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Autore: elev    20/11/2013    3 recensioni
Un nuovo progetto, un insieme di sensazioni. Elly quel giorno un incontro del genere non se l'aspettava di certo. Come non si aspettava di dover aver a che fare con la sua reazione in quel momento. Elly odia le presentazioni formali e adora il caffè. Dave... ha gli occhi azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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June evening

L’inizio del mese di giugno arrivò volando. E giugno corrispondeva più o meno come ogni anno alla riunione generale dell’azienda seguita dalla consueta cena aziendale: l’ennesima “rottura”.
In quell’occasione le donne della ditta facevano a gara a chi portava il vestito più bello, le scarpe più nuove o la pettinatura più originale. Io come sempre rappresentavo il classico “caso a parte” visto che:

1) la prima volta in cui mi toccò parteciparvi mi resi conto durante la pausa pranzo di non avere nemmeno delle scarpe adatte e mi dovetti precipitare in un grande magazzino a caso per comprarne un paio. Così, almeno per non fare l’ennesima figura. Visto che già mi toccava presentarmi in jeans. Chi ce l’aveva avuto il tempo per cambiarsi?

2) Ogni volta che mi toccava andare ad una riunione aziendale con successiva cena, dovevo andarci dopo 8 ore di lavoro senza neppure poter “passare per l’anticamera di un bagno” per rendermi minimamente presentabile.

3) Vedevo gli altri arrivare belli freschi, puliti, stirati di tutto punto quando io ero già uno schifo da un po’…

Questa volta avevo deciso che, malgrado fosse il caso del punto 2, non mi sarei fatta cogliere impreparata almeno per quello che potevo “tenere sotto controllo”.
“tanto i vestiti ti si sgualciranno e il trucco sarà già colato tutto alle 10 di mattina!” mi disse con una smorfia di disapprovazione la mia cara voce interiore.
“Oddio I VESTITI!!” esclamai.
A cosa avrei avuto intenzione di indossare non ci avevo minimamente pensato.

Era sera tardi ed ero in pigiama davanti all’armadio aperto a contemplare il mio intero guardaroba alla ricerca di quello che avrei potuto indossare il giorno dopo: per questa volta avrei dovuto anche abbandonare i miei adorati Jeans sgualciti e optare per qualcosa di più carino. Rivoltai ogni ripiano e alla fine persi la speranza.
Non potevo certo presentarmi con qualche cosa che mi facesse sentire “scomoda”. Oltretutto avrei dovuto lavorare prima 8 ore con quei vestiti.

Fu così che, spazientita, optai per il “solito nero”: pantaloni stile cargo aderenti con le tasche laterali abbinati ad un top senza spalline dello stesso colore, taglio obliquo con dei piccoli fiori luccicanti.
Cacciai il top in una borsa, riempii la trousse per rifarmi il trucco e me ne andai a dormire. Così quel mattino mi recai in ufficio carica come se dovessi partecipare ad un corso di sopravvivenza.

Mi venne un mezzo infarto quando mi resi conto che a quella serata avrebbe partecipato anche Dave!
“Almeno ho avuto il buon senso di scegliere degli abiti “comodi”, altrimenti avrei sicuramente rischiato di fare la figura di quella che appena si veste più elegante del solito somiglia più ad un gatto di marmo che ad una persona.”
Pensai sbuffando tra me e me.

Durante la mattinata il “discorso cena” si fece più frequente anche con la collega che aveva la scrivania nel mio stesso ufficio: “Mi raccomando scegliamo bene chi si siederà al nostro tavolo!” diceva.
“Dave… oddio Dave, Dave no ti prego fa che non si sieda con noi…dddio Elly non fare la timida mica morde…. sarebbe grandioso: con lui rideremo di certo… oddio e se mi vedesse brilla…?!” furono tutte le cose che pensai nel giro di 5 secondi, prima di girarmi verso la collega e dedicarle un sorriso incerto.

L’ora di “partire in missione” era scoccata e, alle quattro di pomeriggio, scendevo le scale col tacco del dieci barcollando sotto il peso degli scatoloni che dovevo caricare nel bagagliaio dell’auto della mia collega per andare a preparare, con lei, la riunione.
“Dai Dave, sii carino… renditi utile una buona volta!” lo spronai dopo che gli avevo chiesto di venire ad aprirci il portone d’entrata del garage.
Si alzò dalla sedia sbuffando, e ci aprì il portone. “Ci vediamo stasera!” gli dissi sorridendo.

Non ero manco partita e già avevo fatto partire uno dei miei soliti film mentali. Mi “proiettai” direttamente sulla serata, vedendomi vistosamente allegra; mi sarei sfogata sull’aperitivo come al solito – in barba al fatto che poi avrei dovuto tornare a casa in auto.

Gli aperitivi aziendali sono sempre imbarazzanti. Per mascherare l’imbarazzo di essere lì, in piedi in una sala, attorno ad un tavolo imbandito dove nessuno “osava” essere il primo a prendere qualche cosa e non sapere con chi parlare, di cosa parlare e, soprattutto, avere a che fare di nuovo con Dave - avrei escogitato qualche follia – sempre grazie al fatto che sicuramente avrei bevuto (in vino veritas… dicono)- che si sarebbe sicuramente trasformata in una delle mie figure di m… di cui non sapere se ridere o piangere. Eppoi, pensavo, chissà come si sarebbe presentato!

Arrivammo sul posto della riunione e i miei poveri piedi dopo pochi metri di cammino erano già fumanti e doloranti. A questo punto non ero più sicura se avrei retto per tutta la serata in piedi su quei trampoli.

La riunione passò anche abbastanza velocemente, da spettatrice passiva, la cosa era anche abbastanza sorprendente.
Erano quasi le sette di sera e non mi ero ancora cambiata! Dopo mille discorsi e visite guidate alla sede della riunione, ebbi finalmente l’opportunità di chiudermi nel bagno per sistemare quello che si poteva sistemare in fretta e furia. Anche perché comunque malgrado lo strato abbondante di cerone, il trucco, il top che in un certo senso poteva anche essere considerato sexy e il tatuaggino della svarowsky che mi incollai tra la base del collo e una spalla, una non ero certo una top model. Dieci minuti dopo ero praticamente pronta per affrontare la serata.

Il nostro “gruppo” arrivò pure in ritardo, gli altri erano già tutti presenti.
Erano tutti tirati a lucido. Salutai i colleghi che conoscevo ma non ero tranquilla. Mi guardavo in giro nervosa alla ricerca di ciò che di lì a poco avrebbe soddisfatto la mia curiosità.

Dave! Non ebbi nemmeno il tempo di pensarci che lo scorsi in mezzo alla gente intento a parlare.
Non aveva nulla di elegante: pantaloni leggeri e sgualciti, scarpe da ginnastica e una sciarpetta a righe bianche e blu: sembrava stesse andando ad una festa in spiaggia.
E con questo pensiero, in bilico sui miei tacchi a spillo, raggiunsi il gruppetto con cui stava parlando. “Ohiii!!” gli dissi, cercavo di mascherare il saluto riferendomi a tutti i presenti e a nessuno in particolare con un sorriso, ma, detto ciò, mi avvicinai sfiorandogli, da dietro, una spalla con una mano.
Si voltò e contemporaneamente si cacciò in bocca lo stuzzichino che aveva appena preso e con la bocca piena mi rivolse un cenno, sorridente, di saluto. “Non sapevo che bisognava vestirsi bene… siete tutti così eleganti” mi disse poco dopo.
Eravamo in piedi vicino ad una parete a fissare la gente che si buttava sul buffet. Replicai che non era poi una cosa così fondamentale… e che comunque bastava guardarmi per capire che non ero “una di quelle eleganti”.
Detto fatto.
Mi squadrò dalla testa ai piedi e si avvicinò con lo stuzzicadenti di plastica colorata in mano puntandomelo all’altezza della spalla.
Lo guardai sorpresa e d’istinto feci per scostarmi “oddio ma che fa?” pensai, al ché alla sua esclamazione “ohh bello!” capii che si riferiva al mio finto tatuaggio di cristalli. “Mi aveva fissato la spalla! Mi stava fissando la spalla!” era l’allarme che rimbombava dentro la mia testa.

Le ginocchia mi stavano per cedere e avrei voluto scappare a gambe levate come cenerentola a mezzanotte, a costo di perdere la scarpa.
Con la differenza a che a me, quella scarpa, non me l’avrebbe riportata nessuno.

Mi appoggiai al tavolino facendo finta di nulla fissando l’orologio.

Era ora di cena. Potevo stare tranquilla. Dave non si sedette al nostro tavolo!

Forse era stata una fortuna, anche perché, dopo il secondo piatto, prima del dolce, lo vidi che salutava due persone lì vicino a lui e se ne andava via! Era come nei film quando “la favola finisce” e si torna alla realtà: la “sviolinata” di sottofondo finì lasciando il posto all’intero repertorio dei “ricchi e poveri”, che non me ne vogliano, e a tutto il resto di quella stupida musica che suonano alle cene.
E fu così che mi alzai dal tavolo, malgrado i considerevoli bicchieri di vino che avevo trangugiato, chiusi gli occhi e, mischiandomi nella folla, danzai per le successive due ore quelle stupide canzoni finché i miei piedi implorarono pietà dall’alto dei miei tacchi del 10.

  
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