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Autore: Jadis96    05/11/2013    3 recensioni
Quella che inizia come una semplice conversazione mattutina si trasforma in un dibattito intenso che aiuterà V a capire il punto di vista comune, la vox populi. Scoprirà che ci sono cose che deve ancora imparare e che Evey potrà rivelarsi una valida alleata.
[Fa parte della serie "V"]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'V'
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Come ogni 5 novembre, ecco la mia one-shot.
Per chi non lo sapesse fa parte della serie “V”, in cui trovate le altre quattro che ho postato gli anni scorsi.
Buona lettura e… Remember.
 
La perfezione non è una realtà, è solo un potenziale, pensai, mentre versavo l’uovo nella padella. Mi premurai di togliermi i guanti prima di accendere il fuoco.
Non c'era nulla di poetico in un uovo ancora crudo, ma io vedevo molto più di quello: vedevo un potenziale. Il piatto finale sarebbe stato un delicato equilibrio di odori e sapori, un'opera d'arte. Ritenevo che cucinare fosse particolarmente rilassante, soprattutto quando sapevo che il cibo sarebbe dovuto appartenere al mio carissimo amico Cancelliere. Mi metteva di buon umore immaginarlo mentre gli veniva detto che, per l'ennesima volta, qualcuno era riuscito a sottrarre delle provviste dai camion di forniture governative. La leggera musica in sottofondo e lo scoppiettare dell'olio sul fuoco mi impedirono di accorgermi di non essere solo nella stanza.
<< V? >>, mi chiamò Evey, esitante. Era la prima volta che usava quel nome. A pensarci, era anche la prima volta che si rivolgeva a me con gentilezza.
Feci rivoltare il contenuto della padella, e risposi: << Ah, buonjour mademoiselle >>.
Evey arrivò dritta al punto. Era una caratteristica di lei che apprezzavo molto.
<< Volevo scusarmi per la mia reazione di ieri sera. Capisco quello che hai fatto per me e voglio dirti che te ne sono grata >>.
Non mi aspettavo delle scuse, ma fui contento di riceverle. Oltretutto, Evey sembrava sincera.
Ad un tratto il suo sguardo si spostò più in basso.
<< Le tue mani! >>. L'espressione sul suo viso voleva essere preoccupata, ma tradì anche un senso di orrore. Mi affrettai a riprendere i guanti che avevo lasciato sul tavolo. Anche quella era una sensazione nuova. Imbarazzo, vulnerabilità? Non sapevo come chiamarla.
<< Così va meglio. Spero che non ti abbia fatto passare l'appetito >>.
<< No, figurati. Stai... bene? >>.
Anche il suo interesse sembrava sincero. Era qualcosa a cui non ero abituato.
<< Oh sì, benissimo >>, risposi. Ed era vero. Era bello avere altra compagnia oltre ai libri e alle opere d'arte. Mi ritrovai a sperare che gradisse la colazione che stavo preparando.
<< Posso chiederti com'è successo? >>.
Tornai ad occuparmi dell'omelette. C'erano tante cose di cui avrei voluto parlare con Evey, ma l'incendio a
Larkhill non era tra queste. Eppure, non potevo ignorare quella domanda posta con tanta cortesia.
<< C'è stato un incendio, molto tempo fa. Storia antica, per alcuni. Devo dire che non è un argomento che si addice alla tavola >>.
La stavo studiando, molto attentamente. Volevo valutare ogni sua reazione, ogni sua parola. Ero come uno scienziato che osserva per la prima volta il suo esperimento, in attesa di vederne la riuscita.
<< Dimmi, vorresti una tazza di tè insieme all'uovo? >>.
Lo sguardo di Evey s'illuminò. << Sì, grazie. Sto morendo di fame ad essere sincera >>.
Quella frase mi fece venire voglia di sorridere. Non ricordavo l'ultima volta che avevo provato una sensazione simile.
<< Accomodati >>.
Fu bello vedere Evey mangiare con tanto gusto. Non avevo mai cucinato per qualcun altro prima di allora.
<< È squisito >>, disse Evey. Non era una frase di cortesia, lo pensava davvero. << Bene >>, risposi con soddisfazione.
<< Non mangiavo vero burro da quando ero bambina. Dove l'hai preso? >>.
Istintivamente valutai se fosse il caso mentire, ma non mi parve giusto farlo. Evey era stata sempre sincera con me. Decisi che da quel momento anche io lo sarei stato con lei.
<< Da un treno di forniture governative destinato al cancelliere Sutler >>
<< L'hai rubato al cancelliere
Sutler >>, Evey era incredula.
<< Sì >>.
<< Tu sei matto >>.
Non era la prima volta che mi veniva rivolta quella frase, ma il tono amichevole e divertito con cui Evey la pronunciò rese quelle parole quasi affettuose.
<< Io oso fare tutto ciò che può essere degno di un uomo, chi osa di più non lo è >>.
Evey riconobbe la mia citazione immediatamente. <<
Macbeth! >>
<< Bravissima >>.
<< Mia madre mi leggeva sempre
Shakespeare e da allora mi è venuta una gran voglia di recitare. Interpretare commedie, film... A nove anni feci Viola nella Dodicesima Notte. Mamma ne fu orgogliosa >>.
Oh bene, un'attrice.

Una parte di me sentiva odore di opportunità. Opportunità consegnate su un piatto d'argento dal Fato in persona. L'altra parte di me, invece, era solo curiosa di ascoltare la triste storia di quella ragazza. C’era un elemento comune nello sguardo e nell’espressione di tutti coloro che avevano una triste storia alle spalle, ed Evey era tra questi, ne ero certo. Fui felice che non potesse guardarmi negli occhi: le persone con un passato triste si riconoscono a vicenda e temevo che, se Evey mi avesse visto, avrebbe capito troppo. Finché c’era una maschera a separarci, entrambi eravamo al sicuro.
<< Dov'è tua madre adesso? >>.
<< È morta >>, rispose Evey, e dal tono che usò capii che era successo molto tempo prima.
<< Mi dispiace >>, dissi, ma non era del tutto vero. Non potevo essere dispiaciuto per la morte di qualcuno che non avevo mai conosciuto.
Trascorse qualche secondo di silenzio, poi Evey chiese, << Posso chiederti di quello che hai detto in televisione? >>.
<< Sì >>.

<< Dicevi sul serio? >>.
<< Ogni singola parola >>.
<< Tu pensi che far saltare in aria il Parlamento renderà migliore questo paese? >>
<< Non vi sono certezze, solo opportunità >>.
Opportunità su un piatto d’argento.
<< Beh puoi essere certo che Creedy incappuccerà chiunque si presenti, dal primo all’ultimo >>. Evey si sbagliava di grosso, ma era facile capire che parlava in quel modo perché aveva paura.
<< I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli >>. In molti sottovalutavano il potere della paura, ma io no. Avevo visto uomini soffrire e morire, la loro forza di volontà piegata e spezzata, il tutto sotto il peso della paura.
<< E tu farai in modo che questo accada facendo esplodere un palazzo? >>, chiese Evey con un tono scettico. Quella conversazione iniziava a piacermi sempre di più.
<< Il palazzo è un simbolo >>, spiegai, << come lo è l’atto di distruggerlo. Sono gli uomini che conferiscono potere ai simboli. Da solo un simbolo è privo di significato, ma con un bel numero di persone alle spalle far saltare un palazzo può cambiare il mondo >>.
<< Vorrei tanto che questo fosse possibile, ma ogni volta che ho visto cambiare questo mondo è sempre stato in peggio >>.
Dovetti riconoscere che aveva ragione. Avevo iniziato quel dibattito credendo che non ci fosse domanda né critica a cui non avrei saputo rispondere, ma quell’ultima frase provò che mi sbagliavo. Avevo preso un’idea da un passato ormai quasi dimenticato, dal 5 novembre del 1605, mi ero aggrappato ad essa, l’avevo fatta mia, fino a diventare io stesso un’idea. Ma solo in quel momento capii che il popolo che volevo liberare era fin troppo sfiduciato e rassegnato. Non volevano un liberatore, non volevano ribellioni, guerre civili, rappresaglie. Volevano solo essere lasciati in pace nella loro miseria.
Dovevo dargli qualcosa in più di un’idea, dovevo accendere una scintilla e attendere con pazienza che diventasse una fiamma.
Mi sedetti di fronte ad Evey, felice della sua presenza. Mancavano 363 giorni al 5 novembre: avevo ancora molto da insegnarle e altrettanto da imparare.
Nel frattempo, restai a godermi l’odore di omelette appena preparata.
La perfezione è solo un potenziale, pensai. Io ed Evey avevamo il potenziale per fare grandi cose. Forse, persino sfiorare la perfezione.
   
 
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