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Autore: MusicDanceRomance    10/11/2013    13 recensioni
Heric non era fatto di legno, ma di paura e sangue.
Credeva sì nell'amore di una madre, credeva nell'amore di una moglie, ma credeva anche al fatto che, nonostante tutto, lui fosse stato un figlio uccisore.
E non aveva intenzione di divenire anche un marito uccisore.
L'aveva messa incinta per sbaglio e lei voleva tenere il bambino.
QUESTA FANFICTION SEGUE GLI AVVENIMENTI DI "DEEP CLEAR", IL SEQUEL DI "KODOMO NO OMOCHA".
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Sari Hayama | Coppie: Sana/Akito
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Diventi madre quando scopri di aspettare un bambino
 
La consistenza fredda e vuota di un abbandono spietato non l’avrebbe condotta troppo lontano dalle paure in cui era spesso rimasta impigliata.
 
Rossana, fin da bambina, aveva sempre nutrito sentimenti discrepanti riguardo alla maternità, pur non avendone elencato i dubbi a nessuno, neppure alla madre a cui era abituata a confidare ogni cosa.
Aspettare un bambino senza volerlo, fare strada in sé a una nuova vita dopo un atto d’amore, far sorgere da un bacio, da un’unione e due respiri una creatura fragile, sentirsela poi crescere dentro, avvertire la presenza di un corpicino che si schiacciava e si dimenava contro di lei, sapere che avrebbe partorito un esserino ancora indefinito, ogni pensiero si risolveva in un’esperienza nuova, da vivere in bilico tra fiducia e sospetto.
Certo un’esperienza, come la considerava, sospettosa (in realtà non la si poteva chiamare “esperienza sospettosa”, ma Rossana era celebre per i suoi strafalcioni sintattici e i suoi accostamenti assurdi di parole), perché il suo corpo sarebbe cambiato e sotto sotto lei, da attrice di successo, aveva un’immagine lineare da mantenere.
Un’esperienza, come sintetizzavano i neogenitori con cui si confrontava, diversa, perché da figlia si sarebbe trasformata in una mamma. Lei che era una figlia dispersa e trovata sarebbe stata madre di un bambino messo al mondo, a sua somiglianza, con i suoi tratti e la sua stessa personalità schizzante e intraprendente.
Un’esperienza, come aveva sempre auspicato, meravigliosa.
Un calcetto, un sobbalzo, una risata improvvisa e due lacrime.
 
Quella vita dentro di lei prendeva forma negli scatti dei mesi, e con Shuri aveva già scherzato sul nome: “Ormone, lo potrei chiamare così, mi fa piangere spesso e mi rende troppo emozionale, direi che se lo merita”.
La faccina sconvolta e diffidente di Shuri l’aveva invitata però a riflettere con più calma. Rossana non poteva parlare sul serio, no?
“No, Ormone, la tua mamma non potrebbe mai darti un nome tanto ridicolo, vedrai che sceglierò qualcosa di dolce, dolcissimo, come i momenti che passavo con tuo padre.”
Già, con Heric.
Ricordava ancora la notte in cui era avvenuto il tutto.
Heric era tornato a casa dal lavoro e l’aveva aiutata a preparare la cena, sembrava affamato, poi mentre sparecchiavano le aveva raccontato dell’incontro fugace di due infermieri che tentavano di mascherare la loro relazione sentimentale almeno sul posto di lavoro.
“Sapessi come devono essere innamorati e come sono timidi, mi ricordano i maestri delle elementari, quelli che avevo ricattato tanti anni fa.”
E poi niente, non c’era stato più bisogno di pensare o parlare, anche Heric sapeva come comportarsi quando aveva voglia di lei, e glielo faceva comprendere con una tenerezza infinita, invidiabile.
Non sembrava più lui.
 
Come non sembrava più lui dopo aver appreso la notizia.
 
“Io aspetto un bambino, Heric. Avremo un bambino.”
“NO.”
“Sì, avremo un bambino, capisci?”
“Io non lo voglio.”
“Heric... ma hai capito che...”
“NON VOGLIO UN BAMBINO!”
“Ma come puoi dirmi una cosa del genere?”
“Devi sbarazzartene, Sana, io non lo voglio!”
“Non lo farò mai, sei impazzito?”
“Se deciderai di tenere questo bambino noi divorzieremo.”
 
A volte la paura prende il sopravvento. Non è vero che due persone che si amano alla follia non potranno più lasciarsi. A volte si lasciano per il troppo amore che provano l’uno per l’altra, perché un sentimento tanto folle li porta a non approvare idee folli, e le idee folli si scontrano tra di loro a una velocità improbabile ed ecco, appare la frattura.
 
Rossana si svegliava al mattino e come prima cosa salutava il suo ometto in lei:
“Buongiorno, Ormone. Anzi, no, forse ti chiamerò Rana. Le rane portano fortuna, e tu che sei mio figlio dovrai avere tanta fortuna, sai?”
Poi si girava dall’altra parte del letto come per abbracciare l’assenza di Heric che se ne era andato e due lacrime colavano su quel guanciale freddo e le asciugavano l’anima.
“Piango sempre, è colpa degli ormoni in gravidanza, Rana, lo sai che mi dovrei vendicare per quanto mi stai facendo piangere ora? Questi sbalzi d’umore sono opera tua, ti farò studiare tantissimo!”
Si alzava dal letto e si concentrava sugli impegni della giornata con la facilità che da sempre l’aveva contraddistinta.
Meccanicamente.
Un robot che spolpava via i pensieri più affilati.
 
Ogni tanto si concedeva di immaginarsi al parco con un bimbetto incontentabile che saltellava sullo scivolo e volava sull’altalena e non ne aveva mai abbastanza dei giochi e dei divertimenti. E avrebbe sorriso tanto come lei.
E poi immaginava sua madre che sarebbe diventata nonna e avrebbe fatto giocare il piccolino con il suo scoiattolo prediletto.
Già, a chi capita una nonna che porta in testa uno scoiattolo?
“Quando il piccolino farà i capricci chiamerò la mamma. Per tenerlo buono e farlo ridere indosserà i suoi cappelli più ingombranti, come quello della giostra panoramica. Al bambino piacerà avere una nonna che porta in testa una piccola giostra panoramica tutta illuminata, no? A me piaceva, e poi è mio figlio, prenderà da me.”
E Rossana rideva immaginandosi la scena, fantasticava sulla madre che scherzava al bambino con linguacce e smorfie e già sentiva Robby che la pregava di non traumatizzarlo tanto presto.
Rideva, Rossana, guardava al futuro con allegria, come aveva sempre fatto nella sua vita.
 
Poi pensava per un attimo al padre del suo bambino, a suo marito, che non ne voleva sapere e parlava seriamente di divorzio, e un velo oscuro le trapassava mente, corpo e cuore.
 
Era una ragazza in gamba, Rossana, se era cresciuta lei senza papà allora anche il suo piccolo vi sarebbe riuscito. Quale problema c’era?
La solitudine era un’opzione da scartare.
Telefonò a Robby perché la venisse a prendere, doveva recarsi all’agenzia di Shuri quel mattino. Che ragazza in gamba, Shuri, erano diventate amiche fin da subito.
 
E Heric dov’era, cosa stava facendo in quel momento? Era sul serio al lavoro?
 
Quanto si erano amati e quanto lo amava ancora.
Una doccia fredda, una maledizione improvvisa e senza ritorno.
Heric e lei non erano più niente.
Un niente rivestito di silenzi.
 
Perché non vuoi il nostro bambino, Heric? Perché mi hai lasciata?
 
“Rana, forse non ti chiamerò così! Ci vuole un nome più forte per te! Ci devo pensare, chiederò consiglio a Shuri!”
Rideva, Rossana, ironizzava sempre sul nome del bambino, ma sapeva che non gli avrebbe mai potuto affibbiare degli appellativi talmente ridicoli.
Heric l’avrebbe strangolata sapendo che aveva sfigurato a tal punto il nome di suo figlio. Forse.
In fondo non gliene importava niente, no?
 
Heric era stato di parola e si erano lasciati. Tutto quello era l’amore? Il primo vero scontro frontale e tutto si disperdeva così, nell’aria? Ognuno nella sua vita, amici come prima o estranei con la percezione di un passato in comune?
Estranei sull’avviso di che cosa? Della sciagura di un addio stropicciato? 
 
Un clacson strombettava fuori di casa sua, Robby la attendeva in macchina.
Era il momento di tornare a sorridere ed essere forte.
 
“Ti odio, Heric. Anzi, non ci riesco.”
 
E così le giornate proseguivano lente, indifferenti, sfatte. Segnate appena dalla nota di un abbandono.
La musica della quotidianità strideva con la nostalgia di un sogno compromesso.
Ma Rossana non era sola. C’era il suo piccolo con lei. E il ricordo di un amore all’apparenza tanto forte di fronte a distanze, gelosie e contrasti, e contemporaneamente friabile  da sgretolarsi al minimo accenno di felicità.
Che contraddizione che erano, Rossana e Heric.
 
Heric, torna da me.
Tornerai, lo so.
 
 
Diventi padre quando vedi nascere il tuo bambino
 
Heric non era fatto di legno, ma di paura e sangue.
Aveva speso gli anni più teneri della sua infanzia con la consapevolezza di essere un figlio uccisore, e il rimorso per qualcosa che non aveva effettivamente compiuto e di cui non era stato cosciente lo aveva perseguitato per anni incidendo nella sua stessa personalità futura, fino a quando Rossana non gli aveva fatto capire cos’era l’amore di un genitore.
E lui le aveva insegnato ad amare, a disperarsi e a piangere per lui, di conseguenza.
L’aveva fatta ammalare, tanto tempo prima, quando si era dovuto trasferire a Los Angeles con la sua famiglia, e non se lo era mai perdonato. La distanza non aveva certo scalfito la loro unione e al suo ritorno in Giappone i due non si erano più separati, ma la coscienza lucida per delle azioni che non aveva mai commesso ma comunque provocato lo attanagliava inesorabilmente.
Credeva sì nell’amore di una madre, credeva nell’amore di una moglie, ma credeva anche al fatto che, nonostante tutto, lui fosse stato un figlio uccisore.
E non aveva intenzione di divenire anche un marito uccisore.
L’aveva messa incinta per sbaglio e lei voleva tenere il bambino.
E se quel bambino fosse stato marcio fin dal grembo materno, e letale per la madre? Come lo era stato lui?
Non lo voleva, non poteva permettersi di perdere anche lei.
Ma Rossana non avrebbe mai abortito. Per questo lui aveva cercato rifugio nel ricatto.
 
“O lo togli di mezzo o ti lascio!”
“Lasciami, allora!”
 
Un minuto sa sconquassare l’equilibrio di una vita doppia.
Così Heric era stato costretto a mantenere la parola data, perché era impossibile tenere testa ad un amore materno appena esploso.
Magari, una volta assaggiato davvero il senso dell’abbandono, Rossana avrebbe capito, gli avrebbe chiesto di tornare indietro... no, era una bugia. Rossana non avrebbe mai ucciso suo figlio. Piuttosto si sarebbe fatta uccidere lei, e questo era l’incubo principale di Heric, lo vedeva già come realtà.
 
Come si svolgeva la vita di un Heric separato?
Ospedale, lavoro, pazienti, casa. Ambulatorio, fisioterapia, cena, casa. Sveglia al mattino, assistenti, tanta gente anonima intorno a sé, casa.
Casa. Solo. In attesa della morte della sua amata?
L’avrebbe uccisa. Lo sapeva. Quel bambino l’avrebbe uccisa, come aveva fatto lui con sua madre.
Maledizione, che vita beffarda! Si sarebbe inflitto lo stesso tormento di suo padre.
Già vederla col pancione lo faceva impallidire.
Avevano provato varie volte a ricucire il rapporto, ma osservarla in quello stato, con quella pancia gonfia, piena della creatura che forse gliel’avrebbe portata via... era più forte di lui.
La nebbia dell’incomprensione lo avvolgeva e aveva spinto Rossana a rifugiarsi a casa della madre.
Separati di fatto. Nemmeno una telefonata.
I mesi passavano, lei diceva di stare bene, non vedeva l’ora di partorire.
Lui si rifiutava anche solo di pensare.
 
Poi, quella chiamata improvvisa, nel cuore del giorno, che lo aveva sottratto necessariamente ai suoi pazienti. Sua moglie era ricoverata e il bambino stava per nascere.
Forse aveva bisogno di lui.
Heric si era precipitato da lei con la sensazione sciagurata della morte addosso.
Vedeva il grigio, vedeva il nero, si cospargeva già in anteprima di dolore e lutto.
La sentiva gridare, udiva i singhiozzi di Robby e le sue preghiere in ginocchio: “Salva la mia Sana, aiuta la mia bambina”, sbatteva la testa contro il muro e ogni tanto rivolgeva uno sguardo disperato a quella ragazza con gli occhiali che doveva essere una nuova amica di sua moglie, e che lo tratteneva lì in ospedale infischiandosene delle sue scuse più banali.
 
“Devo tornare a lavoro, forse Sana è già morta, è morto anche il bambino, sono morti tutti.”
 
Nero profondo. E Rossana gridava, gridava come se dalla gola le stesse uscendo via tutta l’anima.
“Sta morendo, non capiscono che la mia Sana sta morendo? Devono salvarla!”
Il braccio della ragazza al suo fianco lo rassicurava prontamente:
“Andrà tutto bene, signor Hayama.”
Con le unghie tentava invano di scorticare la porta sbarrata, le urla di tortura si triplicavano, la paura gli si contorceva dentro, e il bambino non si decideva a venire al mondo.
Heric lo sentiva, lei stava per morire. Non avrebbe retto i dolori del parto, le forze la stavano abbandonando, lui lo sentiva, avrebbe perso i sensi, avrebbe perso se stessa.
Perché era stato un figlio uccisore e aveva generato un bambino uccisore.
All’improvviso le urla di due medici gli straziarono il cuore: Rossana era svenuta, e non poteva permettersi tale lusso in un momento simile.
 
“SANA, NO!”
 
Stava morendo.
Figli uccisori, solo questo potevano essere.
 
“COME PENSI CHE POSSA FARCELA IO SE TU TE NE VAI?”
 
Silenzio.
Perché per una volta non potevano vivere tutti?
 
“FORZA, SE TU TE NE VAI IO...”
 
I medici erano rassegnati, lei era svenuta proprio quando non doveva.
Potevano solo scegliere di salvare il bambino.
 
“RESISTI, SANA, RESISTI, AMORE!”
 
Una chiamata.
 
“Heric…”
 
Poi un altro paio di grida, le sue grida.
 
“FATE MORIRE ME PIUTTOSTO E SALVATELA!”
 
Un altro inatteso silenzio.
Un silenzio strano.
 
E infine... un dolcissimo pianto sconosciuto e sottile.
 
Era tutto finito. Tutto quanto.
Heric si era lasciato infine trascinare contro un muro, debolmente.
Il terrore si era cristallizzato in una sfera di sollievo per frantumarsi contro quel muro.
Era viva, erano salvi, lei e il bambino.
 
“Signore, può andare da sua moglie se lo desidera.”
“Congratulazioni, è una bambina.”
“Congratulazioni, lei è un papà adesso!”
 
Non l’aveva mai amata come in quel momento. Era viva, era felice e rideva.
Stanca, debilitata e raggiante, stringeva un fagottino tra le braccia.
Si erano guardati con tensione, prima che lui le si avvicinasse deciso. Poi lui le aveva accarezzato amorevolmente i capelli con la mano, incapace di pronunciare parola, mentre lei gli sorrideva:
“Sono contenta che tu sia qui, Heric.”
I vagiti della neonata li avevano riportati in fretta alla loro realtà più bella: c’era qualcuno che pretendeva attenzioni.
Lì Heric si era voltato verso la piccola creatura.
Era una bimba che non aveva chiesto di nascere e far parte del mondo, aveva bisogno di essere protetta da qualcuno. E avrebbe diffuso tanto amore, voleva solo questo.
Un angioletto, una fatina impaurita e indifesa, si appoggiava al seno della madre e muoveva la testolina confusa scoprendo nuovi spazi.
Heric aveva avvicinato una mano alla piccola, lei gli aveva stretto il dito tra le sue fragili. Forse aveva riconosciuto in quell’estraneo l’uomo che l’avrebbe protetta più di chiunque altro al mondo.
“E’ bellissima.”
Era rimasto in silenzio per interminabili attimi, fino a quando non aveva udito sua moglie scoppiare in lacrime:
“Sono felice.”
La neonata aveva ripreso a strillare subito: aveva fame e paura, perché quello era un ambiente nuovo per lei, scalciava e non smetteva di stringere il dito del papà, quasi a dirgli: “Non mi lasciare più, sei stato cattivo.”
Ancora il cuore di Heric grondava timore. Timore di non essere pronto, timore di non essere adatto a fare il padre. Eppure, per lei, per quella piccina tanto delicata e indifesa, avrebbe rischiato.
No, Heric non le avrebbe mai più lasciate sole.
La paura di perderle entrambe era stata troppo forte, lui aveva bisogno di loro, senza Rossana e sua figlia sarebbe stato perduto per sempre.
C’era la piccola Sari adesso.
 
“Sari...”
Qualche giorno dopo Heric cullava la bambina nel soggiorno di casa Hayama. Lei lo scrutava curiosamente e ascoltava quella voce così sicura con animosa curiosità:
“Sari, non è vero che non ti volevo. Avevo paura che tu avresti passato la mia stessa vita. Non volevo perdere tua madre, non volevo offrirti la mia stessa infanzia di tormenti e rimorso. Perdonami, piccola, perdonami soprattutto tu.”
Sari aveva espresso un piccolo sorriso e aveva ricominciato a strillare puntualmente.
Degna figlia di sua madre, era nemica del silenzio e della tranquillità.
“Ma non riesci proprio a stare buona due secondi?” aveva obiettato Heric mostrandole un viso più severo, il solito che fin da piccolo aveva infuso un sacro allarme negli altri.
Sari piangeva forte e ricominciava a scalciare.
“Va bene, ora calmati, non ti faccio spaventare, sono tuo padre!”
Rossana li guardava dal corridoio ridacchiando.
Erano la famiglia di cui sia lei che Heric avevano sempre avuto bisogno, finalmente.
 
Aveva mai dubitato Rossana di quello che sarebbero stati, mentre si rifugiava sola nel letto sotto le coperte con un pancione a tenerle compagnia?
No, aveva sempre voluto credere in lui, in loro. 
E avevano vinto, insieme.
 
 
 
Fine
 
 
Nda
Buona serata, buona serata, no, state comodi, lettori (momento demenziale time)!
Ecco, era da parecchio che non pubblicavo una fic su Rossana, e adesso che ho recuperato leggendo finalmente manga e sequel dovevo assolutamente scrivere qualcosa su di loro, Heric, Rossana e la piccola Sari.
Semplicemente mi sono attenuta agli eventi narrati in “Deep Clear”, il sequel del manga su Rossana, per questo chi non lo ha letto e ha seguito solo il cartone troverà un po’ oscuro questo testo, non conoscendo realmente i fatti, ma spero che abbiate seguito ugualmente la storia e il filo e che questa fanfiction vi sia piaciuta un pochino!
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
E domani, non interessa a nessuno, ma faccio il compleanno su Efp! Tre anni che scribacchio per diletto sul sito, almeno pubblicando qualche nuova fic posso festeggiare la ricorrenza.
Ecco, basta, passo e chiudo, ma me lo lasciate un piccolo parere?
Kiss  a tutti voi! 
 
 
 
 
 
   
 
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