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Autore: Delirious Rose    21/11/2013    1 recensioni
Avevo dodici anni quando dovetti assumermi la responsabilità di mio fratello. E adesso che devo assumere quella di Cephiro, avrò per sempre dodici anni.
Ecco una storia diversa dalle altre, in cui sono narrati gli eventi che precedettero l'ascesa di Emeraude e dove Cephiro non è il mondo di fiaba cui ci hanno abituato le Clamp
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emeraude, Ferio, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Gli aquiloni multicolori volteggiavano nel vento, quasi volessero competere con i gabbiani per il dominio di quel cielo grigio d’autunno: gli stridii degli uccelli marini suonavano come beffarde risate rivolte a quegli insiemi di canne e tela, alla loro impossibilità di librarsi oltre l’orizzonte. Sembrava anche che gli aquiloni lottassero contro quelle corde sottili di iuta che li tenevano legati a terra: facevano improvvise virate ed evoluzioni violente, inutili tentativi di spezzare quei legami. E seguendo gli spaghi che limitavano quelle evoluzioni aeree, si giungeva ad una vecchia barca, più simile ad un relitto, presso la quale s’era adunato un gruppo di bambini: fra essi spiccava un giovanotto di circa diciannove anni, i piedi nudi sulla rena umida, la casacca troppo piccola ed i calzoni troppo corti, che si dava grandi arie e rivolgeva agli altri un sorriso vanesio.

«Ammettetelo, sono proprio bello,» disse passando una mano fra i corti capelli biondi.
Una delle bambine lo scrutò dalla testa ai piedi, quindi fece spallucce sbuffando.
«Sì, non sei poi tanto male, solo che Rafaga ce li ha davvero diciannove anni!»
«Giusto! E poi tu non sai neanche tenere un coltello in mano, Lafarga, mentre tuo fratello…» sospirò un’altra bambina con aria sognante.
Lafarga fece spallucce, sedendosi a gambe incrociate, mentre il suo aspetto ritornò pian piano ad essere quello di un dodicenne.
«Non è vero, perché sono io quello che adesso sviscera i pesci a casa!» esclamò offeso. «E poi è normale che Rafaga sia più bravo di me con la spada: il Capitano delle Guardie ha detto che, ancora un anno o due, diventerà il miglior spadaccino di tutta Cephiro! E pure io diventerò una guardia, quando compirò sedici anni!»
«Su, non te la prendere… e poi solo perché Rafaga piace a Xiera e Passie, non significa che piaccia anche alle altre bambine,» lo consolò Emeraude con tono serio.
Lafarga la guardò arrossendo, sbattendo le palpebre un paio di volte balbettando.
«Lo pensi davvero Emi-hime?»
Ma prima che lei potesse rispondere, un altro bambino prese a canticchiare.
«A Lafarga piace Emi-hime! A Lafarga piace Emi-hime!» e tutti scoppiarono a ridere, tranne i due interessati.
Emeraude sbuffò, guardando gli altri di tralice.
«Smettetela di fare gli scemi, e in ogni caso adesso tocca a voi diventare grandi.»
Passie fece spallucce.
«Lo trovo un gioco stupido, questo qui: a che ci serve diventare grandi se poi gli adulti non ci lasciano lo stesso andare alle feste e mangiare tutte le torte ed i biscotti che vogliamo?»
«Dici così solo perché tu non ci riesci!»
«Non è vero! E per tua informazione, Aston, non ci riesco solo perché con le tue chiacchiere non mi fai concentrare abbastanza!»
«Sì sì, come no,» rispose il bambino ironico.
Passie fece per saltargli addosso e graffiargli la faccia ma Aston la schivò facendo qualche passo sulla sabbia e delle smorfie: Xiera ed Emeraude tirarono indietro la loro amica, mentre Lafarga e Ferio le sbeffeggiavano. Lo scambio di sfottò continuò per qualche minuto e terminarono dopo che Emeraude aveva invitato le sue compagne di giochi a non raccogliere oltre le provocazioni.
«Hai ragione Emi-hime, inoltre non ha senso avere un aspetto di grande se la testa resta quella di un moccioso di cinque anni,» convenne Xiera con fare altezzoso e sedendosi su un’asse di legno del relitto. «Bene, a chi tocca adesso diventare grande?»
«Io! Io!»
Esclamò Ferio saltando e agitando le braccia, quindi strinse gli occhi e i pugni, il viso contratto in un’espressione di grande sforzo: rimase in quella posizione per qualche minuto, ma quando riaprì gli occhi e vedendo che nulla era mutato nel suo aspetto, sbuffò arrabbiato. Passie lanciò un’occhiata soddisfatta ad Aston, come a dirgli chi è che non riesce a crescere? mentre Emeraude diede delle pacche leggere sulla testa del suo fratellino.
«Non te la prendere, Féfé, sei ancora un po’ piccolo, ma vedrai che piano piano e allenando la tua forza di volontà, ci riuscirai.»
«Ma non è giusto!» piagnucolò quello, non disdegnando le coccole di sua sorella. «Perché tu riesci a diventare grande come Giulietta ed io no?!»
Sentendo quelle parole gli altri quattro bambini guardarono Emeraude allibiti: Giulietta era una delle dame di compagnia della principessa Azure. Vedendosi tutti quegli occhi addosso, Emeraude avvampò e lanciò un’occhiataccia a suo fratello, ricordandogli che aveva promesso di mantenere quel segreto: ma ormai il danno era fatto e di fronte alle accuse di menzogna rivolte a Ferio e le insistenze degli altri, la bambina si vide costretta a dar prova della sua forza di volontà.
Chiuse gli occhi, concentrandosi, e dopo un poco il suo aspetto di bambina era mutato in quello di una giovane donna.
«Mi dovete promettere di non dirlo a nessuno, altrimenti mi offendo di brutto: è un segreto superiperultrastrasegretissimo!» disse con fare severo, e solo dopo essersi ripresi dal loro stupore i bambini annuirono, seppur con una certa invidia.
«E per quanto tempo riesci a restare così?» chiese infine Lafarga, con malcelato interesse.
Emeraude fece spallucce.
«Dipende, perché lo faccio quando sono sola o con Féfé.»
E con quelle parole il suo aspetto tornò ad essere quello di una bambina.
Aston si alzò e cominciò ad armeggiare con le spolette degli aquiloni.
«Questo gioco è solo una perdita di tempo e mi fa sempre venire tanta fame: andiamo a far merenda?»
La proposta fu accolta con entusiasmo, quindi ognuno riprese i propri giochi e si diressero verso la rocca su cui s’ergeva il castello di Austina, nel bel mezzo della baia: la marea era ancora bassa, per cui non era necessario passare per il terrapieno che collegava la roccaforte alla terraferma, bisognava solo stare attenti alle sabbie mobili, ma ogni abitante di Austina imparava fin dalla più tenera età a conoscere quei luoghi. Erano giunti ai piedi delle mura e già i soldati di guardia all’ingresso fecero loro un cenno di saluto, quando un’improvvisa agitazione colse le guardie in alto fra le merlature ed il suono di un corno risuonò nella baia.
«Un caravanserraglio dalla capitale!»
Urlò qualcuno più volte, attraversando la piazza d’armi e dirigendosi verso l’ingresso del castello vero e proprio.
Emeraude trattenne il fiato e strinse involontariamente la mano di suo fratello: negli ultimi anni, dalla capitale erano giunte solo brutte notizie. La regina Supra era morta qualche anno prima durante un viaggio verso Cizeta, il suo pianeta natale: secondo i pochi superstiti, l’incidente era stato causato da un malfunzionamento del motore della nave. Quanto al giovane re Payze, la perdita della madre lo aveva portato in uno stato di depressione tale da consumargli lentamente la salute: la principessa di Austina pregò in cuor suo che non fosse accaduto nulla di grave a suo cugino.
La principessa Azure si appoggiò allo stipite del portone, riprendendo fiato, e notati i suoi figli venire verso di lei e scrutatoli dalla testa ai piedi, esclamò con cipiglio severo
«Emeraude, Ferio! Come vi siete conciati?!» quindi si rivolse all’ancella che la seguiva. «Giulietta, portali immediatamente nelle loro stanze e di’ alla balia di renderli presentabili il più rapidamente possibile: li voglio nella sala del trono prima che il caravanserraglio arrivi!»
Come alla battuta d’entrata di un’opera teatrale, Fiero giunse trafelato con giusto un paio di pantaloni, una vecchia camicia ed un grembiule di cuoio sporco di sangue e scaglie grandi come noci a cingergli i lombi: Azure lo guardò inorridita, e lo accusò di dare un pessimo esempio ai loro figli e lo spronò a mettersi qualcosa di più decente. L’uomo sbuffò, ricambiando l’occhiataccia della principessa reale: erano ad Austina, non nella Capitale, per cui l’etichetta e la forma potevano pure farsi friggere. Emeraude e Ferio si scambiarono un’occhiata divertita, mentre Giulietta li spingeva verso le scale: la loro mamma era così buffa ogni volta che si arrabbiava perché loro o il papà facevano qualcosa di plebeo, come diceva lei, tanto che a volte lo facevano apposta!
Chota roteò gli occhi quando le furono comunicati gli ordini della principessa Azure, gesto che ripeté non appena il suo sguardo si posò sui due bambini e i loro abiti: sospirò, spingendo Emeraude e Ferio verso la stanza da bagno e invitando la prima a fare la propria toeletta da sola, mentre la balia si occupava del bambino.


Il caravanserraglio non era molto grande, e Azure fu sorpresa di veder scendere dal carro più ricco sua sorella maggiore, la Principessa Murciel: le due donne si salutarono affettuosamente, scambiandosi notizie sulla famiglia e sugli amici.
«Zia Murciel!»
Le voci di Emeraude e Ferio interruppero quella conversazione, mentre i due bambini correvano loro incontro.
Murciel si volse verso di loro con un gran sorriso e si chinò per abbracciarli: Ferio saltò subito al suo collo, chiedendole regali e dolciumi, mentre Emeraude le espresse la sua gioia di saperla ad Austina per il suo compleanno.
«Però è un peccato che tu sia venuta da sola: è da tanto tempo che Payze non viene a trovarci!» concluse la bambina con una punta di delusione.
«Sua Maestà non è in condizioni di viaggiare, Vostra Altezza, ma mi ha personalmente chiesto di porgervi le sue scuse e di esprimervi il suo desiderio di rincontrarvi al più presto a Adamantina.»
A parlare era stato un uomo riccamente vestito, che aveva approfittato di quell’intervento per farsi avanti: Emeraude lo aveva visto varie volte durante i suoi soggiorni a corte, sempre in compagnia del Generale Alfgang, e a quel pensiero, la bambina risentì una strana morsa allo stomaco e il ricordo di un pomeriggio di qualche anno prima la fece impallidire.
«Lord Èlanion!» esclamò Azure, con la voce stranamente emozionata.
L’uomo fece un inchino verso di lei, rivolgendole un sorriso galante.
«Vostra Altezza, è sempre un piacere rivedervi.»
«È insolito ricevere la visita di un cortigiano vostro pari: anche io, al pari della mia compagna, sono stupito di vedervi qui ad Austina,» rispose Fiero, ed Emeraude si chiese perché suo padre era intervenuto in quel modo e con un atteggiamento leggermente difensivo.
Lord Èlanion, fece un altro inchino verso di lui.
«Il Generale Alfgang non desiderava che Sua Altezza Murciel viaggiasse da sola, e mi sono offerto di farle da scorta fino al Tempio di Tormalina: come ben sapete, signore, bisogna costeggiare la Foresta del Silenzio e che una dama e le sue ancelle sarebbero in grande pericolo senza una scorta di guerrieri a proteggerle.»
«Ma… allora non sei venuta per festeggiare il mio compleanno!» esclamò Emeraude con una punta di delusione.
Murciel si chinò su sua nipote, rassicurandola: aveva anticipato la sua partenza dalla Capitale, proprio per poter arrivare in tempo ad Austina per i festeggiamenti. La bambina parve contenta di quella spiegazione, e Fiero poté infine dare ordini sulle sistemazioni dei viaggiatori, che furono invitati a partecipare ai festeggiamenti per il dodicesimo compleanno di Emeraude, che sarebbero iniziati quella sera stessa.


La corte principale della fortezza di Austina era un brulicare di musici, di venditori di cibi e bevande, di cantastorie, giocolieri e sputafuoco che con la loro abilità scatenavano lo stupore negli adulti, così come il teatrino di marionette incantava i bambini con le sue storie di prodi cavalieri magici e principesse rinchiuse nelle loro torri di cristallo.
Al contrario del suo compagno e dei suoi figli, Azure aveva preferito restare nelle sue stanze e osservare i festeggiamenti dalla terrazza: oltre al suo naturale desiderio di non confondersi troppo con la popolazione, quella sua scelta era stata dettata dal bisogno di tranquillità e di trovare delle risposte all’inquietudine che non l’abbandonava dall’arrivo del caravanserraglio. Perché Lord Èlanion aveva accompagnato sua sorella Murciel? In fondo c’erano tanti altri cavalieri che avrebbero potuto farlo… strinse le labbra, quando l’ipotesi di una relazione fra i due le attraversò la mente: che sua sorella avesse scoperto di non essere una vedova così inconsolabile come pensava, e d’essere ancora capace di amare dopo la dipartita del suo compagno?
«Sciocchezze,» si disse, scuotendo la mano come a voler cacciare quel pensiero malevolo.
Murciel era una donna troppo seria per comportarsi in quel modo, e la sua stagione dei piaceri era terminata già da tanto tempo. Azure si rilassò sul divano, masticando degli acini d’uva, mentre alcuni acrobati si esibivano in complicate evoluzioni.
«Al fine eccovi sola, Vostra Altezza.»
La donna trasalì, rovesciando la ciotola: Lord Èlanion la osservava dalla porta, un sorriso divertito sulle labbra, poi le si avvicinò e prese a raccogliere ciotola e frutta.
«Non volevo spaventarvi,» aggiunse poi con un filo di voce, a mo’ di scusa.
Lei lo ringraziò con un sorriso un po’ impacciato.
«Non avete alcuna colpa, ero io ad essere soprappensiero…»
E per un attimo i loro occhi s’incontrarono.
Lord Èlanion non era per niente cambiato e il suo fascino e la sua bellezza erano gli stessi di diciasette anni prima: i capelli color miele scendevano ancora in morbide onde sulle sue spalle, il suo sorriso era ancora fresco e galante, ed i suoi occhi d’argento erano ancora franchi e sinceri. Azure aveva l’impressione di rivivere il suo primo incontro con quel giovane nato su chissà quale remoto pianeta, solo che lei non era più un’adolescente che iniziava ad aprirsi alla vita.
«Mi sembrate un po’ pallida…» Sempre gentile, sempre premuroso: nessuno prima di lui aveva prestato troppa attenzione alla cadetta delle principesse reali.
«È solo un po’ di stanchezza.» Non era una bugia, ma neanche la completa verità.
«C’è qualcosa che vi preoccupa?» La voce di lui era calda e serica, come un filo di seta che le si avvolgeva al cuore.
«Solo il tempo che passa troppo in fretta: mi sembra solo ieri di stringere fra le mie braccia Emeraude in fasce…» Mi sembra solo ieri che mi stringevi fra le tue braccia…
«Cephiro è un posto governato dalla volontà: se vogliamo il tempo può non trascorrere e… perfino tornare indietro.»
Azure arrossì, scostando lo sguardo. Tornare indietro, rivoltarsi contro l’imposizione di Gallardo, attendere il ritorno di Èlanion da Autozam e divenire sua a tutti gli effetti… «Tornare indietro richiederebbe un immenso sforzo di volontà.»
«E voi temete di non averne abbastanza?»
Azure strinse le labbra, tornando a guardare i festeggiamenti. Un cantastorie aveva adunato attorno a lui un nutrito gruppo d’uomini e donne, semplicemente narrando di un’antica colonna: la sua voce riusciva ad arrivare fino alla terrazza, certamente non chiara e limpida, ma sufficientemente comprensibile. Azure non aveva molta fiducia nella sua forza di volontà, ogni volta s’era lasciata trascinare dagli eventi, come un fiore in balia delle correnti: a volte aveva cercato di opporsi al volere degli altri, ma tutto quello che aveva ottenuto era stato solo tristezza e sofferenza. Alla fine aveva dovuto accontentarsi di riuscire il meno peggio possibile, ad aggrapparsi con le unghie e con i denti alla sua condizione di Principessa Reale e di riprodurre il più fedelmente possibile quella che era stata la sua vita ad Adamantina, un’esistenza perfettamente e rigidamente regolata dall’etichetta. Peccato che Fiero e i suoi figli non potevano o non volevano comprendere questo suo bisogno quasi viscerale.
«Perché avete accettato di accompagnare Murciel? Ci sono tanti altri che avrebbero potuto…» Le parole uscirono dalla sua bocca prima che lei potesse fermarle. Un lungo silenzio, durante il quale si sentì arrossire di vergogna e rabbia.
«Non è ovvio, Azure?» rispose Lord Èlanion con un filo di voce, e lei si sentì come se avesse le farfalle nello stomaco, udendolo pronunciare il suo nome. «Tutti a corte sapevano che Sua Altezza avrebbe fatto una deviazione ad Austina prima di raggiungere il Tempio di Tormalina, ed io volevo… dovevo rivederti e parlarti.»
Azure si voltò verso di lui, i suoi occhi spalancati per lo stupore, poi distolse lo sguardo e sospirò dolorosamente. «Parlarmi? Rivedermi? E di grazia, perché? Per vedere con i vostri occhi quanto mi hanno fatto cadere in basso? Per deridermi?»
Lord Èlanion posò una mano sulla sua guancia, obbligandola a guardarlo negli occhi. «Per chiederti di tornare ad Adamantina, perché quello è il tuo posto: so che hai delle ambizioni per i tuoi figli, ma non potranno mai realizzarle se restano qui ad Austina… e dove potranno ricevere l’educazione cui hanno bisogno se non nella capitale? Inoltre a corte abbiamo bisogno di te, Azure, perché nessuna balia o governante potrà mai essere veramente una figura materna per Sua Maestà: tu sei la sola persona in tutta Cephiro che possa sostituire la compianta regina Supra nella vita di re Payze. Non hai idea di quante volte quel povero bambino chiede di sua zia e dei suoi cugini, soprattutto adesso che la sua malattia si sta aggravando più rapidamente di quanto pensassero gli archiatri.»
Nell’udire quelle parole, lei si sentì un groppo in gola: tornare alla capitale, dare ai suoi figli un’educazione adeguata, vedere infine riconosciuto il suo ruolo e la sua posizione di membro della famiglia reale… ma Fiero, che cosa avrebbe detto? Non si sarebbe mai e poi mai separato da Emeraude e Ferio e lasciare Austina era l’ultimo dei suoi desideri. Strinse le labbra, pensosa, e lui prese il suo silenzio come un invito a continuare.
«E poi… e poi io ho bisogno di te, perché in questi anni non ho fatto altro che prendermela con me stesso per non essere tornato in tempo ed impedire la tua partenza… perché per quanto ci abbia provato non sono riuscito a dimenticarti…» mormorò infine, avvicinando le proprie labbra alle sue.
Azure socchiuse gli occhi, lasciandosi guidare da lui, sentendo uno spasmo al basso ventre quando l’altra mano si posò sul suo ginocchio, riportandole alla mente il ricordo di quando quella stessa mano s’avventurava in territori ben più intimi, e si rese conto che nonostante gli anni, i figli e il rispetto che nutriva per Fiero, i suoi sentimenti non erano cambiati, e le infinite prospettive che sarebbero conseguite se lei avesse accettato quella proposta, divennero chiare nella sua mente.
«Mia signora?»
Con in movimento improvviso, Azure e Lord Èlanion s’allontanarono l’una dall’altro: Chota li osservava dallo stipite della porta inarcando un sopracciglio, un’espressione fra il rimprovero ed il disgusto contraeva i lineamenti del suo viso. «Mia signora, il Principe desidera parlarvi e mi ha pregato di farvi una certa fretta,» disse infine la balia, il cui sguardo dardeggiava da uno all’altra.
Azure si levò dal divano, rivolgendo un sorriso amabile all’uomo. «Vogliate scusarmi, Lord Èlanion, ma sono costretta ad interrompere la… ehm… nostra conversazione: nell’attesa, potete osservare gli spettacoli o partecipare ai festeggiamenti, come più vi aggrada. Mi raccomando solo di prestare attenzione al nostro vino: è dolce ma traditore.»

Fiero era davanti alla finestra, lo sguardo perso nel cielo illuminato dai fuochi d’artificio, quando Azure arrivò, e con sua grande sorpresa, anche la principessa Murciel era lì: era visibilmente preoccupata e le chiare vesti fluide ed i capelli precocemente imbiancati la rendevano simile ad uno spirito in pena.
«Mi… mi era stato detto che volevate parlarmi, Fiero…» mormorò Azure, attirando su di lei i loro sguardi.
«A dire il vero, sono io che ho delle notizie da comunicare ad entrambi, sorella. Siamo certi che nessuno ci stia ascoltando?» chiese poi Murciel, rivolgendo uno sguardo inquieto a Fiero, che rispose con un cenno della testa. La donna attese ancora un momento, tormentando fra le mani un lembo della sua veste, poi puntò gli occhi su sua sorella ed esordì: «Payze è stato avvelenato, Azure. Non che sia morto, o meglio, non ancora.» Respirò profondamente una, due, tre volte. «L’ho scoperto per caso qualche giorno prima della mia partenza, quando una delle mie ancelle mi ha portato Dietta agonizzante: il veterinario mi ha detto che qualcuno doveva avergli somministrato del succo di cantabria, ed infatti è morto in poche ore. Ho subito voluto sapere chi aveva fatto una cosa tanto crudele, e mi hanno raccontato che la povera bestia aveva iniziato a star male dopo aver mangiato uno dei confetti che Payze ama tanto: ho dovuto impiegare tutti i miei mezzi per poter venire a capo di questa faccenda.» Si fermò un attimo, poi si chinò verso Azure e bisbigliò: «Ho saputo da fonte certa che dietro c’è Glaspac. L’unica cosa che posso fare è avvertirvi, perché se avessi annullato il mio viaggio proprio all’ultimo momento, avrei destato sospetti.»
Un silenzio glaciale cadde nella stanza, interrotto solo dagli scoppi dei fuochi d’artificio, poi Azure mormorò: «Perché non avete avvertito il Pilastro? In una situazione del genere…»
«Ho provato ad avere un’udienza, ma è come se Sua Eccellenza fosse sparita,» sibilò Murciel scuotendo la testa.
«Sua Eccellenza...» iniziò Fiero, come se volesse riflettere su ogni parola che usciva dalla sua bocca, «Sua Eccellenza Ginko ha deciso di invocare i Cavalieri Magici. Me lo ha detto lei stessa l'ultima volta che mi ha convocato.»
E chiudendo gli occhi, ripensò a quell'incontro.


~ Flashback ~
Le volte che il Principe Fiero di Austina era stato convocato personalmente dal Pilastro si potevano contare sulla punta delle dita, ed ogni volta era per metterlo a parte di qualcosa di importante o di grave. E qualcosa diceva al sire di Austina che in quel caso si trattasse di ambo le cose: come spiegare altrimenti la segreghezza che gli era stata esplicitata nel messaggio, oppure l’ora o il fatto che lei volesse parlargli nei propri appartamenti privati? O anche che ad accoglierlo e accompagnarlo fosse uno dei nipoti del Gran Sacerdote? Il giovane si fermò davanti ad una immensa porta in legno scolpito e, dopo aver bussato, si congedò; l’uomo lo seguì un attimo con lo sguardo, prese un profondo respiro ed entrò.
Sua Eccellenza Ginko era seduta su una poltrona presso la finestra, le vesti ufficiali avevano lasciato il posto ad un abito semplice, decorato lungo gli orli da un gallone ricamato a fiori rossi e blu, e a scaldarle le spalle un enorme, vecchio scialle di lana lavorato a maglia, retaggio di quel tempo in cui era una comune popolana. La donna gli sorrise e lo invitò a sedersi su un canapé di fronte a lei, quindi ritornò a guardare fuori dalla finestra: la luce infuocata del tramonto faceva sembrare meno pallido il suo incarnato, ma non bastava a celare la stanchezza ed i segni di una malattia protattasi per tanto, troppo tempo.
«Come stanno i tuoi figli?» chiese Ginko con un sussurro talmente lieve che Fiero si chiese per un attimo se non fosse altro che frutto della propria immaginazione.
«Bene, Vostra Eccellenza: Ferio è vivace come al solito ed Emeraude compirà dodici anni il prossimo mese,» rispose lui. «Ma non credo che mi abbiate convocato solo per questo.»
Lei rise, scuotendo la testa e volgendo gli occhi nocciola su di lui. «Fiero, Fiero... che cosa sono questi convenevoli? Non sei forse tu il mio unico parente, il pronipote di mio fratello? E non basta questo a giustificare il mio interesse nei tuoi marmocchi?» Quell’ultima parola sembrava talmente fuoriluogo nella bocca del Pilastro e detta con tanto affetto che l’uomo non poté fare a meno di ridere anche lui, tuttavia le risate morirono in fretta e lei assunse un’aria seria e pensosa. «Però hai ragione, non ti ho chiamato solo per questo.»
Come ad una battuta di uno spettacolo teatrale, bussarono: erano il Gran Sacerdote ed il Sommo Mago, entrambi stupiti di trovare il Principe di Austina presente a quell’incontro. Sol Ales era un uomo di mezz’età in apparenza dai capelli brizzolati e gli occhi indaco, il fisico era appena appesantito dagli anni, ma un tempo doveva esser stato agile e snello: era vestito in modo informale, con una veste di tessuto pesante violaceo stretta in vita da una cintura incrostata di ametiste, che lasciava intravedere la camicia di seta bianca ed i pantaloni di lana leggera e lo faceva sembrare meno imponente. Clef, invece, portava la solita tunica bianca e l’unico pezzo mancante della sua panoplia era il compricapo: mostrava la stessa età di Sua Eccellenza Ginko, ma Fiero sapeva che era una delle pochissime persone ancora in vita ad aver conosciuto il precedente Pilastro. Anche loro si accomodarono presso la donna, che con un lieve gesto della mano fece comparire quattro tazze di un brodo chiaro e fumante, dal profumo leggermente speziato, e Fiero sorrise fra sé e sé riconoscendo la ricetta di sua nonna.
«Cosa comanda, Vostra Eccellenza?» chiese Ales quando ebbero finito di bere il brodo, dando voce ai pensieri non solo suoi, ma anche degli altri due uomini.
Ginko non rispose, non subito. «Sono stanca, amici miei, molto stanca, e mi rendo conto che tutti i problemi che abbiamo qui a Cephiro sono frutto di questa stanchezza. E no, Fiero, non trovo la mia malattia una giustificazione valida al pessimo lavoro che sto facendo: il nostro paese abbisogna di un Pilastro migliore di me.» Sorrise amaramente mentre iniziava a coccolare Mokona, saltato chissà da dove sul suo grembo. «Sono sopravvissuta ai miei cari, ai miei amici, il semplice fatto di essere il Pilastro mi ha permesso di vivere oltre i limiti del mio corpo malato, ma come questo cancro infesta e s’insinua dentro di me, così la corruzione si sta diffondendo fra la nostra gente.» Quindi levò gli occhi suoi tre uomini e mormorò con voce lapidaria: «È per questo motivo che ho deciso di invocare i Legendari Cavaglieri Magici.»
Né Fiero, né Ales né tanto meno Clef riuscirono a dire una parola in risposta a tale rivelazione: si guardarono, l’uno leggendo negli occhi degli altri il medesimo sgomento. E che potevano poi rispondere?
Ma poi, deglutendo, il Mago riuscì a mormorare: «Suppongo che sia inutile chiedervi se avete riflettuto abbastanza: invocare i Cavalieri della leggenda, non é una decisione che si prende così alla leggera.»
Ed Ales incalzò: «Tuttavia morire, non é...»
«Morire?» esclamò Fiero, «Cosa intendete dire con morire?!»
Ginko sorrise amaramente, mentre con voce stanca rivelava al suo ultimo parente quale fosse la vera missione dei Cavalieri Magici, concludendo con: «È normale che la gente creda che loro siano invocati per altre ragioni: tutti penseranno che li ho chiamati per soffocare sul nascere la guerra di successione al trono che si sta per abbattere su Cephiro e non ci si dovrà stupire se, sentendosi minacciati, il Gran Consigliere ed il Generale cercheranno di impedir loro di svolgere la loro missione. Per questo motivo,» e guardò Fiero dritto negli occhi, «per questo semplice motivo la loro venuta deve restare segreta il più a lungo possibile: non dovrete farne parola a nessuno, neanche a coloro cui affidereste la vostra stessa vita.»
~ Fine Flashback ~


«Dunque Sua Eccellenza ha finalmente deciso di agire contro Glaspac e Alfgang!» sussultò Murciel stupita.
«Lei non... non si è dilungata sui dettagli,» aggiunse poi l'uomo, «ma mi ha ingiunto di non parlarne a chicchessia.»
«Mi sembra giusto: la notizia potrebbe spingere il Gran Consigliere ed il Generale ad affrettare i loro piani, che suppongo siano già ad uno stadio avanzato. Per esempio, sospetto che Lord Èlanion abbia voluto accompagnarmi per tastare il terreno ad Austina e poi potermi uccidere durante il viaggio.»
Azure sollevò la testa di scatto, fissando lo sguardo basito su sua sorella. «Che cosa?» No, non era possibile che Èlanion potesse fare una cosa simile, lei lo conosceva bene, sapeva quanto era buono e gentile e sincero… «Che cosa?» Di sicuro Murciel parlava così perché vedeva nemici dappertutto.
«Vuoi che ti ripeta di quel Lord Èlanion?» Murciel aveva pronunciato quell’ultimo nome con disgusto.
Azure chinò il capo, stringendo le mani, sentendosi in colpa per non sentirsi in colpa. «Io non… non…»
«Tu cosa? Ti vergogni perché non sai dare a ciascuno la giusta importanza? O perché alla tua età ti lasci ancora abbindolare da due parole dolci come una ragazzina?»
«Non è affatto così! E vi sbagliate, entrambi, su di me e su di lui! Come… come potete pensare, sorella, che Lord Èlanion voglia uccidervi? Un uomo come lui…»
«Un uomo come lui sarebbe capace di vendere la propria madre, pur di ottenere quello che desidera.» La voce di Fiero non era stata che un sussurro, ma fredda e tagliente come una lama. «Un uomo come lui non si fa scrupolo di approfittare dell’ingenuità e dell’inesperienza di una fanciulla per i propri comodi, e per il quale i sentimenti non sono altro che belle ed utili parole, pronto a mutare l’oggetto del proprio interesse se ne trova uno più conveniente. Un uomo come lui non merita la fiducia di nessuno.»
Azure strinse i pugni, chinando il capo per la rabbia e la vergogna, sentendosi inspiegabilmente punta dalle parole di Fiero.
«Voi parlate così solo perché vi siete fatto un’idea errata, basata sulle malevolenze, ma se conosceste Lord Èlanion tanto bene come lo conosco io…»
«Volete che sia crudele, Azure? È quello che desiderate davvero? Perché, ve lo assicuro, per entrambi sarebbe un’esperienza più che spiacevole.» Non ricevendo alcuna risposta, Fiero sospirò scuotendo il capo e s’inginocchiò davanti a lei, costringendola a guardarlo. «Vogliate riflettete un attimo e rispondetemi: se lui vi avesse amato come pensate, se ne sarebbe rimasto a Adamantina per quindici anni o sarebbe corso il prima possibile ad Austina per reclamarvi per sé?» Tacque, nell’attesa di una risposta che non giunse. «Vedete? Se io mi fossi trovato in quella situazione, non avrei esitato un solo istante.»
«Ma era già troppo tardi quando…»
«Volete che utilizzi le maniere forti, presumo.» Detto questo, Fiero si diresse verso la porta e, apertala, ordinò ad una guardia di chiamare il Capitano.
Murciel lo osservava, preoccupata soprattutto dall’espressione spaurita dipinta sul viso di Azure; solo dopo qualche tempo trovò la voce per chiedere: «Che cosa avete intenzione di fare?» Ma non ottenne risposta.
Il Capitano non si fece attendere troppo, anzi, dal suo atteggiamento si intuiva che si dirigeva proprio verso lo studio quando aveva ricevuto l’ordine.
«Dove si trovano Lord Èlanion ed i suoi uomini in questo momento?» chiese Fiero con voce fredda, scrivendo qualcosa su un frammento di pergamena.
«Nella locanda, mio signore.» Esitò un attimo, prima di continuare. «Mi sono giunte… delle lamentele sul loro conto…»
«Dì a Pletore di servire loro il suo vino migliore e di non preoccuparsi del conto.» A quelle parole, il Capitano fece per protestare, ma lui lo zittì con un gesto e gli porse il frammento di pergamena. «E digli di aggiungere della bile di garrus, per aiutare il vino a sciogliere per bene le loro lingue. Queste sono le informazioni che desidero da loro: voglio una confessione accurata e fatta a regola d'arte. E avvertitemi, quando sarà il turno di Lord Èlanion.»

   
 
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