Il
Gelo Che Ci Circonda
Di
Badluna
Parte
1
Lente
le
immagini della mia vita si susseguivano, giorni felici venivano
rimpiazzati da
giorni che avrei preferito dimenticare, giornate soleggiate venivano
oscurate
dal grigio della pioggia.
Il mio corpo tremava come
vittima
di leggere convulsioni che percorrevano tutto il corpo, le dita
cercavano di stringere
l’aria che mi circondava come se potesse aiutarmi,
l’udito percepiva il
frenetico movimento delle automobili che percorrevano mete sconosciute,
l’olfatto non distingueva nessun odore in particolare, se non
quello dell’aria
fresca…tutto era in stallo, la mia mente, il battito del
cuore ed addirittura
il tempo…
Poi,
aprii gli
occhi.
Il
buio mi circondava, solo le
piccole luci dei lampioni e delle abitazioni si scontravano con quella
oscurità, soffuse lucciole circondate dall’ombra
del bosco che delimitava la
città. Lente le carezze del vento scompigliavano i miei
capelli, il cielo era
limpido e senza nuvole il che rendeva ancora più forte la
brezza che mi si
infrangeva addosso a quell’altezza.
Camminando
lentamente ed un poco
barcollante sul muretto, notai che la vista da quel punto era
mozzafiato, solo
pochi palazzi si ergevano più in alto di me ma riuscivo lo
stesso a vedere
tutta la città ai miei piedi. Osservai i luoghi in cui
passavo la maggior parte
del mio tempo: La scuola poco illuminata dai lampioni dei posteggi,
casa mia e quella
di Scott rischiarate dall’illuminazione
stradale,…solo la vecchia e diroccata
casa Hale rimaneva celata al mio sguardo.
Persi il filo dei miei
pensieri
quando qualcuno apparve alle mie spalle.
Scott.
Mi
chiese cosa ci facevo ancora
li, rinfacciandomi la promessa di aiutarlo e invece a suo vedere stavo
facendo
il contrario.
Barcollai
leggermente ad una
raffica di vento più forte, provai a parlare ma il mio
migliore amico mi
interruppe senza ascoltare a cosa avessi da dire
Parlò
della sua relazione con
Allison, di come fosse sicuro che le cose sarebbero tornate normali se
lo
aiutassi e facessi il gesto.
L’espressione di Scott cambiò in un attimo,
passando da speranzosa ad arrabbiata, con voce carica di disgusto mi
accusò di
volere la sua infelicità, ma soprattutto di star cercando di
farlo diventare
come me, senza uno scopo, da solo e con
il cuore spezzato.
Le
sue parole mi fecero
sobbalzare spaventato, tanto che quasi persi l’equilibrio.
Tentando di
riacquistare la posizione eretta, mi voltai verso la città
muovendo le braccia
come uno stupido, quando finalmente capii di essere di nuovo stabile mi
voltai
verso il mio amico.
Ma
Scott era scomparso.
Al
suo posto vi era Erika. Una
splendida e viva Erika.
Il
suo sguardo mi fece tremare,
cosa stava accadendo?
Quasi
leggendomi nel pensiero la
bionda pose la stessa domanda, ma non avevo parole per riponderle.
Restai
immobile ad osservarla,
fermo come se fossi una scultura…una maledetta statua
piangente.
Erika
si avvicinò al muretto con
il suo solito passo elegante, ancheggiando con i fianchi. Normalmente
sarei
stato affascinato dalla luce che sembrava emettere, ma quella sera fu
qualcos’altro ad attirare la mia attenzione.
Ad
ogni passo la ragazza sembrava
lasciarsi alle spalle come una nuvoletta nera, come se il semplice
fatto che
fosse li con me andasse contro natura, trascinandosi dietro una lenta
scia di
morte.
Erika
lentamente raggiunse il
muretto su cui appoggiò le braccia e fissò la
città, il suo sguardo non si fissò
mai sulle luci delle case ma anzi vagò sul vasto territorio
selvatico, come
desiderando di perdersi in quella grande massa scura.
Arrotolandosi
una ciocca di
capelli al dito della mano sinistra mi chiese come mai non le avevo mai
risposto. Mi aveva detto esplicitamente di piacergli e io per questo
l’avevo
evitata.
Ancora la mia bocca non ne
volle
sapere di parlare, e forse fu una fortuna perché non ero
sicuro di cosa sarebbe
uscito. Il mio cervello non riusciva a formulare qualcosa di coerente
da dire,
ripeteva in continuazione due semplici parole.
Non
volevo.
Erika,
probabilmente stanca di
attendere una risposta, si allontanò dal muretto lanciandomi
un ultima
occhiata. Il suo volto divenne una maschera di ghiaccio, fredda come
solo le
tenebre potevano essere.
Le sue parole furono pure
schegge
di cattiva verità verso il mio cuore, lei aveva tentato di
avvicinarsi a me, ma
io ero troppo impegnato a cercare ciò che per me aveva
importanza. Non avevo
pensato alle sue esigenze, senza considerare che forse anche lei, la
dolce e
timida Erika aveva bisogno di compagnia. L’avevo lasciata
sola negandole la mia
amicizia ed il mio aiuto. Condannandola ad una morte orribile.
Ero
inutile.
Chiusi
gli occhi cercando di attutire
il dolore che quelle due parole mi avevano causato, continuavo a
ripetermi “non
sei inutile, non sei inutile” sperando che questo alleviasse
il dolore, ma non
fu così. Il pugnale nello stomaco rimase ben conficcato.
Sospirando aprii gli
occhi pronto a vedere la schiena di Erika abbandonarmi su quel tetto.
Ma
quello che mi si parò davanti
fu molto, molto peggio.
Sussurrando
spaventato chiamai la
figura davanti a me.
Mio
padre mi fissava con sguardo
arrabbiato a qualche metro di distanza dal muretto su cui mi trovavo.
Con
un tono talmente piatto da
sembrare quasi inumano mi disse di guardarlo, di osservare
ciò in cui ero
riuscito.
Strizzai
gli occhi non capendo a
cosa si riferisse, in che cosa ero riuscito esattamente? Lanciai uno
sguardo al
suo abbigliamento confuso e il mio cuore saltò un battito.
La divisa da
Sceriffo era tutta stropicciata e strappata in più punti,
due bottoni, gli
unici rimasti, della giacca erano attaccati ad essa ma penzolanti dal
filo
della cucitura.
E poi c’era quello.
Il
sangue.
Mio
padre aveva tutta la camicia
ricoperta di sangue ed anche la sua mano sinistra, premuta contro lo sterno, ne era colma. Mi
ci vollero alcuni
secondi per realizzare che era sporco del suo stesso sangue.
Gemendo
lo chiamai, spaventato
per lui.
Guardandomi
infuriato mi accusò
nuovamente di aver ottenuto ciò per cui ero nato. Quando
tentai di scendere dal
muretto per aiutarlo mi fermò urlando di restare dove ero.
Cercando
di calmarlo affermai di
volerlo aiutare, che lo avrei portato dentro l’edificio per
poterlo curare.
Papà
mi rise in faccia, mi disse
di provare ad indovinare chi era stato a ferirlo. Dichiarò
di aver sempre avuto
ragione, ero riuscito ad ucciderlo proprio come mi aveva detto alla
festa di
Lidya. Esattamente come avevo fatto con mamma.
A
quelle parole il terrore mi invase,
di cosa stava parlando? Io …io non avevo fatto niente, vero?
Disse di guardarmi, in piedi
su
questo muretto mentre fingevo di essere sorpreso come se non sapessi di
cosa
stava parlando. Proferì di sapere il motivo per cui ero
arrivato in quel luogo,
tutto sporco di sangue.
Senso di
colpa.
Strizzai
nuovamente gli occhi
cercando di trovare una soluzione, ma la mia mente era annebbiata come
se ci
fosse un peso a rallentare i miei pensieri. La testa mi doleva,
sollevai la
mano destra per massaggiarmi una tempia ma quando vidi in che stato
essa era
per poco non caddi all’indietro.
Sollevai
anche la sinistra,
mettendola affianco alla gemella davanti ai miei occhi, solo per
trovarla nello
stesso stato, ogni singolo centimetro e ricoperto da un liquido scuro.
Avevo le
mani piene di sangue!
Cominciai
a mormorare il suo nome
con orrore, cercando di farlo ragionare e sistemare la situazione, ma
quando alzai
gli occhi per guardare il volto di mio padre quello che trovai fu solo
una
massa scura piegata in malo modo per terra.
Urlai,
chiamando il suo nome
terrorizzato, con la mente spinsi il mio corpo a muoversi ed a correre
dall’uomo a terra per soccorrerlo, ciò nonostante
le mie gambe non risposero al
mio istinto, opponendosi ad esso come se fossero di cemento.
Impotente
voltai lo sguardo,
girando per metà il busto a sinistra, verso la
città ai miei piedi.
Disperato
mi chiesi cosa avevo
fatto. Cosa era successo realmente, perché non ricordavo
cosa era accaduto?
Perché non riuscivo a pensare liberalmente, sentivo la mente
greve come se
fosse rallentata da un peso.
Sotto
di me sentii lo stridio
delle ruote di un auto, probabilmente il guidatore aveva fretta. Non
diedi peso
a ciò che i miei sensi mi urlavano, dopotutto per il luogo
in cui mi trovavo
non era strano che la gente piombasse dentro l’edificio come
una furia.
Le
mie gambe finalmente risposero
ai comandi, ma seguirono un pensiero del tutto nuovo, facendomi voltare
completamente verso le fiamme che ardevano davanti a me. Silenziose
spettatrici
del dibattito che avveniva dentro di me.
Forse
avrei potuto mettere una
fine a tutto, concludere questo brutto incubo che era la mia
vita… Avrei potuto
rendere felici tutti, lasciarli vivere la propria vita senza un peso
sulle
spalle.
Magari
se ci avessi pensato prima
papà sarebbe stato ancora vivo.
Un gesto che avrebbe
cancellato
tutto il mio dolore.
…Bastava
un
piccolo e minuscolo passo.
Il
Gelo Che Ci Circonda
Di
Badluna
Parte
2
Alle
mi spalle una voce forte
chiamò il mio nome, con tono serio ma estremamente
preoccupato.
Mi
voltai di scatto verso la
porta che dava accesso al tetto trovandomi davanti a ciò che
temevo. Con il
fiato grosso ed in viso un espressione terrorizzata Melissa mi
osservava da
dietro mio padre, il quale aveva le mani sollevate davanti al corpo
come a
segnalarmi di stare calmo.
Derek, Scott e Isaac
esaminavano
la situazione, il pensiero che stessero cercando la migliore maniera di
agire
mi fece ridere. Non avevano nessun modo per intervenire, la decisione
era in
mano mia. Anche se avessero voluto fare qualcosa, agendo per conto
della mia
mente, era per loro fisicamente impossibile. Dopo tutto non erano
realmente
qui.
Erano
semplici
visioni.
Papà
mi chiamò nuovamente.
Sussurrando
il suo nome lo
salutai, un piccolo sorriso a percorrermi il volto, quanto ero stupido,
parlare
con lui non sarebbe servito a niente. Mio padre era appena morto
davanti ai
miei occhi, quello era solo una specie di ologramma mentale. Stavo
parlando
con me stesso.
Il
finto Derek mi apostrofò,
chiedendomi che diavolo stavo facendo, in modo talmente aggressivo che
per me
fu come ricevere un colpo fisico e persi momentaneamente il mio
già lieve
equilibrio, finendo per barcollare pericolosamente
Papà
cercò di riportare la calma
spostando il braccio destro verso Derek dietro di lui, il palmo aperto
in un
muta richiesta di lasciargli fare.
Lentamente
riacquistai
l’equilibrio ritrovandomi ben saldo con i piedi al muretto,
per niente aiutato
dal tremore del mio corpo che era aumentato
d’intensità. Scrollai la testa,
come un cucciolo disorientato, cercando di riprendere il controllo del
mio
corpo. Ma sembrava una causa persa. Nonostante fingessi di avere il
controllo,
sapevo di non essere io a tirare i fili.
Mio
padre cercò di convincermi a
scendere dal muretto, mi chiede di avvicinarmi a loro per poter
parlare. Disse
che avremmo chiarito cosa avevo bisogno così che lui, e qui
papà si interruppe
un attimo voltando il viso verso gli altri posti dietro di lui muovendo
poi le
braccia per indicare l’intero gruppo continuò la
frase, che tutti
potessero aiutarmi.
A
quella frase risi, o almeno ci
provai, tutto quello che uscì dalla mia bocca fu uno specie
di rantolo
divertito, simile a quello di un animale in gabbia.
Con
tono pacato dichiarai loro
che non potevano fare proprio nulla, parlai loro quasi come stessi
parlando con
un bambino che non poteva comprendere. Spiegai lor che essendo semplici
visioni, non avevano modo di modificare la realtà.
Melissa
interruppe
improvvisamente mio padre, il quale stava tentando di domandarmi di
cosa stavo
parlando , facendogli un cenno con la testa di lasciarla fare. Mi
chiese con
tono dolce se avevo delle visioni, se vedevo gente che probabilmente in
quel
momento si trovavano in tutt’altro posto.
Aggrottai
la fronte, che razza di
domanda era? Ovviamente avevo delle visioni…vedevo Loro!
Osservai
la figura accasciata di
mio padre, ancora nella stessa identica posizione in cui era morto solo
qualche
minuto prima. Quella visione mi riempì di rabbia, cosa stavo
facendo? La
persona più importante della mia vita mi aveva appena
abbandonato…No…non era
corretto. La verità era un'altra. Avevo appena
ucciso la persona più
importante della mia vita, e quelle cose cercavano da distrarmi. Non glie lo
avrei permesso. Con un leggero
spostamento della gamba destra mi portai più vicino alla
fine del muretto, più
prossimo alla città che attendeva alle mie spalle.
Con
rabbia li accusai di essere
loro le visioni, sputando quelle poche parole come se fossero un
insulto.
Scott
intervenne facendo un passo
in avanti, cercando di convincermi che loro fossero persone reali,
avvicinandosi a sua madre e coprendomi la vista di Isaac, il quale era
rimasto
qualche passo in dietro.
Scossi
nuovamente la testa, con
tono lieve dissi che non importava quello che loro pensavano, io sapevo
quale fosse
la verità. Un giramento di testa mi prese di sorpresa e
dovetti fermarmi e
irrigidire tutti i muscoli del corpo.
La
voce di Isaac mi distrasse
dicendo che invece importava eccome, non comprendendo la
verità delle mie
parole, rivelandosi dietro alla figura del mio migliore amico.
Avevo
preso la mia decisione,
dissi con tono fermo nonostante sentissi le gambe tremarmi
incredibilmente, e
niente di quello che loro avrebbero detto avrebbe cambiato le mie idee.
Melissa
dolcemente mi chiese di
spiegare come avrebbero potuto aiutarmi. Quale loro atto avrebbe
sistemato
tutto.
Feci
un piccolo dolce sorriso,
dopo tutto quella donna per me era stata quasi come una madre, le
volevo bene
ed ero felice della sua accortezza. Ma era una felicità
agrodolce, perché
sapevo che non era la vera Melissa a pronunciarle.
Negai
una risposta alla sua
domanda sia con la voce che con il corpo, lanciai un’occhiata
veloce verso al
vuoto che mi attendeva prima di riportare gli occhi al gruppo davanti a
me.
Osservai i loro visi tirati, gli occhi dilatati e le bocche aperte in
attesa di
qualcosa da dire.
Parlando
con mio padre, proseguii
un discorso che nella mia mente si era soltanto interrotto per qualche
minuto,
gli dissi che aveva avuto ragione quella sera, avevo ucciso mia madre
negandole
una dolce vita al suo fianco ed alla fine avevo ucciso anche lui.
Papà
scandalizzato mi urlò che
non era assolutamente vero, che mamma era molto malata. Disse che era
solo
questione di tempo prima che la morte sopraggiungesse e la guidasse
lontano da
noi.
Risi
prima di dirgli quello che
ormai ai miei occhi era chiaro. Quelle stesse parole da lui pronunciate
mi
confermavano quale era la visione. Tutti sapevano che era stata colpa
mia. Ed
ora, la voce mi venne a mancare per colpa del groppo che avevo in gola
lasciando momentaneamente la frase in sospeso. Cercai di ingoiare il
dolore e
continuai a parlare E io…..io, non ero riuscito a
proteggerlo. Ed ora il vero
lui era li, a pochi passi dal finto Scott, sdraiato per terra e senza
vita.
Tutto per colpa mia!
Scott con uno scatto si volse
alla propria sinistra facendo dei piccoli passi indietro, riparandosi
dietro la
figura dei nostri genitori, ed osservando con occhi spalancati il
pavimento del
tetto. Per qualche illuso secondo pensai che finalmente si fosse
accorto di
papà, ma quando lo vidi spostare il viso alla ricerca di
qualcosa capii che era
tutto finto.
Ogni
parola,
ogni sguardo, le loro intere presenze erano una finzione.
Spaventato
mi sbilanciai un poco
indietro, facendo dondolare la felpa rossa che indossavo.
Papà
con parole affrettate mi
supplicò di non muovermi, dandomi finalmente ragione, ammise
di essere una
semplice visione. Dichiarò che tutti loro lo erano, e mi
chiese di restare con
loro…solo per poco ancora. Mi supplicò di fingere
che fossero reali giusto il
tempo necessario per poterci dire addio.
Soppesai
la sua richiesta
mordicchiandomi un labbro, qualche secondo ancora….potevo
aspettare. C’era una
domanda a cui volevo trovare risposta prima che tutto quanto finisse.
Concessi
a loro il beneficio del
dubbio acconsentendo con un minuscolo gesto della testa. Lanciando un
occhiata
al gruppo ricordai loro di non fare scherzi e, fingendo che fossero
reali,
chiesi come erano riusciti a trovarmi.
Melissa
si volse a guardare mio
padre, il quale si portò una mano agli occhi, quasi a
nascondersi dagli sguardi
degli altri. Il biglietto, la mano scivolò lentamente dal
volto di mio padre
mentre pronunciava quelle due piccole parole, mostrandomi i segni del
suo
dolore . Mi raccontò di essere arrivato a casa e di aver
visto la luce della
mia camera accesa, così era salito di sopra pensando fossi
in camera e non
trovandomi aveva capito che qualcosa non andava, sorrise dicendomi che
ero
troppo puntiglioso per dimenticarmi di spegnere la luce.
Papà si frugò nelle
tasche estraendone un fogliettino spiegazzato, continuò a
parlare dicendo che
sulla mia scrivania aveva trovato il biglietto che teneva in mano.
Quando lo
aprì lesse a voce alta le poche righe in cui gli chiedevo
scusa e gli
promettevo che quella sera si sarebbe concluso tutto. La voce dello
sceriffo si
spezzò sull’ultima parola, ma riprese seria e
decisa qualche secondo dopo,
alzando la mano con il biglietto disse che quel pezzettino di carta lo
aveva
spaventato molto, voleva trovarmi al più presto per
cantarmene quattro ma
mentre stava uscendo dalla mia camera aveva notato che mancava
qualcosa. Prima
di morire mamma mi ha lasciato la propria collana con la gemma di
lapislazzuli,
io l’avevo sempre tenuta bene in vista vicino alla scrivania,
come se
attraverso quella, mamma potesse vegliare su di me. Spiegò
di essere stato
preso dal terrore quando si era accorto della sua mancanza, sapeva bene
che non
toccavo mai quel monile a meno che non fosse strettamente necessario.
Disse di
essere corso qui all’ospedale dove la mamma era morta,
perché è dove avrei
potuto sistemare tutto riconsegnando la gemma alla sua proprietaria.
Vidi
Melissa appoggiare una mano
sulla spalle di mio padre cercando di dargli conforto, mentre io non
riuscivo a
collegare il racconto di papà con quello che stava accadendo
ora, ogni secondo
che passava rendeva la mia mente più annebbiata e meno in
grado di comprendere
ciò che mi veniva detto.
Con
tono estremamente confuso
chiesi cosa centrasse la collana di mamma, io la avevo lasciata
esattamente al
suo posto in camera, una cosa era vederla ogni giorno ma toccarla mi
portava
troppo dolore.
Derek
intervenne nuovamente dopo
interi minuti di silenzio e con voce pacata disse che dovevo osservarmi
il
collo.
Lentamente
mi portai le mani al
petto, strisciandole dagli addominali verso il collo, salii lentamente
con i
palmi appoggiati quando mi scontrai con qualcosa di piccolo e ovale.
Afferrandolo delicatamente lo alzai in modo da poterlo vedere.
Un
lapislazzuli rinchiuso in un
ovale di argento incontrò il mio sguardo. Che stavo facendo?
Perché portavo al
collo la gemma di mamma? Si sarebbe rovinata.
Le
lacrime mi coprirono la vista
e cercando di pulirmi gli occhi mi portai entrambi le mani al volto,
coprendomi
la visuale sul gruppo che mi stava davanti.
Mi
ero appena appoggiato le dita
sopra le palpebre quando un forte strattone mi costrinse a cadere dal
muretto.
Potente,
la sensazione di vuoto
mi sorprese, stringendomi lo stomaco e bloccandomi le corde vocale.
Ebbi
paura, per un lungo ed
estenuante momento l’orrore mi invase.
Ed
infine venni afferrato, due
forti e muscolose braccia mi strinsero impedendomi di cadere e ferirmi.
Rimasi
alcuni secondi immobile
stretto in quell’abbraccio deciso, prima di aprire gli occhi
e divincolarmi.
Le
braccia mi lasciarono andare
ma un secondo dopo sentii la forte pressione di due mani sui miei
gomiti,
abbastanza lontani per farmi stare in piedi da solo, ma altrettanto
rigidi da
non permettermi una fuga.
Questo
non era possibile, le
visioni non possono trattenerci. Non dovrebbero essere
così….fisiche.
Melissa
ordinò a Derek, di cui
riconobbi le forti e calde braccia solo in seguito, di tenermi fermo
così da
potermi fare una veloce visita. Senza alcuna speranza cercai di
divincolarmi
dalla presa ma l’alfa era troppo forte per me già
normalmente, figuriamoci
quando non avevo del tutto il controllo delle mie azioni.
Melissa
si accertò che non fossi
ferito, volle anche controllare le mie reazioni così
agguantò una piccola pila
dalla tasca della maglia e mi sparaflesciò la luce negli
occhi. Chiusi gli
occhi prima possibile sentendo un forte dolore alla parte del cervello
posta
proprio davanti ai bulbi. Tenetti gli occhi serrati finchè
non cedetti alle
preghiere della donna aprendo le palpebre e facendo il possibile per
tenerle
aperte.
Osservai
l’espressione della
madre di Scott attentamente e potei capire subito che qualcosa non
andava,
Melissa controllò una volta ancora per essere sicura e poi
espose la propria
diagnosi.
Sbarrai gli occhi e smisi di
tentare di liberarmi dalla presa di Derek. La mia mente riusciva a
concentrarsi
unicamente su di una parola, nonostante la ripetessi più
volte non perdeva o
cambiava il proprio terribile significato
Drogato.
Fu
questo che disse Melissa,
spiegò a mio padre che ero sotto l’effetto di
qualche farmaco o droga.
Probabilmente gli raccontò che le visioni erano un effetto
di quello che era
possibile che io avessi ingerito, o forse gli disse che dovevo essere
portato
subito dentro l’edificio così da poter venire
guarito.
Qualunque
cosa avesse detto io
non la sentii, perché appena riuscii a realizzare cosa
quella parola comportava
il mio cervello decise che era troppa la pressione che stava ricevendo
e fece
cadere tutto in una sorta di black out facendomi così
svenire tra le braccia di
Derek.
Caddi nell’oblio, un
buio simile
a quello che fino a pochi minuti prima agoniavo e allo stesso tempo
temevo, ma
questa volta non avevo timori perché conoscevo la
verità e decisi di
abbandonarmi ad esso con sollievo. Prima di lasciarmi prendere del
tutto dal
silenzio un ultimo pensiero mi attraversò la mente.
Non ero
solo.
Il
Gelo Che Ci Circonda
Di
Badluna
Epilogo
Dopo
qualche giorno scoprii che la droga che avevo ingerito
era arrivata a me per errore. Tutto il dolore, la paura ed il profondo
disprezzo per me stesso che avevo provato era stato causato da un
piccolo e
semplice sbaglio.
I
gemelli avevano cercato di vendicarsi di Scott per lo
scherzetto delle moto inserendogli una droga che avrebbe disabilitato i
suoi
sensi da lupo mannaro per qualche ora nel mangiare preso alla mensa del
liceo.
Purtroppo per il loro piano quel giorno io ero stato trattenuto dal
professor Harris
a fine lezione, per un suo solito rimprovero, ed avevo così
chiesto a Scott di
prendere qualcosa anche per me nel proprio vassoio.
Aiden
aveva finto di scontrarsi con il mio migliore amico e
facendo cadere così il liquido della droga nel budino al
caramello che Scott
aveva sul vassoio. Quando raggiunsi il mio amico Scott mi disse di
scegliere
uno dei due pasti e quale dolce volevo, indicandomi sorridente la fetta
di
torta al sesamo e il budino.
Divertito
scelsi il pasto più sano per poi prendermi il
bicchiere contenente il budino, ricordando a Scott la mia allergia al
sesamo. Ethan
quando venne a parlarmi per porgermi delle microscopiche scuse mi
raccontò che
lui ed Aiden si erano accorti troppo tardi dello scambio e non avevano
pensato
a cosa mi sarebbe potuto accadere.
Quello
che ovviamente non sapevano era il devastante effetto
che quella droga, per i lupi non pericolosa, avesse sugli umani.
Deaton
mi raccontò che molti anni prima i Druidi ne avevano
vietato l’utilizzo a causa di una situazione simile alla mia
che però era
finita in tragedia. Una giovane donna assuefatta da stupide dipendenze
era
venuta a contatto con la droga per i lupi, solo che per lei non era
arrivato a
nessuno a dissuaderla dal gesto di dare un taglio alla propria
esistenza.
Nonostante
la terribile esperienza che avevo avuto essa era
riuscita a portare un po’ di pace nella mia vita.
Papà
cercava di passare più tempo con me ritagliandosi
maggiori spazi per la vita privata dal suo lavoro di Sceriffo, Scott e
Melissa
mi stavano accanto e invitavano me e papà a cena quando i
turni di lei gli
permettevano di essere a casa ad orari decenti.
Isaac
ed io ci eravamo molto avvicinanti, scoprendo che
avevamo molto in comune oltre alla nostra amicizia con Scott. Derek era
rimasto
sempre lo stesso, ma nella sua rigida armatura scintillante potevo
notare i
piccoli cambiamenti che faceva per me, evitando di schernirmi e
sbattermi
contro ai muri troppo spesso, ascoltando più volentieri la
mia opinione o anche
semplicemente osservandomi senza quell’espressione di chi
nasconde profonda
rabbia contro l’altro.
Mi
sentivo felice, anche se la nostra vita non era cambiata,
anche se le stranezze soprannaturali ci circondavano ogni giorno, ero
contento.
La
mia vita aveva una leggera svolta che mi faceva
apprezzare più facilmente ciò che mi circondava e
rendeva più sopportabili
anche le ore in cui si pensa di non riuscire a sopravvivere.
Forse,
dopo tutto, il gelo che ci circonda può portarci
verso ciò agogniamo, spingendoci a confidarci nei modi
più disparati alle
persone che ci attorniano, portandoci a scrivere pensare e vivere
esperienze
che ci aiutano a credere di più nei legami che abbiamo
costruito nella nostra
vita.
Esperienze che ci permettono di creare passo per passo il nostro futuro.
Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità!
Fine
Antro di Bad:
Questa storia mi è venuta in mente una o due settimane fa....diciamo che non era esattamente una giornata felice. Quella notte avevo avuto due incubi, il giorno dopo ero distrutta soprattutto per colpa del secondo, durante la notte mi sono svegliata più volte ma il sogno ricominciava appena prendevo sonno. Ogni volta.
Dire che ero intoccabile quel lunedì (si perchè oltrettuto era lunedì, che giorno stupendo -.-") era un eufemismo...
Ma anche nelle brutte giornate ci sono alcuni raggi di sole, e uno di quelli è stata questa idea....anche se non lo chiamerei Sunshine visto la depressione iniziate della fanfic.
Coooomunque mi è piaciuto scrivere questa storia e spero che sia piaciuta anche voi. Ho cercato di allegerirla un poco verso la fine per rendere il finale più soft, ma non potevo nemmeno passare da una scena drammatica a una scena tutto sole e felicità....spero di essere riuscita a trovare il giusto equilibrio....ma me lo direte voi se ne avete voglia :)
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino alla fine e non hanno abbandonato subito la storia.
Buona serata a tutti.
Badluna