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Autore: hirondelle_    13/11/2013    3 recensioni
[Questa fanfiction partecipa al contest "X // Y ~Quando il Genderbend incontra Inazuma Eleven~" indetto da Melabanana_]
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- Io ti ho sognato ancora.
Sembrava quasi un'accusa sibilata tra i denti, quella, e non una semplice affermazione.
Natsu rimase in silenzio. Era come se qualcosa gli avesse rubato le parole, il respiro, la bellissima voce.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hector/Rococo, Nelly/Natsumi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Autore/i: Macareux (Fay)
Genere: Malinconico, Introspettivo, Romantico
Pairing: RocoNatsu. In questo caso sarebbe più NatsuRoco D:
Eventuali note d'autore: … rullo di tamburi prego, sto cercando di trovare un senso logico a questa cosa. Sa di una tristezza infinita. E sì che volevo scrivere qualcosa di fluff, perché Rococo mi ispira tanta tenerezza e Natsu tanta figaggine--- (Ah, sì, alla fine ho genderbenderato (?) Natsumi. Dubito comunque di averli fatti IC .u.) … Sempre meglio dell'idea dell'omicidio/suicidio che mi era venuta in un primo momento C:
Come si può capire dal banner qui sotto (yep ♥) questa… raccolta di flashfics collegate strettamente tra loro (notare poi quanto io mi sia impegnata per fare l'acronimo della parola "Distance" :3) parla di un amore a distanza.
Onestamente non ci credo tantissimissimo… insomma, sì, quando si tratta di venti kilometri è anche… plausibile. Ma quando si parla di addirittura oceani e mari e monti e pianure e deserti mi sembra una cosa un po' improbabile, si è… un po' troppo lontani diciamo. Insomma, credo nella relazione a distanza, ma non a troppa distanza. Tuttavia mi è sembrato carino trattare di questo argomento, considerando che deve essere parecchio difficile e deprimente sapere di avere la propria anima gemella a ventordicimila kilometri da te e non poterla toccare (poi ci si sfoga nelle videochat, teeh-eeeeeh--- dicevo?).
In questo caso Rococo si trova in Congo. Sono perfettamente consapevole che la Level 5 ha ingegnosamente inventato uno stato tutto per lui, ma ehi, io non sono la Level 5 e sono una fanwriter e del Cotarl so solamente il nome ♥.
Meglio se vado, non vorrei fare l'angolo più lungo della fic. Buona fortuna lettura a chi leggerà…
 
 
 
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Dal terrore sbarrò gli occhi, boccheggiando, e si agitò convulsamente sul letto di cenere. Si stese a pancia in su e respirò ancora, ansimando rumorosamente, come se fosse stato tanto tempo in apnea e ora riacquistasse fiato in superficie con spasmodici gesti. Rantolò per diversi secondi sul letto come un animale ferito a morte, tenendosi la gola sanguinolenta con entrambe le mani, finché un bacio non lo zittì e mise fine alle sue pene.
- Che fai, stupido?
In breve tempo venne attaccato da una spiacevolissima sensazione di calore, cosa che lo costrinse a girarsi tra le lenzuola -come era pesante il suo corpo, non lo ricordava così ingombrante- e a incrociare lo sguardo nocciola di un ragazzo bellissimo che però stentava a riconoscere.
- Shh. - lo zittì piano quello posandogli un dito affusolato sulle labbra fresche e gonfie di baci. - Stai tranquillo, era solo un incubo.
- Un incubo? - sussurrò appena, guardandolo inerme mentre il ragazzo si sollevava sulle braccia forti e si stendeva su di lui facendo combaciare i loro corpi. - Sei pesante.
- Ne fai spesso ultimamente. - lo ignorò l'altro, sorridendo divertito alla smorfia di dolore del suo ragazzo. - Forse dovremmo fare l'amore meno spesso.
- No! - esclamò di riflesso Rococo, ma ammutolì subito avvampando.
Natsu rise. Aveva una risata bella, ruvida e dolce, come il suono del mare o del vento d'autunno. A Rococo ricordava un po' la sua terra, i colori e le luci dell'estate arroventata, i mercati chiassosi, le giungle del nord.
Natsu si spostò quasi subito, permettendogli di respirare regolarmente, e con un attimo di esitazione si alzò lentamente stiracchiandosi pigro. Rococo ebbe un attimo di smarrimento nel notare la sua figura snella e nuda stagliarsi contro lo specchio, un sorriso felino che poche volte gli vedeva fare. Lui girò un attimo su se stesso, guardando la sua immagine riflessa con fare vanesio… poi si voltò di spalle e semplicemente, come trasportato da un refolo di vento, sparì.
 
 
 
 
 
- Io ti ho sognato ancora.
Sembrava quasi un'accusa sibilata tra i denti, quella, e non una semplice affermazione.
Natsu rimase in silenzio. Era come se qualcosa gli avesse rubato le parole, il respiro, la bellissima voce.
- Avevamo fatto l'amore. Insomma, fisicamente. Però riesco solo a sognare il dopo, mai il mentre… come se fosse reale. Eppure tu in ogni sogno ti comporti in modo diverso. Sono risvegli tutti differenti tra loro: a volte esci dalla porta, a volte scompari, svanisci. Spesso non ti svegli neanche, e ad uscire o… o svanire… sono io.
Il silenzio dall'altra parte della cornetta sembrava assoluto ed eterno. A Rococo tremavano le mani, perché la moneta non sarebbe bastata e un altro uomo aspettava dietro di lui per una telefonata. La stazione era insolitamente gremita.
- Ma sai quali sono i sogni che mi spaventano? - parlò di fretta, veloce, soffocando l'ansia. Voleva sentire la sua voce. Voleva sentirlo. - Io li chiamo incubi. Sono sempre risvegli, con l'unica differenza che il letto è vuoto: non ci siamo. Né io né te. Eppure sono nella stanza, ma lontano come un'ombra. C'è sempre il temporale, e il letto è vuoto.
Rococo lo sentiva respirare, piano, contro il suo orecchio. Era una consolazione sapere che da qualche parte, lì fuori, esisteva una persona tanto speciale da rubarti il respiro e l'anima.
Mi senti? Posa una mano sul petto.
Rococo si sentì tremare nell'udire la sua voce roca per la distanza. Ubbidì e sentì il ritmico tamburellare del suo cuore in tempesta.
Sono lì. Sono tutto lì.
- Che stronzata.
Sì, è una stronzata. Però è piacevole, non trovi?
- Promettimi che mi verrai a prendere.
Appena avrò finito con il sistemare le cose.
- Quali cose?
L'azienda di mio padre. Qui è un casino.
Una voce metallica interruppe il filo dei suoi pensieri. Si sentì mancare nel scoprire che mancavano solo pochissimi secondi. - Ti amo. - e lo dissero all'unisono, piano, per non ferirsi.
 
 
 
 
 
Smarrirsi nei ricordi era una di quelle cose che più lo facevano star male. Come, ad esempio… oh: la prima volta che erano usciti. Era stata una serata piacevole, avevano mangiato italiano e erano usciti a fare una lunga passeggiata fino a raggiungere il distretto del Giappone…
Natsu non aveva mai desiderato così tanto che il mondo apparisse come una piccola Liocott.  Come appariva lontano il Congo, addirittura li speravano oceani. Eppure riceveva, puntualmente, la telefonata di Rococo dalla stazione dei treni, prima che andasse al lavoro. Certo il fuso orario non favoriva un grande approccio mentale, ne erano la prova gli sbadigli involontari che regalava al cellulare di tanto in tanto.
Essendo Rococo sprovvisto di cellulare o telefono fisso, era molto difficile rimanere in contatto, salvo scriversi poche lettere o inviarsi regali semplici. Natsu in quelle occasioni si ritrovava in difficoltà, perché a Rococo vestiti di marca e orologi di lusso non potevano servire, e odiava terribilmente ricevere aiuti economici di qualche sorta.
Una volta, dopo avergli chiesto cosa volesse per il compleanno, aveva ricevuto una risposta semplice che lo aveva fatto tanto dannare: "Qualcosa di tuo".
La sua situazione economica gli aveva permesso di ottenere parecchi beni, considerando poi la cospicua eredità del padre che gli aveva lasciato, oltre a una disgustosa amarezza, un'azienda della quale Natsu non poteva fregar di meno. Eppure, a ben pensarci, non sentiva nessuno di quegli oggetti come suo. Aveva optato per una camicia, costosa ed elegante, l'unica che gli piacesse davvero, e l'aveva inviata per posta sperando che la lontananza non la sfavorisse.
La camicia era arrivata, ma Natsu si chiedeva con un certo imbarazzo che cosa ci facesse Rococo. Insomma, lui lavorava nelle miniere, non aveva bisogno di vestiti del genere.
Quello che non sapeva era che Rococo di sera arrivava a casa dal lavoro e usava la camicia come pigiama. Gli andava un po' grande per via del suo corpo esile e malnutrito, ma era piacevole sentire qualcosa di amico addosso.
Quello che non sapeva era che Rococo in quella camicia ci viveva.
 
 
 
 
Troppe volte era capitato loro di chiedersi, pur cercando di ignorare il solo pensiero, che cosa accadesse al di là dell'oceano. Soprattutto, se le intenzioni dell'altro fossero sincere, se per caso le loro fossero tutte bugie dettate da un'altra relazione, se fossero cambiati.
Effettivamente Natsu non aveva particolare disponibilità di tempo per intraprendere un viaggio in Africa e Rococo non aveva abbastanza denaro per pagarsi il biglietto dell'aereo: già era tanto se riusciva a racimolare i soldi necessari a quelle fondamentali telefonate di prima mattina.
Tuttavia riuscivano a vedersi due volte l'anno, a volte persino tre, e entrambi aspettavano quel momento con bramosia assillante e folle. A Rococo capitava di saltare il lavoro solo per arrivare alla stazione dei treni con almeno un'ora di anticipo. Se il treno tardava, era una tragedia: lo si poteva trovare a camminare lungo il binario con il chiaro intento di aspettare che qualcosa accadesse. Qualsiasi cosa.
Effettivamente Natsu pensava, quando arrivava da lui, che il ragazzo fosse un po' troppo ossessivo. Possessivo. Geloso. Ed era un lato che conosceva bene, non tanto  chiaro ma visibile in piccoli comportamenti. Le sue braccia che lo stringevano forte durante la notte, ad esempio, come se avesse potuto scappare o volare via come una colomba… eppure in un certo senso capiva che era tutta causa di quegli incubi. Rococo li chiamava sogni, perché di sogni si trattavano se c'era la sua presenza… Eppure c'era qualcosa che non andava. Non capiva.
In quei rari giorni che in un primo tempo erano state settimane intere, Natsu si sentiva a casa. Adorava il villaggio di Rococo, la tranquillità laboriosa dei contadini, i colori del mercato, la foresta umida e fresca, la cucina e l'odore di stufato. Non aveva mai osato mettere mani ai fornelli in presenza di Rococo. Le uniche volte che aveva provato a cucinare un onigiri era venuta fuori una poltiglia biancastra e molliccia dall'odore sospettoso.
Troppe volte avevano dubitato dell'altro. Sempre, comunque, avrebbero sentito la sua mancanza.
 
 
 
 
 
Alcune notti Rococo si ritrovava a guardare la luna fuori dalla finestra, quando non riusciva bene a dormire. Guardava la luna e si chiedeva se Natsu la stesse guardando con lui. Poi pensava: ma no, non è possibile, ci separano sette ore e mezza. Da lui è già mattina: le sue cameriere gli hanno preparato la colazione e ora sta andando al lavoro con l'auto nera, come quella dei ricchi. Starà pensando a me.
Poi si correggeva ancora, e rifletteva sul fatto che di prima mattina una persona di certo non poteva pensare a qualcuno chilometri e chilometri lontano da lui. Non di mattina presto. Un giorno di questi avrebbe chiesto a Natsu se lo pensava ogni mattina. O forse no, era una cosa parecchio egoista.
Si girava e si rigirava nel letto fin quando il sonno non lo coglieva, per poi svegliarsi di nuovo. Era un continuo tormento, una follia pura e ossessiva. Lo faceva piangere, ma era bella e dolce come una ferita.
Poi non poteva di certo lamentarsi con le sue stupide fantasie se non riusciva a dormire per tre ore di seguito senza svegliarsi e pensare meccanicamente a lui. Il più delle volte, quando la mattina si ritrovava ad alzarsi ancor prima del sole, imprecava contro quello che dimenticava essere il suo ragazzo…
Eppure era piacevole stare svegli, guardare la luna e pensare a Natsu. Pensare al fatto che non lo avrebbe abbandonato, e qualcosa li avrebbe uniti sempre e comunque: un filo rosso, di quelli che si raccontavano  nelle leggende metropolitane.
Contava i giorni. Ed era sempre più estenuante aspettare il suo arrivo: le settimane diventavano mesi, i mesi stavano diventando anni. Era la cosa che più temeva: che passassero anni. E che diventassero vecchi senza conoscersi, ma semplicemente aggrappandosi a una consapevolezza, una futile speranza. Che si dimenticassero, ancora peggio, di ciò che provavano.
Allo stesso tempo, tuttavia, Rococo aveva la sensazione di star dimenticando addirittura se stesso. E a dimostrarlo erano i morsi, i lividi, i tagli profondi che si ritrovava di tanto in tanto, comparsi dal nulla per una curiosa casualità… o per una malata follia.
 
 
 
 
Natsu non se ne rendeva conto, ma le poche volte che veniva a trovare Rococo l'intero villaggio subiva una sorta di cambiamento. Gli abitanti infatti, venendo a conoscenza del ricco ospite, cercavano di dare la migliore immagine del luogo.
Ciò che non potevano di certo immaginare era che la vera ragione per la quale il ricco giovane si trovava in quel villaggio era molto semplice. Nessuno poteva credere al fatto che alloggiasse in quella casa in fondo alla strada, sotto lo stesso tetto del giovane minatore, l'ex atleta di qualche assurda squadra calcistica. E sicuramente non potevano immaginare che cosa ci fosse sotto.
A Rococo non importava: non poteva importare. Era bello svegliarsi col buio e il suo corpo accanto al suo, placidamente sdraiato nel suo letto, nella sua stanza, nella sua casa. Non riusciva a dormire, poteva rimanere a guardarlo per ore, e ore, e ore, e ore. Sempre, tutta la notte. E gioiva silenziosamente quando Natsu faceva altrettanto, rimaneva a fissarlo negli occhi a sua volta e lo accoglieva tra le sue braccia, forti e possenti, da uomo. A Rococo piaceva il suo odore, affondare una mano tra i suoi capelli -ramati, soffici e lunghi, la sensazione più bella del mondo- e far scivolare una mano sul viso sbarbato.
Rimanevano sempre in silenzio: non c'erano parole da dire, se ne erano dette troppe. Preferivano sdraiarsi e rimanere lì, l'uno di fianco all'altro, guai ad alzarsi o solo accennare ad allontanarsi.
Poi però arrivava l'ora di partire. E Natsu piuttosto che annunciare il suo addio preferiva andarsene, in silenzio, assicurandosi che Rococo dormisse profondamente. Usciva in strada e prendeva il treno della sera, asciugandosi le lacrime, un po' incespicante e goffo nel suo cappotto di marca, incurante di chi, a dispetto dell'ora, rimaneva ancora sveglio.
Non era mai abbastanza attento: lo feriva allo stesso modo.
 
 
 
 
 
- Credo che morirò.
Natsu sussultò dall'altra parte del mondo, un singhiozzo soffocato da un caratteristico frusciare di carte. Puoi ripetere?
- Sto morendo.
Natsu sbarrò gli occhi, inconscio per qualche secondo di non essere visto dall'altro. Che cosa?
- Sto morendo. - spiegò con terribile tranquillità Rococo. - Non riesco più a percepirmi. Forse sono già morto, e non lo so. Io non esisto più.
Natsu rimase in silenzio, cercando di raccogliere le idee. Socchiuse gli occhi e aspettò che l'altro continuasse. Sentiva il sangue pulsare nelle vene come eccitate da una scossa bollente e dolorosa.
- Vedi Natsu, mi sono appena reso conto che io sto vivendo unicamente per te. - esplicò il ragazzo chiudendo gli occhi, il rumore dei treni che copriva le sue parole. - Mi alzo di mattina, e penso: devo fare presto, devo chiamare Natsu, devo andare al lavoro per prendere i soldi così posso chiamare Natsu, Natsu verrà a trovarmi presto. Natsu, Natsu, ci sei solo tu. E io nel frattempo sto scomparendo, non mi reggo in piedi, non mangio, non dormo, alle volte svengo in qualche buco alle miniere e ho quasi paura di rimanere lì. Morire lì senza neanche vederti. Sembra patetico, ma mi sto rendendo pian piano conto che se davvero devo morire voglio farlo tra le tue braccia.
L'uomo dall'altra parte dell'oceano sussultò ancora sentendo la sua voce tremare, le sue parole flebili e strascicate. Se lo immaginò, per una volta, un fantasma sbiadito e incolore che prendeva via via sempre meno consistenza. Fino a diventare cenere e polvere e pensieri.
- Ho preso a tagliarmi. - confessò in seguito Rococo, un segreto che attraversava monti, mari, oceani, foreste, deserti per poi giungere fino in Giappone. - Da qualche mese ormai.
Silenzio.
La voce metallica che proclamava la fine imminente del credito ghiacciò entrambi, immobilizzandoli. Dall'altra parte dell'oceano non si sentiva alcun rumore, nemmeno il respiro.
- Ti amo.
Attaccò senza ricevere risposta. E non lo richiamò più per i giorni che seguirono.
Fu uno di quei giorni che Natsu pensò che l'agenzia di suo padre poteva andare pure in fallimento. A lui non importava.
Non poteva importare.
 
 
 
 
 
 
E quei giorni si dimostrarono terribili per Rococo: perché non riusciva a chiamarlo. Andava puntualmente alla stazione, ma rimaneva davanti alla cabina telefonica -quella di sinistra, la cabina di destra non funzionava- senza aver il coraggio di entrare. E a forza di esitare arrivava troppo tardi al lavoro, tanto che in un primo momento Rococo pensò di non passare più.
S'incamminava verso le miniere con una terribile sensazione all'altezza dello stomaco, una fame perenne che non scompariva più, un pensiero angosciante che non tardava a manifestarsi ogni volta che pensava al giapponese.
La sensazione diventò tanto insostenibile che ad un certo punto decise di chiamare. Per scusarsi, almeno, perché di sicuro lo aveva fatto preoccupare. Era un pensiero stupido, ma Rococo un po' ci sperava, che tenesse un po' a lui, nonostante la distanza e il filo rosso che, via via, andava sfilacciandosi.
Rimase del tutto attonito quando a rispondergli fu la segreteria telefonica, un'intraducibile segreteria telefonica in giapponese. Solo il segnale acustico lo avvertì che poteva lasciare un messaggio. Pensò che sarebbe stato più facile.
- Sono io. - iniziò banalmente, ma si bloccò imbarazzato: era sempre lui, a quell'ora. Aveva smesso di presentarsi mesi prima. - Volevo solo dirti che… mi dispiace. Avrei dovuto dirti che stavo bene. Sto bene. - mormorò guardando il cielo terso. - Sono stato crudele. Vorrei dirti che mi piaci da morire, ma sarebbe inadeguato a questo punto. Non soffro, sto bene. Ti aspetto.
E cos'altro dire? Non funzionava. Non poteva funzionare. Non sarebbe più stato come prima. - Ti amo. Spero di trovarti domani. Mi manchi tanto.
- Voltati, stupido.
Voce tremante, a malapena trattenuta. Voce bella e calda che bruciò il cuore di Rococo, rendendolo sordo a qualsiasi altro suono o rumore. Strappandogli l'anima e il respiro.
 
 
 
 
 
 
Note di Fine capitolo:
Lo so, oddio, è un finale orribile. Chiedo venia.
Ehm… beh, da come si può intuire, o forse no… alla fine Natsu è tornato dal suo Rococo, fregandosene dei suoi impegni.
Vorrei chiarire una cosa riguardo alle condizioni di Rococo: potrebbe sembrare uno stereotipo buttato così, ma facendo una ricerca più o meno approfondita sul Congo ho capito che non se la passano benissimissimo. Stupide multinazionali.
Sono 2.649 parole senza le note, circa sette pagine in Times New Roman in tutto c: Pensavo di dare di più in questo contest, e soprattutto di scrivere qualcosa di migliore, ma sinceramente è pur sempre meglio della coppia che mi era capitata prima… non che non mi piacesse, ma non avevo assolutamente idee. Con la RocoNatsu è stato più facile, diciamo, perché sapevo circa-meno-quasi chi "modificare" (?).
La caratterizzazione non è dei migliori, tuttavia ho sempre pensato a Rococo come un ragazzo sensibile e geloso, mentre Natsu/Natsumi più autoritario/a e economicamente messo/a meglio (?)
Non ho altro da dire credo… come al solito apro le danze da quanto ho potuto capire-- ma perché sono sempre la prima a pubblicare nei contest? Non è giusto, mi sento in svantaggio (?)
Ringrazio Camy e Roby per la pazienza e la disponibilità. Sicuramente è un contest interessante… e credo di aver creato un'ottima alternativa alla RocoNatsu *u* O forse no.
Bene.
Questo è il momento dei pomodori, dell'insalata, delle uova, dei sottaceti e del tonno (?). Sbizzarritevi *U*
Au revoir ♥
 
   
 
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