A Sad Sax
Simphony
Un
uomo rannicchiato al margine di una strada senza uscita.
Indossa
gli stessi vestiti da molti anni ormai; ha le stesse scarpe
ogni giorno più consunte e gli stessi pantaloni di cui non ricorda il
colore originale. Dorme per terra e ormai ha imparato che non c’è un pavimento
comodo per strada.
Scrive
poesie di tanto in tanto, e le dedica tutte alla luna,
spettatrice e madrina di ogni sciocchezza e compagna fedele solo a sé stessa.
Non ha amici, quell’uomo che dorme rannicchiato per
strada. non ricorda di averne mai avuti.
Ha
assaggiato la solitudine e ha scoperto che è l’unica amica che non ti tradirà
mai.
Ha
scoperto di avere molte amanti nelle eroine e nelle streghe dei libri, che ogni
tanto trova. E se non se trova, l’uomo le inventa. E scrive poesie, mentre il
suo vicino di casa suona il sax.
Il
suo vicino dorme dall’altro lato della strada, sul marciapiede e suona il sax
tutto il giorno per un paio di monete e troppe occhiate sprezzanti. Il primo
uomo gli vuole bene, ha imparato a volergliene. Non gli ha mai parlato, ma
quando suona quell’uomo parla alla sua anima timida e al suo cuore riparato dai
rovi.
Quell’uomo
suona il sax tutto il giorno ma è solo la notte che la
città gli risponde.
È
solo di notte che suona per lei, suona per la luna e per le maschere dietro
alle quali si nasconde.
L’uomo
del sax cala di un’ottava e parla ad un’altra scheggia di anima e, se prima si
rivolgeva, alla ragazza col vestito rosso, ora è alla vecchia che parla.
E
la vecchia ha un sussulto, ma non sa cosa sia; però, per un attimo le viene in
mente che una sua cara amica è in ospedale. Non la vede da tanto perché lei
l’ha tradita e l’orgoglio non le permette di concedere il perdono. Ma l’uomo
del sax è calato di un’ottava e parla alla sua scheggia di anima. La andrà a
trovare e la scuserà, la lascerà
morire senza rimorso.
L’uomo
del sax non fa distinzione.
Ha
parlato alla giovane vestita di rosso, ha conversato con l’ultima scheggia di
anima di una vecchia incarognita e rancorosa. E ora parla anche al matto. Il
sax cambia melodia e ritmo più spesso adesso; per parlare con l’anima di un
matto che ha così tanti colori, bisogna cambiare altrettanti suoni e
trasformarli in odori. Così il matto, che è il sindaco del suo piccolo mondo,
il parroco dei suoi mille colori e il maestro della sua folle filosofia,
ascolta la melodia del sax.
L’uomo
del sax conosce un vecchio trucco: per parlare ai matti, l’ideale è quella
vecchia melodia dei negri nei campi di cotone, che urlavano a voce bassa il
loro dolore e ghignavano sorridenti la loro unica disperazione. In un unico
coro, allegro per forza e malinconico per contratto.
E
la malinconia attraversa l’oceano e si posa lì, nell’anima del matto, che
smette di urlare e inizia a vivere qualche minuto di più. L’uomo del sax si
piega sul suo strumento e canta di nuovo alle sue muse.
La
prima musa è una bionda che fa la puttana, si chiama Tiffany e ha gli occhi
sempre dipinti; la seconda è un’attrice dei borghi e ha il nome di un fiore.
Viola saluta l’uomo del sax con un sorriso, prima di ridare di nuovo le carte.
La
terza musa è la vecchina dei piccioni.
La
musa senza labbra perché l’uomo del sax non l’ha mai sentita parlare e senza
occhi, perché l’uomo del sax non li vede e senza orecchie perché non risponde
mai al suo richiamo. Eppure, se l’uomo del sax si piega sul suo strumento e
intona la sua invocazione alle muse, il bimbo di Tiffany ride, Viola lo saluta
con un sorriso e la vecchina dei piccioni sorride tra sé.
E
l’uomo del sax sorride a sua volta, un po’ stanco. La vecchia lo sa, che le sue
muse in cambio della perfetta melodia pretendono schegge di anima in cambio.
Così la vecchia ha un giorno di più, Viola potrà sorridere ancora e Tiffany
avrà di che mangiare. Ma l’uomo del sax è sempre più stanco e perde un grammo di
felicità ogni sera.
Ma
un grammo di meno, è un chilo di pace più vicino. E allora l’uomo del sax suona
per gli angeli e gli angeli tacciono per ascoltarlo un momento. Anche i demoni
si fermano ad ascoltare l’uomo del sax e quel maniaco che sta per uccidere
ancora, si aggiusta il cappello e sorride appena, se ascolta l’uomo del sax.
C’è
un mafioso che ogni domenica sera chiede all’uomo del sax di suonargli qualcosa
e l’uomo del sax risponde ogni volta che è al suo strumento che dovrebbe
chiedere; è il sax a decidere qual è la melodia per quella sera, non l’uomo del
sax.
L’uomo
del sax non ha nemmeno un nome.
Non
ne ha diritto: lui nato per suonare il sax.
E
morirà con il sax tra le braccia, e dieci chili di pace per sé.