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Autore: Himenoshirotsuki    02/11/2013    17 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Frammenti di memorie-Arrivo a Sheelwood

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 

Erano una decina e si muovevano agili e sinuosi attraverso l'erba alta. Sopra di loro, un sole morente illuminava le faretre di lucido legno, facendo risplendere il filo dell'arma come fosse d'argento. Erano elfi arcieri, i migliori che l'esercito possedesse.
Uno di loro correva più veloce degli altri, talvolta voltandosi per essere sicuro di non aver seminato i compagni: era alto, longilineo, i muscoli allenati e tonici coperti da una tunica, stretta in vita da una fascia blu scuro. Aveva due occhi muschiati, verdi come gli aghi dei pini. Una brezza leggera fece fluttuare i suoi capelli neri, legati in una lunga coda. Accanto a lui stava un elfo di poco più giovane, dalla carnagione diafana. I capelli corti e fulvi incorniciavano un volto spruzzato di lentiggini e i due occhi grandi e azzurri gli conferivano un'aria quasi infantile. Questi sorrise, notando lo sguardo serio e concentrato del suo compagno.
- Ledah, sembri un corvaccio del malaugurio. - rise divertito, - Cerca di essere un po' più rilassato. Andrà tutto bene, come al solito. - 
Gli spallacci della sua armatura leggera brillarono sotto gli ultimi raggi.
- Tu sei sempre troppo ottimista per i miei gusti. Sembra che tu stia andando a fare una scampagnata. - sbuffò. - E sei pure un mio superiore! -
Il ragazzo lo guardò senza perdere il sorriso: – Un bravo comandante, mio caro corvetto, non deve assolutamente mostrare la sua ansia e la sua preoccupazione, altrimenti i suoi soldati ne risentirebbero. -
- Innanzitutto, non chiamarmi in quel modo, o ti prometto che non appena torniamo ti faccio nero, Brandir. - disse Ledah, guardandolo di traverso, - E poi il problema è che tu... sei troppo calmo. Per te andare sul campo di battaglia o a trovare la tua amata Aiwen è la stessa cosa. -
Brandir fissò il paesaggio davanti a sé, rimanendo sovrappensiero. Poi, sempre sereno, continuò: - Beh, Ledah, essere pessimisti non ha mai portato a nulla, quindi preferisco sorridere e pensare che torneremo al nostro villaggio sani e salvi. - 
Un'ombra attraversò i suoi occhi, per poi sparire veloce come era arrivata. 
- Questa guerra... tutto il sangue versato negli ultimi anni... mi ha sfiancato, lo ammetto. Però, se penso che lo faccio per garantire un futuro a me e ad Aiwen, ritrovo la forza. Quando hai qualcuno per cui combattere, riesci a superare qualunque ostacolo. -
Ledah incrociò lo sguardo dell'altro elfo e sul suo volto si dipinse un sorriso sghembo e divertito.
- Certo che tu sei proprio strano. Prima mi dici di non fare il musone e poi diventi serissimo e inizi con i tuoi discorsi filosofici. - rise di cuore. 
Brandir si unì a quell'insolita e inaspettata risata. Poi entrambi si volsero verso la foresta di Sheelwood che si stagliava maestosa davanti a loro. 
Due giorni prima era arrivata una soffiata secondo cui un piccolo contingente di umani si era stanziato nella parte orientale e l'Assemblea degli Anziani di Llanowar aveva deciso di mandare una squadra a controllare. Dapprincipio, Ledah era rimasto sorpreso nel vedere che i componenti scelti erano i guerrieri più forti dell'esercito, ma aveva deciso di tenere le proprie domande per sé. Era solo un arciere e c'erano dei limiti riguardo cosa gli fosse concesso o meno fare. Indagare sulle ragioni dei capi non rientrava fra i suoi compiti, quindi se n'era rimasto zitto, anche se dentro smaniava per ottenere qualche risposta, o almeno uno straccio di indizio.
-Oltretutto, ora stiamo andando a unirci con un altro gruppo di guerrieri. - aggiunse il rosso, poi si fece scuro in volto. 
"Continuo a credere che tutto ciò non ha senso.”
A pochi metri dai primi alberi si fermarono. Quattro elfi, ricoperti da pesanti armature e muniti di lunghe lance, vennero loro incontro. Il sole ormai era calato oltre l'orizzonte e le ombre giganti che si allungavano dai quei corpi possenti parevano le sagome di qualche bestia infernale. 
Quello che sembrava essere il capo li scrutò con attenzione e dopo un rapido cenno le due guardie che sbarravano loro il passaggio si scostarono, permettendo loro di procedere oltre. Il quarto guerriero, invece, li seguì silenzioso, come se volesse tenerli d'occhio. 
Ledah si guardò attorno. Sheelwood, a differenza di Llanowar, aveva un clima molto più mite, grazie alla catena montuosa dei monti Ettra che fermava i gelidi venti del nord. Nell'aria si respirava un forte odore di fiori e una brezza gentile carezzava i loro volti stanchi. Cipressi odorosi contornavano il sentiero che stavano percorrendo e i rami degli ippocastani, intrecciati sopra le loro teste, filtravano la luce lunare, donando a quella foresta un'atmosfera sacrale. Il silenzio che regnava attorno era interrotto dal frinire delle cicale o dal battito d'ali di un qualche uccello notturno, ricordando loro la vita che impregnava quel luogo. Luogo che, sino a pochi mesi prima, nessun umano era riuscito a vedere. 
Ledah camminava in rispettoso silenzio, colmando gli occhi e il cuore di tutta quella meraviglia che lo circondava. I suoi compagni si guardavano in giro, ancor più meravigliati di lui dalla varietà di flora e fauna. Soltanto Brandir sembrava non subire il fascino del panorama e, completamente immerso nei suoi pensieri, procedeva lungo il sentiero. Il suo sguardo solitamente pieno di gioia e vitalità si era fatto torvo e le sopracciglia erano aggrottate in un'espressione accigliata. 
Ledah gli si accostò: - Stai bene? Mi sembri più pensieroso del solito... -
L'amico si riscosse subito: - No, figurati. È solo una tua impressione. - 
Fece per accelerare il passo, ma Ledah lo trattenne. 
- Dimmi cos'hai. Puoi ingannare loro, - indicò col capo i loro compagni, - ma non me. Ti conosco da troppo tempo. -
Brandir scrutò per alcuni attimi avanti a sé, poi espirò stancamente, come se avesse trattenuto il fiato fino a quell'istante. 
- Questa storia non mi convince, ci deve essere qualcosa sotto. - bisbigliò, attento a non farsi udire, - Anche ai piani alti erano inquieti e la cosa mi ha insospettito. Benché sia una semplice missione di ricognizione, hanno insistito non solo che andassimo noi, ma addirittura che ci unissimo a un altro contingente. Ho chiesto informazioni anche ai membri del Consiglio, ma mi hanno detto poco e nulla. L'unica cosa che sono riuscito a scoprire è una diceria, secondo cui quel manipolo di uomini accampato a oriente possiede un'arma segreta. -
Ledah lo osservò incuriosito: - Che genere di arma? -
- Si mormora che il loro Comandante sia veramente molto abile. Ho sentito dire, oltretutto, che quel guerriero è colui che ha causato la caduta di molte delle foreste che abbiamo perso. -
- Allora non avevo notato solo io che qualcosa non andava. - Ledah fece scrocchiare il collo, - Anche a me è parso strano, ma visto che tu non dicevi nulla ho pensato di tenere i dubbi per me. - 
Tacquero entrambi, poi Brandir con fare scherzoso gli diede un pugno sulla spalla. 
- Dai, siamo noi che ci stiamo preoccupando per niente. - tornò a sorridere, – E poi sarei io quello che pensa troppo! Detto da un corvetto sempre corrucciato mi sembra quasi un complimento. - 
Si scambiarono uno sguardo complice e scoppiarono a ridere, come quando erano piccoli. Gli altri si voltarono fulminandoli e facendo loro segno di tacere. La guardia, che nel frattempo li aveva superati, li squadrò con fare altezzoso. 
- Vedete di piantarla, voi due. Sapevo che gli elfi di Llanowar non erano propriamente un modello di disciplina, ma non pensavo fino a questo punto. - 
Ledah stava già per rispondergli a tono e domandargli cosa mai avessero fatto di male, quando giunsero a destinazione. Tutti rimasero a bocca aperta davanti al supremo spettacolo che si offriva ai loro occhi. Quel luogo era il regno del verde. La pianura che si estendeva sino all'orizzonte era di un intenso colore smeraldo, l'acqua limpida e cristallina dei tre ruscelli che vi scorrevano pareva nascere dal nulla, come se scaturisse dai meandri della terra, e sugli argini levigati antichi salici vi intingevano le loro lussureggianti foglie. Ma la cosa che colpì i guerrieri di Llanowar fu il gigantesco e maestoso albero che si ergeva al centro della piana. Le sue fronde immense coprivano quel paradiso come le braccia di un padre benevolo e sui suoi rami così poderosi e robusti erano state costruite delle piccole case, all'interno delle quali si potevano scorgere intere famiglie.
- Quello è il Padre della Foresta, la nostra dimora. - spiegò la guardia, inspirando il profumo dei gelsomini, - Noi viviamo qui. Lui ci offre tutto: cibo, acqua e protezione. - 
Ledah continuava a guardarsi intorno, mentre camminava a seguito dei suoi compagni. Gli tornarono in mente le fredde piane di Llanowar e il quasi eterno inverno della sua terra: due luoghi completamente diversi, eppure splendidi nella loro unicità. Giunsero ai piedi di quell'imponente dio arboreo, alla base del quale vi era una rientranza custodita da altre guardie dall'espressione vigile e severa. 
- Ma quante ce ne sono?! Hanno proprio uomini da sprecare, qui. - mormorò Ledah a bassa voce. 
Non sapeva che quello stesso pensiero passava anche nella mente dei suoi commilitoni. L'unico che non sembrava sorpreso era Brandir. 
- Ora capirai perché c'è una così alta sorveglianza. - disse rivolto all'amico e ammiccò. 
La guida fece loro segno di fermarsi, poi procedette avanti.
Dopo aver sussurrato qualcosa alle orecchie delle guardie, queste si scostarono. L'insenatura li immise in un corridoio illuminato dalla fioca luce delle fiaccole. Mentre camminavano, Ledah si accorse che a costituire le pareti di quella galleria erano le radici dell'albero stesso. 
- Se non chiudi la bocca, ti entrerà qualche moschino, Ledduccio caro. - Brandir lo redarguì con tono canzonatorio, - Oggi ti stupisci spesso, vedo. - 
Rimase perplesso nel notare che l'amico non gli rispondeva. 
- Ledah? Mi stai ascoltando? - 
Ma l'elfo dai capelli neri e dallo sguardo sempre impassibile non gli dava più retta, affascinato com'era dalla magia di quel luogo: davanti a loro il passaggio si era allargato sempre di più, aprendogli la vista su una vera e propria città. Le case, semplici e rustiche, sorgevano su piani sopraelevati che parevano nascere dall'albero stesso. I primi erano collegati tra loro da enormi funghi, ai piedi dei quali giocavano gruppi di bambini affiatati e rumorosi. Dal terzo piano in su erano stati costruiti dei ponti in quella che sembrava ambra. Mentre salivano, le case diminuivano, lasciando il posto a ville eleganti e solenni, abitate da elfi vestiti in modo quasi principesco. Arrivati in cima non vi era più nulla, soltanto un alto portone in ebano, intagliato con le sagome degli eroi delle leggende che avevano popolato l'infanzia di ogni guerriero lì presente.
La guardia bussò agli enormi battenti. Dopo un paio di secondi venne ad accoglierli un anziano elfo, vestito con una lunga tunica bianca impreziosita da rifiniture bianche.
- Prego, seguitemi. Vi aspettavamo con ansia. - sul suo volto si dipinse un sorriso contornato da mille rughe, rivolto solo a Brandir. 
Ledah sussurrò: - Fanno le preferenze anche nei saluti? Poi dicono che siamo noi i maleducati. - 
L'amico fece spallucce e riprese a camminare. Furono immessi in una sala illuminata da fiammelle azzurre, sostenute dalle mani delle statue degli antichi dei. Con passi malfermi il vecchio passò attraverso quella colonna di sculture, fino a un'ultima scala che si volgeva su se stessa come le spire di un serpente.
Stavano per avvicinarsi, quando il vecchio li fermò: - Solo il vostro capo può essere ammesso al Consiglio di guerra. -
- Cosa?! Io non lascio solo il mio comandante! - sbottò uno degli arcieri di Llanowar. 
Alla sua protesta se ne unirono altre, finché Brandir fece loro segno di tacere. 
- Non preoccupatevi. Domani mattina vi metterò al corrente di quello che verrà detto. Ora andate. - la sua voce non ammetteva repliche. 
Dopo averli guardati ad uno ad uno, cominciò a salire. 
Ledah ascoltò i suoi passi risuonare nel silenzio e nell'oscurità, gradino dopo gradino, fino a quando, giunti alla fine della scalinata, furono coperti dal tonfo di una porta che si chiudeva. Mentre i suoi compagni si avviavano verso gli alloggi che gli ospiti avevano messo a disposizione per loro, Ledah si appoggiò a una di quelle statue, si accasciò sul pavimento e chiuse gli occhi, scivolando nel dormiveglia e aspettando il ritorno del suo migliore amico.


 

 

  
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