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Autore: CheshireMad    27/11/2013    3 recensioni
Un tempo, in una terra magica e lontana, c'era... il caos.
L'ordine si era perso da molto tempo, così come la speranza.
Coloro che avrebbero posto rimedio a tutto... svanite nel nulla.
Anche i bambini scomparivano e non facevano più ritorno.
E le Tenebre invadevano e inghiottivano le terre e tutto ciò che incontravano.
Tutto sembrava perduto, ma forse...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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C'era un freddo terribile, nevicava, e cominciava anche a far buio. Il vento e il gelo erano riusciti persino nell'ardua impresa di rendere totalmente opachi i vetri dei lampioni, e tutto ciò che illuminava la strada era più che altro l'insieme delle luci provenienti dalle abitazioni, dalle belle case e dalle tante decorazioni e lanterne tipiche del periodo natalizio. Ad ogni bambino sarebbe piaciuto uno spettacolo del genere: tutti adoravano Dicembre e le sue festività, perché Natale da sempre significava famiglia, e famiglia significava stare insieme – magari tutti attorno al camino del salotto, chi sulle poltrone a chiacchierare, chi in piedi a bere e brindare, chi per terra a giocare con treni, soldatini di piombo o bambole, o ancora a scartare regali.
L'ultima notte dell'anno non faceva eccezione: tutti gioivano e festeggiavano in casa, con cene sontuose e tanti invitati. Ciò ovviamente comportava la desolazione delle strade e delle vie, dove poca, pochissima gente camminava con passo rapido e fare impegnato. Nessuno badava davvero alle decorazioni – figuriamoci al cielo! –; nessuno si accorgeva delle stelle, ancor più splendenti e luminose di mille di quei lampioni; e di certo nessuno notava che ogni tanto qualcuna di quelle meravigliose stelle cadeva, via, lontano, diretta chissà dove.
No... qualcuno se n'era accorto.

«Hai visto anche tu, nonna?»
Una piccola bimba dai capelli dorati indicava il cielo da dietro la finestra, osservata da un'anziana signora dall'aspetto cordiale e premuroso.
«Vieni qui, piccina mia», le disse sorridente mentre dava lievi pacche al posto libero accanto a lei, su quel bel divano giallo; e la bambina, con un sorriso ancora più smagliante, andò a sedersi. «Era una stella cadente, tesoro?»
La sua voce era quanto di più dolce e amorevole si potesse mai sentire.
«Sì, nonnina», rispose entusiasta la piccola, ancora presa dalle tante 'lucine appese in cielo' delle quali sperava che presto sarebbe caduta qualcun'altra.
«Dimmi... ti ho mai raccontato del perché cadono le stelle?»


"Ecco la sesta", pensava ora quella stessa bambina, seduta in mezzo alla neve, con le spalle appoggiate al muro di mattoni di un palazzo e le braccia incrociate sulle ginocchia. Faceva davvero tanto freddo, e una ragazzina di appena undici anni non avrebbe di certo dovuto passare la notte di San Silvestro in strada – da sola, a piedi scalzi e fradicia per l'umidità della sera – a contare le stelle cadenti: doveva stare con i propri genitori in una di quelle case, come tutti i bambini!
Al suo fianco c'era un cestino di vimini ben coperto, e tutt'intorno alcuni fiammiferi usati probabilmente nel tentativo vano di riscaldarsi.
"Sette"; non pensava ad altro se non alle stelle, suo unico intrattenimento. Contava quelle che cadevano, quindi anche la gente che da qualche parte nel mondo era appena passata a miglior vita. Ma come poteva essere certa che quella storia fosse vera? Ed era possibile che l'ultima notte dell'anno – una notte di festa tra le più importanti e gioise – la gente morisse così numerosa?
"Magari qualcuno si accorgerebbe di me, prima o poi, se anch'io morissi qui..."

«Non dire sciocchezze, tesoro; adesso la nonna non si sente bene... Lasciamola riposare...»
«Ma io non voglio lasciarla sola! Ha bisogno di me!», urlava la bimba, ribellandosi alla madre e dimenandosi per riuscire infine a correre nella camera in cui si trovava la tanto amata vecchietta
o meglio, il suo corpo.
Fuori dalla finestra, in cielo, stava cadendo una stella; ma la piccina non riuscì a vederla per via delle lacrime che rigavano il suo visino e le offuscavano la vista.


No... non lo aveva pensato davvero... Non doveva nè poteva anche solo immaginare una cosa simile. Alla nonna non sarebbe piaciuto.
La piccola fiammiferaia si rimise come meglio potè in piedi, tenendosi alla parete per non cadere sulle gambe ormai stanche e congelate. Raccolto il cestino, mise una sorta di cappuccio fatto di stracci in testa e si incamminò verso quella che molti – eccetto lei – avrebbero chiamato casa.
Un passo, poi un altro, ed ecco infine il formicolio del sangue che tornava a circolare nelle gambe. Ancora uno, due, tre passi su quel gelido marciapiede, coi suoi piedini rossi per il freddo; non ci sarebbe stato per nulla da sorprendersi se fosse caduta da un momento all'altro, e in effetti incespicò diverse volte nelle proprie caviglie.
Quanto avrebbe desiderato un paio di scarpe... Cosa non avrebbe dato anche per le più grandi, o le più piccole, o persino per delle vecchie ciabatte impolverate e lacerate...

«E questo invece è per te!», disse la mamma porgendole un pacco incartato e legato con un bel fiocco rosso.
La bimba iniziò a scartarlo, bramosa del suo regalo, ma ne rimase davvero delusa quando finalmente lo tirò fuori: era, anzi, erano delle scarpe rosse. Belle, lucide, le sarebbero state molto bene, ma a lei quel colore proprio non piaceva.
Molto rattristata, sua madre le prese, le conservò nello scatolo, e le ripose sopra un alto scaffale.


La porta di casa era socchiusa e dall'interno proveniva quel solito forte puzzo di alcol che in genere si sentiva quando suo padre era dentro, appena tornato dalla taverna. Dopo la morte della mamma era come impazzito: aveva venduto praticamente tutto meno che la figlia, che in un modo o nell'altro – pensava – poteva fruttargli più soldi di quanto valesse. E con quei pochi denari che aveva guadagnato dalle vendite, e con ciò che sua figlia riusciva a racimolare con i fiammiferi, lui comprava solo vino e altri cerini da farle vendere.
Era lì, squallidamente addormentato sul tavolo, con stretto nel pugno il collo di una bottiglia da cui fuoriusciva quel poco di vino che non era riuscito a bere e che si stava riversando prima sul legno consumato su cui si appoggiava, poi sul pavimento sporco; nessuno avrebbe pulito – e a nessuno sarebbe interessato.
La bambina cercò di attraversare la stanza in silenzio, ma senza volerlo colpì col piede una delle tante bottiglie vuote sparse qua e là per terra, facendola rotolare rumorosamente. Si voltò rapidamente verso il padre, ma lui si limitò a grugnire e ghignare nel sonno.
Superata finalmente quella stanza senza svegliarlo, si chiuse la porta alle spalle e prese una profonda boccata d'aria – poiché aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo –, e lasciò il cesto con i fiammiferi in un angolo per affacciarsi alla finestra di quella che una volta era la sua bella cameretta; le stelle erano ancora tutte lì, immobili come lei che – prese una vecchia coperta e una sedia – passò il resto della notte ad ammirarle senza chiudere occhio.
Era uno spettacolo senza paragoni. Il cielo era come un grande vestito nero, uno di quelli che indossavano sempre le signore che uscivano dalla chiesa piangendo. Ma a differenza di quelli, questo era molto più grande, elegante e sfarzoso: una meraviglia.
Accese un fiammifero per provare nuovamente a riscaldarsi col calore della piccola fiamma, e mentre lo teneva davanti a sè, tornò a guardare in alto: la pioggia di stelle continuava ancora, tanto che la piccola riprese il conto ma lo perse subito. Non aveva mai visto così tante stelle cadenti, neanche con sua nonna. Ormai cadevano l'una dietro l'altra, ed era impossibile contarle. Dieci tutte insieme, poi venti e così via, finché quello splendido abito nero divenne totalmente bianco e candido, come le nuvole. Tutto era bianco; non c'era più neanche la stanza. Solo lei, nel bel mezzo del nulla. Si mise a piangere, ma a che serviva? In effetti, però, cosa mai avrebbe potuto fare, se non disperarsi?
Una mano si poggiò sulla sua spalla. Lei si girò di scatto, spaventata, ma non aveva motivo di aver paura: era la nonna! Le sorrideva e le diceva di star tranquilla; la abbracciava; le ricordava che era forte.
«Dove sei stata per tutto questo tempo?», chiese allora la piccola tra i singhiozzi.
«Lontano... Ma non preoccuparti per me: io sto bene», la rassicurò. «...ma tu?»
La luce di quel luogo si affievolì, e il bianco lasciò spazio al buio della camera. Lei stava bene? Non esattamente, ma... chi se ne importava? La nonna era tornata!
Il fiammifero si era spento, ma se accenderne un altro avrebbe riportato indietro la sua tanto amata nonnina, non c'era tempo da perdere.
Di nuovo tutto tornò ad essere luminoso.
«Nonna?», urlò, guardandosi disperatamente intorno col fiammifero proteso in avanti per fare più luce. «Io voglio stare con te! Dove sei?»
«Non ti ho mai lasciata sola, piccola mia», disse una voce lontana e debole.
La fiamma si stava spegnendo ancora, e la remota voce della nonna riuscì a dire soltanto «Ti voglio bene» prima di svanire di nuovo.
La bambina accese tanti altri fiammiferi, ma non successe nulla. Tornò a guardare il cielo, ma non c'era più neanche una stella cadente.
Forse era stato solo un sogno... Forse non c'era stata alcuna stella cadente...

Papà era cambiato...
La mamma era morta da poco, e ogni sera successiva al funerale, la bambina lo sentiva far avanti e indietro in salotto. Urlava, rompeva oggetti, bestemmiava; non si era mai comportato così, prima. C'era qualcosa in lui che adesso spaventava sua figlia, ma quando poi cominciò a bere...
Le suore della chiesa avevano ragione: il diavolo esisteva.


Nell'altra stanza qualcosa cadde a terra – probabilmente la bottiglia che suo padre teneva in mano. Qualche attimo di silenzio, poi altri rumori di vetro, di bottiglie che rotolavano, e pesanti tonfi che via via si facevano sempre più vicini.
La porta si aprì, e un uomo – o forse una bestia, a giudicare dal suo sguardo e dalla folta peluria incolta che gli ricopriva il mento – apparve sull'uscio tenendosi in equilibrio dal cornicione.
«Sei tornata...»
Non osava guardarlo dritto negli occhi, e sommessamente fece di sì col capo tenendo lo sguardo rivolto al pavimento.
«Quanti ne hai venduti?», continuò il padre con voce roca e minacciosa; lei taceva, non trovando il coraggio per proferire parola. «Sei diventata sorda? Quanti ne hai venduti?»; questa volta le parole erano scandite e incutevano ancora più timore.
La bambina riuscì a bisbigliare qualcosa, ma con voce troppo flebile per essere udita.
«QUANTI?», urlò lui violentemente, battendo il pugno destro sulla cornice della porta su cui poco prima si sorreggeva.
«Nessuno...»
Poco più di un sussurro. Ci fu una lunga pausa, in seguito alla quale la porta venne nuovamente chiusa e il silenzio calò come prima. Cosa sarebbe successo? Ogni volta che tornava a casa senza soldi veniva picchiata o lasciata senza 'cena', ma questa volta sarebbe davvero finita così?
Passarono i minuti, e ancora niente... Se ci fosse stata una mosca, dall'altro lato della strada, sarebbe stato di certo possibile sentirla ronzare.
La porta si aprì ancora, ma questa volta suo padre non si limitò a sbraitare: la prese per la veste e la strattonò nella stanza delle bottiglie. Spinta dopo spinta, la fece ruzzolare giù per le scale dell'ingresso e chiuse la porta di casa, non prima però di averle confermato quanto appena fatto: «Vattene, e non tornare».
Poco dopo la porta si riaprì, ma arrivarono solo il cestino – dal cui interno i fiammiferi si sparsero tutt'intorno, per terra – e altri urli, tra cui l'unico comprensibile era «Avrei dovuto vendere anche lei».

«Dov'è la nonna?»
«Era tanto vecchia, lo sai... Adesso sarà già in un posto bellissimo», rispose la mamma, ma fu interrotta da dei forti colpi di tosse e si alzò per andare nell'altra stanza.
Da allora le giornate sarebbero state molto diverse. Chi le avrebbe fatto compagnia? Chi le avrebbe raccontato le storie? E perché nessuno voleva dirle dov'era finita la nonna, dopo che l'avevano portata in chiesa? Sarebbe volentieri andata via con lei, se avesse potuto... Si sarebbero divertite tanto insieme, e avrebbero guardato le stelle tutte le sere.


Le stelle... erano tutto ciò che le restava, assieme ad un abito di stracci, una cesta e qualche fiammifero. Dov'era la nonna? Ora che ne aveva davvero bisogno, dov'era? Tra quelle stelle che tanto aveva ammirato, forse? No. Nella volta celeste c'erano solo inutili puntini luminosi che ogni tanto si stancavano della loro stessa vita e decidevano di cadere. Non sapeva dove finissero, ma come poteva importarle se non sapeva dove sarebbe andata lei stessa?
Raccolse i fiammiferi caduti e li rimise nel cestino; forse, se fosse riuscita a venderli, avrebbe avuto abbastanza soldi da comprare almeno mezza pagnotta...
Era pronta per incamminarsi, ma fu più forte di lei: doveva guardare il cielo. Le stelle erano ancora lì dove le aveva viste poco prima. Erano così belle... Come aveva potuto pensare delle cose così cattive? Forse erano inutili, ma non per lei! Lassù, una di quelle stelle la stava guardando. Ne era certa!
Fece un cenno di saluto, ma non accadde nulla. Cosa si aspettava, in fondo? Che sua nonna comparisse all'improvviso e la salutasse da lontano con la manina? Scosse la testa, rendendosi conto che quel che stava facendo era stupido, ma nell'esatto momento in cui stava per distogliere lo sguardo dal cielo, una di quelle lucine sfrecciò giù a gran velocità. La seguì con lo sguardo, ma i tetti le impedirono di vedere oltre. Sembrava assurdo, ma quella stella era appena caduta in città!
In un attimo la fiammiferaia si mise a correre come mai prima d'allora, e in pochi minuti giunse nell'esatto punto in cui era stata seduta per tutto il pomeriggio.
Non capiva... La stella sembrava essere caduta in quella direzione, eppure non ce n'era traccia... Si girò e rigirò più volte, ma...
In un vicolo, al di là della strada, qualcosa brillava per terra. Che fosse la stella?
Andò immediatamente a controllare, ma quando si avvicinò al luccichio scoprì, con grande delusione, che si trattava solo di una scheggia di ghiaccio, o forse era un frammento di specchio. Lo prese tra le dita, ma non facendo attenzione si punse un dito. Di certo non si trattava di una stella ma, quando la lasciò cadere, quella – qualunque cosa fosse – si illuminò a mezz'aria. Era come se brillasse di luce propria... Come... una stella...
In breve toccò il suolo, e tutto intorno si fece bianco com'era successo nella cameretta con il fiammifero. Questa volta, però, la luce era proprio abbagliante, e la bambina non potè che chiudere gli occhi e coprirli con le mani. Perché continuavano ad accaderle cose così strane, quella notte?
C'era ancora molto freddo e poteva sentire un lieve venticello soffiarle sulle mani e sui piedi, ma non riusciva a vedere nulla; solo bianco, ovunque, come la neve. Si scioglieva sotto i suoi piedi, morbida, umida... Era davvero neve! Il soffio di vento divenne forte e pungente, poi una vera e propria tormenta.
«C'è nessuno?», urlò, ma la sua voce fu come portata via dalla raffica.
Non c'era più alcuna traccia della città: nè un palazzo, nè una strada, nè un singolo lampione. Solo neve. Dovunque fosse, doveva trovare un riparo o sarebbe sicuramente morta assiderata.
Vagò per un po' – o meglio, per qualche ora –, e quasi stava per arrendersi quando vide un carro in lontananza. Cercò di gridare e di farsi vedere, ma non ottenendo nulla dovette mettersi a correre e per fortuna lo raggiunse. Era una slitta.
D'un tratto si fermò, e ne scese un'alta figura che si avvicinò alla bambina.
«Starai congelando...», disse in modo preoccupato quella donna pallida e magra. «Vieni con me», e prendendola per mano la fece accomodare sulla slitta, accanto a lei.
In condizione normali non avrebbe mai accettato di andar via con una sconosciuta, per quanto ricca potesse sembrare, ma in quel caso doveva scegliere tra lei, o la morte.
«Hai freddo? Ecco, copriti sotto il mio mantello»
Sembrava così cortese e premurosa... E il mantello era morbido e ben caldo, e ricordava la pelliccia di un orso bianco!
«Come ti chiami, piccina?»
«A-Alice, signora»
«Oh, non sono poi così vecchia!», rise quella; «Puoi chiamarmi Gerda, se ti va»
La donna si voltò e fece un cenno col capo, e immediatamente la slitta ripartì.



Angolo dello scrittore
Non ci credo. Mi era venuta un'idea del genere già da molto tempo, ma non avevo mai neanche lontanamente provato a metterla in atto, e ora sono qui, al cospetto di un capitolo così grande che mi sorprendo di me stesso!
L'idea iniziale sarebbe quella di unire le fiabe più conosciute – e non solo – per realizzarne una più grande e coinvolgente. Sarà più o meno come Once upon a time, nel senso che le storie non saranno uguali alle originali, ma è una cosa originale e tengo a sottolineare che nonostante i flashback possano ricordare il suo sistema narrativo, non c'entra proprio nulla, a livello di trama, con C'era una volta o qualsiasi cosa vi venga in mente.
Spero sinceramente di raggiungere un buon risultato, perché sarebbe sia per voi che per me tipo... wooooow!
Ah, e ho appena scoperto che questo è probabilmente un prologo o qualcosa del genere, ma chi se ne importa se vi è piaciuto? ;)

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Se avete letto fino ad ora, vi ringrazio di avermi dato un'opportunità.
Se avete consigli – li accetterò più che volentieri: non c'è una trama ben definita e ogni idea potrà quindi essere considerata e sviluppata –, dubbi o notate qualche errore, recensite OPPURE inviate un messaggio alla mia casella di posta. In particolare, fatemi sapere se vi interesserebbe leggere di una fiaba in particolare, o se avete curiosità che non ho ben spiegato nel capitolo.
E se la storia vi piace, al prossimo capitolo e ancora una volta grazie!

  
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