Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Zac Efron nè di Vanessa Hudgens, nè offenderli in alcun modo. Situazioni e rappresentazione caratteriale di ogni personaggio qui trattato sono pura invenzione e non hanno nulla a che fare con eventi realmente accaduti.
“Lei si chiama?”
Il ragazzo declinò le proprie
generalità, nome e cognome e data di nascita. Il suo respiro era affannoso, e
sembrava che emettere quei pochi suoni gli costasse uno sforzo inaudito. Il suo
viso era pallido ed occhiaie profonde segnavano i lineamenti delicati. Tra sé e
sé, si chiese se davvero quella ragazza non l’avesse riconosciuto o se gli
ponesse quelle domande per seguire la prassi. In fondo, la sua faccia era un po’
dappertutto, ultimamente, ma l’idea che lei non avesse idea di avere di fronte
uno dei giovani talenti di Hollywood fu, in qualche modo, consolante.
“Va
bene, Zac. Puoi raccontarmi cos’è successo?”
“Non ricordo molto. Ho
sentito un forte dolore al petto, e poi credo di essere svenuto.”
“Hai
accusato altri sintomi negli ultimi giorni? Febbre, malessere?”
“Io… è
possibile che abbia avuto febbre, ma non ne sono sicuro. Mi sentivo un po’
stanco, ma non è che ci abbia fatto molto caso, a dire il vero.”
“Va
bene. Sarà necessario che io ti faccia altre domande, ma per ora può bastare.
Ora mettiti a sedere, così potrò visitarti.”
Il ragazzo a fatica si
sollevò dalla lettiga sulla quale era adagiato, e non appena si trovò in
posizione eretta percepì i battiti del suo cuore accelerare. Improvvisamente la
sua visione si fece confusa, un fastidioso ronzio risuonò nelle sue orecchie e
percepì un’ondata di sudore freddo travolgerlo.
“Io… io credo di…”
biascicò, dopo di che ricadde pesantemente in avanti.
Anna ebbe la
prontezza di spirito di afferrarlo prima che sbattesse il capo contro lo stipite
della barella. Gentilmente lo guidò fino a che non fu di nuovo steso, poi iniziò
ad auscultare il suo cuore. Era talmente concentrata sul suo lavoro che non si
rese conto dell’ingresso nella stanza del dottor Carlo Villari, il suo
insegnante.
“Cos’abbiamo?” domandò l’uomo.
“Maschio, bianco,
vent’anni, americano, ricoverato in seguito a perdita di coscienza. Temperatura
corporea di 39 gradi, pressione arteriosa 65 su 105, tachicardico. In
ortostatismo ha di nuovo perso coscienza.”
“Americano, eh? E’ un turista?
Cosa ci fa qui?”
“Non saprei. Ho raccolto solo l’anamnesi prossima,
faticava molto a parlare.”
“Io lo tiro su, tu procedi all’esame obiettivo
polmonare.”
Anna, come aveva fatto tante volte prima, appoggiò lo
stetoscopio sulla pelle del ragazzo ed ascoltò con attenzione. Notò che era
sudato e che tremava leggermente, probabilmente per via della febbre.
Non
era la prima volta che visitava un ragazzo della sua stessa età, dopo tutto era
una studentessa in medicina e quello sarebbe stato il suo lavoro, eppure la cosa
non mancava mai di metterla a disagio, chissà perché.
“Allora?” domandò
il dottor Villari.
“Ronchi e rantoli bilaterali ad apici e basi, con
murmure vescicolare ridotto. Ha una brutta polmonite, direi.”
“Quindi
adesso cosa facciamo?”
“Emocromo con formula, emogas, esame delle urine
ed RX torace. Somministriamo antibiotici ad ampio spettro in attesa dei
risultati dell’antibiogramma. Ora preparo la cartella e lo faccio
ricoverare.”
“Se hai bisogno di aiuto, chiamami.”
Zac rinvenne non
appena il dottor Villari ebbe lasciato la stanza. Aprì gli occhi che, come Anna
ebbe modo di notare, erano di un blu straordinariamente intenso e profondo, e si
portò una mano al torace, dopo di che un accesso di tosse lo scosse facendo
tremare il suo corpo scarno.
“Vado a prenderti dell’acqua.” disse
allora.
Non appena fu uscita dalla stanza, Chiara, una delle allieve
infermiere del reparto, la fermò e le si rivolse con aria eccitata.
“Ma
come hai fatto ad avere quel caso?” le chiese.
“Quale caso?” rispose
Anna, stupita.
“Ma lui, no? Non dirmi che non l’hai
riconosciuto??!?”
“Chi, il ragazzo con la polmonite?” domandò ancora
Anna, perplessa. “Perché avrei dovuto riconoscerlo?”
“Ma dai, stai
scherzando? E’ un attore, è famosissimo!”
In breve, Chiara raccontò ad
Anna vita, morte e miracoli del giovane attore.
“Ma dico, hai studiato a
memoria la sua biografia?”
“Ho la sua foto nel mio armadietto. Ti prego,
posso aiutarti? Ti serve un’infermiera per il ricovero, ad ogni
modo.”
“Scordatelo, capito? Per quanto mi riguarda è un paziente come un
altro, e sta anche parecchio male al momento, perciò non gli serve un’infermiera
adorante. E se davvero è così famoso come dici, probabilmente non gli servono
nemmeno stuoli di fotografi, perciò tieni la bocca chiusa, ok?”
Decisa,
Anna ritornò nella stanza. Il ragazzo aveva smesso di tossire ma stava ancora
ansimando, sempre più pallido. Gli porse l’acqua e lui la ringraziò con un filo
di voce.
“Fra poco verrai trasferito di sopra, in reparto. Dovrò farti
altre domande, ma aspetterò che tu ti senta un po’ meglio. Ho bisogno però di
sapere se sei allergico a qualche farmaco.”
“Sulfamidici.” rispose lui.
“Sono allergico ai sulfamidici.”
“Vuoi che avvisiamo qualcuno? La tua
famiglia, un amico?”
“No.” rispose lui, e Anna credette di cogliere nella
sua voce una nota di amarezza. “No, non c’è bisogno di avvisare nessuno.”
******
Zac.
Se dovessi spiegare a me stesso l'esatta ragione per cui
mi trovo in uno sperduto ospedale in Italia, non mi crederei. Giuro, è una
storia così assurda ed inspiegabile che farei fatica a credere di essere stato
così stupido.
In breve, ho comprato un anello alla mia fidanzata da più
di un anno e le ho chiesto di sposarmi. Assurdo, dite? Io non credo. Sono
adulto, posso decisamente permettermi di mantenere una famiglia, e, cosa più
importante, la amo, la amo più della mia stessa vita. La amo mentre la guardo
respirare di notte, la amo quando è nervosa e si mordicchia il labbro inferiore,
la amo quando litighiamo, quando entra in casa mia e sento il suo passo leggero
attraversare il salotto, la amo durante il sesso e quando piange
disperata.
Vanessa è la ragione per cui apro gli occhi la mattina e
respiro, e le ho chiesto di sposarmi perchè desidero passare con lei ogni giorno
della mia vita.
Credevo che lei la pensasse come me, eppure, quando ha
visto l'anello che con cura ed amore avevo scelto per lei, si è messa a
ridere.
A ridere del mio amore, del mio anello, del cuore che avevo
messo nelle sue mani.
A ridere del fatto che io le avessi offerto me
stesso per l'eternità.
Mi ha guardato fisso, la notte che scintillava
liquida nei suoi occhi profondi, ed ha riso.
"Pensavi davvero che fosse
sul serio? Dio, credevo che lo sapessi. Era solo pubblicità, pubblicità per il
film. Sei così ingenuo, Zac."
Non ricordo molto di quello che accadde
dopo, solo di essere rimasto a fissare il vuoto per ore, insensibile al mondo
esterno. Qualcosa dentro di me si era spezzato, irrimediabilmente. Non sentivo
altro che il desiderio di piangere, di percepire le sue mani nelle
mie.
Ed il freddo delle stesse mani, vuote.
Le avevo dichiarato il
mio amore sotto il pergolato del mio giardino, ed in quella posizione rimasi per
i successivi tre giorni, incurante della pioggia che cadeva su di me, incurante
del freddo della notte che penetrava il mio animo.
Il mio cuore era molto
più freddo, in fondo.
Quando, alla fine, trovai la forza di muovermi, fu
solo la disperazione a consentirmelo. Mi sentivo male, ma non diedi ascolto al
mio corpo, e dopo essermi lavato partii. Lei si trovava in Italia a presentare
il suo primo album. Io l'avrei inseguita, le avrei dimostrato che l'amavo. Non
poteva finire così.
Ora mi trovo in uno stupido ospedale per non so quale
stupida ragione, e mi sento così male. Ad ogni respiro è come se un incendio
scoppiasse nel mio petto, devastandolo. Un movimento anche minimo ed appena
accennato mi lascia estenuato come se avessi corso per ore ed ore. I miei occhi
pulsano così come le mie tempie, e un dolore sordo li lacera ogni volta che la
luce li ferisce.
Eppure, il mio cuore sta molto peggio.
Quanto
tempo può essere passato? Cinque, sei giorni? Sono scomparso dal mondo e nessuno
mi ha cercato, nessuno si è accorto che la mia vita si era spezzata. Quando non
lavoro, non c'è nessuno a cui importi dove io sia o cosa io faccia. E il lavoro
è ben poca cosa, non certo una ragione per vivere. Un giorno si accorgeranno che
io non sono affatto capace di recitare nè di cantare, che sono solo un belloccio
che non merita il proprio successo. Mi aspetto di continuo che qualcuno mi
smascheri, mi stupisce che non sia accaduto.
Ancora una volta, guardo il
cellulare speranzoso, ma nulla accade.
Pare proprio che io non abbia
alcun amico, nel mondo.
Chiudo gli occhi, e vorrei non svegliarmi più, ma
non sono abbastanza fortunato perchè accada.
Se qualcuno avesse già letto la storia su di un forum, non pensi ad un caso di plagio: sono sempre io l'autrice.
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