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Autore: Aching heart    16/11/2013    2 recensioni
Era stato così che aveva saputo dell’esistenza del cigno nero. Quella creatura così simile a lei ma così diversa, che si era insinuata fra lei e il suo principe e non aveva esitato a prendersi ciò che voleva, perché lei era così, era quello ciò che faceva, non si lasciava influenzare da niente e da nessuno, voleva la sua felicità e la otteneva. Aveva voluto il principe e l’aveva sedotto, forte di un fascino misterioso, quasi crudele, e di una sensualità che il cigno bianco non avrebbe mai avuto, ma che mascherava una vuotezza interiore desolante, un’anima nera come le sue piume.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Thoughts of mine - Frammenti di una favola triste'
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A Sylphs, che ha ispirato questa storia, dal titolo alla fine 


I buoni non vincono mai, non è forse così? Le favole insegnano diversamente, eppure quante favole in origine non erano che racconti dell’orrore, volti solo a mostrare come vanno le cose nella vita!
Anche la sua sembrava una favola, solo che Giulia non sapeva a quale potesse assomigliare. Lei non era mai stata né una principessa in attesa di baci che potessero risvegliarla da un sonno eterno né una sguattera seviziata dalla sua famiglia che attende l’occasione di un ballo per potersi riscattare – anche perché se il suo futuro fosse dipeso da un ballo avrebbe anche potuto appendere letteralmente le scarpette al chiodo e rinunciare in partenza –, era solo una ragazza molto insicura e molto sola, che aveva dentro un mondo intero per chi solo avesse voluto scoprirlo. Forse tutto quello che aspettava era proprio qualcuno che riuscisse a leggerle dentro tutto l’universo che aveva dipinto con le parole e l’immaginazione, andando oltre le apparenze, e che riuscisse a tirarle fuori un po’ di quell’amore sepolto dentro di lei, pronto a rischiarare il mondo di chi se lo meritasse. Ma una persona così non l’aveva ancora incontrata, e di certo lui non si rivelò quello giusto, anche se lui lo era sembrato. Sì, sembrava perfetto, una persona bella dentro quanto fuori, il principe azzurro in cui lei non aveva mai sperato.
Ecco qual era la sua favola: Il lago dei cigni. Giulia era una principessa dalla vita solitaria e malinconica in un mondo di luci e ombre, un mondo che solo lei poteva vedere – vedere, ma non vivere, perché la sua vita era legata a quel lago che l’incantesimo non le avrebbe mai permesso di abbandonare e a quelle sembianze di cigno che l’avrebbero costretta per sempre a rimanere una spettatrice delle vite altrui e mai una vera partecipante della propria. Solo l’amore l’avrebbe fatta vivere davvero, l’avrebbe resa per sempre agli occhi di tutti la principessa meravigliosa che era, ma per spezzare l’incantesimo, perché qualcuno l’amasse davvero, egli avrebbe dovuto vedere oltre le apparenze. Avrebbe dovuto vedere il cigno ma scorgere la principessa, e lei avrebbe dovuto avere il coraggio di mostrare la sua vera sé.
Difficile, quando il mondo era pieno di cacciatori pronti a colpire il primo volatile che fosse passato sotto i loro occhi e che avrebbero aperto una grandiosa battuta di caccia appositamente per un cigno incantevole come lei – persone incattivite, piene di veleno per chissà quale motivo, che erano in prima linea quando si trattava di demolire psicologicamente una persona con aggressività non appena si fossero trovate davanti qualcuno di fragile, solo, diverso. Come lei.      
Poi era arrivato lui, il suo principe, e Giulia avrebbe dovuto capire che in realtà non era che uno di quei cacciatori, solo che aveva metodi diversi, più subdoli e dolorosi. Lei aveva avuto il coraggio di mostrarsi, il coraggio di fidarsi. Viveva con la paura di essere rifiutata, di essere derisa per quello che era – una principessa trasformata in cigno, un’anima cangiante di mille sfumature in un corpo privo di qualsiasi colore, un’aspirante scrittrice piena di sogni e speranze condizionata da un involucro inadatto a lei che la faceva sentire insicura e troppo fragile – ma lui era sembrato diverso  dagli altri. Come lei.
E come il principe e Odette la notte del loro incontro avevano danzato e parlato al chiaro di luna, così anche loro avevano parlato a lungo – lei voleva sapere tutto di lui, di quel principe che le aveva rubato il cuore, e più sapeva più si convinceva che sarebbe stato lui quello che l’avrebbe salvata. Lui gliel’aveva promesso, glielo ripeteva nelle parole dolci che le dedicava, parole che lei custodiva come il più prezioso dei tesori. E Giulia ci aveva creduto davvero – aveva dimenticato di quali menzogne fossero capaci gli esseri umani, aveva dimenticato la crudeltà innata di quelli come lui, aveva dimenticato tutto quello che aveva passato – e inevitabilmente, alla fine, era rimasta delusa.
Eppure doveva sapere che qualunque cosa bella le fosse mai capitata non sarebbe durata a lungo, che stava vivendo un’illusione e quando si sarebbe svegliata da quel bel sogno avrebbe avvertito ancora di più la solitudine di quella vita da spettatrice. Perché c’era qualcosa – una mago cattivo, il fato, il destino, Dio – che aveva deciso che lei avrebbe dovuto soffrire, che un lieto fine per lei non sarebbe mai stato possibile.
Era stato così che aveva saputo dell’esistenza del cigno nero. Quella creatura così simile a lei ma così diversa, che si era insinuata fra lei e il suo principe e non aveva esitato a prendersi ciò che voleva, perché lei era così, era quello ciò che faceva, non si lasciava influenzare da niente e da nessuno, voleva la sua felicità e la otteneva. Aveva voluto il principe e l’aveva sedotto, forte di un fascino misterioso, quasi crudele, e di una sensualità che il cigno bianco non avrebbe mai avuto, ma che mascherava una vuotezza interiore desolante, un’anima nera come le sue piume.
E il cigno bianco non aveva potuto fare altro che guardare, impotente, ciò che il principe non aveva avuto il coraggio di confessare: aveva dovuto assistere all’infrangersi dei suoi sogni, alla dichiarazione di amore del principe alla sua falsa sé davanti a tutta la corte. Tutti ora sapevano di quell’amore – falso, e nero – e festeggiavano insieme a loro, mentre il cigno bianco in disparte assisteva alla morte della sua speranza e sentiva il cuore sgretolarsi e spezzarsi sotto il peso di quel dolore. Eccola, di nuovo, lontana e sola, spettatrice della felicità degli altri e della propria infelicità. Come sempre.
E mentre la speranza di essere liberata moriva, moriva un po’ anche lei. Il cigno bianco volava, agonizzante, verso il suo lago, la sua prigione per la vita, il suo porto sicuro, l’unico luogo che sentisse come casa propria perché sapeva chi lei era davvero, e si lasciava morire nelle sue acque familiari e fredde mentre la luna sorgeva, quella luna che avrebbe dovuto essere testimone della sua trasformazione – questa volta l’ultima – e invece era testimone del suo annientamento e della sua disperazione.
Erano così, cigno bianco e cigno nero, e nessuno era riuscito a distinguere l’uno dall’altro, perché accettare il cigno nero era molto più facile e comodo che accettare il cigno bianco; tuttavia il principe si rese presto conto dell’errore che aveva fatto preferendo Odile alla dolce Odette. Si rese conto di tutto l’amore di cui il cigno bianco era capace e che già gli aveva donato, e di tutto l’amore che il cigno nero non sarebbe mai stata in grado di provare, perché semplicemente non era lei, perché nonostante le somiglianze erano quanto di più diverso si potesse trovare sulla terra. Quando il principe capì che era dell’amore della principessa dal piumaggio candido che lui aveva bisogno, era già troppo tardi, perché la luna era tramontata, portando via con sé tutto quello che il cigno bianco era per lui.
Quella fu una notte di dolore, una notte buia per il cigno bianco e per il principe, che non avrebbe mai più conosciuto un amore così grande e incondizionato; la tragedia si era consumata e aveva mietuto le sue vittime.
Ma poi, come ogni notte, dopo l’oscurità fu l’alba, fu il sole che sorse e tinse il cielo di rosa e oro, e di serenità e promesse. E, forse, per il cigno bianco, di nuova speranza. 



 
   
 
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