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Autore: Debbie_93    14/11/2013    2 recensioni
Ok. Io ho provato a mettere in risalto una parte di quello che Dean ha provato all'Inferno, con un piccola modifica. Spero di esserci riuscita, perché la stesura è stata molto complicata. Dato che dell'Inferno si sa solo quello che ha fatto. Spero di esserci riuscita, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alastair, Bela Talbot, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Terza stagione
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Sangue. Non c’era altro che sangue attorno a me. Le urla disperate di un giorno senza fine, la paura pervadeva ogni mio nervo e la mente lacerata da ricordi troppo oscuri per essere rievocati. Il respiro farsi sempre più sostenuto e la Morte alle porte, niente e nessuno avrebbe fermato questo incubo. Era la realtà. Una realtà da cui non potevo scappare. Ero qui, caduto in basso per uno stupido patto col Diavolo. La mia anima ormai macchiata del crimine più grande e niente poteva purificarla.
Mi ritrovavo in quel lurido posto, senza giorno e senza notte. Il tempo immobile ed eterno, mentre lui si prendeva cura di me. Mentre ancora una volta mi faceva la stessa identica proposta, ma io non accettavo  e non volevo assolutamente aggravare la mia situazione. Lo sguardo perso nell’Inferno dei miei incubi peggiori. L’odore della mia carne a brandelli, il suono delle mie urla e la sua risata. Tutto questo non era possibile, eppure mi ci ero ritrovato. A denti stretti sopportavo tutto quello che mi facevano, le catene legate ai miei polsi e due lame piante nel mio addome. Il cuore che batteva all’impazzata, la mia gola che bruciava e il corpo che voleva ribellarsi a quella costrizione. Non potevo, non potevo sfuggirgli per nessuna ragione. Mi guardava dritto negli occhi, aspettando una mia resa e al suo posto solo uno sputo di sangue sulla sua camicia immacolata. Continuava, continuava e a denti stretti cercavo di non cedere. Di non dargli la soddisfazione che si aspettava da me.
Il dolore mi pervadeva da capo a piede. Lottavo contro una condizione che non potevo cambiare. Lo seguivo con lo sguardo le linee che tracciava sulla mia pelle, incidendone pezzo per pezzo. Sapeva dove colpire e come farmi parlare. Una minima sillaba e mi avrebbe fatto scendere dalla ruota. Attorno a me, c’erano solo le pareti di un vecchio edificio che stava cadendo a pezzi. L’odore di sangue, ossa e metallo mi pervadevano le narici creando uno stato di nausea. Ma ero all’Inferno e lui era solo all’inizio. Tante volte menzionava il nome di mio padre, diceva che non ero stato alla sua altezza e per questo avrei ceduto. Quello che pensavo io ero quello di sapere che là fuori mio fratello era vivo e questo mi dava la certezza di non aver fallito il compito. Già, mi mancava. Ogni fottuto giorno non facevo altro che urlare il suo nome, solo per non pensare a cosa mi avrebbero fatto e cosa mi aspettava ancora. Nessuno potevano salvarmi e fin dall’inizio non volevo che succedesse. Era una sorta di liberazione, da tutte le mie responsabilità e questo era il mio destino: finire sotto i ferri.
Alastiar si avvicinò con il suo rasoio preferito, impregnato dell’odore del mio sangue che lo eccitava alquanto. Riusciva a piegare la mia anima a suo piacimento e a suo divertimento. Lei cercava si sottrarsi, ma era inutile. Qui era tutto maledettamente diverso e il dolore non era minimamente paragonabile ad una pallottola piantata nel cranio. Quella era solo una sensazione fisica e quasi percettibile. Il dolore che esercitava su di me era ben altro. Era quello di rinnegare tutto e di seppellire per sempre la voglia di riscatto contro tutto ciò che sulla Terra stava accadendo.
A volte mi lasciava in pasto ai demoni di seconda scelta, che finivano il lavoro. Da quello che avevo capito non voleva sporcarsi le mani oppure aveva altro da fare che stare con uno come me. Però sembrava che gli piacessi, che gli piacesse la mia espressione di dolore mista a rabbia e così mi ritrovavo con un corpo ridotto a brandelli e la carne sparsa su tutto il pavimento. Le mie urla riecheggiavano nella stanza, ma nessuno mi poteva sentire. Poi come per magia prima che quella sensazione mi bruciasse le ossa, tornavo intero. Non sentivo più nulla, ma solo l’anima ricordava ciò che mi era successo prima. Allora lui puntualmente tornava da me e con quella espressione ipocrita che si ritrovava avvicinava il suo rasoio alla mia gola.
«Prenderai questo e farai il lavoro al posto mio. Sai, qui il personale scarseggia e mi serve qualcuno di qualificato.»
La sua voce penetrava nella mia mente come una lama ben affilata e risvegliava quel vuoto che si stava creando dopo tutte quelle torture. Come se la sua lama avesse fatto a pezzi la mia vita stessa e non rimaneva altro che un deserto di polvere dove i ricordi si spezzavano uno ad uno.
Io lo fissavo e più vedevo la sua faccia, più avrei voluto invertire i ruoli. Farlo a pezzi, fargli confessare tutti i suoi crimini e infine cavargli il cuore dal petto. Vedere la sua espressione di puro dolore e il suo corpo grondante di sangue, mentre completavo la mia opera di vendetta.
Di sicuro non ero nella posizione di fare un accordo con lui e la sua risata ipocrita, non faceva altro che farmi incazzare ancora di più.
«Sai che ti dico Alastiar», lo guardai dritto negli occhi, «Vai farti fottere. Tu, il tuo lavoro, i tuoi demoni e l’Inferno. Se è me che vuoi, dovrai lavorarci sodo», l’alternativa era quella di provocarlo e vedere che succedeva. Dopotutto anche io potevo divertirmi. Poteva essere una mossa avventata, ma in qualche modo dovevo provarci.
Lui continuava a fissarmi con quel sorrisino e affondò di poco la lama nella mia gola. Immediatamente il sangue scese sulla mia pelle e strinsi i denti.
«Ragazzo, non sei nella posizione di fare nulla. Quindi quello che si divertirà sarò io, mentre tu ti godrai lo spettacolo in prima fila.»
La sua faccia non tradiva alcuna emozione e nessun sentimento per quello che stava facendo. Con un colpo netto e mirato trapassò il mio stomaco da parte a parte. Sgranai gli occhi e sputai sangue sul pavimento, mentre le catene mi tenevano ancorato a quel lettino di ferro arrugginito freddo come il ghiaccio. Stava andando in profondità, in quel periodo che tanto avevo odiato. Alastiar aveva letto tutto di me, di come mi sentivo dopo la morte di papà e come avevo reagito a quella di Sam. Diceva che non ero abbastanza forte, che questa era solo la mia triste fine di un tentativo fallito nel salvare il mondo.
«Dean, Dean, Dean. Se non mi dirai di sì, sarò costretto a cancellarti per sempre e affidarti a Lucifero per il resto della tua vita. Oppure potrei continuare all’infinito, facendoti impazzire. Dopotutto abbiamo tutta l’eternità», la sua lama si estrasse dal mio addome lentamente e la mia bocca si aprì da cui uscì la mia voce ormai stanca di emettere suono. La mia carne debole e distrutta dopo tutti quei colpi. Il suo rasoio mi stava affettando come un maiale, voleva scavare ancora più a fondo, mentre fuori non si sentivano altro che urla di anime torturate per i loro crimini. Io avevo solo fatto una mossa per mettere al sicuro la mia famiglia e non era uno spietato assassino come loro.
Sapevo a cosa sarei andato incontro e sapevo che i miei giorni migliori erano finiti. Così mi lasciavo andare alla sofferenza e il pensiero di aver fatto la cosa giusta.
«Avanti ragazzo, so cosa vuoi. Sento quello che provi e vorresti questo per consumare il tuo dolore che ti sta divorando l’anima.»
Si allontanò da me, solo per farmi riprendere e riflettere. Il profilo basso e gli occhi puntanti a terra, mentre nella mia mente si formarono immagini macabre miste ad un desiderio di fare una strage. Quel vuoto continuava ad espandersi sempre di più e non c’era modo di fermarlo. Ormai non facevo più caso a nulla: alle mie urla, alle mie parole e ai miei sentimenti stessi. Era tutto svanito, senza lasciare traccia.
Alzai lo sguardo verso di lui e sorrisi.
«Figlio di puttana, fammi scendere e ti squarterò vivo senza pietà.» Le mie parole uscirono senza un ragionamento logico o razionale. Alastiar si voltò verso di me e senza che me accorga mi ritrovai con i piedi per terra e fra le mani il suo rasoio affilato. Guardai di fronte a me e tutte le ferite che avevo erano scomparse. Poi sentii qualcuno piangere alle mie spalle, un pianto insopportabile che volevo sopprimere con la forza. Stringendo l’impugnatura della mia arma, scoprii chi era. Una donna, vestita come tutte quelle che volevano farsi fottere per un po’ di soldi. Lei mi guardava e chiedeva pietà, mentre le lacrime le avevano rigato le guance.
Mi avvicinai a lei e le tagliai la gola di netto. In una sola mossa, quel pianto insopportabile finì e il suo sangue colò a  terra. La mia mano era sporca assieme al rasoio. Poi sparì e al suo posto, un’altra anima in lacrime che chiedeva la salvezza. Il suo sguardo macchiato dalla violenza delle sue azioni, consumate nelle fiamme dell’Inferno. Non esitai neppure un solo istante e incisi la sua carne, sembrava che stesse bruciando e il suo odore mi stava dando la certezza di fare ciò che mi stava portando a riempire quel vuoto. La sensazione di consumare una vendetta su quella lama macchiata del sangue delle mie vittime.

[…]
 
Passavano i giorni, le ore e i secondi forse anche gli anni. Il tempo era una cosa soggettiva. Tra sangue e metallo, sempre di fronte alla mia vendetta personale. La mente che continuava a ripetermi di uccidere, come se quei sentimenti avessero preso il sopravvento. Lo sguardo perso in tutto ciò che mi aveva trasformato in uno spietato killer, l’anima macchiata di quel rosso cremisi e il cuore di pietra.
Continuavo senza sosta, senza ripensamenti, affondare quella maledetta lama dando sfogo a ciò che mi provocava un odio profondo. Restando a fissare la mia opera. Lentamente mi lasciavo andare, lasciavo che la violenza pervadesse il mio corpo e la mia mano si metteva all’opera senza uno schema preciso. L’Inferno era la mia tomba, dove sarei marcito. Quella belva che si nascondeva nell’oscurità si faceva spazio in me. L’istinto di uccidere. L’istinto di vedere la morte di anime in lacrime. L’istinto di sopprimere i più deboli.
Lui era sempre alle mie spalle, fissandomi e sorridendo per quello che stavo facendo. Avevo dimenticato cosa era la pietà, cosa era la compassione e l’altruismo.
Ogni volta che ne uccidevo una, ogni volta che la mia lama trapassava la loro carne mi sentivo sempre più forte e spietato. Assetato di sangue, di paura e sofferenza.
Di fronte a me si presentavano spietati assassini che della loro vita ne avevano fatto un’orrenda condizione. Non meritavano altro che la morte, di bruciare nelle fiamme dell’Inferno per il resto della loro esistenza. Di essere divorati dalla loro stessa violenza, quella che gli avrei fatto provare io.
I loro occhi mi guardavano spaventati, come se di fronte a loro fosse arrivata la fine. La mia mano impregnata del loro sangue.
Una voce di mia conoscenza arrivò fino alla mia mente come un richiamo: «Abbiamo del lavoro per te, Dean. Un lavoro molto interessante», come un eco si disperdeva nella stanza in cui mi trovavo. Alla mia destra un’anima in fin di vita dopo essere stata messa a dura prova, si era spenta. Sorrisi e uscii.
Fuori l’ambiente non era del tutto migliore, una distesa di lava e tutto attorno rocce aguzze dove erano legate altre anime da torturare e piegare. La crudezza era all’ordine del giorno e ormai ci avevo fatto l’abitudine a tutto, a ogni cosa che mi circondava. Piccoli demoni trasportavano dei corpi umani dove risiedeva un’anima ormai spenta e venivano gettati in una Fossa infuocata, dove molto probabilmente stava Lucifero.
Uno di loro mi guardò e sogghignò, con lo sguardo che ti penetrava da parte a parte. Una leggera brezza sembrava dare sollievo al mio corpo privo della maglietta e il mio sguardo puntato dritto di fronte a me.
M’incamminai verso una strada che sembrava distinguersi dalle altre. Accanto a me, corpi e scheletri appesi che sembravano implorassero ancora pietà. Le catene penetravano nella loro carne ormai stanca e debole, il sangue colava lentamente sul terreno creando piccole pozze rosse. Alcuni di loro avevano il viso sfregato e il corpo ridotto a brandelli, ormai niente era importante. Dietro di me, c’erano due demoni che tenevano delle catene. Mi stavano tenendo d’occhio, pensavano che me la sarei data a gambe. Sorrisi malignamente e continuai a camminare dove vidi un’enorme pietra rovente e una ragazza dai capelli biondi legata a poca altezza da terra. Il suo viso era dipinto di paura e dolore. Aveva una ferita sul fianco dove la catena penetrava nella sua pelle. Il suo vestito era praticamente ridotto a pezzi e copriva parte del suo petto fino alla cosca. Sentivo la sua paura pervadere nell’aria e questo mi eccitava. Il viso rivolto verso il basso e dei piccoli demoni che continuavano a ripetere parte di ciò che non riuscivo a capire. La tenevano ancorata alla pietra e si voltarono verso di me.
«E’ lui… E’ venuta per lei», si spostarono e continuai ad avvicinarmi alla ragazza.
Tenni fra le mani il rasoio ancora sporco di sangue. Inclinai di poco il capo e scoprii chi era lei.
«E alla fine ci si rivede, Bela», sogghignai. 
   
 
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