C'era chi collezionava la biancheria intima delle amanti. Chi preferiva conservare una ciocca dei loro capelli. Chi si accontentava delle fotografie. Lui custodiva i loro guanti; mai una coppia, uno soltanto. Per ogni guanto, una forma, un profumo, una storia.
Se gli occhi erano lo specchio dell'anima, le mani erano la chiave di una vita. Mani d'angelo, perfette, farfalle leggere che danzano la melodia della vita. O mani di guerriero, segnate, lacerate e rimarginate, dense di vicende e di cicatrici.
La madre: i bianchi guanti di pizzo del matrimonio. Il padre: i guanti di cuoio a proteggere le mani dal lavoro. La nonna: i guanti di gomma per le faccende domestiche. Il fratello: i guanti da boxe appesi al muro.
E poi guanti di pelle, guanti di lana, guanti di seta, guanti lunghi e guanti corti, mezzi guanti, guanti neri, guanti colorati, guanti da motociclista, guanti da giardiniere. Mani esili, mani salde, mani delicate, mani invadenti, mani gentili, mani grandi.
E i suoi, di guanti? Non poteva conservarli. Mai. Che le sue mani compissero miracoli o causassero tragedie. Ogni giorno, guanti nuovi. Un paio, due, tre. A volte nessuno. A volte troppi. Bianchi guanti di lattice. Sterili guanti da neurochirurgo.