月
見
Tsukimi
Guardando
la luna
Solo
quando un
guerriero ha finito di lottare può voltarsi indietro e
contare quanti corpi
sono affogati nel loro stesso sangue.
Allo
stesso
modo, solo alla fine della vita una persona riesce a fare il bilancio
delle
proprie azioni.
I
samurai erano davvero interessanti.
Lo
aveva sempre pensato, fin dal giorno in cui aveva visto
quel demone con i capelli argentati combattere contro il Re degli Yato.
Anche
se il loro sovrano si era lasciato corrompere dai piaceri del sakè e
dall’ossessione per una donna,
restava comunque un combattente superiore a qualunque terrestre.
Aveva
desiderato scontrarsi con quel samurai. Anche lui,
Kamui, sarebbe morto prima o poi, come era nell’ordine
naturale delle cose: ma
bramava una morte grandiosa, per mano di un guerriero che fosse suo
pari.
Non
riusciva a capire la logica assurdamente idealista che
muoveva quell’irrazionale combattente dai capelli
scompigliati. Ma ne ammirava
la forza, e desiderava ardentemente potersi misurare con lui, un
giorno: perire
per mano sua, o spegnere il suo ardore conficcandogli una mano nel
petto.
Il
Re della
Notte aveva detto che la strada da lui percorsa sarebbe stata vuota.
Aveva
torto.
Poi
aveva incontrato lui.
L’impressione
che aveva avuto del primo samurai, era di un
sole: molto più forte di quello della donna amata dal Re
degli Yato, era un
astro che attirava inesorabilmente chiunque si trovasse sulla sua
strada. Che
rimanessero dolorosamente accecati dalla sua luce o confortati dai suoi
raggi,
la sostanza non cambiava: quell’uomo era il sole attorno cui
gravitavano le
vite di tutti i suoi compagni e di tutti i suoi nemici.
Al
contrario, lui era
la luna. Non era onesto come il sole: similmente all’astro
della notte, a volte
mostrava solo uno spicchio di sé oppure solo metà
del suo spirito; altre volte
ancora splendeva come se volesse gareggiare con la stella del mattino.
Il suo
profilo era sempre visibile, anche nel cielo notturno, sempre
immutabile; ma
cambiavano le ombre su di esso, cambiava il suo modo di mostrarsi,
cambiava il
riflesso del sole su di lui: allo stesso modo, Takasugi non mostrava
mai la sua
vera forma per intero.
Seminava
indizi sui suoi pensieri, creava confusione con le
sue azioni, giocava con il significato delle parole; ma la sua anima
guerriera,
dentro cui ruggiva la bestia nera, palpitava sempre nelle sue iridi
abissali.
La
sua strada
non era vuota.
Era
abitata da
una sola persona.
Riusciva
a comprenderlo, per quanto Takasugi fosse criptico:
sentivano entrambi l’impulso irresistibile e incessante di
distruggere ogni
cosa, chi per vendetta e chi per sfizio. E anche Takasugi aveva
avvertito la
loro vicinanza: lo aveva ammesso per la prima volta su quella nave, e
non lo
aveva mai negato.
Ma
quella
persona non aveva mai guardato verso di lui.
Era
stata quasi una casualità quella che li aveva portati a
giacere insieme, una notte.
Era
curioso di capire perché uomini e donne anelassero a tal
punto l’intimità delle coltri; per Takasugi,
invece, doveva essere stato un
semplice diversivo per aggirare la noia.
Non
era stato gentile, ma nemmeno brutale. Come la luna, su
cui convivono luce e ombra, non gli aveva permesso di capire se lo
considerasse
una persona importante o un semplice passatempo.
Non
si sarebbe
dovuto incantare ad ammirare qualcosa di incostante come la luna.
Non
si sarebbe
dovuto affidare ai suoi sentimenti mutevoli.
Era
successo di notte, quando l’astro pallido era nascosto.
Aveva
abbassato il bordo del kimono viola, scoprendogli la
spalla. Ma non aveva denudato solo la pelle chiara della clavicola: un
marchio
rosso segnava la base del collo di Takasugi. E altri, più
lievi, macchiavano il
petto.
Aveva
riconosciuto quel particolare rossore: Takasugi stesso
lo aveva lasciato sul suo corpo, alcune volte.
Era
bastato domandargli chi fosse stato a fargli quel
marchio, e l’uomo si era allontanato con freddezza,
sistemando nuovamente il
kimono. Non si era più avvicinato a lui, per quella notte.
Credeva
che gli avrebbe risposto che era colpa di Bansai, o
di Matako: quei due suoi seguaci erano palesemente innamorati di lui, e
non si
sarebbe stupito se avesse scoperto che erano riusciti a intrufolarsi
nel letto
di Takasugi.
Invece,
la sua risposta lo aveva spiazzato. Era rimasto in
silenzio, come se temesse di arrecare un torto al suo amante
misterioso,
nominandolo. O come se non volesse che il suo nome entrasse in una
stanza
insudiciata dalla presenza di un ragazzino svestito.
Era
stata la prima volta in assoluto che aveva avvertito
quella fitta al petto. Era la stessa emozione che storceva il viso di
Matako
quando qualcuno si avvicinava troppo al suo amato
“Shinsuke-sama”, e che
irrigidiva i lineamenti di Bansai quando il suo capo parlava per enigmi
del suo
passato.
Gelosia.
No,
i sentimenti
della luna non erano mutevoli.
Erano
semplicemente nascosti.
E
solo il sole
riusciva a svelarli.
Lo
aveva capito fin dal primo giorno, ma aveva negato con
forza maggiore man mano che i suoi sentimenti per il capo del Kiheitai
aumentavano.
Aveva
detto “samurai” e Takasugi aveva pensato subito a
uno
solo di loro, come se fosse l’emblema della categoria,
l’unico degno
rappresentante del bushido.
E
anche dopo, Takasugi aveva sempre pensato al guerriero con
i capelli d’argento, pur conducendo la sua vita da
terrorista. Come la luna:
danza con la terra, gioca con le stelle, ma alla fine viene sempre
baciata solo
dal sole.
Una
semplice
stella non può competere con il sole.
Può
sforzarsi di
brillare al suo massimo, ma non potrà mai dare alla luna il
tepore dei raggi
solari.
Credeva
che fossero solo compagni d’armi che un tempo
avevano combattuto insieme. Ma, evidentemente, il loro rapporto era
molto più
complesso.
Gli
occhi di Takasugi non si pietrificavano per nascondere
una malinconia straziante, quando incrociava la strada con Katsura; la
sua voce
non diventava più crudele per impedire a se stessa di
tremare, se ricordava
Sakamoto.
La
luna poteva nasconderli nell’ombra, ma i crateri erano
comunque presenti; allo stesso modo, Takasugi le nascondeva con un
atteggiamento
indifferente, ma le cicatrici del suo passato con il samurai del sole
rimanevano a lacerargli l’anima.
E
non solo il passato: non era stato l’unico episodio in cui
aveva visto i segni di un altro amante, sul corpo di Takasugi.
Il
sole si
spande in tutta la galassia, ma solo la luna riesce a rifletterlo in
modo da
compiacerlo.
Takasugi
non parlava mai delle sue serate con il guerriero
argentato, e faceva sempre in modo che il kimono coprisse i segni dei
baci
troppo passionali dello Shiroyasha. Ma sembrava custodirli, piuttosto
che
celarli, quasi temesse che potessero essere alterati se il mondo li
avesse
visti troppo a lungo.
Ovviamente,
nessuno di questi pensieri era mai affiorato nei
suoi occhi o nelle sue parole, ma Kamui aveva capito comunque. Lo aveva
osservato troppo a lungo per non accorgersi di quei piccoli cambiamenti.
Una
stella non
può competere con il sole.
Sulla
sua strada, c’era solo una persona: e riusciva a vederne
solo le spalle.
Sulla
strada di Takasugi, c’era solo una persona: ma il
terrorista si era ammantato a tal punto della sua stessa
oscurità da non
accorgersi che il suo amato lo fissava costantemente. E si era convinto
di
essere ormai troppo lontano dall’oggetto dei suoi pensieri.
Sarebbe
bastato
aiutare Takasugi ad accorgersi che lo Shiroyasha aspettava solo una sua
parola
per riportarlo nel suo mondo, nel regno del sole.
Takasugi
non
avrebbe accettato un aiuto palese, ovviamente, ma sapeva come
dissimulare
consigli e suggerimenti in modo che l’uomo non li recepisse
come tali.
Ma
non aveva
alcuna intenzione di farlo. Preferiva che la luna continuasse a
rimanere
nell’oscurità. Altrimenti, non ci sarebbe stata la
benché minima possibilità,
per una misera stella come lui, di alleviare la solitudine
dell’astro notturno
con la sua fioca luce.
Si
raddrizzò sul letto, abbottonandosi la casacca con
l’infaticabile
sorriso ben incastonato sulle labbra.
«Ho
capito perché noi Yato odiamo il sole» scese dal
letto
con una mezza capriola, e si piazzò davanti a Takasugi.
L’uomo
aveva già ricomposto il kimono, prestando particolare
attenzione affinché i bordi dorati coprissero quei marchi
cremisi.
Takasugi
aspirò una boccata dalla sua pipa, in attesa del
resto.
Quando
ti volterai
alla fine della tua vita cosa vedrai, Takasugi?
Una
strada deserta?
Un paese in cenere?
Kamui
saltò a sedere sulla balaustra, ciondolando le gambe
nel vuoto.
Takasugi
non si preoccupò di redarguirlo e chiedergli di
scendere: si era abituato ai comportamenti vivaci del ragazzo. Erano
quasi
piacevoli, nell’aria irrespirabile della nave.
No.
Sono sicuro
che, se ti volterai, vedrai un samurai stupidamente altruista che ti
tende la
mano.
Lui
morirà con
te, Takasugi. La luna non può sopravvivere senza sole, ma la
vita del sole
diventerebbe orribilmente monotona, senza la luna.
Ti
accompagnerà
fino all’ultimo gradino dell’aldilà: non
ti lascerà senza il tuo personale
raggio di sole.
Io
invece
rimarrò all’inizio della scalinata, cercando di
farmi luce da solo.
Kamui
reclinò la testa; la treccia ramata penzolò nel
vuoto,
e gli occhi blu fissarono l’uomo con la serietà
che li rivestiva quando
respirava l’odore del sangue.
«Perché
la luna è innamorata solo di lui.»
Takasugi
gli indirizzò il suo sorriso speculativo,
lievemente sporcato dall’ombra di un ghigno.
L’iride verde lo squadrò,
penetrante, come se cercasse di scavare la verità dietro
quell’affermazione
criptica.
«Interessante
tesi, guerriero dello spazio» concesse infine,
esalando un sottile filo di fumo dalle labbra.
Al
giovane fu sufficiente uno scatto addominale e un salto
per affiancarsi al muro cui aveva appoggiato l’ombrello prima
di condividere il
letto con Takasugi.
Afferrò
l’impugnatura e lo appoggiò sulla spalla.
Tutta
la vita
della luna ruota attorno al sole. E il sole non fa altro che
abbracciare la
luna e reclamarla come propria. Ignorando tutte le stelle intorno,
tutti gli
astri affascinati dalla loro luce o dalla loro ombra.
«Oggi
il cielo è coperto. Hai comunque bisogno
dell’ombrello?»
Kamui
si voltò, osservando il terrorista.
Uno
spicchio di sole era comparso alle sue spalle,
riversando un fine filo d’oro sul suo profilo elegante.
Alcuni raggi si
frammentarono sulla chioma scura dell’uomo, creando un gioco
di riflessi sulle
ciocche appena spettinate; altri ancora gli lambirono il viso, colando
sugli
zigomi alti e sulle labbra dischiuse attorno alla pipa. Perfino la
stoffa del
kimono parve rinvigorita da quel sottile dito di luce che la
accarezzava.
Il
giovane sorrise amaro, aprendo l’ombrello come uno scudo.
«Sì,
non posso assolutamente farne a meno» dichiarò,
spaccandosi quasi il volto con il suo sorriso di rappresentanza.
Era
così
infelice, il destino della piccola stella che cercò di
rubare l’amante al sole.
Kamui
lasciò la stanza, e sollevò il viso dietro la
copertura dell’ombrello. Una goccia di luce nacque
dall’angolo del suo occhio,
e si spense subito, asciugata dai raggi del primo mattino.
L’ombrello
fu inalberato come ultima difesa contro
quell’astro impertinente.
«Questo
sole mi acceca…»
Primo
esperimento su Gintama XD
Come
avrete
capito, la mia OTP in questo anime è la GintokiTakasugi. Li
adoro,
letteralmente ç////ç Anche se non sono molto
popolari XD
E,
dopo aver
visto la puntata 215, mi è venuta voglia di scrivere questa
one-shot<3
Le
(scarse XD)
postille giungono quindi al loro termine<3
Red
P.S.
Il banner è
stato realizzato dalla kohai :D<3 La più fervida
sostenitrice di questa
coppia<3