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Autore: Codivilla    03/11/2013    0 recensioni
E se dopo l'ultima partita contro i Dallas Ropers, finito lo sciopero dei giocatori professionisti di football, a qualcuna delle "Riserve" dei Washington Sentinels fosse stata riservata una ulteriore chanche?
• Dal primo capitolo:
Abbassò lo sguardo all’orologio che portava per vezzo al polso destro invece che al sinistro. Sbuffò pesantemente sotto i baffi grigi e si aggiustò la visiera del cappellino di paglia che portava calcato sul capo per coprire la calvizie che si faceva sempre più incipiente con l’avanzare degli anni.
«Avanti, giochiamo a football!» gridò infine, verso i suoi giocatori, battendo le mani un paio di volte.
Shane Falco, giuro che appena ti prendo ti uccido.

• Disclaimer: i personaggi citati, a parte quelli creati da nuovo, non mi appartengono e sono proprietà degli autori del film "Le Riseve" (titolo originale: "The Replacements") del 2000, diretto da Howard Deutch. C'è qualche riferimento ad alcune battute del film, ma in maniera sporadica. I nomi delle squadre non sono reali: sono quelli citati nel film, inventati dagli autori dello stesso. Mi scuso per eventuali svarioni in merito alle regole del football che, nonostante la mia documentazione in merito, possono essere presenti.
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Tre -
Sorprese inaspettate


***


 

Clifford stava rigirandosi la palla ovale fra le mani, seguendone le cuciture con il polpastrello dell’indice. Faceva un caldo dannato in quel buco che utilizzavano come stanza delle riunioni. Che poi, quella stanza non era neppure così piccola. Ma quando dentro c’erano una cinquantina di giocatori di football con un peso medio di un centinaio di chili l’uno, l’aria diventava irrespirabile. Tuttavia Clifford contribuiva poco ad ingombrare l’ambiente. Pur essendo molto alto, era infatti agile e scattante, mingherlino, adattissimo alle corse lungo il campo.
«Josh, apri un po’ quella cazzo di finestra. Sto crepando di caldo!» sbottò alla fine, rivolgendosi ad uno dei suoi compagni di squadra.
Un filo di aria fresca andò a dargli sollievo e si rimise a cuccia, continuando a studiarsi il pallone nei minimi dettagli.
Nigel dormiva dalla grossa, appoggiato sulla spalla di un linebacker quattro volte più grosso di lui. Era comico vederlo usare quella sorta di armadio umano come poggiatesta. A bocca aperta, ogni tanto rantolava e russava come una locomotiva a vapore. Le borse che aveva sotto gli occhi lo facevano assomigliare ad un panda. Era completamente avulso dall’ambiente circostante e pareva che neanche le cannonate l’avrebbero svegliato.
«Leo, si può sapere perché mai il coach ha voluto vederci a quest’ora del mattino?» chiese uno dei giocatori seduti nella prima fila, davanti alla cattedra e alla enorme lavagna sulla quale erano ancora disegnati gli schemi di gioco della settimana precedente. In effetti, non erano che le otto.
Pilachowski fece spallucce.
«Fra poco lo saprete, Mike. Un po’ di pazienza».
Shane, seduto più o meno al centro della terza fila di sedie, distese le gambe innanzi a sé rilassandosi. Si sistemò sulla testa la visiera del cappellino blu che indossava e incrociò poi le braccia sotto al petto. Se ne stava zitto mentre gli altri chiacchieravano del più e del meno, in attesa che McGinty facesse il suo ingresso nella stanza.
Cosa che non tardò ad avvenire; il coach infatti si presentò davanti ai suoi ragazzi in meno di cinque minuti. Si posizionò dietro la cattedra ed infilò le mani nelle tasche dei pantaloni color kaki che indossava, insieme ad un gilet grigio ferro dall’aria infeltrita sopra una camicia azzurrina.
«Ci sono tutti, Leo?» chiese sbrigativamente.
«Tutti tuoi, coach».
Leo indicò con un cenno il nutrito gruppo di ragazzoni intenti a scrutare il loro allenatore.
McGinty resto in silenzio per qualche secondo. Li osservò tutti con attenzione e, più che su di altri, il suo sguardo si fermò su Nigel che ancora dormiva saporitamente.
«Buongiorno, ragazzi».
«Buongiorno, coach!» risposero all’unisono. O meglio, tutti tranne Nigel, che venne svegliato di soprassalto da quel trambusto di voci e saltò sulla sedia, guardandosi attorno come se non si rendesse effettivamente conto di cosa stesse accadendo.
«Bene, vedo che anche Gruff è dei nostri, nonostante tutto. Ben svegliato, Nigel!»
«Ero sveglio, ero sveglio! Stavo… rimettendo in ordine le idee».
I ragazzi risero a quella affermazione. Pilachowski scosse il capo e McGinty annuì ridendo.
«Certo, certo. Allora…», il suo sguardo andò nuovamente ad alternarsi fra i diversi volti che gli erano davanti, «Vi chiederete il perché di questa riunione così mattiniera» disse infine, in tono serio.
Mike, il ragazzo che poco prima aveva domandato la stessa cosa a Leo, annuì vigorosamente. Clifford sembrò disinteressarsi solo in quel momento della palla che stringeva fra le mani, puntando gli occhi su McGinty, e Nigel si contorse sulla sedia come se non trovasse pace. Dal canto suo, Falco continuava a starsene tranquillo ed immobile, attendendo pazientemente che venisse svelato l’arcano. Solo gli occhi castani tradivano la curiosità del giovane quarterback: essi fissavano costantemente il suo allenatore, quasi volesse coglierne in anticipo le mosse.
«Come già saprete, da un mese a questa parte il dottor Andrew Miller non fa più parte del nostro staff di sanitari, e questo è un peccato», McGinty fece una pausa, «E’ un ottimo professionista e ci ha risolto un bel po’ di problemi in passato».
Molti dei giocatori annuirono. Più di qualcuno aveva avuto modo di avvalersi delle cure del dottor Miller, che si era trasferito esattamente un mese prima in un importante ospedale di New York.
«Tuttavia, non ci sono stati problemi a trovare un degno sostituto. A dire la verità, è stato il dottor Miller stesso a consigliarci in merito», il coach continuò a spiegare, guardando ora a destra, ora a sinistra. «Siamo qui stamattina perché abbia il benvenuto che merita e per stabilire i giorni in cui vi sottoporrete alla visita medica di inizio stagione. Dovrebbe arrivare a momenti».
Si guardò l’orologio al polso e storse leggermente il naso in un movimento buffo che gli fece ondeggiare i baffi grigi.
«Che palle!», sbuffò Clifford, «Perché dobbiamo fare questa dannata cosa ogni anno? Si vede lontano un miglio che siamo tutti sani come pesci!»
Qualche altro approvò quel commento mugugnando, mentre Nigel fece una pallina di carta che si preparò a lanciare in testa a Clifford, seduto tre file avanti a lui, alzandosi in piedi di soppiatto.
«Perché le regole della lega professionistica di football americano riportano scritto chiaro e tondo che se tirate le cuoia sul campo, la società deve poter dimostrare, carte alla mano, che la vostra dipartita non fosse prevedibile. Né tanto meno… evitabile», disse una incisiva voce femminile, facendosi largo bruscamente nella conversazione.
Per poco Nigel non cadde dalla sedia nel tornare a sedersi concitatamente.
McGinty si voltò verso la porta della stanza, esibendo un ampio sorriso verso la proprietaria della voce.
«Lei è chiara e concisa, proprio come aveva detto il dottor Miller. Prego, entri pure. Io e i ragazzi la stavamo aspettando. Sono Jimmy McGinty», disse tendendo la mano verso la figura che si era palesata alla porta.
Vi fu un gran trambusto fra i giocatori seduti. Un brusìo di sottofondo, in crescendo, accompagnò l’ingresso di una giovane donna dai lunghi capelli castani, raccolti in una coda di cavallo lunga fino a metà schiena, che indossava una t-shirt nera a mezze maniche aderente con su in rosso la scritta “Hard Rock Cafè – Barcelona”, abbinata ad un paio di jeans chiari e scarpette da tennis nere. A Shane per poco non prese un colpo, tanto che si raddrizzò di scatto sulla sedia e tese il collo verso la porta della stanza, per guardare meglio la nuova arrivata. Era proprio la ragazza che avevano visto il pomeriggio precedente, dopo l’allenamento! Si voltò verso Nigel e lo trovò intento a nascondersi dietro i compagni della fila davanti, imbarazzatissimo. Non riuscì a trattenere una risata sommessa, che mise a tacere coprendosi il volto con la mano e fingendo un colpo di tosse. Il gallese se ne accorse e gli mostrò il dito medio di rimando.
La ragazza parve non far caso al trambusto che la sua entrata aveva suscitato e strinse la mano del coach, accompagnando il gesto con un sorriso appena accennato.
«Vittoria Marchetti. Piacere. Il dottor Miller ha per me molta più considerazione di quanta ne meriti», ruotò il capo verso i giocatori seduti. «Certo che senza tutte quelle bardature addosso, non sono poi così grossi», aggiunse, scoccando poi una occhiataccia a Nigel che ancora cercava di nascondersi.
McGinty rise a quella affermazione.
«Non si faccia impressionare. Sono dei bravi ragazzi. Anche se un po’ indisciplinati, qualche volta», battè le mani seccamente per far cessare il brusìo che si era fatto sempre più alto. «Allora? La smettiamo, per favore?»
I ragazzi si zittirono immediatamente. McGinty sorrise indicandoli col capo.
«Visto? Basta saperli prendere».
«Speriamo di riuscirci, allora».
«Oh, se è vero quello che il dottor Miller ha detto di lei, ci riuscirà sicuramente».
Vittoria non commentò oltre. Si limitò ad incrociare le braccia sotto il petto e a voltarsi verso i giocatori in modo da trovarseli di fronte. Rimase in silenzio per qualche secondo, prima di prendere parola.
«Salve, ragazzi. Io sono la dottoressa Marchetti. Ho assunto in questa sede il ruolo che è stato del dottor Miller e spero di fare un lavoro buono quanto il suo. Il che sarà difficile, dato che il dottore è un’eminenza nel campo della medicina sportiva. Ma cercherò di fare il possibile. E anche l’impossibile, se sarà necessario».
Falco si mosse nervosamente sulla sedia. La situazione non gli andava per nulla a genio. A parte il fatto di avere per medico sportivo una donna, già di per sé una stranezza, quella ragazza gli sembrava fin troppo giovane per avere anche solo un quarto dell’esperienza del dottor Miller. Una cosa era certa: quello che meno gradiva la situazione era Nigel Gruff, che pareva star seduto sui carboni ardenti e dava proprio l’idea di uno che se la sarebbe filata, se solo avesse potuto.
«So che è sempre difficile guadagnarsi la fiducia di qualcuno, specie in campo medico, ma vi assicuro che se mi conosceste non avreste remore a farlo. Ad ogni modo, sono qui stamattina anche per rispondere ad eventuali domande».
Vittoria ruotò il capo verso McGinty, che guardò i suoi giocatori.
«Forza, ragazzi. Qualche domanda da fare alla dottoressa, prima di lasciarla al suo lavoro?»
Sembrò quasi che fossero tornati al college e che fossero stati interrogati da un professore. Sguardi evasivi, occhiate lanciate ovunque tranne che sul coach, gente che improvvisamente si accorgeva di avere la scarpe slacciate, o che trovava estremamente interessante una crepa nel muro.
Solo Clifford Franklin alzò la mano di scatto. Vittoria lo guardò ed annuì.
«Posso avere il suo numero di telefono?»
Ci fu uno scoppio di ilarità generale. McGinty lo fulminò con una sola occhiata. Fece per ribattere, ma Vittoria alzò la mano destra come a dirgli di lasciar stare. Mosse qualche passo in direzione di Clifford, che era seduto in seconda fila, e attraversata la prima fila di sedie, gli si parò davanti, chinandosi poi fino a poggiare le mani sui braccioli della sedia e a trovarsi col viso a qualche centimetro da quello del ragazzo.
«Oh, lo avrete tutti, il mio numero di telefono. Così potrete chiamarmi quando vi farete la bua e io non sarò presente», disse in un tono di voce condiscendente. Gli occhi scuri erano piantati in quelli di Clifford, talmente profondi e fermi che il ragazzo si pentì immediatamente di essersi messo in quella situazione. «Ci tengo a ricucirvi personalmente. Perché, devo ammetterlo…», fece una pausa voluta, ad effetto, «…mi diverte vedere che ve la fate sotto davanti agli aghi, voi uomini, grandi e grossi come siete», terminò infine, rialzando il busto e scoccando un’ultima occhiata al ragazzo di colore, che parve farsi piccolo piccolo. Falco socchiuse le palpebre per guardare meglio quella ragazza. 
Sarà pure piccolina, ma ha le palle.
McGinty se la rise sotto i baffi.
«Qualcuno che voglia fare una domanda meno stupida?» chiese, mentre Vittoria faceva il percorso a ritroso per tornare vicino a lui.
Nigel non riuscì a non fissarle il sedere mentre era di spalle. L’impressione avuta il pomeriggio precedente sul fondoschiena della ragazza era perfettamente confermata. La sua mano si alzò quasi automaticamente.
Vittoria gli fece segno di parlare, sorridendo di sbieco, un sopracciglio leggermente innalzato. Era curiosa di sapere cosa le avrebbe chiesto quel tipo.
Gruff si sentiva la gola arida come il deserto del Sahara.
«Lei… voglio dire… è… è… specializzata in medicina dello sport o… oppure… ecco… ha qualche altra… qualifica?», balbettò in tono incerto, tanto che si voltarono tutti a guardarlo, stupiti di vedere l’espansivo e solitamente logorroico gallese così in difficoltà.
«Sono un chirurgo ortopedico, in realtà. Mi occupo principalmente di…».
Un sonoro “driin-driin; driin-driin” interruppe il suo discorso. Infilò la mano destra in tasca, e ne trasse fuori il cellulare, guardando il display.
«Scusatemi, è importante», disse, prima di accettare la chiamata e portarsi il telefono all’orecchio.
«Dottore? Buongiorno…», si guardò l’orologio al polso sinistro, «…o meglio, buonasera. Che ore sono da quelle parti, le due di notte?» disse in Italiano, così che stettero tutti a guardarla senza capire una parola di quel che stesse dicendo. D’un tratto dette in una risata cristallina.
«Lo so che lei non dorme mai. Le ricerche sono pronte. Gliele spedisco in meno di un quarto d’ora, d’accordo? Ci sentiamo. Buonanotte». 
Chiuse la telefonata e si rimise in tasca il cellulare.
«Devo andare, ho del lavoro da sbrigare, coach».
«Ma certo, le abbiamo già rubato fin troppo tempo. Per le visite mediche?»
Vittoria si girò a guardare i Sentinels.
«Cominceremo domani mattina, alle otto. Li aspetto allo studio medico interno dello stadio, come faceva il dottor Miller. Le farò avere le liste dei nomi, così ognuno di loro saprà a che ora venire»,fece una pausa, con un lieve sospiro. «In due giorni dovremmo farcela e saranno tutti in regola per la prima partita della stagione».
«Bene, ottimo!»
«D’accordo. Arrivederci, coach. Buona giornata, ragazzi!»
Vittoria uscì dalla stanza, lasciandosi dietro una scia di nervosismo.
Il brusìo fra i giocatori ricominciò. Nigel si nascose la faccia fra le mani. Falco si alzò di scatto dalla sedia e uscì dalla stanza a sua volta senza proferire parola. Scoccò una occhiata al coach, scuotendo il capo: come poteva essere così tranquillo di fronte a quella novità assoluta per un campionato di football? I giocatori lo imitarono poco a poco, svuotando la stanza. Molti scuotevano il capo, alcuni alzavano le spalle. Era evidente che quella novità li lasciasse tanto smarriti quanto, a tratti, addirittura infastiditi.
Quando furono rimasti soli, Leo si avvicinò a McGinty, scuotendo il capo.
«Tu sei sicuro che sia una buona idea, avere un medico donna?»
McGinty annuì convinto, incrociando le braccia al petto in una postura severa.
«Quando ti propongono la scelta migliore, te ne freghi che abbia le tette o meno».
Ed anche quella era una sacrosanta verità.
 

***


Nigel tracannò tutto d’un colpo un bicchierino di Tequila. Fece schioccare le labbra deglutendo e serrò gli occhi. Quella schifezza bruciava come il fuoco.
«Cristo, non posso credere di essere così coglione!», disse, con la voce impastata dall’alcool.
«Meno male che te ne rendi conto da solo».
Shane accostò le labbra al collo di una bottiglia di birra e ne bevve qualche sorso.
LEnd-zone, il bar a pochi passi dallo stadio che era uno dei punti di ritrovo per i Sentinels, quella sera era stranamente quasi deserto. Musica anni ’80 veniva fuori dal vecchio juke-box che non era stato mai cambiato. Le luci fioche illuminavano il bancone lasciando il locale in penombra, e sfumando i contorni dei visi di Nigel, Clifford, Shane ed Annabelle, che se ne stavano seduti a sgranocchiare noccioline e bere drink.
«Aspettate. Dunque il vostro nuovo medico è quella ragazza che era al campo ieri pomeriggio? Vittoria?»
Annabelle era incredula.
Shane posò la bottiglia di birra sul bancone ed annuì, prendendo una manciata di noccioline e ficcandosele in bocca.
«Esattamente», rispose, masticando. La sua voce venne fuori ovattata e distorta, a causa delle noccioline, rendendolo simile a un bambinone cui non avessero insegnato che non si parla a bocca piena.
«E tu Nigel ci hai provato con lei?!», incalzò la ragazza, sgranando gli occhioni castani sul gallese.
«Sì, cazzo! Ma perché capitano tutte a me?!»
Nigel si prese la testa fra le mani, dondolandosi scompostamente.
«Dammene un altro!», disse poi al barman, spingendo il bicchiere vuoto verso di lui. Era l’ennesimo di molti bicchierini che già avevano preso residenza nel suo stomaco.
«Ehi, vacci piano, amico. Domani hai la visita medica!»
Clifford non aveva fatto che spassarsela fino a quel momento. L’intimidazione delle parole che nel pomeriggio aveva ricevuto dalla dottoressa era oramai svanita, e l’unica cosa che riusciva a fare era ridere delle disgrazie di Nigel.
«Ecco perché pareva non essere affatto interessata ai provini! Dio, è la situazione più assurda che abbia mai sentito. E anche la più divertente!»
Annabelle diede un buffetto a Nigel. Lei pareva non cogliere affatto la tragicità della situazione come la vedevano invece Shane e gli altri.
Nigel, per tutta risposta, continuò a starsene con la testa fra le mani, scuotendola, in attesa della sua Tequila, borbottando parole sconnesse e biascicate. Ufficialmente, si poteva dire che fosse ubriaco.
«Tu cosa ne pensi, Shane?», Clifford si fece improvvisamente un po’ più serio. «Voglio dire…non è una cosa…normale».
Alzò le spalle, tamburellando poi con le lunghe dita sul legno del bancone.
Falco mandò giù le noccioline con un altro paio di sorsi di birra. Dondolò un poco la testa, con fare scettico, chinandosi col busto sul bancone e appoggiandovi i gomiti, tenendo le braccia incrociate sotto il petto. I capelli scuri ricaddero morbidi sulla fronte, seguendo i movimenti del suo capo. Un piede si muoveva frenetico su uno degli appoggi di ferro dello sgabello.
«Non so». Respirò profondamente, guardando le bottiglie disposte in ordine dietro il bancone. «Certo, non è una cosa convenzionale. Non credo che mi piaccia l’idea che sia una donna, il mio medico sportivo. E poi…», fece una pausa, voltandosi verso gli altri tre.  «…Voglio dire, sembra… così giovane. Non sono certo che abbia l’esperienza adatta».
Si attaccò nuovamente alla birra.
Clifford annuì ed Annabelle sospirò. Il discorso di Shane non faceva una piega. Nigel fece fuori in un nanosecondo il nuovo bicchierino di Tequila che il barman gli aveva messo davanti.
«Io l’ho pure scambiata per una aspirante cheerleader. Santo Dio! Non posso credere che tutta questa storia sia vera!», piagnucolò il gallese, accendendosi una sigaretta.
Annabelle scese dallo sgabello dove era seduta ed abbracciò da dietro la schiena Shane, posando la testa sulle sue spalle e circondando con le lunghe braccia l’ampio torace del suo uomo.
«Il coach cosa dice in merito, Shane?», chiese, dondolandosi un poco in quell’abbraccio.
Shane posò le sue mani su quelle di Annabelle, intrecciate sul suo petto.
«Lui pare tranquillo, anzi, credo abbia molta fiducia in quella ragazza. E’ l’unico motivo per cui non mi sono opposto apertamente. Mi fido del suo giudizio». Il tono del giovane continuava ad essere serio. «Anche se sono convinto che sia una stupidaggine. Il medico sportivo di una squadra maschile non può essere una donna!»
«Già. I ragazzi non sono affatto contenti. E devo dire che il pensiero di mettermi in mutande davanti a lei dopo che ha minacciato di volermi ricucire non è poi così eccitante come pensavo!» Clifford sbuffò bevendo qualche sorso da un bicchiere pieno di un liquido rosato, un accozzaglia di alcool che doveva somigliare a un cocktail.
Nigel mandò giù un ulteriore bicchierino di Tequila, aspirando l’ultimo tiro della sua sigaretta e spegnendola nel bicchiere.
«Vado a vomitare», annunciò in tono melodrammatico. Rischiò di cadere e rompersi l’osso del collo scendendo dallo sgabello e si avviò verso il bagno.
«Io invece vado a dormire». Shane sciolse l’intreccio delle mani di Annabelle sul suo torace e si mise in piedi scendendo dallo sgabello, cingendole le spalle. «Ti accompagno a casa» disse, stringendola a sé.
«Non vuoi fermarti da me?»
«Non stasera. Sono sfinito, Annabelle».
Le sorrise, e la ragazza si accorse che era la verità dai tratti stanchi del volto di lui.
«Clifford, porta a letto Nigel. Ancora un bicchiere di Tequila e non sarà in grado neanche di ricordarsi il suo nome», aggiunse Shane, lasciando sul bancone una banconota da venti dollari.
Nigel tornò dopo parecchi minuti, ancora più pallido di quanto non fosse già normalmente. Anche se in quel pallore faceva capolino una sfumatura verdognola, segno che il suo stomaco doveva essere in pieno subbuglio. Aveva gli occhi socchiusi e guardava gli sgabelli lasciati vuoti da Falco e Annabelle. Sbuffò guardando Clifford.
«La fortuna di essere il quarterback e farsi la capo cheerleader. Beato lui!»
Clifford rise e si alzò, dando una pacca sulla spalla di Nigel, per poi trascinarlo verso l’uscita del locale.
«Tranquillo, Nigel. Annabelle non te l’avrebbe mai data comunque. Fare il quarterback non avrebbe cambiato la brutta faccia che ti ritrovi!», disse ridendo, mentre ficcava con la forza il gallese nella sua auto.
Nigel riuscì a malapena a trovare la giusta coordinazione occhio-mano per mostrargli il dito medio, prima di cadere profondamente addormentato sul sedile del passeggero, russando talmente tanto da far tremare l’intero abitacolo.

 

_________ ₰ _________

 

- Angolo Autrice:
No, non mi sono dimenticata della mia piccina. Solo che ultimamente ho davvero pochissimo tempo per fare qualsiasi cosa. 
E... ta-daaaaah! Sorpresona riguardo il ruolo della bella Vittoria in questa storia. Commenti? Qualcuno che si aspettava qualcosa del genere? Preferivate fosse una semplice cheerleader?
Quel che è certo è che il suo arrivo ha scombussolato i nostri poveri ragazzoni dei Sentinels, e non poco...
Vi lascio recapiti vari per contatti, curiosità, e anche rotture di scatole:
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La Canonica del Vicario (Gruppo Facebook)
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Grazie a chiunque passerà di qui e si fermerà a leggere. 

 

 

   
 
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