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Autore: delilahs    29/11/2013    3 recensioni
La ragazza del distretto 7 aveva imparato a mentire, nell’arena. Non gli era rimasto nessuno a cui tenesse sul serio, questo era vero. Ma Johanna non sapeva se quello che provava per Katniss era affetto o qualcosa di più.
Era affetto quando non sentiva più lo stomaco dalle farfalle? Era forse affetto quando si sentiva completa se riusciva a specchiarsi negli occhi grigi della ragazza? Era amicizia quella, o forse qualcosa di più?
Qualcosa di sbagliato.
Qualcosa di innaturale.
Ma pur sempre qualcosa.
[Crack!Pairing][Johanna/Katniss][Mockinjay][FemSlash]
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Johanna Mason, Katniss Everdeen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Occhi grigi come un giorno di novembre.


Johanna cercava di non pensare in presenza di Katniss. Ci provava, perché irrimediabilmente, ogni santissima volta, si ritrovava pensieri scomodi nella mente.
Ma era inevitabile.
Tutte le notti, insonni tra l’altro, che avevano passato insieme, in quell’appartamento del 13, ad ascoltare l’una i pensieri dell’altra, aspettando il giorno per non dover più scappare dai mostri che riposavano nel buio, avevano lasciato il loro segno.
Un segno che Johanna sentiva scottare sulla pelle rovinata, fuso nel cuore come cera bollente, lo sentiva che gli tagliava i polmoni a metà ogni volta che Katniss le parlava.
E allora fingeva indifferenza, scherzava, rideva con Gale. Ma ogni volta che rivolgeva lo sguardo negli occhi grigi della ragazza le sembrava di perdere la terra sotto i piedi. Johanna diceva sempre che gi occhi di Katniss erano dei giorni di novembre. Le sue braccia forti erano rami di alberi secolari, e il suo cuore che batteva contro ogni maledizione, un bellissimo lupo che correva libero.
Johanna, che aveva passato la vita ad abbattere alberi, di legno e non, si sentiva schiacciata, e debole.
La Ghiandaia Imitatrice le faceva passare la voglia di mangiare, le faceva pensare che forse un motivo c’era, per restare in vita.


Non riesco a evitare di prenderle la mano mentre mi passa davanti
“Non entrare lì. Gli uccelli…”
Gli uccelli devono essersene andati, ma preferisco che nessuno entri là dentro. Nemmeno lei.
“Non possono farmi niente. Non sono come voi. Non mi è rimasto nessuno a cui volere bene”
 

La ragazza del distretto 7 aveva imparato a mentire, nell’arena. Non gli era rimasto nessuno a cui tenesse sul serio, questo era vero. Ma Johanna non sapeva se quello che provava per Katniss era affetto o qualcosa di più.
Era affetto quando non sentiva più lo stomaco dalle farfalle? Era forse affetto quando si sentiva completa se riusciva a specchiarsi negli occhi grigi della ragazza? Era amicizia quella, o forse qualcosa di più?
Qualcosa di sbagliato.
Qualcosa di innaturale.
Ma pur sempre qualcosa.
Quando Katniss partì per la guerra, Johanna era in ospedale, delirante per le medicine, forse balbettava sconnessa, forse no. In quei pochi momenti di lucidità che la morfina le permetteva la taglialegna si ritrovava a pensare alla strana ragazzina dagli occhi grigi. Pensava ai settantaquattresimi Hunger Games, lo spettacolo da mentore, e i bambini che sfilavano come bestie da macello.
Ricordò la Ragazza in Fiamme, ricordò anche le sue sensazioni. Si ricordò di aver pensato che quella ragazzina era stupida, oltre che bellissima. Stupida perché poteva salvarsi, poteva sopravvivere, e aveva scelto la morte.
All’inizio Johanna non capiva il perché. Poco a poco, iniziò a provare sensazioni che credeva inesistenti, sensazioni nuove e antiche, sensazioni d’amore.
All’inizio si era rifiutata di crederci, cercando di far passare quello che provava per orgoglio, o speranza. O paura. O qualsiasi altra stupida emozione.
Ma non ci era riuscita.
Non ci era riuscita perché Johanna era sempre stata onesta con se stessa, e cercare di far passare una palese cotta per un sentimento fraterno, insomma, non era proprio possibile. Non che Katniss non ci mettesse del suo, anzi. La ragazza del distretto 7 si sentiva tanto una marionetta di porcellana, con una bella scritta ‘Attenzione, cuore a rischio. Maneggiare con cura’. E quel grigio infernale e, allo stesso tempo, incredibilmente rilassante, manteneva i fili, maneggiandoli con cura, attenda a non scuoterli troppo o troppo poco. Perché qualcun altro, qualcuno di molto meno premuroso, reggeva i fili della vita di Katniss.
E tutto quello che Johanna avrebbe voluto fare era strappare i fili, unirli a suoi e dirigerli con le mani affusolate di Katniss intrecciate alle sue. Non gli sembrava di chiedere la luna, in fondo.
Prima che Katniss partisse per la guerra, portò nella camera della ragazza il più bel regalo che quest’ultima avesse mai ricevuto. Non per una questione materiale, ma perché era andata fuori, aveva pensato a lei, aveva raccolto con le sue mani quei profumati aghi di pino che ora Johanna stringeva con tutte le sue forze. 
Secondo la sua teoria, tutta la faccenda era dovuta alla morfina in massiccio circolo nelle proprie sventurate vene, ma le piaceva credere che fosse vero. Che tutto fosse vero.
Gli occhi grigi di Katniss che spuntavano dalla foschia, socchiusi, un sorriso vispo sula bocca, le gote rosse di chi sa che sta per fare qualcosa di sbagliato. E poi le sue labbra incandescenti, poggiate troppo vicino alle labbra per il suo autocontrollo precario. Una risata, e poi via.
Mesi dopo, Johanna venne a sapere che Katniss era tornata dalla guerra e che viveva con Peeta. Ne fu felice. Fu felice di bendare di nuovo il suo cuore a andare avanti, ritornando dove tutto era iniziato, dando la caccia ai ribelli del Capitol.
Anni dopo, Johanna venne a sapere che Katniss si era sposata con Peeta e che aveva avuto due figli. Non fu felice, Johanna. Non fu felice perché Katniss le mancava, e sapeva che se l’avesse rivista non sarebbe riuscita a trattenersi dal rivelarle tutto.
Decenni dopo, Johanna venne a sapere che Peeta era morto di vecchiaia, e che Katniss era malata.
Quando giunse al distretto 12, in fin di vita, trovò Katniss seduta su un dondolo. I capelli si erano fatti grigi, dello stesso colore dei suoi occhi e tossiva ogni tanto. Johanna si ritrovò a sussultare ogni volta che Katniss tossiva, avvicinandosi sempre di più all’abisso.
L’ormai anziana ragazza del distretto 7 si sedette sul dondolo, stando così per un paio di secondi prima che l’altra si accorgesse di lei. Johanna non poté fare a meno di pensare che era rimasta esattamente uguale, con qualche ruga in più. Gli occhi erano più accesi, sembrava quasi che qualcuno ci avesse iniettato del colore dentro. Erano diversi da quei colori di morte che Katniss si era portata dietro quasi quarant’anni prima.
Johanna aprì le braccia, e Katniss si appoggiò cauta alla sua spalla, scivolando lentamente contro il suo petto. Sospirò. In quel sospiro, nacque tutta una vita che sarebbe potuta essere vera. Una vita insieme, la vita che Johanna aveva sempre sognato.
Cercò, con uno sguardo, di trasmettere a Katniss tutto questo. Ma lei stava già per addormentarsi, piano, e poi tutto in una volta. Johanna sentì un grande vuoto, e fino alla fine dei suoi giorni, non riuscì più ad osservare un giorno d’autunno, né a pensare al grigio come ad un colore tetro. Questa era, suo malgrado, la traccia bollente che la Ghiandaia Imitatrice aveva lasciato in lei.
Katniss Everdeen morì così. Nelle braccia di una di quelle persone che era certa essere una parte indispensabile ma non onnipresente della sua vita.  Fu sepolta, accanto a Peeta, accanto all’uomo che amava senza riserve, a detta di tutti.
Il vento portò via Johanna non più di sei mesi dopo. Era una giornata di tardo ottobre, inizio di novembre, e in quei giorni l’anziana signora era costretta a letto da una terribile malattia alle ossa. Poco prima di addormentarsi per sempre, allungò faticosamente la mano verso un cassetto, e ne estrasse una manciata di aghi di pino. Li avvicinò al naso, inspirando profondamente. Poco prima di chiudere gli occhi, pensò un’ultima volta agli occhi grigi di Katniss, che avevano scatenato una guerra e avevano creato una generazione. Avevano fatto rifiorire il suo cuore. Chiuse gli occhi, scivolando in un sogno finalmente libero.
 

“Tic, tac” le rispondo in un sussurro.
Rose. Lupi mutanti. Tributi. Delfini glassati. Amici. Ghiandaie imitatrici. Stilisti. Katniss. Io.
Nei miei sogni, tutto urla, stanotte.


 
 
 
   
 
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