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Autore: Angelique Bouchard    22/11/2013    5 recensioni
E dopo tanto, tantissimo tempo, eccomi di nuovo nel fandom di Dragon Ball, che ho disertato per più di un anno. La long che ho concluso, a rileggerla, mi sembra scritta da tutt'altra persona, perciò chi dovesse già conoscermi... bé, sono molto cambiata, la mia scrittura, mi permetto di dirlo, è molto migliorata, grazie a commenti, critiche, complimenti e strigliate di lettori dentro e fuori Efp.
"Perché Vegeta odiava il gelato, ma quella volta, per lei, l'avrebbe mangiato."
Buona lettura!
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N.b. One – shot che non chiede nulla, se non qualche minuto della vostra attenzione. Da qualche giorno mi girava in testa l'idea e alla fine l'ho buttata giù.

Spero vi piaccia e spero di leggere qualche commento!

Un bacio,

Angelique

 

Il Principe dei Saiyan e il gelato

 

Un'altra giornata di nuova primavera stava giungendo al termine con la solita tranquillità di tutte le precedenti; il sole, benché avesse appena iniziato la sua discesa serale, illuminava di già una porzione ridotta di quella parte del pianeta, nonostante il calore emanato dai suoi raggi aranciati avesse ancora il potere di scaldare la pelle dei terrestri.

E non solo.

Vegeta, uscito da poco dalla Gravity Room nella quale era rimasto rinchiuso l'intero pomeriggio, intento ad allenarsi come un forsennato che non conosce pace – benché la pace, sul pianeta Terra, perdurasse da ormai diversi anni -, se ne stava comodamente appoggiato al piano cottura dell'ampia cucina della Capsule Corporation, accanto al frigorifero, mentre tracannava un'intera bottiglia d'acqua fresca. La luce del sole che filtrava dalla finestra alla sua sinistra lo colpiva in pieno viso, provocando una sensazione particolarmente piacevole sulla sua pelle dura come il granito e segnata da mille battaglie, esattamente come accadeva a qualunque terrestre. Perché Vegeta, nonostante ancora ostentasse una superiorità in cui non credeva più da tempo, era ormai molto più simile ai terrestri di quanto avrebbe voluto ammettere: godeva di piccole cose – quali il calore del sole sulla pelle – esattamente come facevano gli abitanti della Terra, si crogiolava nella rilassatezza di un pomeriggio passato sul divano con sua moglie, nell'allegria di una cena in famiglia, nella soddisfazione di vedere i progressi in potenza, velocità e forza di suo figlio Trunks. Ormai aveva persino imparato ad accantonare la rivalità che da sempre correva tra lui e Kakaroth, o a sopportare le occhiate indiscrete di Muten e Yamcha – ma non degli sconosciuti - alle curve di sua moglie che l'età non era stata in grado di scalfire. Vegeta era ormai in grado di vivere in mezzo ai terrestri come fosse uno di loro, e quasi riusciva anche a sopportarli. I suoi allenamenti continuavano imperterriti, ovviamente, ma, nonostante continuasse a ribadire che fossero in previsione di un futuro scontro con Kakaroth, lo scopo di tali potenziamenti era diverso da quello degli allenamenti degli anni passati: il pianeta Terra pareva non essere in grado di orbitare lontano dai guai per troppi anni di seguito, e nel caso una nuova minaccia avesse ancora attaccato il pianeta, qualcuno doveva pur proteggerlo.

Ma questi non erano pensieri che Vegeta avrebbe mai espresso a voce alta, neppure davanti a uno specchio; persino il solo pensiero di tali premure lo infastidiva, ma, almeno a se stesso, non riusciva più a mentire.

«Ehi, ti cercavo».

Una voce delicata si insinuò tra i suoi pensieri interamente concentrati sul sapore dell'acqua fresca che gli aveva appena rivitalizzato le pareti secche della gola. Era una voce che avrebbe riconosciuto tra mille, se non miliardi, e non per il timbro familiare, né per le ormai note cadenze del tono: esisteva solo una persona che potesse usare una tale dolcezza nel rivolgersi a lui – lui, il Principe dei Saiyan, l'assassino giunto sulla Terra con lo scopo di sterminare tutti i suoi abitanti.

Vegeta non mosse un muscolo e non proferì verbo; non per maleducazione o per superbia, semplicemente per abitudine, un'abitudine che la sua interlocutrice conosceva bene e che, ormai, aveva imparato ad apprezzare.

«Io tra un po' devo andare» comunicò la donna «la cena è in forno, devi solo scaldarla qualche minuto. La camera di Bra è già pronta; si mette a letto da sola, quindi, dopo aver mangiato, assicurati solamente che si lavi bene i denti».

Dei passi leggeri comunicarono a Vegeta che la donna si stava avvicinando a lui, e solo allora il Saiyan aprì gli occhi, squadrando la moglie con sguardo omicida.

«Questa me la paghi» mormorò, certo che se avesse parlato un po' più forte avrebbe ringhiato. Bulma, dal canto suo, si aprì in un sorriso di finta innocenza che scavò piccole rughe agli angoli della bocca.

«Suvvia» disse dolcemente, poggiando le mani sulle larghe e possenti spalle del Saiyan, che rimase immobile e continuò a fissarla sadicamente «solo per una sera. Sai che non posso mancare a questa conferenza» aggiunse la donna, sbattendo le voluminose ciglia e inclinando leggermente la testa di lato, sporgendo un poco il labbro inferiore, come una bambina che ha appena posto una richiesta piuttosto importante al padre.

Vegeta, di rimando, la scrutò più intensamente, mentre i suoi occhi neri come le tenebre catturavano i riverberi del sole calante, tingendosi di rosso fuoco e diventando ancor più spaventosi del buco nero che erano normalmente.

Perché era quella l'unica nota stonata della melodia che era diventata la sua vita, l'unico pezzo del puzzle a cui non riusciva proprio a trovare il verso giusto da cui inserirlo, l'unico colore freddo e buio in quel ritratto fatto di tinte sgargianti.

Bra, la loro secondogenita.

C'era qualcosa, in quella bambina, che gli dava profondamente sui nervi, qualcosa che era in grado di riportare a galla vecchi istinti omicidi che credeva sepolti per sempre, qualcosa che risvegliava il mostro che teneva incatenato sul fondo della sua anima, facendolo ringhiare per il disappunto. Il suo pianto da neonata era stato per Vegeta il suono più snervante che avesse mai sentito, peggiore della risata canzonatoria che tante volte Freezer gli aveva rivolto, più fastidioso del cinguettio che sua suocera emetteva al posto di una comunissima voce umana. E da quando la bambina aveva imparato a parlare, la situazione era di gran lunga peggiorata.

A conti fatti, poi, sapeva che, se si fosse rivelato necessario un'altra volta, avrebbe dato la sua vita per salvarla così come aveva fatto con Trunks e Bulma; avrebbe attraversato l'Inferno per lei, avrebbe scavato a mani nude la terra dura per scovare il più bel diamante che potesse poi appendere al collo. Questa consapevolezza, sebbene fosse solo una vaga proiezione del suo subconscio, era radicata nella sua anima, perché aveva ormai imparato ad amare la sua piccola famiglia terrestre; tuttavia, se avesse potuto scegliere con quale dei suoi due figli rimanere solo in casa per un'intera serata – nonostante, appena nato, l'avesse abbandonato a sua madre – avrebbe mille volte scelto Trunks.

«Vegeta, Bra ti somiglia molto più di quanto immagini» esordì Bulma dopo alcuni minuti di silenzio, facendogli sollevare un sopracciglio per l'incredulità che si fece strada tra i suoi pensieri «devi imparare a conoscerla, a capirla. Un po' come ho dovuto fare io con te» gli ricordò la donna, sfoderando un altro sorriso falsamente innocente e rievocando, nella testa del Saiyan, immagini di molti anni prima, quando Bulma ancora si arrabbiava per la mancanza di una risposta, quando ancora si innervosiva per il suo essere schivo, quando ancora lo mandava al diavolo ogni qualvolta usasse un tono di voce che pareva un comando quando avrebbe dovuto essere una richiesta.

«È un demone in un corpo di bambina, e il suo passatempo preferito è quello di farmi saltare i nervi» sentenziò il Saiyan in un ringhio sommesso, guardando fisso negli occhi sua moglie, mentre il pugno si stringeva convulsamente attorno la malcapitata bottiglia di plastica. Bulma sorrise e scosse piano la testa, facendogli intendere che il suo pensiero fosse completamente errato.

«Prova ad ascoltarla ogni tanto; vuole solo un po' delle tue attenzioni, come ogni figlio» gli spiegò Bulma, posandogli, poi, un delicato bacio su una guancia.

«Trunks non era così» dissentì il Saiyan, ignorando completamente la dolcezza della moglie e senza lasciarsi trascinare nelle calde acque del calmo lago qual'era lo stato d'animo della donna, preferendo rimanere tra le alte onde del mare burrascoso che si agitava in lui all'idea di dover badare alla “bambina indemoniata” per un'intera serata.

Bulma, dopo l'affermazione del Saiyan, allontanò di poco il viso da quello di Vegeta e lo guardò negli occhi con espressione molto più seria di poco prima.

«Trunks ti temeva» disse, mentre un leggerissimo e impalpabile velo di lacrime si posava sui suoi occhi ben truccati per la serata. «Vuoi davvero questo? Che i tuoi figli, per andarti a genio, debbano prima provare terrore nel guardarti negli occhi? Personalmente, sono più che contenta dei comportamenti di Bra nei tuoi confronti. Tu e Trunks avete iniziato ad avere un vero rapporto solo quando ti sei sacrificato per lui. Non voglio che accada lo stesso con Bra».

Bulma era stata chiara, cristallina, diretta come una freccia scagliata dal migliore dei tiratori; la veridicità delle sue parole aveva colpito Vegeta con la forza del più potente attacco mai ricevuto in battaglia. La donna aveva assolutamente ragione dicendo che lui e Trunks non si erano mai davvero sentiti padre e figlio prima che il Saiyan mettesse in atto la più vera e sincera dimostrazione d'affetto: Vegeta – nonostante il dolore acuto provato quando Cell aveva ucciso il Trunks del futuro – aveva, per lungo tempo, visto suo figlio come un allievo da allenare sino allo stremo delle forze perché recasse soddisfazione al suo maestro; Trunks, dal canto suo, per i primi anni della sua vita, aveva avuto la netta sensazione che suo padre avrebbe desiderato trovarsi in qualunque altro luogo dell'universo piuttosto che passare del tempo con lui. Solo in un momento di concreto pericolo si erano silenziosamente cercati, correndo uno in soccorso dell'altro, con il tragico finale del sacrificio di Vegeta.

Il Saiyan sbuffò forte dal naso, poi voltò la testa verso la finestra da cui una tenue luce rossastra ancora penetrava.

«E non lo vuoi neppure tu» aggiunse Bulma in un sussurro, scrutando attentamente il profilo affilato di Vegeta.

L'uomo, sebbene non muovesse un muscolo, dentro di sé sentiva ancora il mare in tempesta agitarsi: nonostante gli fosse stato insegnato quanto fosse importante essere temuti per ottenere il rispetto, Vegeta non desiderava quello per i suoi figli, non più. E ancor meno lo allettava l'idea di dover morire un'altra volta per poter avere un rapporto più gestibile con sua figlia.

Il Saiyan ruotò di nuovo il capo e guardò sua moglie che ancora lo fissava aspettando una sua reazione: era infinitamente bella nonostante avesse ormai superato i quarant'anni, sia di viso che fisicamente; il vestito rosso e aderente che indossava era un'insegna luminosa che diceva “GUARDATEMI”, così come il trucco leggero che le circondava gli occhi color cielo.

«Dove hai intenzione di andare?» le chiese all'improvviso, abbandonando totalmente il discorso di poco prima.

Bulma sollevò un sopracciglio, poi rispose con il tono rassegnato di chi è costretto a ribadire per l'ennesima volta la stessa cosa: «A una conferenza».

«Oh, lo so» replicò Vegeta «me l'hai ripetuto un centinaio di volte nell'ultima settimana».

«E allora cosa-...» tentò di chiedere Bulma, prima che il Saiyan la interrompesse.

«Mi chiedo soltanto» continuò Vegeta con un cipiglio infastidito «perché tu ci debba andare praticamente nuda e non vadano bene una felpa e un paio di pantaloni».

Bulma strabuzzò gli occhi e allargò le braccia facendo un passo indietro e mostrandosi meglio al suo compagno, poi ripeté: «Nuda?!».

«Tsk» fece Vegeta, risentito «quell'abito è aderente quanto le mie tute da combattimento, con la differenza che anziché in battaglia tu stai andando a incontrare scienziati terrestri che passano le giornate tra libri e aggeggi vari, e che quindi hanno una tremenda e insoddisfatta voglia di scop-...».

«Vegeta!» lo interruppe Bulma alzando la voce e incrociando le braccia sotto al seno, a metà tra il divertito e l'indignato «Si tratta di colleghi e rispettabili uomini d'affari» lo informò «non hai motivo per essere geloso».

«Io non sono geloso» sentenziò il Saiyan raccattando in ogni angolo del suo corpo quanti più frammenti di dignità riuscisse a trovare.

Bulma alzò gli occhi al cielo e sfoggiò il tipico sorriso furbetto di chi sa il fatto suo, poi disse, prendendolo in giro: «Certo che no». E si voltò con esagerata lentezza, enfatizzando ogni movimento, così da mettere bene in mostra i fianchi e il seno.

Vegeta, colto da un improvviso spasmo di gelosia mista a eccitazione, lasciò cadere la bottiglia stritolata, si allungò appena e afferrò per la vita sua moglie, tirandola contro il suo petto possente e sostenendola quando il suo strattone le fece perdere l'equilibrio sui tacchi alti.

«Io non sono geloso» ripeté il Saiyan, avvolgendo il corpo della donna con entrambe le braccia spesse ma al contempo delicate «semplicemente provo un insostenibile fastidio quando qualcuno anche solo pensa di toccare ciò che è mio» spiegò Vegeta, accostando la bocca all'orecchio della moglie e mordendo piano la sua pelle candida. Bulma rabbrividì al contatto e chiuse gli occhi, reclinando il capo sulla spalla del marito. Vegeta passò dall'orecchio alla mandibola e iniziò a baciarla ripetutamente, mordendo a volte e aumentando il desiderio di entrambi che, sebbene fossero passati così tanti anni, non sembrava sapersi estinguere. Dalla mandibola scese ancora sino a raggiungere il collo sul quale si fermò e iniziò a tracciare una scia infuocata di baci bollenti, intervallata dalle punzecchiature dei denti freddi che, dopo anni di esperienza, avevano imparato a non lasciare traccia del loro passaggio, specialmente se di lì a poco la donna avesse dovuto presentarsi a un incontro di lavoro. Bulma sospirò pesantemente, poi voltò la testa e catturò le labbra del Saiyan in un bacio che di pudico aveva ben poco, un bacio rovente, di quelli che, solitamente, non osavano scambiarsi al di fuori delle mura della loro camera da letto. Per alcuni attimi tutto intorno a loro sparì, che si trattasse della conferenza imminente o della fame che iniziava a stringere lo stomaco; la casa divenne una bolla che li imprigionava e li isolava dal resto del mondo, e Vegeta non poté evitare di pensare che, durante i suoi lunghissimi anni di battaglie, mai una prigionia era stata tanto piacevole.

«Mammaaa!».

Ma la bolla d'intimità che si erano appena creati scoppiò all'improvviso.

«Mamma, dove sei?!».

E le minuscole goccioline d'acqua caddero lente ai loro piedi, insieme alla loro speranza di poter trascorrere qualche minuto da soli prima di dividersi per diverse ore.

«Mammaaa!».

«Sono in cucina, Bra!» urlò di rimando Bulma, staccandosi a malincuore da Vegeta e sistemando il vestito che le grandi mani del Saiyan avevano appena sgualcito.

L'uomo, intanto, si chinava lentamente a raccogliere la bottiglia di plastica che pochi minuti prima aveva lasciato cadere sul pavimento della cucina, mentre nella sua testa qualche migliaio di piani di vendetta prendeva velocemente forma.

«Io la odio» borbottò, ricominciando a stringere quella sfortunata bottiglia vuota. Bulma ridacchiò e scosse piano la testa, poi si voltò verso l'entrata della cucina, sulla cui porta, dopo pochi attimi, comparve la bambina.

«Mamma!» strillò un'altra volta Bra, sorridendo radiosa a sua madre e correndole incontro, facendo svolazzare i lunghi e lisci capelli azzurri.

Bra aveva ormai cinque anni, e il suo sangue Saiyan ereditato dal padre non le impediva di comportarsi come una qualunque bambina di quell'età: era curiosa, iperattiva, effervescente e chiacchierona.

«Mamma, mi porti a prendere il gelato, per favore?» chiese innocentemente la piccola, sfoderando un altro enorme sorriso. Bulma si chinò sulle ginocchia per avere il viso vicino a quello della figlia, poi rispose: «Tesoro, la mamma sta andando a lavoro. Ci andiamo domani sera, d'accordo?».

La piccola s'imbronciò all'improvviso, corrugando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto, imitando perfettamente il padre Vegeta. «Ti prego, mamma!» protestò.

Il Saiyan si rese conto che quelle poche frasi, pronunciate così stridulamente dalla figlia, stessero agitando ancor di più il mare in tempesta che infuriava nei suoi pensieri, perciò ritenne opportuno dileguarsi in fretta.

Ma, per sua sfortuna, fece solo in tempo a raggiungere la soglia prima che venisse chiamato in causa.

«Vegeta, perché non accompagni tu Bra a prendere il gelato?» chiese Bulma con finta innocenza nella voce, esibendo, secondo l'uomo, il sorriso più falso e maligno le avesse mai visto sulle labbra. Vegeta, come la donna si aspettava, la fulminò con lo sguardo, stringendo pericolosamente gli occhi e aggrottando le sopracciglia, notando, inoltre, che persino Bra fissava sua madre come se le avesse detto di indossare i vestiti di Trunks piuttosto che i suoi. Dopo qualche attimo, però, la bambina fece spallucce e, incoraggiata dalla presenza della madre, si rivolse al padre.

«Papà, mi accompagni?» chiese.

«Neanche nei tuoi sogni» rispose senza emozione l'uomo. Bulma, accanto la bambina, spalancò gli occhi in direzione del marito, come a dirgli “dai, Vegeta!”. Ma il Saiyan, senza preoccuparsi di celarsi alla bambina, pronunciò un “no” talmente secco e intriso di malumore che persino Bulma desistette.

«Papà, io voglio il gelato!».

Ma la piccola Bra non aveva il minimo timore di scatenare l'ira di suo padre, poiché, al contrario del fratello Trunks, non lo aveva mai conosciuto prima che diventasse definitivamente buono – sempre secondo gli standard di Vegeta.

Il Saiyan, questa volta, non si fermò neppure, si limitò a sibilare qualcosa che né la moglie né la figlia riuscirono a intendere, per poi raggiungere le scale che conducevano al piano di sopra, deciso a fare una lunga doccia calda e dimenticare, almeno per una buona mezz'ora, quel demone in gonnella.

***

Bulma era uscita di casa da almeno un'ora, ormai, riuscendo, seppur con fatica, a convincere la figlia a rimandare l'uscita per comprare il gelato alla sera successiva.

Bra, perciò, si era rintanata in camera sua, afflitta dalla piega presa dagli eventi; la luce era spenta nonostante il sole fosse ormai tramontato, e la bambina se ne stava sdraiata sul proprio letto, a pancia in giù, con un foglio davanti e innumerevoli pastelli colorati sparsi sull'intero copriletto. Una piccola ruga scavata dalla concentrazione la segnava in mezzo alle sopracciglia sottili che sovrastavano due grandi occhi celesti fissi sul disegno che stava creando. La manina destra si fermò un momento mentre Bra inclinava un poco la testa di lato e scrutava attentamente la propria opera, controllando i particolari e i dettagli; cambiò poi pastello per colorare un altro elemento dell'immagine da lei creata.

Passarono ancora lunghi minuti in cui Bra non distolse il proprio sguardo e la propria attenzione dal foglio che aveva davanti, uccidendo la propria frustrazione per aver dovuto rinunciare al gelato tracciando pesanti e violente linee sulla carta. Suo padre era stato davvero cattivo quando si era rifiutato di accompagnarla; non voleva mai fare nulla con lei, mentre Trunks lo accompagnava sempre dove voleva. Per una volta le sarebbe piaciuto uscire con lui, solo loro due, camminare per mano sino dal gelataio e ordinare due grandissimi gelati, di quelli con quattro o cinque gusti, per poi sedersi su una panchina del parco poco distante e mangiarlo insieme.

Un brontolio proveniente dal suo stomaco le fece perdere la concentrazione; la mano che colorava si fermò all'improvviso e la testa azzurra si voltò verso il grande orologio a muro appeso sopra la scrivania alla sua sinistra. Le otto di sera! Era già così tardi? Possibile che non fosse ancora ora di cenare? Affamata e curiosa di sapere a cosa fosse dovuto quel ritardo, la piccola Bra abbandonò il pastello con cui stava colorando sino a poco prima e scese con un salto dal letto, mentre si stropicciava gli occhi stanchi. Uscì dalla sua camera da letto e, a passo lento e un po' strascicato per via della stanchezza che cominciava a gravarle sulle piccole spalle, si diresse in cucina.

La porta della stanza era chiusa, ma da sotto di essa era visibile una striscia di luce, e ciò significava che all'interno vi fosse qualcuno. Visto e considerato che, quella sera, né sua madre né Trunks erano in casa, quel qualcuno poteva essere solamente una persona...

«Papà!» strillò la bambina dopo aver abbassato la maniglia e spinto in avanti la porta, trovando così suo padre seduto a capotavola che mangiava beatamente. «Perché non mi hai chiamata per mangiare?» domandò furiosa la piccola, mettendo arrogantemente le mani sui fianchi, vizio preso da sua madre.

Vegeta, dal canto suo, finì tranquillamente di masticare un boccone, lo ingoiò con calma, bevve un sorso di vino rosso e, dopo essersi elegantemente pulito le labbra con un tovagliolo bianco, guardò la figlia che, arrabbiata come non mai, aspettava una risposta.

«Conosci l'orario della cena» le disse severo suo padre «saresti dovuta scendere in tempo» la rimproverò. Bra si sentì ribollire, arrabbiata e anche offesa. Alcune prepotenti lacrime di rabbia si affacciarono dai suoi occhi, ma lei, orgogliosa, le ricacciò indietro, per poi incrociare le braccia al petto e parlare con tono furioso. «Questo vuol dire che ti sei mangiato tutto?» chiese, timorosa che, se così fosse stato, avrebbe dovuto procacciarsi qualcosa nell'enorme dispensa in cui non sapeva mai dove mettere le mani.

I suoi timori furono calmati da un cenno del capo di suo padre che indicava il forno alle sue spalle: del cibo per lei c'era ancora, ma, evidentemente, avrebbe dovuto provvedere da sola a sfamarsi.

Bra, perciò, con tutta la dignità che le scorreva nelle vene assieme al sangue, allargò le braccia mantenendo i pugni serrati e, con passo svelto e arrabbiato, si diresse verso il forno. Con uno sbuffo seccato allungò una mano e tirò indietro lo sportello dell'elettrodomestico, constatando che, all'interno, una teglia contenente numerose fette di tacchino ripieno ancora fumante con contorno di patate e piselli l'aspettava. Ingenuamente, la bambina allungò una mano per prendere la teglia, ma, all'ultimo secondo, quando il calore del forno investì la sua manina nuda, si ricordò che, se l'avesse toccata, si sarebbe scottata. Con espressione concentrata, perciò, Bra cominciò a esaminare attentamente il piano cottura, il lavello e tutto ciò che la circondava, alla ricerca di una presina, un guanto da cucina o anche uno strofinaccio. Uno di questi lo scorse appeso accanto la lavastoviglie, dunque si avviò decisa nella sua direzione e, dopo un paio di saltelli decisamente troppo bassi, decise che, dal momento che sua madre non avrebbe potuto urlarle contro per ciò che stava per fare, poté rischiare di arrampicarsi, posando i piedi sulle maniglie dei cassetti accanto l'elettrodomestico, certa che suo padre non fosse abbastanza interessato all'arredamento da sgridarla.

L'uomo, infatti, non le disse nulla, ma Bra sentiva il suo sguardo perforarle la schiena e, per una volta, non lo percepiva arrabbiato o infastidito, ma sembrava solamente che la stesse esaminando.

La bambina lo ignorò deliberatamente e si concentrò per saltare giù dalla lavastoviglie, su cui si era arrampicata, con il tanto agognato strofinaccio in mano. Tornò dunque verso il forno e, con uno sforzo, riuscì a sollevare la pesante teglia di vetro e a portarla sino al tavolo, su cui la fece scivolare arricciando la tovaglia che lo copriva. Vittoriosa, Bra salì sulla sedia alla destra di suo padre e, dopo aver alla bell'e meglio sistemato il drappo di stoffa, si accorse che non aveva né piatto, né posate, né bicchiere.

«Oh no» mormorò esausta la piccola, voltandosi poi verso il padre che, con le braccia conserte e la schiena beatamente appoggiata alla sedia, la fissava quasi divertito. Quando i loro sguardi si incrociarono e il Saiyan lesse negli occhi della bambina quella muta richiesta, lui alzò un sopracciglio, facendole capire che non avesse la minima intenzione di muoversi da dove si trovava.

E Bra dovette alzarsi un'altra volta, avvicinare la sedia al lavello e, salendo in punta di piedi, dovette allungarsi al massimo per raggiungere il piano dei bicchieri nel mobiletto sopra al lavandino, rischiando di tirarseli tutti addosso, mentre percepiva con estrema chiarezza lo sguardo di suo padre puntato su di lei, come se stesse facendo attenzione ad ogni suo movimento per esser pronto a correre in suo aiuto all'occorrenza...

Che sciocchezza, si disse la piccola Bra, scuotendo appena la testa mentre prendeva anche il piatto e le posate, non lo farebbe mai, pensò con una vena di tristezza.

Una volta tornata al tavolo, finalmente, con tutto l'occorrente a propria disposizione, la bambina poté cominciare a mangiare la sua cena.

Il silenzio regnava nella stanza, ma stranamente era meno pesante delle volte precedenti in cui il padre e la figlia si erano trovati soli: Bra mangiava lentamente e ogni tanto litigava con qualche pezzo di carne particolarmente difficile da tagliare, ignorando completamente suo padre che, invece, non le toglieva gli occhi di dosso e continuava, imperterrito, a fissarla come la stesse valutando. Passarono numerosi minuti in cui Bra, dimostrando di essere figlia di un Saiyan, mangiò otto fette di tacchino ripieno, per poi passare al contorno di patate e piselli. Prima di ricominciare a mangiare, però, la bambina non poté evitare di sollevare gli occhi su suo padre e, con una punta di timore nella voce, domandargli: «Perché mi fissi, papà?».

Vegeta, il cui sguardo pareva lievemente più dolce – o forse solo più rilassato – del solito, attese qualche istante prima di rispondere: «Cercavo di capire le tue potenzialità».

Bra, intuendo l'implicito riferimento di suo padre alle sue capacità fisiche, si affrettò a mettere in chiaro: «Io non voglio allenarmi come Trunks».

Vegeta storse il naso, aggrottando le sopracciglia nel suo tipico cipiglio frustrato, commentando: «Non avevo dubbi. Tu vuoi il gelato».

«Io sono una femmina, e le femmine non lottano» sentenziò decisa Bra, incrociando le braccia al petto e alzando il mento in direzione del padre, convinta che il suo ragionamento elementare non facesse la minima piega.

«Su questo pianeta» precisò però Vegeta, guardandola dritta negli occhi, quegli occhi identici a quelli con cui si era scontrato innumerevoli volte e con cui, anche se sul viso di sua figlia e non di sua moglie, non poteva evidentemente evitare di scontrarsi.

«Bé, io sono nata su questo pianeta, quindi non lotto» concluse quindi la bambina, riprendendo in mano la forchetta e ricominciando a mangiare.

«La nipote di Kakaroth, voglio dire, di Goku – si corresse, ricordandosi che la figlia non sapesse il vero nome dell'altro Saiyan – lotta nonostante sia una femmina» le ricordò Vegeta, sperando che, puntando sul fatto che la sua amica lo faceva, sarebbe riuscito a convincerla ad allenarsi.

«A Pan piace la lotta» disse Bra, confermando le parole del padre «ma a me no» concluse, distruggendo ogni minima speranza e aspettativa di Vegeta.

Il Saiyan sbuffò, alzandosi poi dalla sedia e incamminandosi verso la porta della cucina, mormorando aspramente qualcosa che Bra riconobbe come “a te piace il gelato”.

E la bambina, rimasta sola in quella grande cucina silenziosa, sospirò, afflitta, stanca e vagamente intristita dal poco interesse di suo padre, nei propri confronti, che non si premurava affatto di nascondere.

***

La notte giunse in fretta, quella sera, e il buio assalì presto la Capsule Corporation, seguito da un gelido vento che prese a battere incessantemente contro le finestre della casa. L'ululato che si insinuava tra gli alberi e agitava i rami metteva i brividi e, persino a un potente e coraggioso Saiyan come Vegeta, causava disturbi del sonno e brutte sensazioni.

O forse, più che per colpa del vento, Vegeta non riusciva a prendere sonno a causa della mancanza di Bulma, la quale, all'una inoltrata della notte, non era ancora rincasata. Il Saiyan si rifiutava di pensarlo, di ammetterlo, ma non riusciva a non pensare al fatto che ormai non fosse più abituato a passare la notte solo nel letto, poiché il profumo di Bulma che infettava i cuscini, le lenzuola e di conseguenza i suoi polmoni non gli dava tregua.

Vegeta si rigirò per l'ennesima volta, mettendosi con le spalle sul materasso e iniziò a fissare intensamente il soffitto, come se il cartongesso avesse il potere di donargli il sonno. La sua pelle dura non pativa il freddo, difatti le coperte erano state addossate ai piedi del letto, ma il suo corpo, evidentemente, pativa la solitudine; un braccio, come fosse mosse da uno spirito estraneo a Vegeta, si allungò verso la metà del letto solitamente occupata da sua moglie, mentre il Saiyan imprecava mentalmente per il condizionamento di quella donna e per la dipendenza da lei che, ormai, non era più in grado di sottomettere. O forse, più semplicemente, non voleva più farlo.

Vegeta si mosse ancora una volta, ruotando sul fianco sinistro e dando così le spalle alla porta della camera; il suo sguardo cadde sulla radiosveglia poggiata sul comodino accanto al letto: le due meno venti del mattino, e Bulma ancora non era tornata. L'ipotesi che le fosse capitato qualcosa non lo stuzzicava affatto, poiché sapeva bene che, se così fosse stato, l'avrebbe percepito anche a chilometri di distanza grazie al legame indissolubile che, ormai, legava la sua anima a quella della terrestre. Semplicemente il rinfresco post-conferenza doveva essersi protratto più a lungo del previsto.

Ma quella sera, le sue disgrazie – se così potevano definirsi – non parevano avere fine, e comprese ciò nell'esatto momento in cui avvertì dei leggerissimi passi dietro la porta della camera da letto, seguiti dal lieve cigolio dei cardini, altri piccoli passi e, infine, il materasso che si abbassava leggermente.

Non è possibile, pensò sconsolato il Saiyan, chiudendo gli occhi e pregando che, così com'era arrivata, decidesse di andarsene.

«Papà...».

Ma la piccola Bra non pareva essere dello stesso avviso. Una manina leggera e tremante si posò sulla spalla scoperta del Saiyan, scuotendo piano il massiccio corpo di Vegeta; seguì qualche attimo di silenzio in cui solo il vento, inarrestabile, osò farsi sentire.

«Papà...?» chiamò ancora la bambina, agitando il braccio con un po' più di foga. Vegeta, trattenendosi a stento dal ringhiare, pensò che forse, se le avesse prestato attenzione per qualche minuto, se ne sarebbe tornata nella sua stanza e lo avrebbe lasciato ai suoi impedimenti riguardo il sonno che non voleva saperne di bussare alla sua porta.

«Che vuoi, Bra» disse a bassa voce, con un tono che, più che una domanda, pareva una minaccia. La bambina, sentendo che, finalmente, suo padre le rispondeva, ritirò lentamente la mano e si apprestò a parlare con voce quasi inesistente tanto era bassa e fievole.

«Non riesco a dormire... il vento mi fa paura» spiegò Bra, con una punta di vergogna nella voce «e la mamma non è ancora tornata» aggiunse, con voce appena più alta.

Ma non mi dire, pensò furibondo il Saiyan, come se lui non se ne fosse reso conto molto prima della figlia.

«Il vento è solo aria» spiegò spiccio Vegeta, senza neppure voltarsi «non può farti nulla».

Sono molto più pericoloso io, pensò, sentendo la rabbia e il fastidio crescere in maniera esponenziale.

«Ma io ho paura» insisté Bra, battendo un pugnetto sul materasso e rabbrividendo quando una folata si schiantò contro la serranda automatica che proteggeva il vetro della finestra.

Vegeta, che sentiva di avere già abbastanza intralci, quella notte, borbottò lesto: «Va' a dormire con Trunks».

Bra sbuffò pesantemente. «Papà! Trunks è andato a dormire da Goten!» le ricordò con voce più carica di poco prima, come se il comportamento del padre la stesse infastidendo ancor più del forte vento che le impediva di dormire.

Vegeta imprecò, prendendo mentalmente nota di strigliare per bene il figlio non appena fosse tornato a casa, per il fatto di essersene andato proprio la sera in cui Bulma non ci sarebbe stata.

«Chiama tua nonna» tentò quindi il Saiyan, ricordando troppo tardi che...

«Lei e il nonno sono partiti ieri!».

Non è possibile, pensò di nuovo Vegeta, voltandosi quindi in direzione della figlia con l'espressione più truce che le avesse mai rivolto; Bra, nonostante l'apparenza malvagia, sostenne lo sguardo del padre senza batter ciglio, aggrottando le sopracciglia allo stesso modo suo.

«Adesso basta, Bra» ringhiò Vegeta, insofferente «hai tre secondi per sparire dalla mia vista e tornartene a letto, dopo di che ti lego al cancello di casa e ti lascio lì tutta la notte!» minacciò, esausto e furioso, indicando con una mano la finestra sotto cui si estendeva il giardino di casa, buio e macabro a quell'ora della notte.

Padre e figlia si fissarono in cagnesco per lunghi istanti, squadrandosi a vicenda e litigando senza aprire bocca, finché Bra, con sguardo carico di rammarico e un velo di lacrime a coprirle gli occhi, non parlò di nuovo.

«La mamma dice sempre che anche se non ce lo dimostri tu ci vuoi bene» disse piano, con voce molto più calma di poco prima, ma anche più amareggiata e triste «secondo me non è vero» aggiunse poi, fissando intensamente suo padre negli occhi «tu non vuoi bene a nessuno» concluse con lo stesso tono di voce basso e affranto, scendendo poi dal letto dei genitori e uscendo svelta dalla stanza.

E quando la porta si fu chiusa, il silenzio più assoluto cadde nella camera; il vento si chetò e smise di ululare all'improvviso, come se avvertisse anch'esso il peso di quella frase dettata dalla rabbia, quella constatazione di fuoco, che continuò a incidere il cervello del Saiyan come un ferro arroventato per lunghissimi minuti. Vegeta era immobile, seduto sul letto in posizione rigidissima, come fosse improvvisamente diventato di marmo; sentiva il sangue esserglisi congelato nelle vene come se si fosse trovato nel bel mezzo di una bufera, e avvertiva gli arti diventare, a poco a poco, sempre più insensibili, come non fossero più attaccati al resto del suo corpo.

Ma il silenzio che era calato nella stanza e la staticità di Vegeta non rispecchiavano affatto l'animo del Saiyan in quel momento: dentro di lui si agitava una tormenta intensa e distruttrice, mossa dalle parole fredde e dirette di sua figlia.

Tu non vuoi bene a nessuno.

Vegeta le sentiva ancora risuonare nelle sue orecchie, nella sua testa, come un'eco lontana e maligna che, anziché lasciar disperdere il suono, con la sua barriera lo ferma e lo rilancia al mittente, sbattendo in faccia al Saiyan il disprezzo che la piccola Bra aveva riversato su di lui.

Faceva male, Dio, quanto faceva male.

Vegeta avvertiva una fastidiosa sensazione di inadeguatezza alla bocca dello stomaco, un senso di nausea che lo stava intontendo; un fastidio di proporzioni smisurate gli cresceva dentro al petto, all'altezza del cuore, quel cuore che era ormai capace di amare, oltre che di battere soltanto. E questo lo dimostravano la tristezza e la rabbia causate dalle parole della bambina, quelle due ombre opprimenti che si stringevano sul suo cuore, sulla sua anima, sulla sua mente, stordendolo più di quanto avesse mai fatto qualunque colpo ricevuto in battaglia.

Tu non vuoi bene a nessuno.

Non era vero, non più, non da quando aveva razionalmente deciso di restare sulla Terra con Bulma e il piccolo Trunks; non era altro che una bugia, non era quella la realtà, non in quel momento.

Vegeta, oramai, amava sua moglie Bulma, suo figlio Trunks e, nonostante il cosmico fastidio che quella bambina era in grado di provocargli, sua figlia Bra. Per loro aveva dato la vita e l'avrebbe fatto ancora se fosse stato necessario, per loro era cambiato, per loro aveva rinunciato all'orgoglio Saiyan, accettando di vivere come un comunissimo terrestre. Nonostante il suo modo di fare maleducato e scorbutico, il suo carattere intrattabile e spesso lunatico, il suo essere schivo e a volte indifferente, nonostante tutti i suoi mille difetti, Vegeta amava la sua famiglia, ora come non mai, e si godeva la pace conquistata con sangue e fatica proprio assieme a loro tre.

Tu non vuoi bene a nessuno.

Quelle parole ancora vorticavano nella testa del Saiyan, impossibili da scacciare, da eliminare, da reprimere.

Non era vero, non lo era affatto; Bra si sbagliava, Bra non capiva. Quella piccola peste non doveva permettersi di dire certe cose a suo padre, Vegeta, il Principe dei Saiyan; quella fastidiosissima bambina non aveva alcun diritto di giudicarlo, lei non sapeva nulla di lui.

E così Vegeta si alzò, scalciando furiosamente le lenzuola che gli avvolgevano le gambe massicce; con tre grandissimi passi raggiunse la porta della camera da letto e l'aprì con furia, rischiando di sradicarla, poi si voltò verso sinistra e prese a percorrere il lungo corridoio del terzo piano della Capsule Corporation. Ogni passo era un sordo tonfo sulla moquette che ricopriva il pavimento, e ognuno di essi era accompagnato da un arrabbiato suono gutturale che era a metà tra un ringhio e un singhiozzo. Si sentiva ferito, Vegeta, colpito e affondato dalla sua stessa figlia; allo stesso tempo, però, si sentiva imbestialito, poiché Bra doveva portargli rispetto, senza permettersi certi commenti o affermazioni.

Arrivò in fretta di fronte all'ultima porta del corridoio, quella accanto all'ascensore; attese un istante, immobile a fissare l'uscio, un solo momento, poi spalancò la porta ed entrò nella camera di Bra. Il caos più totale lo accolse, spiazzandolo: peluche di ogni tipo e dimensione infestavano il pavimento al fondo del letto, libri colorati e fogli da disegno coprivano interamente la scrivania addossata a una parete, poi penne, pastelli, fazzoletti e vestiti costellavano l'intero pavimento della camera. Vegeta, stupito dal fatto che Bulma non l'avesse ancora sbattuta fuori di casa a causa del disordine che regnava là dentro, fece qualche passo incerto all'interno, guardandosi attorno e facendo attenzione a non pestare qualche giocattolo sparso a terra.

Bra era nel suo letto, avvolta nelle coperte, immobile: Vegeta si avvicinò senza fare il minimo rumore e, sporgendosi un po' sul materasso, notò che la bambina aveva gli occhi chiusi e che il suo respiro era lento e regolare, nonostante una piccola piega frustrata separasse le sue sopracciglia.

La bambina si era addormentata, il che fece presupporre a Vegeta che dovesse aver passato, immobile sul letto a rimuginare sulle parole di sua figlia, molto più tempo del quarto d'ora che credeva.

Il Saiyan sbuffò forte, un po' deluso, un po' afflitto, un po' sollevato: sentiva ancora di dover mettere in chiaro alcune cose con quella bambina, ma in parte era troppo spossato dalla freddezza da lei dimostrata per riuscire a guardarla negli occhi. Forse, in fin dei conti, era un bene che dormisse; magari l'indomani si sarebbe dimenticata quanto accaduto.

Vegeta stava quasi per ritirarsi, quando un particolare che prima non aveva notato attirò la sua attenzione: un triangolo bianco di carta spuntava da sotto il cuscino della figlia, segnò che ci fosse un foglio nascosto là sotto. Incuriosito, il Saiyan si riavvicinò al letto e, con tutta la delicatezza di cui era capace, sfilò il foglio da sotto il guanciale, facendo attenzione a non svegliare Bra che, dal sospiro rilassato che emise, non dovette essersi accorta di nulla.

Vegeta, perciò, prese il foglio con entrambe le mani, lo fissò attentamente e, nonostante il buio, riuscì a mettere a fuoco ciò che gli stava di fronte: era un disegno.

La mano piccola di Bra doveva aveva impugnato i pastelli e per poi dilettarsi nella tracciatura di numerose linee colorate che, infine, avevano composto una discreta opera per una bambina di cinque anni: i tratti erano precisi, le curve sicure e persino le proporzioni non erano del tutto assurde.

Ma ciò che colpì il Saiyan come uno schiaffo in pieno viso non fu la bravura e la capacità di disegnare di sua figlia, piuttosto il disegno in sé, i suoi personaggi e ciò che essi facevano.

Bra, infatti, aveva disegnato se stessa e suo padre seduti sull'erba in un prato sconfinato che, se lo immaginava, Vegeta poteva vederlo mischiarsi al cielo lungo la linea dell'orizzonte, e in mano ad entrambi vi era un cono gelato di innumerevoli gusti distinti. I visi del Saiyan e di sua figlia erano chiari e limpidi come solo in un disegno di bambina possono essere i volti delle persone, un sorriso sincero sulla bocca di entrambi e nessun cipiglio arrabbiato o infastidito adombrava quelle facce.

Vegeta strinse forte le labbra, incapace di muoversi, sentendosi, per la seconda volta nella stessa nottata, pietrificato; fu come se quel gelato di carta avesse sprigionato il suo freddo al gusto di frutta e glielo avesse lanciato addosso, congelandolo lì dov'era.

«Nonostante abbia ereditato un po' della tua arroganza, Bra non è pretenziosa o viziata» disse all'improvviso una voce bassa e sicura, una voce calda che lo sciolse e gli restituì la capacità di muoversi e di voltarsi, quindi, verso la porta della stanza. Bulma, appena rientrata come testimoniavano le scarpe ancora ai piedi, lo osservava da meno di un metro di distanza, l'espressione stanca coraggiosamente adattata a un tenero sorriso. Vegeta la fissò senza dire nulla, con una muta richiesta nello sguardo che le chiedeva, anzi, le implorava di spiegargli come comportarsi: quel disegno faceva provare al Saiyan un'incredibile tristezza e una forte nostalgia nonostante i colori vivaci e i visi allegri.

«Lei ha solo un sogno» continuò quindi Bulma, avvicinandosi al marito e guardando con occhi dolci e vagamente umidi il disegno che Vegeta teneva ancora tra le mani che sembravano trattenersi a stento dal tremare. «Ed è questo» concluse poi Bulma, senza alzare lo sguardo, poggiando una guancia sulla spalla calda del Saiyan.

Vegeta non disse nulla e non si mosse; si limitò a studiare ancora quella piccola opera d'arte di sua figlia, comprendendo che quelle tristi e malinconiche emozioni che provava erano quelle che doveva sentire Bra: quel disegno era la porta del suo piccolo e giovane cuore, in cui aspettava solo che entrasse suo padre per poterlo riempire e sigillare. Bra gli voleva bene e il “fastidio” che Vegeta credeva si divertisse a provocargli era solo il più genuino e fanciullesco modo di attirare l'attenzione dell'uomo, perché lui non si dimenticasse mai di lei.

Tu non vuoi bene a nessuno.

Vegeta si rese conto solo allora che quell'assurda constatazione da parte della figlia non era un commento, un giudizio, una critica; era la più grande paura della bambina, il suo incubo.

Il Saiyan sospirò pesantemente, liberandosi di ogni residuo di bollore e rabbia che l'avesse spinto a raggiungere quella camera; con accortezza sollevò di poco il cuscino di Bra e rinfilò il disegno in mezzo alle lenzuola, poi si voltò e, presa Bulma per mano, uscì dalla camera della figlia.

I due, camminando in perfetto silenzio, raggiunsero la propria stanza, e non appena la porta fu chiusa Vegeta si gettò sul letto, rivolto verso il soffitto; dopo un profondo respiro, parlò.

«Domani la porto a prendere quel dannato gelato» mormorò, in parte speranzoso che Bulma non lo udisse. Ma la donna si accostò immediatamente a lui e si sedette sul letto, fissandolo con attenzione e un pizzico di curiosità. Vegeta non la guardò, e non per cattiveria, menefreghismo o maleducazione: semplicemente sapeva che se la donna avesse scrutato nelle sue iridi scure vi avrebbe letto tutto l'amore che sentiva per sua figlia che, essendo troppo grande per starsene nel cuore, era straripato nel suo corpo, giungendo sino agli occhi. Bulma, questo amore, poteva immaginarlo, poteva intuirlo, poteva percepirlo, ma il Saiyan – il Principe dei Saiyan – non glielo avrebbe mai lasciato saggiare direttamente dalla sua fonte.

«E lo mangerai con lei?» chiese infine la donna, con una punta di impertinenza nella voce, prendendolo dolcemente in giro.

Vegeta sbuffò e un suono gutturale riconducibile a un conato di vomito gli risalì la gola, mentre sua moglie, ridendo, si abbassava su di lui e lo abbracciava, stringendolo con quanta forza avesse in corpo, trasmettendogli tutto il suo amore, la sua stima e il suo rispetto nei suoi confronti.

Perché Vegeta odiava il gelato, ma quella volta, per lei, l'avrebbe mangiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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