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Autore: Beauty    05/11/2013    8 recensioni
Cosa succederebbe se le principesse delle favole vivessero nel mondo reale?
A Garden Hill, vivono vite differenti Blanche (Biancaneve), Evelyn (Cenerentola), Jasmine, Ariel, Annabelle (Belle), Caroline (la Bella Addormentata), Esmeralda, Marion (Lady Marian), Roxanne (Cappuccetto Rosso), Penn (Rapunzel) e le sorelle Elsa e Anna. Vite comuni, fra lavoro, università e amici, con i vari problemi, i vari sogni e le varie speranze. Una festa di Halloween in cui niente andrà per il verso giusto farà incrociare queste dodici vite, riportandole sulle tracce di un omicidio dietro al quale si celano storie dimenticate e loschi personaggi, dove nulla è come sembra e che, apparentemente, sembrano collegate all'azione del serial killer che terrorizza Garden Hill, da tutti conosciuto come "il Lupo". E, a mano a mano che le cose si faranno più complicate e pericolose, il lieto fine sembrerà essere sempre più lontano...o forse no?
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1
 
C’era una volta
(prima parte)
 
 
I’m not Snow-White,
But I’m lost inside this forest.
I’m not Red Riding Hood,
But I think the wolves have got me.
Don’t want the stilettos,
I’m not, not Cinderella.
I don’t need a knight, so baby take off all your armour.
You be the Beast and I’ll be the Beauty.
Who needs true love as long as you love me truly?
Will you wake up me boy if I bite your poisoned apple?
 
[Natalia Kills, Take me to Wonderland]
 
Faceva freddo, quella mattina, e fu proprio a causa di questo che Evelyn Marsh si alzò ben due ore prima che la sveglia suonasse. Nella soffitta all’ultimo piano del Grand Hotel non c’era altro riscaldamento se non un vecchio termosifone che raramente si degnava di funzionare. Il soffitto di legno era basso e spiovente, l’ambiente angusto e l’unica fonte di luce nelle ore diurne era rappresentata da una finestrella appena sopra al letto. D’inverno c’era sempre umidità e spesso ci pioveva dentro, mentre d’estate si soffocava dal caldo.
Non era esattamente il luogo migliore per una camera da letto, ma negli anni Evelyn ci aveva fatto l’abitudine. La ragazza aprì gli occhi, accorgendosi solo vagamente che il sole non era ancora sorto e lei stava congelando. Si tirò su a sedere in fretta, improvvisamente sveglia, e si avvolse la coperta intorno alle spalle, rabbrividendo. Era fine ottobre, e a giudicare dalle nuvolette di fumo che le uscivano dalla bocca ad ogni respiro, là dentro dovevano essere sottozero!
Evelyn si sporse davanti, innervosita, tirando due pugni decisi al termosifone nella speranza di sentire il familiare ronzio che le assicurava ogni volta che la sua unica fonte di riscaldamento non fosse sprofondata in stato comatoso, ma non udì niente. Sferrò un terzo pugno, rabbiosamente, digrignando i denti. L’inverno ancora non era ufficialmente iniziato, e già il riscaldamento l’abbandonava al suo destino…avrebbe dovuto farlo presente a Lucrezia…
Evelyn fece una smorfia.
Sì, come no. Come se a Lucrezia importasse veramente qualcosa di lei e dei suoi problemi con il termosifone. Per quel che la riguardava, avrebbe anche potuto morire assiderata. Ma forse papà…
…papà delegava tutte le questioni riguardanti il Grand Hotel a Lucrezia. E poi, ora era in tournée.
Evelyn sbuffò, stringendosi ancora di più nella coperta e lasciandosi cadere pesantemente distesa sul materasso. Scoccò un’occhiata alla radiosveglia: erano le cinque del mattino. Il suo turno sarebbe iniziato alle otto, ma rimettersi a dormire era pressoché impossibile, dato che là dentro si gelava, e poi…
La ragazza udì un insolito brusio proveniente dall’esterno del Grand Hotel. Sollevò il busto dal materasso, rimanendo in ascolto. Sembravano voci, rumore di oggetti spostati, di passi. E provenivano dall’esterno, ma dovevano essere al di fuori della zona dell’albergo, realizzò, dato che era ancora troppo presto perché gli ospiti si fossero già alzati, e il personale di servizio era molto discreto e silenzioso. Evelyn si tirò su a sedere, abbandonando il letto sempre tenendosi la coperta avvolta intorno alle spalle, ben decisa a tagliare la testa al toro e a finirla con le supposizioni.
Zampettò a piedi scalzi sino alla finestrella della soffitta, sollevandosi sulle punte per vedere meglio.
Fuori era ancora buio pesto, data la stagione invernale, ma fortunatamente i lampioni accesi nel giardino del Grand Hotel e alcune luci oltre la siepe che delimitava il confine fra l’albergo e la casa vicina l’aiutavano un poco a scorgere cosa stava succedendo: come previsto, il brusio in questione proveniva da oltre la proprietà di suo padre.
Evelyn aggrottò le sopracciglia, perplessa, non appena scorse il movimento nel cortile della villa confinante. Era una casa molto vecchia, in stile coloniale, quella che confinava con il Grand Hotel di Garden Hill. Sorgeva nel mezzo di un grande parco, con fiori, piante esotiche e un imponente labirinto formato da siepi e rampicanti; aveva le pareti bianche e, a giudicare dalla sua forma, contava almeno tre piani, più un numero ignoti di ampie terrazze, anch’esse ricolme di vasi pieni di terra e fiori rari. Da che ne aveva memoria, Evelyn non ricordava che ci avesse mai abitato nessuno, là dentro: certo, di tanto in tanto si vedevano alcuni domestici, come giardinieri e cameriere, che si affaccendavano per tenere in ordine, ma la ragazza poteva affermare con sicurezza di non aver mai scorto i proprietari, né tantomeno un viavai di gente così intenso e di prima mattina.
Uomini e donne, perlopiù domestici, muratori e facchini, trasportavano all’interno della villa una gran quantità di roba, da mobilia, a soprammobili, a tende, e chi più ne ha più ne metta, scaricando scatoloni e oggetti imballati da dei grossi camion da trasloco, e parlandosi a vicenda ad alta voce.
Chiunque possedesse quella casa, aveva deciso di tornare ad abitarci.
Evelyn fece spallucce, allontanandosi dalla finestra e mettendosi alla ricerca dei propri vestiti. Non era mai stata un tipo curioso, e d’altra parte, da anni ormai quasi più niente la stupiva, figurarsi un trasloco. Fece un sorrisetto pensando che, di sicuro, Tysha e Tamara sarebbero subito corse ad arrampicarsi su qualche albero per poter sbirciare meglio, non appena avessero saputo la novità.
Evelyn raccolse la sua divisa dalla sedia, dirigendosi in bagno per sciacquarsi la faccia e darsi una rinfrescata. Quando aveva sposato suo padre, Lucrezia aveva immediatamente stabilito il nuovo ordine delle cose, a cominciare da lei: a dodici anni, Evelyn aveva dovuto dire addio alla sua stanza, sacrificata in nome della comodità delle due figlie di Lucrezia, e trasferirsi all’ultimo piano del Grand Hotel, in quella stanzetta con annesso solo un piccolo bagno.
Come previsto, l’acqua del lavello era ghiacciata, ma la ragazza s’impose di farsi forza. Indossò velocemente la sua divisa, ovvero una gonna nera lunga fino al ginocchio, camicetta bianca, collant e scarpe col tacco. Se Lucrezia decideva di collocarla alla reception, allora di norma indossava anche una giacca scura con un cartellino su cui era scritto il suo nome, ma in genere a lei toccava servire i tavoli oppure dare una mano ai cuochi nelle cucine, quindi non si disturbò neppure a prenderla.
Si sistemò i lunghi capelli biondo scuro con un paio di colpi di spazzola, quindi prese un bel respiro, guardandosi allo specchio. Era un gesto che ripeteva tutte le mattine, prima di iniziare la giornata lavorativa: le serviva a darsi coraggio.
Scendi in campo e fatti onore, Evelyn Marsh. Comincia la battaglia.
 
I corridoi del Grand Hotel erano già illuminati, così come il grande salone d’ingresso e tutte le altre stanze, sebbene in giro non ci fossero ospiti, ma solo dipendenti, quelli più sfortunati di lei che avevano iniziato il turno tre ore prima. Evelyn scese velocemente le scale, salutando con un sorriso gli altri dipendenti. Alcuni di loro – quelli che ancora non sapevano chi era lei, in realtà – le rivolgevano un informale ciao!, oppure un ehi, Evey!; ma la maggior parte non mancava mai di farle un cenno con il capo e di dirle buongiorno, signorina Marsh.
Evelyn non era sicura che tutto questo le piacesse, ma d’altra parte non era neppure sicura di cosa fosse giusto e cosa invece sbagliato. Sapeva solo che, alla prova dei fatti, aveva smesso di essere la signorina Marsh da quasi dieci anni, ormai.
Quando arrivò nell’atrio, la ragazza si rese conto che c’era qualcosa che non andava: il turno di prima mattina era di regola il meno affollato, e invece ora lei riusciva a scorgere camerieri ed inservienti che di solito non sarebbero dovuti essere lì se non prima di mezzogiorno. Tutti sembravano essere molto affaccendati a pulire i pavimenti e spolverare le suppellettili, anche se questo era stato fatto la sera prima; sporgendosi un poco in avanti, oltre la hall, Evelyn riuscì a scorgere le porte aperte del salone da ballo: anche là dentro, un vasto assortimento di personale stava rassettando l’ambiente.
A quel punto, la ragazza ebbe l’assoluta certezza che Lucrezia avesse in gioco qualcosa di veramente grosso: la sala delle feste era forse la stanza più grande dell’intero albergo, e non veniva mai usata se non per occasioni veramente importanti, come ricevimenti oppure balli di gala. Evelyn ricordava vagamente che, l’ultima volta che era stata aperta, era stato per il matrimonio di un amico di suo padre, un facoltoso imprenditore, e della sua seconda moglie. All’epoca lei aveva undici anni, la sua vita non aveva ancora preso quel drastico giro di boa, eppure riusciva a ricordare qualche particolare: per esempio, che fosse stato un gran ballo con le coppie che danzavano in quell’immenso salone, che da solo occupava un quarto dell’intero edificio, e che vi avevano partecipato personaggi molto importanti. Alcuni di questi erano attori e registi, o comunque personaggi in vista – dato che lo sposo era un imprenditore e che la sposa, tale Grimilde De Nobili, una famosa attrice di origini italiane –, e anche lo stesso Nathan Storm – uno degli uomini più ricchi della città, nonché il reale proprietario del Grand Hotel – si era degnato di partecipare, insieme al banchiere King e ad altri componenti della crème della città, e che alla festa erano presenti altri due ragazzi, i figli dell’amico di suo padre, nati dal primo matrimonio: una era una ragazzina che doveva avere più o meno la stessa età, con i capelli neri e l’espressione che emanava snobbismo da ogni dove, e un ragazzo più grande, sui diciassette o diciotto anni, che invece le era sembrato molto gentile ed educato…
Evelyn si diede una scrollata, riemergendo dai ricordi e ritornando alla realtà. Sì, decisamente si preannunciava qualche novità e, per scoprirlo, non le occorreva altro che chiedere. E lei sapeva benissimo a chi.
 
La ragazza entrò nelle cucine ostentando noncuranza, salutando con un allegro buongiorno a tutti!, ma nel contempo facendo saettare lo sguardo tutt’intorno alla ricerca di Marge, una delle cuoche.
Marge era, come la definiva spesso Gus, l’aiuto-chef, il loro Garden Hill Mirror personale, dato che sapeva tutto di tutti pressoché in tempo reale. Jack, un inserviente, ripeteva spesso che avrebbe potuto aprire una rubrica di gossip sul suddetto giornale – beccandosi puntualmente un colpo di mattarello in piena nuca. Lei certamente avrebbe saputo darle delle delucidazioni.
Tuttavia, non appena mosse un passo all’interno della cucina già sovraffollata – Gus e Jack stavano discutendo su una crema viennese un po’ grumosa, Xander, Paul e Marge erano già al lavoro per preparare la colazione, Pavel, l’inserviente, si stava prendendo una pausa caffè – l’attenzione di Evelyn ci mise poco a spostarsi dalla cuoca a un’altra figura girata di spalle, in piedi di fronte al lavello che sistemava sul ripiano della cucina alcuni pacchi involti con carta da dolci.
La figura si voltò non appena la udì entrare, sorridendole.
- Ehilà, Evey! Come stai?
Evelyn sorrise, andandole incontro.
- Ciao, Roxy…- salutò.
Roxanne Davies, che praticamente faceva parte dell’arredamento fisso delle cucine del Grand Hotel, sebbene non lavorasse propriamente lì. E sua grande amica sin dalle elementari.
Roxanne le sorrise, voltandosi nuovamente per finire di sistemare gli involucri sul ripiano.
- Buongiorno, Evey…- la salutò Gus, mentre la ragazza si sedeva al tavolo della cucina e Paul le poneva di fronte una tazza di caffè con una brioche al cioccolato. Era un’abitudine che nessuno di loro aveva perso, quel rituale della colazione, e a volte Evey si stupiva che tutti si ricordassero dei suoi gusti di quando aveva dodici anni. Azzannò un pezzo della brioche, salutando tutti quanti con la bocca piena.
- Che ci hai portato oggi, Roxy?- s’informò, buttando giù un sorso di caffè.
- La tua nemesi ha ordinato sette torte di mele, tredici mousse al cioccolato, nove crostate di albicocca, una quantità vergognosa di gelato…- elencò Roxanne.- Oh, e ci ha consegnato una lista di venti ordinazioni diverse per sabato sera.
- Che c’è sabato sera?- Evelyn non si lasciò sfuggire l’occasione, scrutando a uno a uno i suoi amici.
- Come, non lo sai?- fece Jack, inarcando le sopracciglia.
- Ho visto che stanno rimettendo in sesto la sala grande…
- C’è una festa - spiegò Marge, ringalluzzita.- Una festa di Halloween.
Evelyn rischiò quasi di strozzarsi con il caffè, ma riuscì a ingoiare tutto il sorso senza rovesciarne.
- Una festa di Halloween?- fece eco, un po’ sorpresa.- Lucrezia ha davvero accettato di dare una festa di Halloween qui?- era parecchio sorprendente, a pensarci bene; il Grand Hotel era un albergo a cinque stelle, raffinatissimo, non di certo il luogo adatto per la baldoria che simili ricorrenze portavano inevitabilmente con sé. Se poi si aggiungeva il carattere musone e perbenista della sua matrigna, beh, allora sì che era veramente una notizia bomba.
- Che ti dico sempre? I soldi a questo mondo compiono anche l’impossibile!- dichiarò Roxanne, voltandosi verso di lei e appoggiandosi al bancone della cucina.- Comunque, sappi che mia nonna è incazzata come una iena: un’ordinazione così con neanche tre giorni di preavviso…
- Non ce la vedo tua nonna incazzata…- ridacchiò Evelyn.
A dire il vero, la nonna di Roxanne non era esattamente quella che di solito si usa definire come una dolce e fragile vecchina. Aveva sul groppone settantacinque anni suonati e un cancro al seno scampato per il rotto della cuffia, per non parlare di quel crepacuore che era stata la madre di Roxy, ma era ancora in forma fisicamente e caratterialmente. Soprattutto caratterialmente.
Evelyn non aveva mai visto la signora Davies arrabbiata, ma una volta la sua amica le aveva raccontato che aveva cacciato a suon di colpi di battiscopa un cliente che cercava di spillare alcune monetine dalla cassa. E, in effetti, con tutto quel che aveva passato e ancora passava, se non si aveva un carattere forte e deciso non se ne usciva con le ossa intere…
La signora Davies gestiva una pasticceria, Le delizie della nonna. E i suoi dolci erano davvero delle delizie: quand’era piccola, Evelyn si faceva invitare quasi tutti i giorni a merenda da Roxy, e ogni volta non mancava mai una tazza di cioccolata con panna accompagnata da un vassoio ricolmo di paste. E non pasticcini da thé, ma veri e propri dolci: krapfen ripieni di marmellata, ciambelle con le mandorle, cannoncini alla crema, sfogliatelle, meringhe, bigné al cioccolato, ventagli di pastafrolla, tortine con la frutta…
Lei e Roxy spazzolavano via tutto finché non si ritrovavano con la pancia talmente piena da non riuscire quasi più a muoversi. Poi, dopo il matrimonio di suo padre con Lucrezia, quelle visite si erano diradate sempre di più fino a scomparire del tutto, ma lei e Roxanne erano comunque rimaste amiche, e anche con sua nonna i rapporti erano buoni, complice anche il filo conduttore che legava il Grand Hotel alla pasticceria più famosa e frequentata della città.
Già, perché Le delizie della nonna non era solo una semplice pasticceria rinomata, a Garden Hill, ma ogni giorno riforniva di dolci le cucine dell’albergo. Suo padre aveva preso l’abitudine di rifornirsi dalla signora Davies anni e anni prima che Evelyn nascesse, e da allora non aveva più smesso; anche la sua matrigna, non appena era divenuta dirigente del Grand Hotel al posto di suo padre, sembrava esserne soddisfatta, e così lei e Roxy potevano vedersi quasi ogni giorno.
Roxanne aveva cominciato a lavorare con sua nonna appena finito il liceo. Era una ragazza in gamba, e anche molto bella, a suo parere – alta, snella, capelli castani e occhi scuri –, oltre che un vero peperino, ma spesso la sua testa calda l’aveva portata a compiere delle stupidaggini. Si era fatta bocciare due volte alle superiori, essenzialmente per il suo tener testa a quelle che lei definiva le ingiustizie dei professori, più che per vere difficoltà. Era riuscita a prendere il diploma con il minimo dei voti e un calcio nel fondoschiena, ma il suo unico commento in merito era stato per esprimere la sua contentezza nell’essersi tolta dalle palle quella zavorra di liceo. Aveva iniziato a lavorare in pasticceria con sua nonna, si occupava di servire al bancone e ai tavoli e di fare le consegne a domicilio, oltre che di aiutare la signora Davies a preparare i dolci. Era abbastanza brava, sempre sorridente e ci sapeva fare con i clienti, ma lei non aveva mai nascosto a nessuno di voler puntare più in alto.
Cosa intendesse di preciso, Evelyn non lo sapeva – e sospettava che neppure la sua amica avesse le idee del tutto chiare –, ma certo era che il suo carattere ribelle e la sua voglia di fuga da quella città erano la disperazione di sua nonna. La signora Davies aveva perso suo marito molto giovane, dopo pochi anni di matrimonio, ed era rimasta con un locale da mandare avanti, debiti da pagare e una figlia da crescere da sola. La madre di Roxy aveva più o meno lo stesso carattere della figlia – o almeno così dicevano i pochi che si ricordavano di lei –, ma era di gran lunga più intrattabile e insofferente, oltre che fannullona. A quanto dicevano, aveva cambiato una marea di posti di lavoro, prima di finire a pulire i pavimenti in un ufficio in centro. Di andare a lavorare con sua madre, non ne aveva neppure voluto sentir parlare; alla fine, aveva conosciuto uno scapestrato con cui era andata a convivere per poco tempo, fino a che lui non aveva preso il volo quando aveva scoperto di averla messa incinta.
Era tornata a casa con la coda fra le gambe, aveva avuto Roxy e, dopo un paio d’anni, l’aveva mollata alle cure della nonna per andare a vedere che aria tirava in Florida. Si era stabilita lì, tornando una volta l’anno per incontrare la figlia; questo fino a che Roxanne aveva avuto quindici anni: poi, le visite si erano fatte più rare, così come anche le telefonate. Si sapeva che sua madre si era risposata e aveva avuto altri due figli, ma mandava gli auguri di Natale un anno sì e due no.
Roxy non parlava quasi mai di sua madre, ma la signora Davies viveva nel terrore che anche sua nipote potesse fare la stessa fine della figlia.
- Dai, che di fronte ai soldi non ci si può permettere di piantare il muso!- la rimbrottò Xander.- Anche la signora Marsh s’è fatta convincere da dei bei quattrini…
- Ah, allora è una festa privata!- fece Evelyn.- Chi è che l’organizza?
- Una certa Woods - rispose Marge.
Roxanne si avvicinò al tavolo, piantandole davanti un cartoncino color crema. Evelyn lo guardò: era un invito, scritto in corsivo con lettere dorate.
 
Caroline Woods e famiglia vi invitano sabato 31 ottobre
Alle ore 21:30
 Grand Hotel di Garden Hill, Gillyflower Avenue 53
Al ballo in onore della festa di Ognissanti
 
E’ richiesta la maschera
 
- Caroline Woods…- mormorò Evelyn, pensosa.- L’ho già sentita da qualche parte…
- E’ la figlia del rettore della Garden Hill University - spiegò Gus.- La solita figlia di papà che ha voglia di perdere tempo…
- Tu come ce l’hai avuto questo?- chiese la ragazza, sventolando l’invito sotto il naso di Roxanne.
- Sono piena di risorse, non lo sapevi?- ridacchiò l’altra, strappandoglielo di mano. - E comunque, nel caso t’interessasse, le tue sorellastre sono state invitate…
- Beh, lo credo - fece Gus.- Sono le figliastre di un pianista di fama mondiale, oltre che della proprietaria dell’hotel…
- La signora Lucrezia non è la proprietaria - lo rimbeccò Marge.- E poi, cosa ti credi? Quella è la figlia di un rettore, e loro due capre più stupide di Heidi. Le avrà invitate solo per cortesia, dato che la festa si svolge qui…
- Ma allora anche…
Gus si bloccò appena in tempo, ma questo non fece altro che creare un alone di spessa tensione nella stanza. Tutti ammutolirono, alla disperata ricerca di qualcosa da dire che rompesse il ghiaccio. Perfino Roxanne parve trovarsi in imbarazzo.
Evelyn fece finta di nulla, bevendo l’ultimo sorso di caffè ormai pressoché freddo. Sapeva cosa Gus stava per dire, e non sopportava tutto ciò. No, lei naturalmente non era stata invitata. La cosa non le pesava – non era mai stata un tipo da feste come Roxy, e poi, chi la conosceva, questa Caroline Woods? –, ma faceva comunque male quando la verità ti veniva sbattuta sotto gli occhi in quel modo, da una semplice piccolezza.
Evidentemente, pensò, non era più nemmeno degna di essere un membro a tutti gli effetti della famiglia Marsh. Anche se ne aveva più diritto di quanto non ne avessero Lucrezia e le sue figlie. Questo, Roxy gliel’aveva ripetuto sin dal primo giorno, e sempre più spesso da quando le cose avevano iniziato ad andar male. Di fatto, quello era un altro dei diritti che loro tre si erano prese.
Suo padre, Nicholas Marsh, era un pianista e un compositore, molto famoso non solo a Garden Hill e negli USA, ma anche all’estero. E sempre in tournée. Evelyn lo vedeva molto poco, ma era sempre stato affettuoso con lei, specialmente dopo che sua madre se n’era andata.
Heloise Marsh. Un nome che era stato cancellato dalla storia del Grand Hotel.
La madre di Evelyn – e questo la ragazza lo sapeva – era forse anche peggiore di quella di Roxanne: lei, almeno, di tanto in tanto si ricordava di avere una figlia. Heloise, invece, sua figlia l’aveva rifiutata e rinnegata quando aveva solo nove anni, scappando in Europa con un uomo che non era il marito e non facendosi mai più vedere né sentire.
Evelyn aveva pianto a lungo, ma alla fine l’affetto di suo padre era stato in grado di curare le ferite. Nicholas aveva portato avanti quell’albergo – la cui gestione gli era stata affidata dalla madre, una miliardaria canadese che Evelyn non ricordava di aver mai conosciuto – e la sua carriera di pianista senza mai trascurare i suoi doveri di padre. Erano stati bene, loro due, finché era durata, ma poi lui aveva deciso di risposarsi.
Ed era arrivata Lucrezia, e con lei le sue figlie, Tysha e Tamara. L’Ape Regina e le sue due oche al seguito. Avevano iniziato a comportarsi da padrone già dal giorno del matrimonio.
Suo padre era spesso in tournée, a volte anche per mesi, e aveva affidato la gestione dell’hotel alla nuova moglie. Lucrezia ne aveva subito approfittato, naturalmente. A cominciare da lei.
A volte Evelyn si faceva pena da sola, al pensiero di com’era finita: cameriera nell’albergo di suo padre. Lucrezia era stata categorica: se voleva continuare a studiare al conservatorio, allora doveva lavorare. Senza stipendio, naturalmente; tutto il denaro che guadagnava, secondo la sua matrigna, bastava a sufficienza per farle studiare quello stupido violino.
Più volte, nel corso dell’adolescenza, le era passato per la mente di scappare e andare via, ma alla fine si era detta che, se davvero voleva essere libera, un giorno, doveva stringere i denti e resistere: sapeva di essere una brava violinista, e per di più continuava a studiare e ad esercitarsi.
Aveva ventidue anni. Prima o poi, avrebbe preso il volo. Doveva solo resistere.
La tensione parve smorzarsi da sé. Jack fece per spostare alcune stoviglie, e cozzò inavvertitamente contro Roxanne.
- Ehi, ma guarda dove vai!- lo rimbrottò la ragazza.
- Sei tu che non dovresti essere qui…- lui le diede una spintarella.- Hai portato qui le tue torte, ora smamma!
- Secondo te me ne vado così?! Caccia fuori la grana!- lo esortò.
- Non sono io che ti devo pagare. Vai dalla padrona, se vuoi i soldi!
Roxanne sbuffò, tornando a rivolgersi a Evelyn.
- Sì, come no, e secondo te mi paga, quella?- borbottò.
- Qualche problema con Lucrezia?- s’informò l’amica.
- Sì, come al solito - Roxanne sbuffò.- E’ la fine del mese. In questo periodo fa sempre storie…dice che prima deve pagare quello Storm…
- Ah, sì…l’affitto…
Evelyn sapeva di cosa stava parlando Roxanne, dato che sia il Grand Hotel sia la pasticceria erano sulla stessa barca. Il terreno su cui sorgevano apparteneva non a loro, bensì a Nathan Storm, forse uno degli uomini più ricchi di tutta Garden Hill.
Possedeva quasi mezza città, e forse di più: la maggior parte delle persone vivevano in case o appartamenti di sua proprietà, oppure che sorgevano su terreni affittati o comprati da lui. Non era esattamente un uomo molto amato, per questo fatto, ed Evelyn era sicura che, dieci anni prima, non poche persone gli avessero augurato la morte quando era incorso in quel brutto…incidente.
Già, incidente. Così almeno aveva decretato la polizia. Poco importava se Nathan Storm fosse stato massacrato di botte e l’incendio scoppiato in quella stanza fosse chiaramente di natura dolosa.
Era stato un incidente, e caso chiuso.
Era successo proprio lì, al Grand Hotel. Evelyn ricordava ancora lo spavento di quella notte, le sirene che suonavano e i passi affrettati lungo i corridoi. Suo padre era subito accorso e l’aveva portata fuori da lì, e solo al mattino lei aveva saputo cosa era accaduto.
Una stanza dell’albergo – la più lussuosa, fra l’altro – aveva preso fuoco. E dentro c’era un uomo: Nathan Storm. Era stato portato via in ambulanza, d’urgenza, e da quel che si diceva aveva trascorso parecchio tempo in ospedale, prima di riuscire a rimettersi completamente.
Anche se il fuoco gli aveva procurato dei danni irreparabili…
Nessuno seppe spiegare con esattezza cos’era successo. Alcuni dissero che Storm si era semplicemente ubriacato, ma quando trapelò la notizia di un pestaggio e di alcool sparso per appiccare un incendio, molti altri sostennero l’ipotesi che si trattasse di una vendetta, o un regolamento di conti. D’altronde, la vittima era uno degli uomini più ricchi della città.
In ogni caso, Nathan Storm era sopravvissuto, anche se si diceva che il fuoco gli avesse procurato delle cicatrici orribili, che il suo volto ora fosse una maschera di carne bruciata. In ogni caso, nessuno da quella notte lo vide praticamente più: era sempre stato un uomo molto solitario, sempre sulle sue, mai una confidenza concessa più del dovuto. Da quella sera, Storm si era chiuso in una sorta di auto-isolamento nella sua villa fuori città, da cui non usciva mai. Gestiva i suoi affari solo via computer e gli unici a incontrarlo erano i suoi domestici – che, a quanto pareva, avevano ricevuto l’ordine di non parlare di lui e della sua vita con nessuno.
Evelyn si riscosse, scoccando un’occhiata all’orologio da polso: il suo turno sarebbe iniziato fra meno di mezz’ora. Roxanne s’infilò la giacca, tirando su la zip con un gesto deciso.
- Te ne vai di già?- s’informò l’amica.- Stamattina non sei di turno, o sbaglio?
- No, ma ho trovato un altro lavoro: faccio la baby-sitter.
- Povero bambino…non traumatizzarlo troppo…- Gus ridacchiò sotto i baffi, ricevendo in risposta un simpatico dito medio da parte di Roxy. La ragazza salutò tutti con una mano, uscendo dalla cucina.
Evelyn sospirò, alzandosi in piedi.
- Grazie per il caffè, Paul…- mormorò.- Sarà ora che mi metta al lavoro…
- Resta ancora un po’. Il tuo turno inizia fra mezz’ora…- le disse Jack.
- Solo se qualcuno mi dice che sta succedendo là fuori - Evelyn si appoggiò con entrambi i palmi al ripiano del tavolo.- Abbiamo dei nuovi vicini?
- Oh, sì. Sono arrivati ieri sera, tardi - partì all’attacco Marge, suscitando dei sorrisetti generali.- Certi austriaci. Sono la madre e due figli. E quel che resta del padre…
- Che vuoi dire?
- Non lo sai?!- Marge si voltò a guardarla, scandalizzata.- E’ appena morto. Un imprenditore, un certo von Schneider…
- Von Schneider?- fece eco Evelyn, in un improvviso flash.- Ma…era per caso quel von Schneider che si è sposato qui? Una decina di anni fa? Sai, quello con due figli che sposava un’attrice italiana…
- Brava, proprio quello…- ammiccò la cuoca.- Ora sono tornati qui per seppellirlo. E’ morto una settimana fa, ma dovevano fargli l’autopsia…
- Autopsia?- ripeté Gus, stralunato. Marge annuì con fare deciso.
- Morto ammazzato. A coltellate.
Sotto lo sguardo attonito di tutti, la cuoca aprì un cassetto e ne estrasse un giornale. Era un quotidiano, appena comprato, il famoso Garden Hill Mirror. Marge lo sbatté sul ripiano del tavolo, e tutti si accalcarono per leggere la prima pagina.
Evelyn lo prese fra le mani, aggrottando le sopracciglia quando scorse la testata.
 
NUOVA VITTIMA DEL LUPO
Garden Hill nella morsa del terrore
 
La nuova vittima del lupo: Hans von Schneider, facoltoso imprenditore austriaco
 
Da un anno a questa parte, ormai, la città di Garden Hill vive nella paura
e nel terrore. Secondo la consuetudine, un assassino guadagna a pieno ti-
tolo il nome di serial killer quando raggiunge quota 3 vittime. Ebbene, il
mostro che terrorizza la città ne ha finalmente acquisito possesso. Sono a
quota 3 le sue vittime, con oggi: il famigerato Lupo ha infatti ucciso Hans
von Schneider,  imprenditore  di origini austriache da poco ritornato negli
USA – e precisamente a Garden Hill – con la famiglia. Schneider lascia la
moglie, Grimilde De Nobili, attrice italiana un tempo nota al pubblico, e i
due figli: Sebastian, di 28 anni, e Blanche, di 22…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Ci ho messo un po’ ad aggiornare, ma per un paio di settimane non potrò più farlo causa impegni al di fuori di EFP, quindi ci tenevo a pubblicare ora il primo capitolo. Questo comprende altre due parti, in cui compariranno le altre protagoniste. So che può sembrare un po’ palloso, ma d’altra parte chi mi conosce e segue le mie storie sa che i primi capitoli con me sono sempre introduttivi. Prima di tutto, ci tengo a farvi sapere che nel prologo ho cambiato alcuni nomi e immagini delle protagoniste – aggiungendo inoltre un’altra “principessa” alla storia – quindi, vi invito a farci un breve salto, se non avete ancora visto, ond’evitare confusione.
Le tre parti saranno legate da un filo conduttore che comprenderete in seguito. Qui abbiamo fatto la conoscenza di Cenerentola e Cappuccetto Rosso. Nella prossima avremo di nuovo Evelyn, più Marion, Annabelle, Jasmine e Ariel; nella terza ancora Roxanne, Ariel, Esmeralda, Caroline, Blanche e ancora Annabelle. Nel frattempo, vi lascio con due domande. Una è un indovinello: vi anticipo che ci sarà una mamma in questa storia…di chi è il bambino di cui si deve occupare Roxanne?
La seconda: come avrete capito, Nathan Storm è un personaggio importante…ma chi è, secondo voi?
Ciao, ci vediamo al prossimo capitolo (se vorrete)!.
Un bacio,
Beauty
  
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