calato sul palcoscenico della sua vita: Insieme ad Arthur, quel giorno era morta anche la sua anima.

 
-^-^-^-^-
«E adesso che la guerra è finita cosa farai?»
La domanda del piccolo Peter, lasciò Alfred spiazzato.
Da quando anche il secondo conflitto mondiale aveva visto la sua fine, Alfred si era trasferito in Inghilterra e andava a fare visita alla famiglia Kirkland ogni mese, forse perché questo era l’unico modo che aveva per sentire ancora la presenza di quel burbero soldato inglese.
«Allora?»
Quella domanda lo riportò indietro nel tempo, a quella notte in cui lui e Arthur si erano allontanati dalla base.
L’americano non riuscì a trattenere un sorriso al pensiero di Arthur che, dall’aldilà, continuava a metterlo costantemente alla prova.
«Inseguirò i miei sogni, Peter. Credo proprio che diventerò un aviatore.»

 
   
 
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