Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
Ricorda la storia  |       
Autore: Ommy Wilson    15/11/2013    0 recensioni
Lei era la ragazza in fondo all'aula.
Lei era quella che non riusciva a socializzare.
Lei era la testarda che si ostinava a non fare i compiti a casa.
Quella sempre con la testa tra le nuvole.
Sunflower racconta la storia di una ragazza di nome Misaki che, a causa di un incidente, ha decretato la fine della felicità dei suoi genitori, ma soprattutto ha completamente annullato ogni possibilità di avere un'infanzia ed una vita felice. Lì dove la realtà la ha tradita ed umiliata, dove l'umanità non ha fatto altro che ferirla, forse è necessario qualcosa di magico e surreale per curarla.
Una storia che gira intorno alle emozioni ed al bisogno di non essere abbandonati e di trovare quell'unica forma di affetto di cui tutti abbiamo bisogno.
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Homura Akemi, Kyubey, Madoka Kaname
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dal diario di Noriko, professoressa delle scuole medie.

 

Quello che voglio riportare su questa pagina di diario non è altro che un mio vano tentativo di sfogarmi su quanto è accaduto.

Sono passati anni da quando ho scritto su questa carta, affidandomi ad essa come se nessun altro fosse in grado di capirmi. Purtroppo, solo adesso che mi rendo conto quanto assurde siano le cose che sto per raccontare, riesco nuovamente a comprendere come possa sentirsi un adolescente confusa ed isolata. Ricordo appieno le sensazioni di disorientamento e l'incapacità di dare una vera e propria identità a se stessi; ma soprattutto ricordo il disperato bisogno d'affetto che contraddistingue quelle persone che, ironicamente, vedi sempre sole, rintanate nell'ultimo banco dell'aula, ad invidiare il prossimo e la sua capacità di aggregarsi.

Però non è da qui, dalla scuola media, che tutto è iniziato.

Conoscerete la piccola Misaki Nagai immagino. Ovviamente... Tutti conoscono Misaki Nagai. Eppure, prima che tutto iniziasse, lei era solo l'anonima figlia della grande rock star Daiki Nagai. Ed era proprio in quel periodo, quando ancora Misaki altro non era se non una spensierata bambina di cinque anni, che io la conobbi.

In quel periodo non ero ancora una professoressa ed usavo scrivere molto più spesso sulle pagine di questo diario. Come molte, potevo identificarmi come la solita ragazzina che aveva perso completamente la testa per quel giovane virile che si esibiva cantando, in televisione e sui palchi di tutto il Giappone, indossando sempre quelle eccentriche camice troppo strette per il suo fisico muscoloso e ben definito.

Quelli avrei potuto definirli dei tempi davvero spensierati e se avessi saputo cosa stava per accadere, allora me li sarei sicuramente goduti di più.

Mi trovavo al bar con le mie amiche, ma non ero lì per caso, no affatto. Sapevamo che il nostro idolo, Daiki Nagai, si sarebbe presentato in quell'esatto luogo!

Quanto ero eccitata se ci ripenso, probabilmente solo il trauma successivo è in grado di superare quell'eccitazione che solo un'adolescente può avere nei confronti del proprio idolo.

Quando arrivò, tentammo di non sembrare troppo sfacciate tempestandolo di attenzioni, ma alla fine la nostra resistenza venne meno e ci ritrovammo a circondarlo, a chiedergli autografi ed a fare tutto quello che tutti farebbero di fronte alla persona che stimano sotto ogni punto di vista.

Se solo avessi avuto la coscienza che ho adesso, magari allora mi sarei resa conto che quell'uomo altro non era se non una viscida sanguisuga affamata, affetto da una forma di egocentrismo spaventosa; un egocentrismo che ricadde inevitabilmente sulla piccola figura che in pochi, oltre a me, avevano notato.

La piccola Misaki si trovava col suo papà e continuava a guardarsi intorno spaesata, facendo dondolare le ciocche dei suoi splendidi e lisci capelli gialli come i petali dei girasoli. Nessuno si degnava di dedicarle un briciolo di attenzione e, anche se lei sembrava abituata ad essere assalita da orde di persone quando era in giro con il suo papà, si ritrovò presto a fare tutto quello che fanno i bambini per intrattenersi: interessarsi alla prima cosa estranea alle proprie conoscenze.

I suoi occhietti grigi caddero sulla porta d'ingresso del bar, poi la sua vocetta si fece strada nelle mie orecchie...

Ricordarla adesso mi crea, in qualche modo, una forma di angoscia e di terrore difficile da spiegare.

 

"Papà! Micio!"

 

Furono le parole che Misaki pronunciò quel giorno, tirando la mano del papà che, ritenendo troppo importante essere al centro dell'attenzione, non solo la ignorò, ma addirittura si liberò di lei mollando la presa, quasi come volesse spingerla a togliersi di torno.

 

Lei non era importante, la sua fama sì...

 

Misaki allora prese alla lettera la reazione di suo padre e si diresse verso l'uscita.

 

"Micio!"

 

Squittì ancora con la sua vocetta.

Uscì dal bar.

Fu allora che in me, qualcosa si risvegliò. Forse perché, avendo due sorelle più piccole, sono sempre stata terrificata dal fatto che potessero farsi male, non ne sono certa. Fatto sta che fui l'unica ad accorgersi, in quel momento, che una bambina lasciata indisturbata poteva farsi davvero molto male.

Riuscii ad ignorare il mio desiderio di toccare, di parlare, con quello che adesso penso sia uno degli esseri più ributtanti del pianeta e mi precipitai verso la porta.

La spalancai.

Però era già troppo tardi.

Non ricordo esattamente se sono stata in grado di urlare prima di sentirle ancora una volta pronunciare "micio!", ma sono certa che il mio urlo sarebbe comunque stato sopraffatto dalla frenata emessa dall'auto che si era ritrovata la piccola Misaki in mezzo alla strada, ad una distanza che rendeva impossibile qualsiasi manovra per evitare l'impatto.

Mi tremano le mani a descrivere cosa vidi, quindi non mi spingerò nei dettagli, visto che probabilmente sarete tutti in grado di dedurre cosa accadde da quel momento in poi. Però... Con ancor più terrore riesco a scrivere qui, su questo diario abbandonato da anni, cosa non vidi.

Dentro il bar e al di là della strada... non c'era nessun gatto.
 

 

Io sono una figlia di convenienza.

 

Molto spesso si crede che la vita sia una sorta di miracolo. Che tutto ciò che accade sia in qualche modo parte di un disegno a noi incomprensibile, ma che, lentamente, nel corso degli anni prende forma, sino a farci rendere conto che tutto ha avuto un senso sin dall'inizio.

Gli imprevisti e le coincidenze ci fanno apprezzare la vita. Quando le cose accadono rimaniamo sempre sorpresi e la nostra opinione viene influenzata dalla bellezza o dalla brutalità degli avvenimenti esterni. Alla fine, siamo solo argilla nelle mani di un oscuro modellatore e, indipendentemente dal risultato, attendiamo di trasformarci in un capolavoro. Tuttavia non sta a noi decidere chi sia l'artista che tenga tra le sue onniscienti mani i risultati della nostra vita.

Per quanto riguardava l'esistenza di Misaki Nagai, se glie lo avreste chiesto, probabilmente vi avrebbe risposto che le mani che la modellavano appartenevano senza dubbio ad un autore di Best Seller drammatici, noto per essere in grado di far peggiorare le cose di pagina in pagina, senza mai abbellire con un briciolo di ottimismo neanche la punteggiatura.

Lei era la ragazza in fondo all'aula.

Lei era quella che non riusciva a socializzare.

Lei era la testarda che si ostinava a non fare i compiti a casa.

Quella sempre con la testa tra le nuvole.

Soprattutto però, lei era una figlia di convenienza.

Probabilmente vi aspettereste che la pargola di una famosa rock star sia in grado di vivere in discesa tutte le difficoltose tappe dell'esistenza. Forse pensate che chi nasce in una famiglia di rilevanza in qualsiasi campo, allora si ritrovi di conseguenza la strada spianata su tutti i fronti. Al contrario, per Misaki non era affatto così. Lei era ignorante, zoppa, distratta, non particolarmente bella, incapace e soprattutto “di convenienza”.

Cosa voleva dire però di convenienza?

Misaki lo aveva sentito per la prima volta da suo padre, mentre parlava con il suo menager al telefono. Però solo con il tempo era riuscita ad intendere il significato, soprattutto però grazie all'aiuto del suo secondo nome; infatti, letto per intero, lei rispondeva al nominativo di Misaki “Sunflower” Nagai. Quando nacque, i suoi genitori si trovavano in vacanza in un posto particolarmente noto per gli splendidi campi di girasole. Ora magari, vi aspettereste che quel nomignolo le fosse stato dato dalla madre in una sorta di atto d'amore, ma non è affatto così, perché lei era “di convenienza”.

“Sunflower” era stato infatti il nome che i media le diedero per far gioire tutti i fan di suo padre, la rock star Daiki Nagai, in un articolo che i suoi genitori conservavano solo per ricordare lo spicco di fama che ottennero grazie a quella tattica offerta dal menager di Daiki.

Insomma, Misaki non era nata dall'amore, né dall'errore di un profilattico difettoso e neppure dal semplice piacere sessuale umano. Lei era nata per fare soldi e così era stato, fino a che non ebbe quell'incidente a cinque anni. Allora la sua esistenza era divenuta motivo di degrado per la sua famiglia, perché i titoli riguardanti un padre che non bada a sua figlia per vantarsi di se stesso, non erano andati giù a nessuno.

I medici avevano ripetuto fino allo sfinimento che era stata fortunata, che sarebbe potuta morire invece che ritrovarsi con un ginocchio mal funzionante che serviva a farle dare continuamente dell'handicappata. L'idea di Misaki però era che quella non era stata affatto fortuna, ma malasorte. Avrebbe in un certo senso preferito morire, piuttosto che ritrovarsi a vivere una vita come la sua; isolata da tutto e tutti, con dei genitori che l'accusavano costantemente di essere la causa delle loro disgrazie. In fin dei conti li comprendeva, alla fine anche il loro matrimonio era stato “di convenienza”; lui godeva della fama e lei dei risultati che essa portava, un piano perfetto, peccato che non avessero calcolato quel gatto che gironzolava nei pressi del bar dove Misaki era stata investita. Lui l'aveva attratta fuori dal bar, poi aveva superato la strada e... Quella macchina le era venuta addosso. Inutile quindi aggiungere che per i gatti, Misaki, altro non provava se non un forte rancore.

Una volta terminate le lezioni, Misaki si alzava sempre per ultima; così evitava di incappare in qualche contatto umano, perché solitamente quelli rivolti a lei erano sempre intrisi di scherno, e soprattutto non finiva di cadere in mezzo alla folla di studenti per colpa del suo ginocchio malandato. L'attesa era spesso snervante, specie perché vedeva tutte quelle persone allontanarsi; loro erano sempre insieme, aggregate, avevano legato dal primo giorno, mentre lei no. Lei era la stupida storpia dell'angolo. Soprattutto però, detestava rimanere lì immobile perché la professoressa Noriko Lemoine ne approfittava per avvicinarsi a lei e parlarle.

Come se potesse capirla.

Come se potesse aiutarla.

« E' tutto apposto Nagai? »

Le chiese dolcemente, come faceva tutte le volte alla fine dell'ultima ora.

La professoressa Lemoine aveva discendenze francesi, ma era nata in Giappone e lì si era dedicata all'insegnamento. Era brava a farlo ed a farsi rispettare dai suoi alunni; probabilmente anche perché il suo aspetto, con i lunghi capelli neri raccolti, gli occhi scuri e gli occhiali spessi, dava l'idea di essere il tipo di persona da non far arrabbiare.

« Ho visto che hai lasciato il compito in bianco anche stavolta... Non vorrei dover parlare con i tuoi genitori, preferirei che fossi tu a dirmi se sto sbagliando io, oppure se qualcosa ti impedisce di impegnarti. »

Misaki avrebbe avuto mille modi per rispondere a quelle richieste.

Se la professoressa avesse chiamato i suoi genitori, loro non si sarebbero presentati o magari, se snervati dalla cosa, si sarebbero accaniti con lei. Se avesse invece dovuto dirle cosa le impediva di impegnarsi, allora sarebbe stato anche peggio.

Così, come tutte le volte, Misaki si limitò a dire la stessa cosa.

« Mi dispiace, cercherò di impegnarmi di più. »

Detto ciò, si alzò dal banco, si caricò la cartella sulle spalle e si incamminò, zoppicando, verso l'uscita. Poteva sentire gli occhi della professoressa gravare su di lei, intrisi di quella che sembrava una compassione che si poteva avere solo per un cucciolo di cane ferito che ha come unica alternativa di vita la soppressione, ed era proprio così che Misaki si sentiva: come una ferita da abbattere, per porre fine alle sue sofferenze.

Ritornando a casa, come al solito, venne investita da quelle scomode e tremende sensazioni che la invadevano ogni volta. Col tempo, anche quel desiderio di lasciare la scuola e rintanarsi nella propria camera, comune a tutti gli studenti, se ne era lentamente andato. In fin dei conti a lei cosa cambiava se si trovava in classe o in camera sua? Rimaneva sola, senza nessuno che l'ascoltasse e faceva male, dannatamente male.

Persino la strada che percorreva a piedi stava divenendo sempre più sfiancante e non a causa della sua menomazione fisica, ma per colpa dell'insensatezza per cui doveva farla. Spesso si chiedeva che, se si fosse semplicemente seduta contro il muro, in attesa dell'inizio della scuola il giorno successivo, non sarebbe cambiato nulla, avrebbe solo dormito più scomoda.

A sorprenderla però, quel giorno, mentre camminava stanca ed annoiata, fu l'arrivo di un piccolo batuffolo di pelo nero. Un gatto che fece capolino dall'angolo della strada e la salutava con un dolce miagolio.

Misaki rimase paralizzata per un secondo, quel tanto che gli bastò dal tornare alla realtà, poi con molta fatica di piegò sulle ginocchia ed allungò una mano in modo che il gatto si avvicinasse.

L'innocente creatura allungò il collo, poi si avvicinò facendo le fusa e sperando che quella gentile estranea possedesse del cibo da donargli.

Misaki si fece annusare la mano, poi lasciò che il piccolo batuffolo si strusciasse contro i suoi piedi, allora si alzò di nuovo. Fissò il gatto che adesso la salutava con dolci versetti e poi digrignò i denti.

Era stata tutta colpa di un gatto se adesso lei non viveva in una favola che, per quanto potesse essere falsa quanto una recita, le avrebbe garantito di vivere una vita priva di tutto quel dolore.

Tutta colpa di uno stupido gatto.

Erano creature inutili.

Dovevano morire tutti.

Misaki caricò con tutta la sua forza un calcio, sostenendosi a fatica sulla gamba malandata, poi la rilasciò tutta sul povero gatto che tutto si aspettava tranne una reazione così violenta nei suoi confronti.

Il ginocchio zoppo non resse però a quello sforzo e, mentre nelle orecchie di Misaki l'urlo di dolore dell'animale che veniva scagliato lontano si trasformava nello stesso indimenticabile suono dell'auto che frenava nel tentativo di non investirla, tutto il suo corpo cadeva rovinosamente a terra.

Le ginocchia si sbucciarono a contatto con il marciapiede ed iniziarono subito a bruciare, mentre le lacrime si fecero largo, oscurando i morti occhi grigi.

Misaki fissò il gatto rialzarsi debolmente e notò che zoppicava.

Gli stava bene. Adesso era come lei: uno storpio! E gli storpi avevano vita difficile! Specie se erano gatti randagi! Loro dipendevano dalla loro agilità per catturare le prede, adesso sarebbe morto di fame.

Quella debole forma di vendetta però non bastava a riempire il vuoto dentro il cuore di Misaki che, incapace di trattenersi oltre, scoppiò in un pianto disperato, tenendosi le mani attorno al corpo, in un vano istinto di proteggersi dal mondo esterno.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica / Vai alla pagina dell'autore: Ommy Wilson