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Autore: Nemainn    18/11/2013    12 recensioni
Nessuno può fuggire in eterno, nessuno può evitare la sua ora... per quanto lontano si fugga ti raggiunge, sempre.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTA: Gli asterischi rimandano alle note finali

 

Nion* inciampò nei suoi stessi piedi, atterrando con forza sull'acciottolato scurito dalla pioggia.
Le fiamme delle torce infisse ai lati della strada si riflettevano sullo specchio dell'acqua che scorreva lungo le pietre. Deserta, nelle ore più buie della notte, la via della piccola città era popolata di ombre e suoni che facevano sobbalzare il cuore del giovane.
Sapeva che i suoi inseguitori non avevano perso le sue tracce.
Aveva abbandonato tutto, lasciandosi ogni cosa alle sue spalle, attraversando catene montuose fino a terre dove parlavano idiomi a lui estranei.
Eppure ancora lo cercavano, ancora erano sulle sue tracce, lo sapeva.
I segugi selvaggi, dal manto dello stesso biancore accecante delle ossa, magici cani che appartenevano alla Signora dell'Aldilà, non perdevano mai la pista.
Lo avrebbero raggiunto, un giorno.
Ma non quel giorno, non ancora; voleva continuare a vivere.
Sfinito, si avvolse nel logoro mantello.
Un tempo era stato di un blu cupo, bordato da un ricamo in filo d'oro.
Una delle prime cose che aveva sacrificato era stato quel filo, quel ricamo orgoglio di sua madre.
Aveva tolto con cura ogni punto, vendendo quegli scarsi grammi di metallo per pochi pasti.
Il colore ora era spento, irriconoscibile e slavato, la stoffa che tanto valeva grazie a quella tinta pregiata sembrava poco più di uno straccio.
Tossì, sentendo la gola bruciare. In realtà tutto il suo corpo era in fiamme, attraversato da brividi gelidi nonostante il calore che provava. La febbre lo perseguitava da alcuni giorni ormai e ora, affamato e stanco oltre ogni limite, si accovacciò dentro una strada secondaria, dove cumuli di rifiuti fumavano, cercando un po' di tregua.
Il cappuccio celava il suo viso, nascondeva i suoi occhi maledetti, le sue iridi lattee che vedevano nei mondi.
Occhi pieni della magia dell'Oltretomba, lo sguardo di chi era sfuggito dalle mani della Signora dei Morti, dalle grinfie di colei che guidava la caccia selvaggia nelle notti di mezz'inverno, portando con sé le anime degli sventurati che non si erano nascosti lontano dal suo cammino.
Lui non aveva neppure tentato di fuggirla, le era andato incontro, certo di poterla fronteggiare.
Non portava forse in sé l'eredità dei suoi antenati?
Non aveva il nome del sacro albero che univa i mondi?
I suoi occhi non vedevano forse già l'Oltre?

Nion Dru wid*, il molto vedente, così lo chiamavano.
Quale ironia, quale scherzo del destino, quale malato orgoglio lo aveva fatto muovere?
La febbre, la stanchezza, la fame, sopraffecero infine la sua mente facendo sì che deliri e ricordi si unissero in un'unica cosa...
Una babele di oscure bugie, e altrettanto oscure verità, marciarono nella sua anima, calpestandola, conquistando il cuore e abbattendo ogni difesa della mente.
E fu così, con il suono del tamburo del suo cuore suonato dal terrore, che si lasciò andare nell'oblio.
Rivide lei, la sua bellezza ultraterrena, rivisse il passo, colmo di orgoglio, con cui si era parato innanzi a colei che regnava nella terra di chi aveva lasciato il mondo dei viventi.
Lo sguardo sorpreso, nero come la più oscura delle caverne, eppure colmato da tutte le stelle del firmamento, che si posava su di lui.
Le parole, musica che trafiggeva il cuore senza passare da quelle rosse labbra, lo stregarono.
Mi vedi, tu, mortale? Con quegli occhi di nebbia e di luce vedi oltre il velo?”
Ti vedo, mia Signora! Ti guardo e il mio cuore non può far altro che ammirarti!” Nion aveva fatto un passo verso la Regina, il ghiaccio filato della chioma che si muoveva dolcemente nell'aria fredda della notte più lunga dell'anno, inginocchiandosi accanto alla staffa. “Tutti fuggono davanti a te, ma ora so che lo fanno perché non possono vederti. La tua bellezza è la luce del firmamento, la tua voce il canto dell'usignolo, miele che dolcemente versi nel mio cuore!”
“Mortale, quale è il tuo nome?” Ma il giovane non era stolto fino a quel punto. I nomi erano potere, comandavano l'anima.
“Mia Regina di Ghiaccio, perdonatemi, ma il mio nome non vi dirò. Alcuni mi chiamano Dru Wid, se quel nome vi aggrada, è vostro da usare!”

“Accetto quel nome, che tu sia conosciuto tra le mie schiere come Dru Wid!” Solo allora Nion vide davvero il seguito della Signora, e il suo cuore vacillò. Guerrieri e cacciatori, bellissimi e immortali, cavalcavano spettrali cavalli di bruma e ossa. Bianchi segugi dagli occhi di brace, silenziosi e mortali come il gelo invernale, immobili lo fissavano, attendendo ordini dalla loro padrona.
Mescolati tra di loro, dannati tra tormento e agonia, spettri dalle fattezze umane. Coloro che non erano fuggiti, coloro che non vedevano. Anime spezzate, piegate in silenziosa grida, volti alterati da angoscia tale da essere umanamente inconcepibile, vagavano come orpelli attorno a ognuno di quei cacciatori, null'altro che prede messe in mostra, come conigli sulla sella di un mortale
.
Aveva solo pensato a Lei, a quella bellezza, a quella sfida.
Parlarle, vederla, e tornare alla sua casa, vincitore di una gara d'orgoglio.
Teste mozzate, sanguinanti e urlanti, legate per il crine alle lunghe lance dei guerrieri, lanciavano ingiurie. Eppure la loro voce era lontana, ovattata.
Inghiottì, alzando lo sguardo.
Delicate calzature di un candore abbagliante, snelle caviglie celate dai sottili veli dell'abito che, in pieghe morbide, sfiorava le gambe tornite, stringendo la vita snella ornata da un'alta cintura di anelli d'argento, abbracciando il seno generoso e facendone intravedere la fessura, dolce e invitante.
Infine, oltre il collo ornato di lunari perle, il perfetto ovale del viso che lo sovrastava dall'alto della sella.
Palafreno candido, dalla bellezza immortale, congelata nell'attimo in cui la vita si estingueva e la fiamma dello spirito brillava più forte e luminosa.
La Signora lo aveva fissato per tutto il tempo, intenta, cogliendo nel grano della chioma, nel volto dalla perfetta, anche se umana, bellezza, l'eco di un ricordo, di un viso già conosciuto.
“Sei tu forse l'erede di Pwill*? Sei forse tu, il frutto del seme di colui che rubò una notte al mio talamo?”
“Erede di Pwill, mia Bianca Signora, io sono.”
“Non ebbi lui, avrò il frutto del suo seme. Vieni, erede di un ladro, non sai forse che i debiti e le colpe ricadono sui figli, di generazione in generazione, fino a quando non vengono pagati?”
Nion, stregato, aveva confessato le sue origini.
Ogni baldanza persa, ogni coraggio svanito, spento, come la fiamma di una candela, dal vento impetuoso del
potere della Regina.
Ogni parola era
potere, era comando, era volontà, come aveva pensato lui di poter giocare con Lei? Di sfuggirle?
Un destriero d'ossa e bruma, privo di cavaliere, gli fu portato e Nion vi montò, l'incantesimo lo irretiva impedendogli anche solo il pensiero della fuga. Aveva voluto vedere. Ne pagava le conseguenze.
Aveva visto, ed era stato visto, riconosciuto per quello che era: l'erede di Pwill, di colui che rubò una notte a Rhiannon Regina di Annwn*
Cavalcò sempre un passo dietro di Lei, irretito dalla sua magia, conquistato, un forte arreso al nemico.
Cavalcò in lande mai viste, mai sognate, senza mai fermarsi... era sempre notte, era sempre quella notte, quella luna, quel cielo e quelle stelle.
Il tempo perse ogni significato, nulla aveva valore se non la Dama che cavalcava alla loro testa, la inseguiva.
Irraggiungibile volava nel vento, gli ululati dei segugi che seguivano piste a lui sconosciute, fiumi e mari lontani, sotto gli zoccoli dei cavalli.
Infine, quando non gli fu dato saperlo, arrivarono alla dimora della Regina, il nero castello al centro di Annwn.
Festa, cibo e bevande.
Molte volte le sue mani sfiorarono succulenti portate, ma riuscì a non nutrirsi e a non dissetarsi del cibo dell'Oltretomba, guardando la Signora che governava dal bianco seggio.
Erano ossa o legno sbiancato?
A quella distanza il giovane non lo sapeva, ma temeva di avvicinarsi.
Un'infinita fila di supplicanti, di anime in cerca di un luogo, si inchinavano a Lei: alcune rimanevano, degne del banchetto, altre venivano rimandate alla carne, ad apprendere le lezioni mancate, le esperienze evitate.
Anche Nion, allora, si mise nella fila, facendosi coraggio, quando avrebbe potuto tornare alla sua casa?
“Non mangi, erede di un ladro? La mia ospitalità non ti è gradita?”
Senza sapere come, eccolo inginocchiato con la testa china e supplice, ogni orgoglio svanito, abbandonato e dimenticato.
“Mia Signora, Regina di Annwn, chiedo la tua misericordia.” Il tremore scuoteva il giovane corpo mentre le parole della Donna risuonavano nei suoi pensieri...
non sai forse che i debiti e le colpe ricadono sui figli? “Ti supplico, lascia che torni alla mia casa...”
“Tu osi chiedere misericordia a me?” Bellissima e terribile la Regina si alzò dallo scranno e, solo allora, Nion vide che erano bianche ossa quelle che lo formavano. “Tu che sei figlio di un ladro, che non onori la mia mensa, offendendomi a quel modo, osi chiedere?”
“Supplico, mia Regina, non ho l'ardire di fare altro davanti a te! Pwill è un mio antenato e non lo posso rinnegare, ma ti supplico, non riversare in me il tuo astio!” Alzando lo sguardo vide la chioma di Lei muoversi, come sferzata dal più violento degli uragani, attorno alla figura ammantata di forza e luce, davanti a tale spaventosa magnificenza il suo cuore divenne cenere e polvere, cessando di battere. “La tua mensa è tavola di Dei e spiriti meritevoli, e io non sono né l'uno né l'altro o Grande Regina! Come posso nutrirmi a essa senza esserne degno?”

Il vento di tempesta si quietò mentre i capelli si posavano sulle spalle della Regina.
“Se vuoi tornare alla tua casa, mortale, il peccato devi scontare. Dru Wid, accetti il silenzio perenne e mille anni presso la mia casa come servo?”
“Mia regina, come posso vivere per mille anni?”
“Nessuno, qua, muore senza ch'io lo comandi!” La Signora sorrise, così le scarlatte labbra si mossero, per la prima volta, nel perfetto viso. “Accetti, discendente di un ladro, di saldare infine il debito della tua stirpe?”
“Sarò poi libero, senza inganni, di tornare alla mia casa?”
“Tornerai al luogo a cui appartieni nel momento in cui il servizio sarà concluso.”
A quelle parole eburnee mani emersero dal nulla, sfiorando il volto del giovane, sottraendogli la parola con tocco indolore, portandole in dono agli spiriti del lago che circondava le mura di nera pietra.

 

Passarono i giorni e Nion servì la sua Signora, muto e fedele, mentre la nostalgia di casa e dell'estate lo logorava.
Nelle terre di Annwn era sempre inverno, gelide dita di ghiaccio si insinuavano tra le pietre, scacciate solamente dai grandi camini ardenti. Ai morti il freddo non dava alcun problema, ma lui ne era consumato: la mancanza di sole, vero sole, spegneva il suo spirito.
Giorni si accumulavano, pesanti come le lacrime che non poteva versare, identici l'uno all'altro e fu per quello che, infine, il suo cuore cedette.
Tradire la parola data era la peggiore infamia, eppure capitolò.
Aveva scoperto come giungere al mondo dei mortali, aveva quindi fatto quello che era vietato, era tornato solo, spergiuro, al suo mondo.
Da allora fuggiva i bianchi segugi, in un mondo che più non era suo.
Troppo tardi aveva scoperto che il tempo scorreva diversamente in Annwn... senza neppure poter piangere sulla tomba di chi, in vita, aveva amato, cominciò la sua lunga fuga.
Nell'eterno silenzio, con lo sguardo che intrecciava i mondi, Nion aveva vagato.
Solo, i suoi timori come unica compagnia, aveva consumato gli stivali, perduto ogni più piccolo avere, ogni briciola di orgoglio rimastogli.
Ma quella era la fine degli spergiuri, dei traditori, dei bugiardi.
La tosse lo scosse dal leggero sonno intriso di ricordi, una rassegnazione esausta avvinghiava il suo spirito.
In quel vicolo maleodorante Nion Dru Wid, che tanto era stato orgoglioso della sua vista e della sua forza, infine, si arrese.
Era un uomo, possedeva spoglie mortali, era solo questione di tempo... i bianchi segugi avrebbero sicuramente dilaniato la sua carne, consegnando così il suo spirito alla Grande Regina.
L’orgoglio per il dono era stata la sua maledizione, il suo giuramento una bugia.
Snervato dalla continua fuga, per la prima volta, il lontano ululato degli spettrali cani non lo spinse alla fuga come un cervo spaventato.
Il volto si distese nell'accettazione di un fato che egli stesso aveva costruito con la sua presunzione.
Nessun mortale poteva sfuggire a Lei, nessun uomo poteva contemplare quel volto e poi tornare alla propria umana esistenza. Lui l'aveva sfidata, scioccamente, colmo di boria, sicuro di portare a casa una nuova storia degna del suo antenato. Ma Lei lo aveva riconosciuto, non si poteva ingannare la Grande Regina.
Un basso ringhio, occhi di brace, denti d'avorio affilato scoperti in un latrare assordante.
Enormi, grandi quasi come cavalli, le bestie dell'Oltretomba lo accerchiarono fameliche. Finalmente avevano la preda, il loro premio per la caccia, l'eccitazione scorreva in quei corpi possenti e slanciati, spettrali.
Occhi voraci si fecero sempre più vicini mentre il fiato gelido investiva il volto del giovane.
Tremante, bruciante, spaventato e rassegnato, guardò negli occhi il più grande dei segugi e vide la sua morte.
Gli saltarono addosso, spartendosi le carni della loro preda, il premio di una buona e lunga caccia. Mute urla uscirono da una bocca spalancata a cui era stata rubata la voce, mentre straziavano le carni del corpo riverso sul sudicio lastricato. Il sangue macchiò di cupo scarlatto le fauci dei cani che, ingordi, strappavano dalle ossa interi brandelli.
Il dolore lo invase con la stessa avidità delle bestie, le visceri si sparsero, nauseabonde, il rubino succo vitale del suo corpo gocciolava, lavato dalla pioggia, schiarito in rivoli sempre più tenui, fino a scomparire.
La morte giunse come fredde mani, emergendo dal suolo simile al cupo specchio di un lago notturno. Lo abbracciarono, tirandolo verso quel fondale di nulla, concupiscenti amanti di un'anima senza più radici.
Solo nero e buio, liquida oscurità colma di calore, culla che ricuciva materia ed essenza.
Un'altra vita, un'altra prova. Perché lui era Nion, ma era anche Pwill, ed era molto, molto di più e molto, molto di meno.


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NOTE:

Nion = è una versione del nome gaelico del Frassino, un albero Oghamico che indica il collegamento tra i mondi.
Dru Wid = in gaelico significa molto vedente, è la radice della parola druido
Pwill
= Eroe del Mabinogion, (una raccolta di racconti del folklore mitologico Irlandese), che per varie motivazione va nell'Aldilà. Non ho seguito il mito, ho preso spunto dal fatto che lui sia stato nell'oltretomba.
Annwn = Mondo dei morti, conosciuta anche come Terra Sacra, per il folklore Irlandese
Rhiannon = è una reminiscenza della dea celtica dei cavalli Epona.
Il cavallo era uno degli animali totem dei Celti, fedele guida per raggiungere l'Aldilà. Rhiannon è anche considerata la Dea della Terra Sacra, nonché messaggera tra i due mondi: il mondo terreno e il mondo ultraterreno.

 

 

   
 
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