Non
avevo bisogno di altro.
A parte, si intende, te.
Si intende, già.
Non avrei mai creduto di arrivare al punto di passare notti insonni per
te.
…chi prendo in giro? Quante notti insonni ho passato per te?
Il punto è che non me la sentivo di dirtelo. Non me la
sentivo di arrivare al
punto da doverti rinfacciare ogni singola lacrima che ho versato anche
quando
hai anche solo finto di non volere più avere niente a che
fare con me.
Non me la sentivo di dirti che ti ho odiata perché pensavi
alle braccia di un
altro.
O almeno, io credevo fosse così.
Come
faccio a crederti, ora?
A chi devo dare retta?
Alla lei per cui ho pianto, o alla lei per cui sto piangendo?
Mi sento
vuota, perduta.
E quando mi sentivo così, potevo dirlo solo a te.
Mi sono
mozzata le mani ogni volta che volevo urlarti
‘AIUTO’.
Perché sei tu la causa della mia disperazione.
E’ difficile sapere che il fulcro della tua stessa esistenza
è anche quello che
ti sta uccidendo lentamente dentro.
Avevo uno sterile giardino in cui l’unica rosa eri tu.
Sono rimaste solo sterili foglie calpestate dal mio stesso ricordo.
E ogni battito è doloroso.
E’ un urlo che suona come il tuo nome.
Non ce la faccio a saperti qui e a non sentirti.
Sto urlando, sto cercando la tua mano
nell’oscurità.
Perché non mi senti? Perché la ritiri?
Non
tornare se non vuoi. Non mi importa.
Uccidimi pure lentamente, te l’ho sempre detto. Potresti
passarmi il petto con
una lama, e io ti giustificherei dicendo che forse volevi solo vedere
quanto
fosse affilata.
E ti fidavi solo della mia carne per scoprirlo.
Non tornare, non mi importa.
Me lo
ripeterò per anni, forse mesi, e non ne sarò mai
convinta.
…torna, ti prego.
Fammi
morire. Ma voglio che sia la tua mano ad uccidermi.
Torna,
ti prego.
Sii la mia tomba. Ogni tua parola d’odio sarà il
mio chiodo.
Ma se devo lasciare questo mondo, spingimi tu dall’altra
parte.