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Autore: badluna    19/11/2013    0 recensioni
A volte vogliamo semplicemente credere a quello che vediamo, confidando più in quello che crediamo essere vero che alla realtà stessa.
Stiles dovrà affrontare una scelta che lo metterà in una posizione " in bilico".
Sarà da solo a confronto con se stesso. Dove lo porterà il suo dibattito interno?
A te sta scoprirlo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Hale, Melissa McCall, Sceriffo Stilinsky, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Gelo Che Ci Circonda

Di Badluna

Parte 1

Lente le immagini della mia vita si susseguivano, giorni felici venivano rimpiazzati da giorni che avrei preferito dimenticare, giornate soleggiate venivano oscurate dal grigio della pioggia.

Il mio corpo tremava come vittima di leggere convulsioni che percorrevano tutto il corpo, le dita cercavano di stringere l’aria che mi circondava come se potesse aiutarmi, l’udito percepiva il frenetico movimento delle automobili che percorrevano mete sconosciute, l’olfatto non distingueva nessun odore in particolare, se non quello dell’aria fresca…tutto era in stallo, la mia mente, il battito del cuore ed addirittura il tempo…

Poi, aprii gli occhi.

Il buio mi circondava, solo le piccole luci dei lampioni e delle abitazioni si scontravano con quella oscurità, soffuse lucciole circondate dall’ombra del bosco che delimitava la città. Lente le carezze del vento scompigliavano i miei capelli, il cielo era limpido e senza nuvole il che rendeva ancora più forte la brezza che mi si infrangeva addosso a quell’altezza.

Camminando lentamente ed un poco barcollante sul muretto, notai che la vista da quel punto era mozzafiato, solo pochi palazzi si ergevano più in alto di me ma riuscivo lo stesso a vedere tutta la città ai miei piedi. Osservai i luoghi in cui passavo la maggior parte del mio tempo: La scuola poco illuminata dai lampioni dei posteggi, casa mia e quella di Scott rischiarate dall’illuminazione stradale,…solo la vecchia e diroccata casa Hale rimaneva celata al mio sguardo.

Persi il filo dei miei pensieri quando qualcuno apparve alle mie spalle.

Scott.

Mi chiese cosa ci facevo ancora li, rinfacciandomi la promessa di aiutarlo e invece a suo vedere stavo facendo il contrario.

Barcollai leggermente ad una raffica di vento più forte, provai a parlare ma il mio migliore amico mi interruppe senza ascoltare a cosa avessi da dire

Parlò della sua relazione con Allison, di come fosse sicuro che le cose sarebbero tornate normali se lo aiutassi e facessi il gesto. L’espressione di Scott cambiò in un attimo, passando da speranzosa ad arrabbiata, con voce carica di disgusto mi accusò di volere la sua infelicità, ma soprattutto di star cercando di farlo diventare come me, senza uno scopo, da solo e  con il cuore spezzato.

Le sue parole mi fecero sobbalzare spaventato, tanto che quasi persi l’equilibrio. Tentando di riacquistare la posizione eretta, mi voltai verso la città muovendo le braccia come uno stupido, quando finalmente capii di essere di nuovo stabile mi voltai verso il mio amico.

Ma Scott era scomparso.

Al suo posto vi era Erika. Una splendida e viva Erika.

Il suo sguardo mi fece tremare, cosa stava accadendo?

Quasi leggendomi nel pensiero la bionda pose la stessa domanda, ma non avevo parole per riponderle.

Restai immobile ad osservarla, fermo come se fossi una scultura…una maledetta statua piangente.

Erika si avvicinò al muretto con il suo solito passo elegante, ancheggiando con i fianchi. Normalmente sarei stato affascinato dalla luce che sembrava emettere, ma quella sera fu qualcos’altro ad attirare la mia attenzione.

Ad ogni passo la ragazza sembrava lasciarsi alle spalle come una nuvoletta nera, come se il semplice fatto che fosse li con me andasse contro natura, trascinandosi dietro una lenta scia di morte.

Erika lentamente raggiunse il muretto su cui appoggiò le braccia e fissò la città, il suo sguardo non si fissò mai sulle luci delle case ma anzi vagò sul vasto territorio selvatico, come desiderando di perdersi in quella grande massa scura.

Arrotolandosi una ciocca di capelli al dito della mano sinistra mi chiese come mai non le avevo mai risposto. Mi aveva detto esplicitamente di piacergli e io per questo l’avevo evitata.

Ancora la mia bocca non ne volle sapere di parlare, e forse fu una fortuna perché non ero sicuro di cosa sarebbe uscito. Il mio cervello non riusciva a formulare qualcosa di coerente da dire, ripeteva in continuazione due semplici parole.

Non volevo.

Erika, probabilmente stanca di attendere una risposta, si allontanò dal muretto lanciandomi un ultima occhiata. Il suo volto divenne una maschera di ghiaccio, fredda come solo le tenebre potevano essere.

Le sue parole furono pure schegge di cattiva verità verso il mio cuore, lei aveva tentato di avvicinarsi a me, ma io ero troppo impegnato a cercare ciò che per me aveva importanza. Non avevo pensato alle sue esigenze, senza considerare che forse anche lei, la dolce e timida Erika aveva bisogno di compagnia. L’avevo lasciata sola negandole la mia amicizia ed il mio aiuto. Condannandola ad una morte orribile.

Ero inutile.

Chiusi gli occhi cercando di attutire il dolore che quelle due parole mi avevano causato, continuavo a ripetermi “non sei inutile, non sei inutile” sperando che questo alleviasse il dolore, ma non fu così. Il pugnale nello stomaco rimase ben conficcato. Sospirando aprii gli occhi pronto a vedere la schiena di Erika abbandonarmi su quel tetto.

Ma quello che mi si parò davanti fu molto, molto peggio.

Sussurrando spaventato chiamai la figura davanti a me.

Mio padre mi fissava con sguardo arrabbiato a qualche metro di distanza dal muretto su cui mi trovavo.

Con un tono talmente piatto da sembrare quasi inumano mi disse di guardarlo, di osservare ciò in cui ero riuscito.

Strizzai gli occhi non capendo a cosa si riferisse, in che cosa ero riuscito esattamente? Lanciai uno sguardo al suo abbigliamento confuso e il mio cuore saltò un battito. La divisa da Sceriffo era tutta stropicciata e strappata in più punti, due bottoni, gli unici rimasti, della giacca erano attaccati ad essa ma penzolanti dal filo della cucitura.

E poi c’era quello. Il sangue.

Mio padre aveva tutta la camicia ricoperta di sangue ed anche la sua mano sinistra, premuta contro lo  sterno, ne era colma. Mi ci vollero alcuni secondi per realizzare che era sporco del suo stesso sangue.

Gemendo lo chiamai, spaventato per lui.

Guardandomi infuriato mi accusò nuovamente di aver ottenuto ciò per cui ero nato. Quando tentai di scendere dal muretto per aiutarlo mi fermò urlando di restare dove ero.

Cercando di calmarlo affermai di volerlo aiutare, che lo avrei portato dentro l’edificio per poterlo curare.

Papà mi rise in faccia, mi disse di provare ad indovinare chi era stato a ferirlo. Dichiarò di aver sempre avuto ragione, ero riuscito ad ucciderlo proprio come mi aveva detto alla festa di Lidya. Esattamente come avevo fatto con mamma.

A quelle parole il terrore mi invase, di cosa stava parlando? Io …io non avevo fatto niente, vero?

Disse di guardarmi, in piedi su questo muretto mentre fingevo di essere sorpreso come se non sapessi di cosa stava parlando. Proferì di sapere il motivo per cui ero arrivato in quel luogo, tutto sporco di sangue.

Senso di colpa.

Strizzai nuovamente gli occhi cercando di trovare una soluzione, ma la mia mente era annebbiata come se ci fosse un peso a rallentare i miei pensieri. La testa mi doleva, sollevai la mano destra per massaggiarmi una tempia ma quando vidi in che stato essa era per poco non caddi all’indietro.

Sollevai anche la sinistra, mettendola affianco alla gemella davanti ai miei occhi, solo per trovarla nello stesso stato, ogni singolo centimetro e ricoperto da un liquido scuro. Avevo le mani piene di sangue!

Cominciai a mormorare il suo nome con orrore, cercando di farlo ragionare e sistemare la situazione, ma quando alzai gli occhi per guardare il volto di mio padre quello che trovai fu solo una massa scura piegata in malo modo per terra.

Urlai, chiamando il suo nome terrorizzato, con la mente spinsi il mio corpo a muoversi ed a correre dall’uomo a terra per soccorrerlo, ciò nonostante le mie gambe non risposero al mio istinto, opponendosi ad esso come se fossero di cemento.

Impotente voltai lo sguardo, girando per metà il busto a sinistra, verso la città ai miei piedi.

Disperato mi chiesi cosa avevo fatto. Cosa era successo realmente, perché non ricordavo cosa era accaduto? Perché non riuscivo a pensare liberalmente, sentivo la mente greve come se fosse rallentata da un peso.

Sotto di me sentii lo stridio delle ruote di un auto, probabilmente il guidatore aveva fretta. Non diedi peso a ciò che i miei sensi mi urlavano, dopotutto per il luogo in cui mi trovavo non era strano che la gente piombasse dentro l’edificio come una furia.

Le mie gambe finalmente risposero ai comandi, ma seguirono un pensiero del tutto nuovo, facendomi voltare completamente verso le fiamme che ardevano davanti a me. Silenziose spettatrici del dibattito che avveniva dentro di me.

Forse avrei potuto mettere una fine a tutto, concludere questo brutto incubo che era la mia vita… Avrei potuto rendere felici tutti, lasciarli vivere la propria vita senza un peso sulle spalle.

Magari se ci avessi pensato prima papà sarebbe stato ancora vivo.

Un gesto che avrebbe cancellato tutto il mio dolore.

…Bastava un piccolo e minuscolo passo.








 

Il Gelo Che Ci Circonda

Di Badluna

Parte 2

Alle mi spalle una voce forte chiamò il mio nome, con tono serio ma estremamente preoccupato.

Mi voltai di scatto verso la porta che dava accesso al tetto trovandomi davanti a ciò che temevo. Con il fiato grosso ed in viso un espressione terrorizzata Melissa mi osservava da dietro mio padre, il quale aveva le mani sollevate davanti al corpo come a segnalarmi di stare calmo.

Derek, Scott e Isaac esaminavano la situazione, il pensiero che stessero cercando la migliore maniera di agire mi fece ridere. Non avevano nessun modo per intervenire, la decisione era in mano mia. Anche se avessero voluto fare qualcosa, agendo per conto della mia mente, era per loro fisicamente impossibile. Dopo tutto non erano realmente qui.

Erano semplici visioni.

Papà mi chiamò nuovamente.

Sussurrando il suo nome lo salutai, un piccolo sorriso a percorrermi il volto, quanto ero stupido, parlare con lui non sarebbe servito a niente. Mio padre era appena morto davanti ai miei occhi, quello era solo una specie di ologramma mentale. Stavo parlando con me stesso.

Il finto Derek mi apostrofò, chiedendomi che diavolo stavo facendo, in modo talmente aggressivo che per me fu come ricevere un colpo fisico e persi momentaneamente il mio già lieve equilibrio, finendo per barcollare pericolosamente

Papà cercò di riportare la calma spostando il braccio destro verso Derek dietro di lui, il palmo aperto in un muta richiesta di lasciargli fare.

Lentamente riacquistai l’equilibrio ritrovandomi ben saldo con i piedi al muretto, per niente aiutato dal tremore del mio corpo che era aumentato d’intensità. Scrollai la testa, come un cucciolo disorientato, cercando di riprendere il controllo del mio corpo. Ma sembrava una causa persa. Nonostante fingessi di avere il controllo, sapevo di non essere io a tirare i fili.

Mio padre cercò di convincermi a scendere dal muretto, mi chiede di avvicinarmi a loro per poter parlare. Disse che avremmo chiarito cosa avevo bisogno così che lui, e qui papà si interruppe un attimo voltando il viso verso gli altri posti dietro di lui muovendo poi le braccia per indicare l’intero gruppo continuò la frase, che tutti potessero aiutarmi.

A quella frase risi, o almeno ci provai, tutto quello che uscì dalla mia bocca fu uno specie di rantolo divertito, simile a quello di un animale in gabbia.

Con tono pacato dichiarai loro che non potevano fare proprio nulla, parlai loro quasi come stessi parlando con un bambino che non poteva comprendere. Spiegai lor che essendo semplici visioni, non avevano modo di modificare la realtà.

Melissa interruppe improvvisamente mio padre, il quale stava tentando di domandarmi di cosa stavo parlando , facendogli un cenno con la testa di lasciarla fare. Mi chiese con tono dolce se avevo delle visioni, se vedevo gente che probabilmente in quel momento si trovavano in tutt’altro posto.

Aggrottai la fronte, che razza di domanda era? Ovviamente avevo delle visioni…vedevo Loro!

Osservai la figura accasciata di mio padre, ancora nella stessa identica posizione in cui era morto solo qualche minuto prima. Quella visione mi riempì di rabbia, cosa stavo facendo? La persona più importante della mia vita mi aveva appena abbandonato…No…non era corretto. La verità era un'altra. Avevo appena ucciso la persona più importante della mia vita, e quelle cose cercavano da distrarmi. Non glie lo avrei permesso. Con un leggero spostamento della gamba destra mi portai più vicino alla fine del muretto, più prossimo alla città che attendeva alle mie spalle.

Con rabbia li accusai di essere loro le visioni, sputando quelle poche parole come se fossero un insulto.

Scott intervenne facendo un passo in avanti, cercando di convincermi che loro fossero persone reali, avvicinandosi a sua madre e coprendomi la vista di Isaac, il quale era rimasto qualche passo in dietro.

Scossi nuovamente la testa, con tono lieve dissi che non importava quello che loro pensavano, io sapevo quale fosse la verità. Un giramento di testa mi prese di sorpresa e dovetti fermarmi e irrigidire tutti i muscoli del corpo.

La voce di Isaac mi distrasse dicendo che invece importava eccome, non comprendendo la verità delle mie parole, rivelandosi dietro alla figura del mio migliore amico.

Avevo preso la mia decisione, dissi con tono fermo nonostante sentissi le gambe tremarmi incredibilmente, e niente di quello che loro avrebbero detto avrebbe cambiato le mie idee.

Melissa dolcemente mi chiese di spiegare come avrebbero potuto aiutarmi. Quale loro atto avrebbe sistemato tutto.

Feci un piccolo dolce sorriso, dopo tutto quella donna per me era stata quasi come una madre, le volevo bene ed ero felice della sua accortezza. Ma era una felicità agrodolce, perché sapevo che non era la vera Melissa a pronunciarle.

Negai una risposta alla sua domanda sia con la voce che con il corpo, lanciai un’occhiata veloce verso al vuoto che mi attendeva prima di riportare gli occhi al gruppo davanti a me. Osservai i loro visi tirati, gli occhi dilatati e le bocche aperte in attesa di qualcosa da dire.

Parlando con mio padre, proseguii un discorso che nella mia mente si era soltanto interrotto per qualche minuto, gli dissi che aveva avuto ragione quella sera, avevo ucciso mia madre negandole una dolce vita al suo fianco ed alla fine avevo ucciso anche lui.

Papà scandalizzato mi urlò che non era assolutamente vero, che mamma era molto malata. Disse che era solo questione di tempo prima che la morte sopraggiungesse e la guidasse lontano da noi.

Risi prima di dirgli quello che ormai ai miei occhi era chiaro. Quelle stesse parole da lui pronunciate mi confermavano quale era la visione. Tutti sapevano che era stata colpa mia. Ed ora, la voce mi venne a mancare per colpa del groppo che avevo in gola lasciando momentaneamente la frase in sospeso. Cercai di ingoiare il dolore e continuai a parlare E io…..io, non ero riuscito a proteggerlo. Ed ora il vero lui era li, a pochi passi dal finto Scott, sdraiato per terra e senza vita. Tutto per colpa mia!

Scott con uno scatto si volse alla propria sinistra facendo dei piccoli passi indietro, riparandosi dietro la figura dei nostri genitori, ed osservando con occhi spalancati il pavimento del tetto. Per qualche illuso secondo pensai che finalmente si fosse accorto di papà, ma quando lo vidi spostare il viso alla ricerca di qualcosa capii che era tutto finto.

Ogni parola, ogni sguardo, le loro intere presenze erano una finzione.

Spaventato mi sbilanciai un poco indietro, facendo dondolare la felpa rossa che indossavo.

Papà con parole affrettate mi supplicò di non muovermi, dandomi finalmente ragione, ammise di essere una semplice visione. Dichiarò che tutti loro lo erano, e mi chiese di restare con loro…solo per poco ancora. Mi supplicò di fingere che fossero reali giusto il tempo necessario per poterci dire addio.

Soppesai la sua richiesta mordicchiandomi un labbro, qualche secondo ancora….potevo aspettare. C’era una domanda a cui volevo trovare risposta prima che tutto quanto finisse.

Concessi a loro il beneficio del dubbio acconsentendo con un minuscolo gesto della testa. Lanciando un occhiata al gruppo ricordai loro di non fare scherzi e, fingendo che fossero reali, chiesi come erano riusciti a trovarmi.

Melissa si volse a guardare mio padre, il quale si portò una mano agli occhi, quasi a nascondersi dagli sguardi degli altri. Il biglietto, la mano scivolò lentamente dal volto di mio padre mentre pronunciava quelle due piccole parole, mostrandomi i segni del suo dolore . Mi raccontò di essere arrivato a casa e di aver visto la luce della mia camera accesa, così era salito di sopra pensando fossi in camera e non trovandomi aveva capito che qualcosa non andava, sorrise dicendomi che ero troppo puntiglioso per dimenticarmi di spegnere la luce. Papà si frugò nelle tasche estraendone un fogliettino spiegazzato, continuò a parlare dicendo che sulla mia scrivania aveva trovato il biglietto che teneva in mano. Quando lo aprì lesse a voce alta le poche righe in cui gli chiedevo scusa e gli promettevo che quella sera si sarebbe concluso tutto. La voce dello sceriffo si spezzò sull’ultima parola, ma riprese seria e decisa qualche secondo dopo, alzando la mano con il biglietto disse che quel pezzettino di carta lo aveva spaventato molto, voleva trovarmi al più presto per cantarmene quattro ma mentre stava uscendo dalla mia camera aveva notato che mancava qualcosa. Prima di morire mamma mi ha lasciato la propria collana con la gemma di lapislazzuli, io l’avevo sempre tenuta bene in vista vicino alla scrivania, come se attraverso quella, mamma potesse vegliare su di me. Spiegò di essere stato preso dal terrore quando si era accorto della sua mancanza, sapeva bene che non toccavo mai quel monile a meno che non fosse strettamente necessario. Disse di essere corso qui all’ospedale dove la mamma era morta, perché è dove avrei potuto sistemare tutto riconsegnando la gemma alla sua proprietaria.

Vidi Melissa appoggiare una mano sulla spalle di mio padre cercando di dargli conforto, mentre io non riuscivo a collegare il racconto di papà con quello che stava accadendo ora, ogni secondo che passava rendeva la mia mente più annebbiata e meno in grado di comprendere ciò che mi veniva detto.

Con tono estremamente confuso chiesi cosa centrasse la collana di mamma, io la avevo lasciata esattamente al suo posto in camera, una cosa era vederla ogni giorno ma toccarla mi portava troppo dolore.

Derek intervenne nuovamente dopo interi minuti di silenzio e con voce pacata disse che dovevo osservarmi il collo.

Lentamente mi portai le mani al petto, strisciandole dagli addominali verso il collo, salii lentamente con i palmi appoggiati quando mi scontrai con qualcosa di piccolo e ovale. Afferrandolo delicatamente lo alzai in modo da poterlo vedere.

Un lapislazzuli rinchiuso in un ovale di argento incontrò il mio sguardo. Che stavo facendo? Perché portavo al collo la gemma di mamma? Si sarebbe rovinata.

Le lacrime mi coprirono la vista e cercando di pulirmi gli occhi mi portai entrambi le mani al volto, coprendomi la visuale sul gruppo che mi stava davanti.

Mi ero appena appoggiato le dita sopra le palpebre quando un forte strattone mi costrinse a cadere dal muretto.

Potente, la sensazione di vuoto mi sorprese, stringendomi lo stomaco e bloccandomi le corde vocale.

Ebbi paura, per un lungo ed estenuante momento l’orrore mi invase.

Ed infine venni afferrato, due forti e muscolose braccia mi strinsero impedendomi di cadere e ferirmi.

Rimasi alcuni secondi immobile stretto in quell’abbraccio deciso, prima di aprire gli occhi e divincolarmi.

Le braccia mi lasciarono andare ma un secondo dopo sentii la forte pressione di due mani sui miei gomiti, abbastanza lontani per farmi stare in piedi da solo, ma altrettanto rigidi da non permettermi una fuga.

Questo non era possibile, le visioni non possono trattenerci. Non dovrebbero essere così….fisiche.

Melissa ordinò a Derek, di cui riconobbi le forti e calde braccia solo in seguito, di tenermi fermo così da potermi fare una veloce visita. Senza alcuna speranza cercai di divincolarmi dalla presa ma l’alfa era troppo forte per me già normalmente, figuriamoci quando non avevo del tutto il controllo delle mie azioni.

Melissa si accertò che non fossi ferito, volle anche controllare le mie reazioni così agguantò una piccola pila dalla tasca della maglia e mi sparaflesciò la luce negli occhi. Chiusi gli occhi prima possibile sentendo un forte dolore alla parte del cervello posta proprio davanti ai bulbi. Tenetti gli occhi serrati finchè non cedetti alle preghiere della donna aprendo le palpebre e facendo il possibile per tenerle aperte.

Osservai l’espressione della madre di Scott attentamente e potei capire subito che qualcosa non andava, Melissa controllò una volta ancora per essere sicura e poi espose la propria diagnosi.

Sbarrai gli occhi e smisi di tentare di liberarmi dalla presa di Derek. La mia mente riusciva a concentrarsi unicamente su di una parola, nonostante la ripetessi più volte non perdeva o cambiava il proprio terribile significato

Drogato.

Fu questo che disse Melissa, spiegò a mio padre che ero sotto l’effetto di qualche farmaco o droga. Probabilmente gli raccontò che le visioni erano un effetto di quello che era possibile che io avessi ingerito, o forse gli disse che dovevo essere portato subito dentro l’edificio così da poter venire guarito.

Qualunque cosa avesse detto io non la sentii, perché appena riuscii a realizzare cosa quella parola comportava il mio cervello decise che era troppa la pressione che stava ricevendo e fece cadere tutto in una sorta di black out facendomi così svenire tra le braccia di Derek.

Caddi nell’oblio, un buio simile a quello che fino a pochi minuti prima agoniavo e allo stesso tempo temevo, ma questa volta non avevo timori perché conoscevo la verità e decisi di abbandonarmi ad esso con sollievo. Prima di lasciarmi prendere del tutto dal silenzio un ultimo pensiero mi attraversò la mente.

Non ero solo.


 

Il Gelo Che Ci Circonda

Di Badluna

Epilogo

 

Dopo qualche giorno scoprii che la droga che avevo ingerito era arrivata a me per errore. Tutto il dolore, la paura ed il profondo disprezzo per me stesso che avevo provato era stato causato da un piccolo e semplice sbaglio.

I gemelli avevano cercato di vendicarsi di Scott per lo scherzetto delle moto inserendogli una droga che avrebbe disabilitato i suoi sensi da lupo mannaro per qualche ora nel mangiare preso alla mensa del liceo. Purtroppo per il loro piano quel giorno io ero stato trattenuto dal professor Harris a fine lezione, per un suo solito rimprovero, ed avevo così chiesto a Scott di prendere qualcosa anche per me nel proprio vassoio.

Aiden aveva finto di scontrarsi con il mio migliore amico e facendo cadere così il liquido della droga nel budino al caramello che Scott aveva sul vassoio. Quando raggiunsi il mio amico Scott mi disse di scegliere uno dei due pasti e quale dolce volevo, indicandomi sorridente la fetta di torta al sesamo e il budino.

Divertito scelsi il pasto più sano per poi prendermi il bicchiere contenente il budino, ricordando a Scott la mia allergia al sesamo. Ethan quando venne a parlarmi per porgermi delle microscopiche scuse mi raccontò che lui ed Aiden si erano accorti troppo tardi dello scambio e non avevano pensato a cosa mi sarebbe potuto accadere.

Quello che ovviamente non sapevano era il devastante effetto che quella droga, per i lupi non pericolosa, avesse sugli umani.

Deaton mi raccontò che molti anni prima i Druidi ne avevano vietato l’utilizzo a causa di una situazione simile alla mia che però era finita in tragedia. Una giovane donna assuefatta da stupide dipendenze era venuta a contatto con la droga per i lupi, solo che per lei non era arrivato a nessuno a dissuaderla dal gesto di dare un taglio alla propria esistenza.

Nonostante la terribile esperienza che avevo avuto essa era riuscita a portare un po’ di pace nella mia vita.

Papà cercava di passare più tempo con me ritagliandosi maggiori spazi per la vita privata dal suo lavoro di Sceriffo, Scott e Melissa mi stavano accanto e invitavano me e papà a cena quando i turni di lei gli permettevano di essere a casa ad orari decenti.

Isaac ed io ci eravamo molto avvicinanti, scoprendo che avevamo molto in comune oltre alla nostra amicizia con Scott. Derek era rimasto sempre lo stesso, ma nella sua rigida armatura scintillante potevo notare i piccoli cambiamenti che faceva per me, evitando di schernirmi e sbattermi contro ai muri troppo spesso, ascoltando più volentieri la mia opinione o anche semplicemente osservandomi senza quell’espressione di chi nasconde profonda rabbia contro l’altro.

Mi sentivo felice, anche se la nostra vita non era cambiata, anche se le stranezze soprannaturali ci circondavano ogni giorno, ero contento.

La mia vita aveva una leggera svolta che mi faceva apprezzare più facilmente ciò che mi circondava e rendeva più sopportabili anche le ore in cui si pensa di non riuscire a sopravvivere.

Forse, dopo tutto, il gelo che ci circonda può portarci verso ciò agogniamo, spingendoci a confidarci nei modi più disparati alle persone che ci attorniano, portandoci a scrivere pensare e vivere esperienze che ci aiutano a credere di più nei legami che abbiamo costruito nella nostra vita.

Esperienze che ci permettono di creare passo per passo il nostro futuro.

Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità!

 

Fine

Antro di Bad:

Questa storia mi è venuta in mente una o due settimane fa....diciamo che non era esattamente una giornata felice. Quella notte avevo avuto due incubi, il giorno dopo ero distrutta soprattutto per colpa del secondo, durante la notte mi sono svegliata più volte ma il sogno ricominciava appena prendevo sonno. Ogni volta.

Dire che ero intoccabile quel lunedì (si perchè oltrettuto era lunedì, che giorno stupendo -.-") era un eufemismo...

Ma anche nelle brutte giornate ci sono alcuni raggi di sole, e uno di quelli è stata questa idea....anche se non lo chiamerei Sunshine visto la depressione iniziate della fanfic.

Coooomunque mi è piaciuto scrivere questa storia e spero che sia piaciuta anche voi. Ho cercato di allegerirla un poco verso la fine per rendere il finale più soft, ma non potevo nemmeno passare da una scena drammatica a una scena tutto sole e felicità....spero di essere riuscita a trovare il giusto equilibrio....ma me lo direte voi se ne avete voglia :) 

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino alla fine e non hanno abbandonato subito la storia.

Buona serata a tutti.

Badluna

  
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