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Autore: afep    01/11/2013    6 recensioni
Skyrim, terra di neve e ghiacci, di fieri guerrieri e bardi, teatro dello scontro tra Alduin ed il Dovahkiin e del ritorno dei draghi nei cieli di Tamriel.
Eppure non sono i draghi, il peggior problema di quelle lande, perché Skyrim è scossa sin dalle fondamenta da una guerra civile, un terribile conflitto che scuote gli equilibri di un popolo, distrugge le famiglie e nutre la terra con il sangue dei vinti.
Un conflitto destinato a far cantare le lame degli uomini in battaglia, ed il cui esito designerà il trionfo o l'inevitabile caduta dello Jarl ribelle.
---- sospesa ----
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ulfric Manto della Tempesta
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Windhelm è fredda. Più fredda di quanto avessi immaginato.
Fu questo il mio primo pensiero, mentre mi avvicinavo alle mura di quella città avvolta da un manto di neve. In sella alla mia giumenta grigia avevo viaggiato per mesi nella gelida terra di Skyrim, e presto sarei giunta a destinazione.
Disposti in formazione intorno a me, gli uomini della mia scorta avanzavano a testa alta, sopportando il freddo con stoico coraggio. Li ammiravo molto. Se fossi stata una Bretone di sangue puro come loro, probabilmente mi sarei limitata a battere i denti con le mani infilate sotto le ascelle.
Marciavamo in silenzio, accompagnati solo dallo scricchiolio della neve sotto i nostri passi e dal cigolio delle ruote del carretto su cui erano caricati i miei bauli. Di tanto in tanto uno dei cavalli sbuffava e scrollava il capo, facendo tintinnare le briglie, mentre gli uomini continuavano a tirare su con il naso e a pulirsi il moccio sugli orli dei mantelli.
Solo io, la mia balia e quattro soldati, che costituivano il mio corpo di guardia personale sin da quand’ero bambina, viaggiavamo in sella. Gli altri membri della mia scorta avanzavano a piedi, e la maggior parte di loro era raffreddata o febbricitante, a causa di quel clima terribile a cui nessuno di noi era abituato.
Sollevando una mano guantata mi sistemai il cappuccio orlato di pelliccia che mi circondava il viso. Ancora pochi minuti, e saremmo arrivati alle porte della città. Non mi sentivo pronta per affrontare quella nuova vita a Windhelm, e morivo dalla voglia di girare il cavallo e spingerlo al galoppo il più lontano possibile.
“Tutto bene, Lirael?”
Voltando il capo, incontrai lo sguardo indagatore di Mirala. La sua chioma pallida e le orecchie puntute erano nascoste sotto un cappuccio simile al mio, ma la fattura delle vesti ed i finimenti della sua cavalcatura erano notevolmente più semplici.
“Sto bene, Mira. Non devi preoccuparti per me.” Mi sforzai di rivolgerle un sorriso rassicurante, ma con un pessimo risultato. Gli occhi neri e lucenti della mia balia si strinsero, ed il suo viso tutto angoli acuti assunse per un attimo un’espressione sospettosa; ma poi i suoi tratti si distesero, tornando ad esprimere solo rassegnazione.
“Starai bene qui, tesoro mio.” Mi disse, volgendo lo sguardo verso le mura sempre più vicine di Windhelm. “Sono certa che starai bene.” Ripeté, quasi volesse convincere anche sé stessa delle proprie parole.
Sospirai, incapace di ribattere. Per la prima volta da quando ero nata non ero d’accordo con Mirala.
Quel viaggio terribilmente lungo da High Rock a Skyrim doveva portarmi dall’uomo che, troppi anni prima, mi aveva presa in sposa.
Il nostro era stato un matrimonio di convenienza, come capita spesso tra nobili, e come tutte le unioni dello stesso genere aveva come unico scopo l’accrescimento di due patrimoni e la creazione di un legame tra le nostre famiglie. Gli accordi erano stati presi per lettera, e dopo un anno di carteggi mi fu finalmente annunciato che non solo ero stata fidanzata, ma che presto sarei divenuta una sposa.
Ai tempi avevo appena dieci anni, mentre lui era già un uomo fatto. Ricordavo molto poco sul suo conto: un viso barbuto, una corazza incrostata di sangue e terra, due spalle ampie e la mano ruvida e callosa che stringeva le mie dita di bimba, mentre mi conduceva all’interno del tempio dei Divini.
Non consumammo le nozze. Quella notte dormimmo in camere separate, e la mattina successiva lui ripartì alla volta di Skyrim.
In condizioni normali avrei dovuto raggiungerlo da lì a tre o quattro anni, non appena avessi compiuto l’età giusta; ma mio marito non sembrava avere fretta di prendermi con sé, ed in seguito venni a sapere che aveva stretto un patto con il cagionevole Conte Wulfbert, fratello di mia madre e mio tutore dopo la morte dei miei genitori. Secondo gli accordi presi, sarei potuta rimanere ad High Rock fino alla morte del mio caro zio.
Vale a dire, fino a cinque mesi fa.
“Fermi. Chi va là?”
Io e Mirala arrestammo i cavalli, mentre un uomo della mia scorta smontava per andare a parlare con le sentinelle che presidiavano le porte della città.
Dall’alto della mia cavalcatura vidi Moran, il capo del mio corpo di guardia, gesticolare animatamente nel tentativo di convincere il soldato a cederci il passo. Sentivo su di me gli occhi curiosi ed inquisitori dei guerrieri Nord che sorvegliavano l’ingresso di Windhelm, e Mirala spostò il cavallo, parandosi tra me ed i loro sguardi insistenti.
Nessuna delle guardie della città sembrava sapere chi fossi, né parevano riconoscere i vessilli che portavo con me. Era piuttosto irritante.
Forse avrei dovuto mandare un messaggero per avvisare del mio arrivo.
Mentre aspettavo, sollevai lo sguardo lungo le alte porte in legno, ferro e bronzo, e notai un’enorme, spaventosa testa d’aquila in pietra, con il becco ricurvo spalancato in un urlo bellicoso. Faceva venire i brividi, ed istintivamente mi strinsi nel mantello e distolsi gli occhi da quell’animale mostruoso.
Era snervante dover rimanere lì, in mezzo alla neve, ad attendere che quegli stupidi soldati si decidessero o meno a farci passare. Lanciando un’occhiata ai miei uomini li vidi tremare di freddo, e provai una fitta di collera. Stavo per spronare il cavallo e raggiungere Moran, quando lo vidi stringere la mano alla guardia e tornare indietro a passo di corsa.
“Possiamo entrare, Milady.” Mi annunciò, prima di fare un cenno agli uomini del mio seguito.
Le porte vennero spalancate, ed io mi ritrovai all’interno delle solide mura innevate della città di Windhelm.
Appena entrati il mio fido Moran prese le briglie del mio cavallo, conducendolo al passo.
“Da questa parte, Milady. Le guardie mi hanno spiegato la strada.” Disse, ma io non lo stavo ascoltando.
Tutta la mia attenzione era per la città che mi si parava davanti. Ovunque guardassi, non vedevo altro che pietra grigia e neve candida.
Le strade all’interno delle mura erano completamente lastricate con la stessa pietra plumbea con cui erano state costruite le case ed i palazzi. In alcuni punti il gelo aveva sgretolato la roccia, lasciando piccoli cumuli di macerie che nessuno si era curato di far sgombrare.
Ero in una città grigia, sotto un cielo grigio.
Raramente ero stata in un luogo più caparbio e deprimente.
“Schiena dritta, Lirael. Ricorda perché sei qui.” Mirala mi fissò con  suoi begli occhi neri da Elfa, spingendomi a raddrizzare le spalle.
“Non potrei mai scordarlo.” Mormorai. Presi un gran respiro, e senza volerlo inspirai un fiocco di neve che mi fece starnutire. Mi sentivo in trappola.
Mentre avanzavamo, non potei fare a meno di chiedermi come sarebbe stato mio marito. Sapevo che aveva una ventina d’anni più di me, che veniva da una buona famiglia, e che mi aveva accettata solo perché avevo portato in dote duemila libbre di monete d’oro e seicento d’argento, oltre a tutti i gioielli ed i possedimenti del mio casato.
Guidati da Moran, io, Mirala e la mia scorta aggirammo una gran costruzione che portava l’insegna di una locanda e risalimmo lungo una scalinata dissestata, illuminata da grandi bracieri.
Davanti a noi si innalzava una seconda muraglia, grigia ed innevata come il resto della città. Notai che vi erano delle iscrizioni, ma erano così antiche e rovinate dalle intemperie che faticai solo a leggere le prime parole.
Passammo sotto l’arco di pietra che si apriva nel muro e fu allora che vidi, per la prima volta, il Palazzo dei Re.
Squadrato e severo, il castello si innalzava dal suolo come una roccaforte inespugnabile. Le doppie porte in ferro e legno erano meravigliosamente lavorate, ed erano di dimensioni impressionanti, come tutto il resto della struttura.
Smontai da cavallo, mentre Moran si rivolgeva agli uomini di guardia. Bastarono poche parole, ed una delle porte venne aperta, in modo che io ed il mio seguito potessimo entrare.
Mentre varcavo la soglia, preceduta dal mio caposcorta e da una guardia, e circondata dai miei soldati, non potei fare a meno di abbassare il cappuccio e sollevare gli occhi per osservare il soffitto. Era sempre di una deprimente pietra grigiastra, ma splendidamente intarsiato.
Un colpetto sulla schiena da parte di Mirala mi fece riportare lo sguardo sulla sala che si apriva davanti a me, ampia ed arredata unicamente da un lungo tavolo imbandito e da un trono di pietra che si stagliava sulla parete di fondo.
Stendardi azzurri pendevano dalle pareti, ondeggiando lievemente in risposta agli spifferi gelidi che entravano dagli schermi delle finestre, ed ovunque corni di bue riempiti di grasso spandevano una calda luce che si rifletteva sui piatti, sulle suppellettili d’argento, sulle pareti e sui pavimenti resi lucidi dai molti piedi che li avevano calpestati nel corso dei secoli.
Avrei voluto potermi soffermare più a lungo nella contemplazione della sala del trono, ma in quel momento la guardia parlò, portando la mia attenzione sui quattro uomini che avevo scorto in fondo alla stanza.
“Signore, Lady Lirael De Braose, da Daggerfall.” Annunciò, raddrizzando le spalle e sollevando lo scudo di legno che portava il vessillo della città.
La mia scorta si aprì ad ala intorno a me, ed io avanzai fino a metà sala, osservando gli uomini che mi fissavano con aria perplessa, cercando di indovinare chi, tra loro, fosse il mio sposo.
Uno di loro era troppo vecchio, uno troppo giovane, un altro aveva un aspetto troppo dimesso, ma il quarto… il quarto era sicuramente lui.
Mi fermai a circa una decina di metri da loro, aprii il mantello e mi inchinai il più profondamente possibile, cercando di tenere la testa alta e la schiena diritta.
“Salute, Marito.” Dissi, sperando di sembrare meno nervosa di quanto non fossi.
L’uomo che avevo davanti mi osservò con severo cipiglio, squadrandomi dall’alto in basso. Non sembrava molto contento di vedermi.
Anzi, aveva un’aria decisamente contrariata.
Ma per quanto la mia presenza lo seccasse, fece lo stesso un passo avanti, e mi rivolse un lieve inchino con il capo.
“Salute a te, Moglie.”
 
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La donna avanzò con eleganza sull’antico pavimento di pietra. Aveva il cappuccio abbassato sulle spalle, e la luce delle candele e dei lumi  si rifletteva sui suoi capelli, intrecciati e raccolti in cima al capo in un’acconciatura elaborata.
“Salute, Marito.”
Quando si inchinò con rigida grazia, il mantello di velluto rosso bordato di volpe si aprì, svelando un corpo sinuoso fasciato da uno splendido abito di broccato blu. Era alta e di aspetto gradevole, e lui non l’avrebbe mai riconosciuta, se la guardia non l’avesse annunciata.
Distrattamente si chiese quanti anni dovessero essere passati. Aveva sposato una bambina, ed ecco che ora gli si presentava una giovane donna.
La verità era che non la aspettava così presto; la sua presenza lì era l’ultima cosa che lui potesse desiderare, ma fece ugualmente buon viso a cattivo gioco.
Così avanzò con aria impassibile, la scrutò ancora una volta e chinò brevemente la testa .
“Salute a te, Moglie.” Disse Ulfric Manto della Tempesta.


 





 


Rieccomi qui, con una versione tutta mia della guerra civile. Per la prima volta mi cimento con uno stile “doppio” (testo in prima e terza persona nello stesso racconto) e con una protagonista femminile che non combatte e non indossa armature.
La storia, come dirò nei prossimi capitoli, ha inizio più o meno sette anni prima dello scoppio effettivo della rivolta, perché voglio sviluppare bene la trama.
Cercherò di non essere troppo di parte, dal momento che tratterò la guerra osservandola da ambo i fronti. Se notate qualcosa che non quadra, non esitate a farmelo sapere.

Un'ultima cosa: in questa storia cercherò di rappresentare una versione di Skyrim più realistica (per quanto possibile con un videogioco fantasy) e, soprattutto, medievaleggiante. Per questo motivo potreste trovarvi di fronte ad un ruolo della donna meno attivo e una società Nord un po' più maschilista. Ho volutamente reso Ulfric più burbero e intollerante che nel videogioco, per cui non aspettatevi di vedere uno Jarl piacevole e gentile. Infine la protagonista femminile potrà sembrare anche piatta all'inizio, ma avendo sempre scritto di donne forti volevo per una volta cimentarmi con un personaggio che crescesse con il susseguirsi dei capitoli, formandone il carattere mano a mano che si procede con il racconto. Insomma, non sarà sempre così monocorde.
  
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